20 DE ABRIL
(1997)
Venti di aprile del ‘90.
Amica mia, come stai?
E ti sorprende che ti scriva,
ma tanto tempo è normale…
“Ciao.
Tu nemmeno sai quante lettere ti ho scritto in tutti questi anni. Da quell’ultimo saluto… ricordi? Ma sì, certo che ricordi. Non puoi essere tanto insensibile da aver dimenticato. Io lo so. Magari fingevi, magari ti nascondevi dietro quell’apatica freddezza, non so… ma io lo so chi eri davvero. L’ho visto. Ecco perché sono certo che non puoi aver dimenticato per davvero.
Ne sono passati di anni, sì. Forse persino troppi, almeno se devo dare retta a quei fili grigi che mi vedo tra i capelli ogniqualvolta incrocio lo sguardo di uno specchio. Ma chissenefrega dei capelli. Io credo che conti ciò che ognuno di noi è rimasto dentro.
Io sono sempre lo stesso, sai? Non sono mai cambiato. Forse, tu potresti dire che non sono cresciuto: ho la sindrome di Peter Pan, vivo nella mia Isola Ideale, e non mi curo del resto. E avresti ragione… e allora?
C’è forse qualcosa di male? C’è qualcosa di sbagliato, nel voler prendere la vita così come viene, senza impegnarsi troppo? Tanto lo so, e lo sai anche tu, e lo sappiamo tu, qualsiasi cosa si faccia, il traguardo alla fine è sempre lo stesso, uguale per tutti… magari io, con il mio modo di vivere, mi limito ad anticiparlo, chissà. E, sempre per restare con i chissà, magari non è nemmeno un male: sai quanti acciacchi che mi eviterò?
Vabbe’, scusami se ti sto scrivendo… ero in preda alla malinconia, e ho cominciato a ricordare un po’ tutto di quei tempi in cui eravamo insieme.
Ma adesso dimmi di te…”
La penna si ferma.
Scrollo le spalle e straccio il foglio.
Continuerò a scriverti queste lettere che non ti spedirò mai.
Voglio ricordarti per come eri, non per come sei diventata.
Adesso ti devo lasciare
e spero che le mie parole
sconvolgano la tua coscienza…