Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: coldcatepf98    27/03/2023    1 recensioni
Dopo che Historia decide di rivelare la sua vera identità, Erwin, indagando sulla faccenda, teme delle ritorsioni dal corpo di gendarmeria. Chiede quindi appoggio al comandante Pyxis, ma questo, non potendosi basare su fatti certi, concede al corpo di ricerca uno dei suoi soldati-spia che ha tenuto per sé gelosamente fino a quel momento: Siri, anche detta "il geco".
L'aiuto di Siri sarà fin da subito fondamentale per il corpo di ricerca, già provato dalle perdite dell'ultima spedizione, che avrà bisogno di un aiuto per affrontare il nuovo nemico: gli esseri umani.
Tuttavia Siri è una mercenaria, e non viene vista bene dagli altri soldati del corpo di ricerca, soprattutto dal capitano Levi che si mostra subito diffidente verso la ragazza sfacciata. Presto, però, si renderà conto che Siri non è quella che sembra.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Hanji Zoe, Levi Ackerman, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
Capitoli:
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Nota (un disclaimer): per favore, leggete il capitolo fino in fondo e anche le note finali, non posso spiegarne il motivo, ma durante la lettura sarà chiaro il perché della mia richiesta. Grazie e buona lettura.
 

Capitolo 33 – Cala il sipario

 

You drew stars around my scars
But now I'm bleedin'

'Cause I knew you
Steppin' on the last train
Marked me like a bloodstain, I
I knew you
Tried to change the ending
Peter losing Wendy, I
I knew you
Leavin' like a father
Running like water, I
And when you are young, they assume you know nothing

 
Barattolo dopo barattolo, le medicine prendevano posto ordinate sugli scaffali man mano che li pescava dallo scatolone. Un rumorosissimo sbadiglio fece voltare Siri verso l’ingresso dell’infermeria: Sasha, dopo essersi stiracchiata, stava prendendo il camice dall’appendiabiti all’ingresso.
Siri scosse la testa, tornando a riordinare i barattoli: - Tranquilla ragazzina, fai con comodo. Argh, non so più che fare per farmi rispettare, non vi faccio più paura come una volta. Cos’è quello? 
Sasha si sedette sullo sgabello e poggiò una piccola scatola di cartone bianca sul bancone di ferro: - Un dolce del signor Niccolò. Farò metà con le-… faremo metà!
La spia rimise un barattolo che aveva pescato nello scatolone e si voltò verso la ragazzina con una smorfia incredula in viso: - Sai che avete appena qualche anno di differenza, vero? Sei sempre troppo educata.
L’altra alzò le spalle e iniziò ad aprire il pacchetto: - Non mi ha mai sgridata per averlo fatto, ad ogni modo mi ha chiesto più volte di chiamarlo per nome ma, beh… – guardò di sottecchi Siri con un sorriso impacciato.
- Posso immaginare. – disse Siri, alzando gli occhi al cielo. Si sistemò poi all’altro capo del tavolo.
- Oggi quindi hai mangiato da Niccolò?
- Sì… – uno sguardo sognante si dipinse sulla faccia di Sasha – Oggi ha fatto gli… spaghetti… con aglio e peperoncino, poi la carne e una vagonata di contorni, era tutto così buono… Anche se tra tutti i suoi pranzi non è stato quello che preferisco.
Siri si fermò dall’ordinare il tavolo e la guardò interrogativa: - Tra tutti? Vai spesso da Niccolò?
- Oh sì! M’invita sempre quando può, dice che gli piace vedermi mangiare.
La spia sobbalzò: - … Come? Gli piace… vederti mangiare?
- Sì. – la ragazza aprì la scatolina completamente, rivelando un grosso tortino alle gocce di cioccolato che diffuse tutt’attorno un buonissimo odore di vaniglia – Dice che non sempre le persone per cui cucina sanno apprezzare i suoi piatti come me, e questo lo rende molto felice.
La spia la guardò con sempre più interesse, aprì la bocca scioccata quando comprese come Sasha, ingenuamente, ancora non aveva capito assolutamente nulla. Siri si avvicinò a lei strusciando il fianco sul lato del tavolo: - E dimmi… che altro ti dice Niccolò?
Sasha posò un indice sul mento e guardò il soffitto pensierosa: - Beh… parliamo di tante cose, cosa ci piace e cosa non ci piace, delle nostre famiglie, dei nostri amici… Oggi mi ha detto che gli piacerebbe tanto avermi sempre a mangiare da lui, io gli ho detto che sarebbe un’idea fantastica!
Siri sorrise e si lasciò sfuggire uno sbuffo mentre si teneva saldamente al bordo del tavolo: - Oh mamma, da sbellicarsi, c’è posto anche per me al prossimo pranzo? Non posso perdermelo.
Sasha annuì e afferrò un bisturi nelle vicinanze: - Va bene, però non lo spaventi per favore… - il sorriso di Siri scomparve quando abbassò lo sguardo sulle mani della ragazzina intenta a tagliare in due metà disuguali il muffin con l’attrezzo chirurgico, ormai non più sterile.
La donna sospirò sonoramente mentre teneva lo sguardo fisso sull’abominio a cui stava assistendo: - E dire che quando ho iniziato a lavorare con voi non avevo pazienza. – si massaggiò la fronte frustrata – Shawn guardami adesso, potrebbero farmi santa.
Quando Sasha finì di tagliare e le porse una metà, Siri, guardando i suoi occhi dolci accompagnati dal sorriso affettuoso, non poté fare altro che scuotere la testa e sorridere a sua volta. Prese il dolce e lo rigirò tra le mani.
- Sasha… Io… Ti sono grata.
La ragazzina rimase col pezzo di muffin sospeso davanti alla bocca.
- Quello che mi hai detto quella notte… mi ha fatta riflettere, non sarei qui per tante ragioni ma essere stata a contatto con voi mi ha fatto aprire gli occhi su quante cose mi stessi perdendo. E tu sei stata la prima ad essere gentile con me, anche quando non me lo meritavo. – Siri portò una mano sulla cicatrice in faccia, la ferita che la persona seduta accanto le aveva ricucito. Senza Sasha, la spia non avrebbe mai contemplato il fatto di avere una possibilità.
Sasha si alzò e le circondò le spalle con un abbraccio affettuoso, posando la fronte sulla tempia della spia che sgranò gli occhi. Lei non aveva chiuso solo lo strappo che aveva sul viso, seppure in tanti avevano contribuito a rimarginare quello che la dilaniava dentro, lei era stata la prima a mettere il primo punto.
***
 
Non appena Siri mise i piedi per terra, iniziò a zoppicare tenendosi alla spalla di Levi che fu subito circondato da un gruppo d’infermieri che si trovavano nell’ingresso dell’ospedale. Quasi restio, il capitano lasciò andare la spia che fu presa di peso dagli assistenti che, tastandola e cercando di spogliarla, la caricarono su di una barella: fu quando assistette impotente a quella scena che il sangue freddo abbandonò del tutto Levi, che iniziò a sudare.
Pieno di una nuova fortissima agitazione prese la spalla di un infermiere e lo voltò a forza verso di lui: - Il dottor Garret. – il ragazzo abbassò lo sguardo sulla mano dapprima confuso e poi indispettito – Dovete chiamare lui.
- Capitano Levi, stiamo ancora cercando di effettuare il triag-
- Chiamatelo! – alzò la voce quel tanto che bastò per far voltare verso di lui anche il resto degli infermieri, una in particolare annuì con vigore e corse nel corridoio e dopo pochi secondi tornò col dottor Garret al seguito. Levi lo vide accostarsi a Siri e sentirle il battito con lo stetoscopio velocemente, mentre la infermiera gli parlava meccanica e veloce, aggiornandolo sulle informazioni che avevano raccolto fino ad allora visitandola.
D’improvviso, Siri afferrò il camice del dottore e, tirandolo a sé verso il basso, si sporse al suo orecchio sussurrandogli qualcosa prima di abbandonarsi sul materasso e collassare. Fu solo allora che Shawn alzò lo sguardo e lanciò un’occhiata a Levi, impietrito dall’angoscia a qualche passo di distanza: annuì e si morse le labbra, mentre spostava lo sguardo nervoso dalla ragazza in fin di vita al capitano.
- Portatela in ginecologia per ora! Forza! Chiamate Fischer e Klein! – si rivolse poi all’infermiera che l’aveva chiamato – Kerstin, seguirai il caso con me. 
Il resto dei dipendenti attorno a lui gli risposero in coro affermativamente, chi correndo da una parte chi dall’altra, chi invece trascinando via la barella alla volta del reparto.
- Tu, ragazzo. – Shawn camminava all’indietro per seguire il lettino che si allontanava ma teneva gli occhi fissi nei suoi, autoritario gli puntò il dito contro – Va via, capito? Non rimanere qui. – detto ciò, corse via e sparì dietro l’angolo del corridoio oltre la sala d’accoglienza.
Levi era rimasto in piedi nello stesso posto per qualche secondo, credette di stare per avere un colpo al cuore da quanto forte e veloce lo sentiva battere. Aprì e chiuse i pugni ripetutamente, indeciso su cosa fare, quando una forte nausea gli tolse il respiro.
- Capitano Levi, lei sta bene invece? – un’infermiera gli si era avvicinata e si era piegata su di lui per controllargli gli occhi. Lui ebbe appena la forza di annuire con la testa.
- Ne è sicuro? Tra poco qui arriveranno il resto dei soldati feriti e i deceduti, può essere l’ultimo momento di tranquillità che posso dedicarle. A tale proposito, sa darmi un’idea dell’ammontare dei feriti da aspettarci?
Anche qualora Levi avesse saputo risponderle, non avrebbe potuto aiutarla a trovare una risposta ai suoi quesiti dal momento che era più impegnato a respirare a pieni polmoni quanta più aria potesse. L’infermiera ebbe la perspicacia di farlo sedere non appena notò il viso imperlato di sudore, ma non di smetterla di fargli domande che lui, ormai, non riusciva più nemmeno a sentire. Levi poggiò i gomiti sopra le ginocchia e si piegò su sé stesso, prendendosi la testa fra le mani: solo questo fece allontanare l’infermiera che continuò a tenerlo d’occhio, anche dopo essersi sistemata dietro il bancone di accettazione.
C’era un vuoto sotto di lui, un grosso buco nero che lo risucchiava verso il basso, Levi riusciva a sentirlo, quasi a vederlo con gli occhi puntati verso il basso a studiare le venature del pavimento vecchio e rovinato. Tutt’attorno era come se ci fosse il nulla più assoluto, non riusciva a sentire nemmeno i suoi stessi pensieri a dirla tutta, un forte rumore bianco che gli riempiva la testa, che sentiva sempre più pesante.
Come siamo arrivati fin qui?
Avrei potuto prevederlo?
Chiuse gli occhi e prese un respiro profondo. La speranza lo riportava a galla, la disperazione e la tristezza cercavano di trascinarlo verso il basso: in passato aveva affrontato più lutti di quanti una persona se ne potesse aspettare in una vita intera, ma perlomeno la morte era definitiva, ciò che stava affrontando in quel momento era forse anche peggio. Un limbo estenuante.
Passarono lunghi minuti prima che riuscisse a sedersi composto e iniziare finalmente a pensare di nuovo in maniera coerente, i suoi compagni feriti avevano iniziato ad arrivare in ospedale che piano piano stava perdendo la tranquillità di poco prima. Per distrarsi si guardò attorno assente e si rese conto di aver tralasciato qualcosa, un dettaglio importante. Posò lo sguardo sull’infermiera che aveva cercato di assisterlo inutilmente e si concentrò su quanto era accaduto nell’ultima mezz’ora.
L’infermiera, sentendosi osservata, guardò Levi a sua volta: - Capitano, si sente meglio adesso? Vuole dell’acqua?
- In che reparto avete portato la soldatessa che è arrivata con me?
- Ginecologia signore, sa…
- Chi portate in quel reparto? – lo chiese lo stesso, nonostante sapesse già la risposta. Quella frase di Bernard a cui aveva dato poco peso, gli attraversò la mente veloce come una freccia.
- Beh, solo le partorienti, ma in genere tutte le donne che… Capitano! Dove va? – l’infermiera tentò inutilmente di fermarlo a parole, ma ormai era schizzato via fuori dall’ospedale.
Levi non dovette prendere nemmeno il cavallo, Bernard era poco distante dall’ingresso assieme a Yvonne e Connie attorno a Jean che, con le mani sulle orecchie, era seduto per terra con gli occhi sbarrati.
- Jean, vedrai, andrà tutto bene. – Connie si era seduto accanto a lui e gli aveva circondato una spalla, anche lui sembrava decisamente turbato – Siri non avrebbe mai continuato a combattere se non se la fosse sentita.
Yvonne, in piedi con le spalle poggiate al muro, guardava Jean dall’alto in basso: - Che io sappia questo è il migliore ospedale all’interno delle mura, Siri l’ha scelto apposta per il primo soccorso. Non ne capisco, ma sono sicura che lei ha fiducia nei medici di qui.
Bugie. Era tutto quello che Levi riusciva a sentire mentre si avvicinava nero di rabbia verso di loro, l’unica cosa che occupava il suo campo visivo era però Bernard in piedi di fronte ai ragazzi, totalmente ignaro. Quest’ultimo si accorse di Levi soltanto quando Connie, vedendolo, richiamò Jean alla realtà.
- Jean, guarda! Il capitano Levi!
L’altro si alzò di scatto: - Capitano, Siri come… 
Nel momento stesso in cui si voltarono verso di lui, Levi strattonò Bernard verso il basso e gli piazzò un cazzotto sullo zigomo, facendolo cadere per terra frastornato.
- Oh cazzo. – Yvonne rimase scioccata dalla scena che le si parò di fronte, esitò a intromettersi fino a quando gli altri due accanto a lei non lo fecero, ma ormai Bernard si era beccato abbastanza botte da sanguinare dalla bocca.
- Sei un maledetto bastardo! – berciò Levi, con Connie e Jean che adesso lo trattenevano a stento dalle spalle.
Bernard, a terra, si pulì le labbra dal sangue e si sporse verso di lui per poi essere fermato da Yvonne, che con un’occhiata gli fece capire non fosse assolutamente una buona idea.
- Ma che cazzo ti prende?!
Levi tentò di divincolarsi: - Perché l’hai fatta combattere anche se sapevi?!
Tutti lo guardarono interdetti, Bernard si alzò e scosse la testa: - Che cos’è che dovevo sapere, maledetto psicopatico?!
- “Non era nelle condizioni di combattere”, certo che sei proprio bravo a fingere. Sai benissimo di cosa sto parlando, e sai anche dov’è che l’hanno ricoverata. Cos’è che voleva dirmi una volta tornata qui? Avanti. Dillo.
Bernard realizzò all’istante l’intuizione di Levi e tentò di fronteggiarlo, ma Yvonne s’interpose. Jean e Connie si guardarono e allentarono la presa sul capitano, increduli.
- Sarai anche il più forte, ma sei proprio stupido. Dove pensi che siamo? In un qualche romanzetto rosa che esce sui periodici?! Magari sei un abbonato o forse viaggi tanto di fantasia. E lasciami tu! – Bernard spinse via l’allieva – Vuoi davvero sapere cosa voleva chiederti una volta tornati o preferisci prendermi a calci in bocca fino a che non potrò più dirtelo?! Dopotutto chissà da quanto non aspettavi di fare altro.
Levi si zittì, per farlo continuare. Non riusciva a riconoscersi, né tantomeno i suoi due sottoposti che non l’avevano mai visto perdere la calma in quel modo, a parte qualche sporadica sfuriata. Il loro capitano non reagiva d’impeto, nascondeva le sue emozioni con una maestria disumana e iniziarono a pensare che forse quanto stavano assistendo fosse il risultato di quella pratica poco salutare.
Bernard sorrise, valutando seriamente l’idea di non dirglielo: - Voleva dimettersi. Voleva farlo non appena messo piede qui e voleva che tu la seguissi. Ma non ti avrebbe mai obbligato o chiesto di farlo. 
Connie e Yvonne ebbero la reazione più genuina che ci si potesse aspettare ad una rivelazione del genere, guardandosi tra loro increduli.
- Tu… – Connie si era poi voltato e fissava adesso Jean che, invece, non sembrava affatto sorpreso – Lo sapevi? E adesso… Siri potrebbe perdere il…
- Non c’è nessun bambino, idiota. – Bernard spostò lo sguardo sprezzante di nuovo su Levi – Voleva solo chiederti che cosa volessi fare una volta risolta la situazione. Mi dispiace non essere il bastardo totalmente preso da sé stesso che sacrifica chiunque indistintamente. Ma ti dico una cosa: l’avrei fatto, hai ragione, ma non con lei.
Levi lo guardò andare via, quindi, poco dopo, si divincolò dai due ragazzi e andò via anche lui.
 
***
Accadeva raramente, eppure Bernard era stato sincero agendo attivamente contro i suoi interessi, perché Siri non avrebbe mai assecondato i propri. Ne aveva avuto la riprova quando l’aveva trovata in uno stato pietoso nel bagno dell’appartamento a Liberio.
Non appena aveva aperto la porta, si era fermato sull’uscio, incrociando gli occhi rossi di lei che lo guardavano dal basso: era seduta sul pavimento, rannicchiata, con le spalle sulle gelide piastrelle delle pareti, i capelli tutti spettinati che ricadevano lungo il viso rigato dalle lacrime.
- Fattela addosso. E chiudi la porta quando vai via.
- Posso chiederti…
- No. – Siri abbandonò la testa sul muro e la voltò per non guardarlo.
- Beh, – Bernard si poggiò sullo stipite della porta – sarai anche il capo, ma non lavori da sola. Su di te ricade la responsabilità di tre vite appartenenti a questo reggimento. Se per caso ritenessi che tu non sia più in grado di guidarci, non esiterei un singolo istante ad...
Si fermò perché l’altra aveva iniziato a ridere sommessamente alle sue parole.
- Adesso t’importa delle vite degli altri?
- M’importa se in ballo c’è anche la mia. – mentì – Ma non credere che non mantenga la parola. E non credo tu sia disposta a mettere a rischio il tuo prezioso Jean-Jean, che prenderebbe il tuo posto se tu andassi via.
Siri emise un rantolo e si massaggiò una tempia: - Che stronzo.
Bernard rimase in silenzio, aspettando una risposta che lo soddisfacesse.
- Sono solo stanca Bernard, ecco tutto.
- Mmh, non credo sia tutto.
- È tutto quello che ti serve sapere.
- Te lo ripeto, non è abbastanza.
- Cazzo, la vuoi piantare?! – Siri fece pressione sulle tempie con le dita, gli occhi chiusi – Non voglio più lavorare. Non voglio più essere una spia, sei contento?
Lui alzò un sopracciglio: - Beh, è un bel problema.
- No. Questo non lo è. – prese un respiro profondo – Il… problema… è che non voglio essere sola quando me ne andrò via.
L’allusione a Levi era troppo esplicita per far finta di non aver capito, Bernard annuì: - Mi sembra abbastanza semplice da ovviare come problema, chiediglielo e basta. Sei sempre stata una gran piagnona ma mi sembra esagerato.
- Non posso.
- Eh? Che senso ha?
- Il senso… – Siri riaprì gli occhi – Il senso è che non posso chiederglielo, capisci? Non sarebbe giusto.
Bernard fece una smorfia confusa: - E allora che hai intenzione di fare scusa?
- NON LO SO! – sbottò lei, voltandosi – Non lo so…
Calò il silenzio, Bernard fissò il suo corpo illuminato dalla flebile luce lunare che entrava dalla porta del bagno, la sua stessa ombra che copriva di nero le gambe ora distese della spia. Non aveva più senso insistere e proporsi al posto di Levi, era stata molto chiara dall’inizio della missione e, con molta fatica, mise da parte i suoi interessi.
- Non capisco. Tu parli di giusto o sbagliato, sono cose che, onestamente, ho dimenticato tanto tempo fa. E tu altrettanto.
A differenza sua, a Siri avevano insegnato cosa fosse giusto, sapeva considerare nell’equazione i sentimenti degli altri e lei non poteva condannare Bernard perché nessuno lo aveva amato. Per cui aspettò che le rivolgesse altre domande.
- Per me è davvero difficile comprenderlo, Siri. Perché non dovrebbe essere giusto?
- Perché c’è una grande differenza tra quello che voglio e quello che posso fare. E come potrei chiedergli di venire via con me e abbandonare tutto e tutti? Lo farebbe, forse, ma poi? Che razza di persona sarei? – poggiò la testa sulle ginocchia – Una che non lo lascia scegliere. Non posso fargli questo.
Era quello allora l’amore, pensò Bernard. Essere disposti a rinunciare ad avere accanto chi ami pur di poterlo fare senza rimorsi o egoismi. Era abbastanza sicuro che Levi l’avrebbe assecondata, sarebbe andato via con lei, ma l’avrebbe fatto senza che quella decisione avrebbe poi avvelenato il loro rapporto?
Era probabile che Siri neanche volesse sapere la risposta di Levi alla domanda che lei voleva porgli, era forse meglio semplicemente fare congetture, o non chiedere nulla a prescindere.
- Chiediglielo. – Siri lo guardò di sbieco – Questo è il mio parere: potrà non essere giusto, ma per persone come noi ha sempre avuto poca importanza. Magari è stanco anche lui.
Siri era fatta in un modo ben preciso: non era mai stata una che si tormentava pensando al futuro, viveva il presente per come le capitava, aveva imparato ormai molto tempo prima che pianificare troppo le portava solo il dolore di non essere dove voleva quando aveva immaginato ci sarebbe stata.
Deglutì il groppo che aveva in gola: - Non gli chiederò di seguirmi. – ci pensò su un momento – Gli chiederò cosa ha intenzione di fare quando sarà tutto finito.
***
 
Passarono alcuni giorni da quando Siri fu ricoverata e Levi andò in ospedale ogni singola notte per cercare di farle visita e non dare nell’occhio, ma non ci fu modo per lui di andare a trovarla prima che partisse per una foresta di alberi giganti dove sarebbe rimasto con Zeke fino a data da destinarsi. La prima notte ad aspettarlo all’ingresso dell’ospedale c’era l’infermiera Kerstin che non appena lo vide quasi lo placcò per scusarsi a nome della sua collega e spiegare il malinteso. A quanto pareva, quando il corpo di ricerca era di ritorno dalle loro missioni, i feriti erano così tanti che riservavano parte del reparto di ginecologia alle soldatesse: così erano riusciti a ridurre i casi d’infezione e i medici oltre che gli infermieri riuscivano ad essere più produttivi e attenti.
Levi aveva messo su una maschera di totale apatia, ringraziò Kerstin, nonostante quella spiegazione fosse arrivata troppo tardi, e le chiese come stesse Siri. Come prevedibile, non ricevette alcuna risposta soddisfacente, la prognosi era riservata e neanche il dottor Garret, che ad ogni visita era sempre nei paraggi, “se la sentiva” anche solo di parlargli. Ma Levi ebbe la sensazione che lui volesse farlo eccome, da come da lontano lo studiava con quei piccoli occhi attenti che spostava sempre da un’altra parte quando il capitano li sorprendeva nella sua direzione.
La terza notte era stanco di essere mandato via con nessuna informazione, l’apatia e l’ansia lo stavano sgretolando, voleva solo una risposta, ma ancora una volta trovò Kerstin a sciorinargli scuse su scuse.
- Mi dispiace, ma quel reparto è molto delicato, cerchi di comprendere. Anche volendo, non posso permetterle di farle visita.
- Non sono ancora diventato un completo rimbambito, lo so perché è la stessa cosa che mi dite da tre giorni a questa parte. Magari potreste provare a darmi una semplice risposta, non credo sia così difficile.
- L’operazione a cui abbiamo sottoposto la sua collega è stata lunga e difficile, non possiamo dire che va tutto bene se nei fatti non lo sappiamo.
Levi incrociò di nuovo lo sguardo del dottor Garret che a qualche metro da lui faceva finta di compilare delle cartelle. Espirò contrariato e superò Kerstin: - Mi sono stancato di queste stronzate.
- Aspetti!
Levi raggiunse Shawn che finalmente sembrò non fare più finta che non esistesse.
- Lei è il dottor Garret, mi risparmi i giochetti e inizi a parlare chiaramente.
Il medico guardò Kerstin alle spalle di Levi che cercava di scusarsi, ma con un cenno condiscendente la fece andare via.
- Capitano Levi. Non credo ci siamo mai presentati, sono il dottor Shawn Garret. 
- Tanto piacere. – disse l’altro sarcastico.
- Mi spiace per il fraintendimento quando abbiamo ricoverato Sigrid, certo, se fosse rimasto glielo avremmo spiegato, ma non potevo certo aspettarmi una compagnia diversa per una testona come la mia figlioccia. – il dottore lo guardò eloquente – Come le ha anticipato la mia collega, l’operazione è stata complicata, l’hanno sparata a distanza per fortuna perché il proiettile non è andato molto in profondità fino ai grossi vasi, ma abbiamo dovuto asportarle un ovaio e parte dell’intestino. Per questo non possiamo essere certi sia fuori pericolo, sa, a causa delle infezioni. Inoltre…
- Levi. – il medico fu interrotto da Hange che era spuntata dal corridoio che portava ai reparti e ora si dirigeva a grandi passi verso i due.
Il capitano fulminò con lo sguardo Shawn: - Non potete far entrare nessuno, eh?
- Che ci fai qui Levi? – il medico approfittò di Hange per sgattaiolare via e scomparire in una stanza. Levi lo seguì con lo sguardo e poi dedicò la sua completa attenzione al superiore: - Da quando in qua fai domande inutili? Credevo fossi la più intelligente tra noi.
Lei lo guardò stizzita: - Sai che sono estranea a certe dinamiche, mi limito ai fatti con cui posso fraternizzare con la logica. Ti ripeto, che cosa ci fai qui? Saresti dovuto partire già stamattina.
- Non ricordavo avessimo tutta questa fretta.
Hange sospirò mentre la sua faccia si contrasse in una espressione arrabbiata: - Non si parla di fretta, ma di ordini militari dal tuo superiore in comando. Se ti becco di nuovo qui, desidererai non avermi mai disobbedito. – lo superò, dirigendosi verso l’ingresso, poi si fermò a metà strada per aspettare che la seguisse. Levi digrignò i denti, ma la raggiunse, uscendo con lei dall’edificio.
- Non credevo fosse contro le regole venire in ospedale.
Il comandante prese le briglie del proprio cavallo, i suoi occhi brillavano di una rabbia che a stento riusciva a controllare, la sua voce venne fuori acida e severa: - Tu non sei nella posizione di parlarmi di regole. Domani mi assicurerò che tu e i tuoi soldati partirete come da programma, ti ho avvisato Levi, obbedisci.
Levi ritenne la reazione di Hange esagerata rispetto alla gravità della situazione, non riusciva a comprendere se non volesse che lui incontrasse Siri o che ignorasse i suoi doveri per questo motivo. Salì sul suo cavallo e temporeggiò davanti all’ospedale, osservando le finestre pieno di malinconia: fosse stato anche un ultimo saluto, meritava di darglielo.
Se ne andò e il giorno dopo all’alba partì alla volta della foresta.
 
Il morale per il resto dell’isola non era di certo molto diverso da quello con cui Levi era partito perché, nonostante la schiacciante rivalsa, Eren era stato incarcerato, apparentemente senza motivo, e questa decisione aveva creato non pochi disordini, insieme al fatto che non erano state date risposte chiare in merito all’avvenire di Paradise.
Si prospettava un futuro ancora nebuloso oltre che una separazione netta tra nord e sud delle mura: chi aveva sofferto maggiormente delle stragi dei giganti reclamava la liberazione immediata di Eren, mentre a nord, complice la sparizione della regina, si respirava un clima più insicuro sulle decisioni da prendere, oltre che meno rivolte. In una sola settimana una parte dell’isola era piombata nel caos, mentre l’altra supportava l’esercito e attendeva notizie che non tardarono a prendere una piega quasi inaspettata: Eren era fuggito di prigione.
Il ragazzo aveva passato giorni interminabili e notti irrequiete, né Hange, né tantomeno Siri erano andate a trovarlo e lui aveva un disperato bisogno di parlare a una o all’altra. Non poteva più aspettare che si decidessero a dargli udienza, quindi, come suo solito, agì di testa sua.
Col potere del gigante martello riuscì ad evadere di prigione e non appena fuori dalla cinta muraria, si sentì pervaso da un’ansia da mozzare il fiato. Aveva realizzato che tutto stava procedendo troppo velocemente, mentre prima aveva tutta la situazione sotto controllo, adesso non era sicuro di nulla. Corse via nella notte, dirigendosi al quartier generale del corpo di ricerca più vicino a Trost: non era sicuro Floch fosse già stato arrestato, ma valeva la pena fare un tentativo. Al quartier generale realizzò ben presto che i suoi compagni erano stati già tutti arrestati, meditò se agire da solo o richiamare a sé le reclute Yeageriste: nascosto in uno sgabuzzino nel quartier generale optò per la seconda opzione, aveva bisogno di rinforzi, uomini armati, doveva liberare quelli imprigionati e cercare di reperire quante più informazioni possibili.
Siri, come si era aspettato, non era al quartier generale, era probabile si trovasse ancora in ospedale con quella pallottola nel fianco sicuramente non si sarebbe mossa di lì per almeno qualche altro giorno. Interrogare lei sarebbe stato più semplice, malridotta com’era. Il viso di Eren si contrasse in un’espressione sofferente, mentre tratteneva a stento le lacrime: adorava sia Siri che Hange, si sentiva un mostro a tradirle così, mettere sotto torchio la spia poi, dopo tutto quello che aveva dovuto passare, era semplicemente ingiusto. 
Si fece coraggio e uscì dal bugigattolo il più silenziosamente possibile: le lezioni della sua compagna di squadra si rivelarono tremendamente utili e, corridoio dopo corridoio, riuscì a sbucare sul piano in cui si trovava la stanza di una delle sue talpe. Stava procedendo a passo felpato, quando una voce familiare lo fece fermare all’istante davanti l’uscio di una porta semiaperta.
Si protese leggermente senza affacciarsi e si mise a sentire: Mikasa stava parlando, aveva la voce rotta, non distinse bene le sue parole ma ad un certo punto poté sentire chiaramente i suoi gemiti addolorati, soffocati dai palmi delle sue mani. Deglutì, pronto a ricominciare la sua marcia, quando riconobbe la voce di Jean e raggelò all’istante: con gli occhi spalancati osservava il pomello della porta, illuminato dalla luce soffusa della lampada all’interno della stanza. Voleva entrare con tutto sé stesso, asciugare le lacrime della sua amica, abbracciarla e stringerla a sé per confortarla. Avrebbe voluto spiegarle ogni cosa, fare qualsiasi cosa che non fosse proseguire.
Ma alla fine abbassò la mano e, semplicemente, la schiacciò sulla bocca con forza per tenere dentro di sé quel pianto disperato che tanto desiderava fare per sfogarsi. Mikasa si meritava una persona come Jean, Eren l’amava così tanto che era sollevato lei potesse avere accanto una persona come lui. Eppure faceva così male.
Tentò di ricomporsi e sgattaiolò via prima che Mikasa uscisse da quella stanza. Cercò di non pensare a cosa potesse essere accaduto tra i due, ma, comunque, non l’avrebbe mai saputo.
Nel giro di un paio d’ore, Eren era riuscito a racimolare quante più reclute Yeageriste a disposizione e anche a liberare Floch e gli altri soldati del corpo di ricerca detenuti in cella per aver diffuso la notizia della sua incarcerazione.
Non appena si furono allontanati da Trost, al riparo fuori dalla città, Eren fu finalmente libero di parlare con Floch. 
- Eren, adesso come procediamo?
- Prima dovrete aggiornarmi su ciò che è successo in questi giorni. Ho notato che il quartier generale era in subbuglio.
Floch ravvivò il fuoco attorno a cui erano seduti, il resto dei loro compagni era ormai addormentato o faceva la guardia all’accampamento di fortuna che avevano allestito.
- Alla notizia della tua detenzione si sono scatenati disordini nelle città a sud, purtroppo a nord il nostro movimento non ha fatto molta presa. Non mi aspettavo un disinteresse così sfacciato, ma, d’altronde, sono persone che hanno avuto il privilegio di non vivere le stesse cose che abbiamo dovuto affrontare noi. – gettò il rametto che stava usando nelle fiamme – Si parla già di movimenti separatisti, purtroppo non avevamo ritenuto necessario distribuire il vino di Zeke anche a nord, è stata una minuzia che potrebbe costarci parecchio. Ma se giochiamo bene le nostre carte potremmo ribaltare la situazione a nostro favore.
- Non credo sarà necessario. – disse fermo Eren – Dopotutto se Marley attaccherà, il nemico comune ci riporterà tutti sotto un’unica alleanza.
- Credi dovremmo prendere il controllo dell’esercito?
- No, non ancora. Prima dovrei parlare con Siri al più presto. Dove si trova?
- Siri è morta qualche giorno fa. – Eren sgranò gli occhi per la sorpresa, un enorme vuoto gli riempì lo stomaco – A quanto pare quella ferita era troppo grave, la squadra del capitano Levi è rimasta qui, il comandante ha pensato fossero più utili qui a svolgere compiti di routine. Sai, per lo shock di aver perso due compagni in un giorno.
Eren abbassò lo sguardo di traverso: - Capisco… Dovrò parlare con Hange allora, ma non credo mi riceverà di buon grado, è probabile mi stiano cercando già.
- Sì, è probabile. Abbiamo svuotato troppe celle perché non se ne siano già accorti.
- Mentre, Historia? Dove si trova? – Eren venne colto da un’illuminazione. Forse poteva evitare d’interrogare Hange semplicemente toccando di nuovo la regina e quindi fare luce su tutta quella faccenda.
- Purtroppo era Siri a sapere la sua esatta ubicazione.
- Cosa?! Solamente lei?
- L’unica e sola. Avevano pensato fosse l’opzione più sicura, ed effettivamente si è rivelata tale. – Floch poggiò i gomiti sulle ginocchia – Non avevamo detto che la nostra priorità era proteggere Historia? Perché adesso ti serve sapere dove si trova? Dici che riusciresti ad attivare il boato anche senza il potere dei giganti dentro di lei?
Eren scosse piano la testa: - No, ma parlare con lei potrebbe essermi utile ugualmente, oltre che più facile invece che con Hange.
Floch annuì convinto.
- Adesso ascoltami. Ti dirò come procedere, sono abbastanza convinto che non fosse solo Siri a custodire determinate informazioni. C’è una persona in particolare che vorrei interrogaste, era uno dei suoi colleghi più fidati.
 
Nota a margine: spero adesso sia chiaro il mio avvertimento a inizio capitolo. Se c’è una cosa che potete aspettarvi da me è che non cederò mai a cliché troppo banali, il pregnancy trope poi è uno di quelli che detesto perché è fatto malissimo il 90% delle volte. So benissimo che questo trope è anche una delle ragioni che spinge la maggior parte dei lettori ad abbandonare una storia, ma io sinceramente non l’ho fatto per questo motivo: diciamo che mi piace prendere gli stereotipi e rovesciarli (Bernard che sfonda la quarta parete rimanendo canon all’ambientazione della storia, concedetemelo, è stato il lampo di genio di cui vado più fiera in questo capitolo ahahaha).
Per chi non sapesse di che parlava Bernard, prima (vi parlo di almeno un secolo fa oramai) i libri uscivano “ad episodi” sui periodici, solo qualora la storia avesse avuto successo sarebbe stata poi pubblicata come romanzo vero e proprio, e sono abbastanza convinta che, data l’epoca in cui è ambientata, anche nella serie di AoT dovesse funzionare così.
Purtroppo, come vi ho già accennato parecchie volte, il periodo in cui scrivo non è dei migliori, sia a livello personale che universitario, non sono riuscita a correggere alcun capitolo e il prossimo potrebbe tardare ad arrivare. Un periodo indicativo sarebbe fine aprile-inizio maggio in cui (si spera) sarò più libera e soprattutto più serena. 
Scrivere è una delle mie gioie più grandi, mi fa stare meglio ma per farlo ho bisogno di tempo e dedizione e il primo mi manca, sono una tipa precisa, non so se si è notato e scrivere ciofeche mi farebbe stare troppo male. Non che ritenga il mio lavoro di ottima qualità, ma vedo dalle statistiche come questa storia sia ancora seguita e apprezzata e io ve ne sono tanto grata! Grazie a chi lascia un commento o anche solo mi legge, per me significa davvero tanto.
Alla prossima!
  
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