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Autore: Nadine_Rose    24/04/2023    1 recensioni
Sarah ed Hermann sono rispettivamente due tra le tante vittime e i tanti carnefici nell’ora più buia della storia dell’umanità. Il campo di Fossoli, anticamera dell’inferno nazista, sarà la loro comune e perenne prigione d’amore malato.
Matteo, un giovane pescatore, sarà colui che proverà a sciogliere il cuore di Sarah dalle catene del tenente Hermann, nello speranzoso e disperato scenario del dopoguerra napoletano.
[Capitolo 65: Un amore a Fossoli]
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Genere: Drammatico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Olocausto, Dopoguerra
Capitoli:
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Capitolo 61

 

Sogno ad occhi aperti

 

“Amo ciò che non ho. Tu sei così distante.

La mia noia combatte con i lenti crepuscoli.

Ma la notte giunge e incomincia a cantarmi.

La luna fa girare la sua pellicola di sogno.

Le stelle più grandi mi guardano con i tuoi occhi.

E poiché io ti amo, i pini nel vento

vogliono cantare il tuo nome con le loro foglie di filo metallico.”

Pablo Neruda, Qui ti amo


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Immagine dal film “L’amore oltre la guerra”

 

Unisono al brusio della gente immersa in un’atmosfera attonita di calici sospesi a mezz’aria, di Else riusciva a udire il battito accelerato del cuore e gli pareva di vederne il petto ansante di rabbia.

Il tempo s’era fermato e, in quegli attimi dilatati e ovattati, taceva nella mente il pensiero, mentre l’animo si empiva di tormento.

Di coloro che aveva innanzi, eleganti maschere in abiti lunghi e smoking che nascondevano, neanche tanto velatamente, divise macchiate del sangue innocente, non temeva il giudizio e da essi si estraniò definitivamente, quasi sentendone lo strappo, ripudiando in toto il suo passato, suo padre, sua madre, dei quali aveva finanche dimenticato la presenza nella sala.

Piuttosto si tormentava domandandosi come Sarah lo avesse giudicato in quella situazione ch’egli valutò essere di tradimento.

“Sei solo un vigliacco, traditore della patria, amico degli ebrei”, continuò a inveire Else, ridestandolo già alla prima battuta.

Con il sottofondo delle sue parole urlate invano a ripetizione, impotenti di scalfirlo, Hermann riprese a scendere le scale a muso duro, come a sfidare, ignorandoli, gli sguardi e le labbra socchiuse ai bisbigli della gente senza più volto riconoscibile, mentre pensava a quanto avesse bisogno di Sarah per essere un uomo migliore.

Giù dalla scalinata, con il suo incedere disinvolto, si fece spazio tra l’incredulità della gente, da taluni ostentata, finché qualcuno non lo afferrò per il bavero della giacca, tirandolo a sé e, incrociandone gli occhi ch’erano uguali ai suoi, nei lineamenti deformati dalla rabbia, riconobbe il volto di suo padre.

Un luccichio di sbigottimento balenò nei suoi occhi, mentr’egli, strattonandolo, gli chiedeva a denti stretti: “Ma cosa diavolo hai combinato?”

Immaginava, infatti, considerata l’evidenza, che, con Else, suo figlio fosse andato ben oltre un semplice diverbio ideologico.

Cristalli impenetrabili, i suoi occhi lo guardarono con un’espressione indecifrabile, un misto di rassegnazione e stupore, come se fosse stato colto da una rivelazione e, deviando subito dopo lo sguardo nel vuoto, con voce inespressiva, gli disse: “è ora che io me ne vada.”

Via da lì, da Berlino, da se stesso. Lo capì anche suo padre che s’arrese, rassegnandosi a tale volontà.

I pugni chiusi a stringergli la giacca lentamente s’aprirono per lasciarlo andar via e i loro occhi s’incrociarono un’ultima volta, quella definitiva. Lo avrebbe poi rivisto esanime, rimpatriato grazie alla compassionevole empatia di chi, come lui, padre era stato.

 

Napoli, 7 maggio 1947

 

Aveva pianto Davide nel pronunciare il voto nuziale, commosso, forse, più che durante la celebrazione delle sue prime nozze, senza remore né adolescenziale paura dei giudizi altrui, con la gratitudine di chi, sopravvissuto, guardava agli eventi della vita come un dono, consapevole della reale portata del sacramento del matrimonio in virtù dell’età della maturità raggiunta e della conversione al cristianesimo ora veramente avvenuta.

I suoi occhi ancora rilucevano, mentre a tavola conversava col suo consueto modo pacato con uno dei figli del signor Gennaro al quale aveva fatto seguito tutta la famiglia, nuore e nipoti annessi. Del più piccino fermò il giocoso andirivieni, afferrandolo scherzosamente e facendogli il solletico, prima di rivolgere l’attenzione alla sua sposa che per l’intimo banchetto aveva scelto di svestire l’abito bianco per indossare un più serioso tailleur color avana chiaro con grossi bottoni e tasche e corredato di cappello Borsalino in stile Ilsa Lund di Casablanca.

Ed essi s’esibirono in un tu per tu di vicendevoli sguardi e parole sussurrate che scavò in Sarah un vuoto più grande. Nella sua solitudine si rinchiuse, incrociando le braccia sul petto e così stringendosi nel vestito a fiori giallo che, rievocante l’esultanza della primavera, nascondeva l’inverno del suo cuore. Matteo non era lì e lei, tra tutte quelle coppie riunite attorno al tavolo, era l’unica non accompagnata.

Sulla sua assenza aveva mentito giustificandola per motivi di lavoro, ma Sarah non era brava a dire bugie e la tradì il sorriso di tenera commiserazione verso di sé che vide riflesso sul volto degli altri e ne provò umiliazione.

Non le aveva impedito di partecipare alle nozze Matteo, eppure era riuscito, in un certo qual modo, ad allontanarla dagli amici, giacché, a causa delle sue manchevolezze, s’intensificava verso di loro il latente, raggelante sentimento d’invidia.

Quanto più si allontanava dagli affetti della sua vita presente, tanto più si riavvicinava al ricordo di Hermann, romanticizzando il passato.

Fu in quel momento, dinanzi al romantico e sensuale parlarsi bocca a bocca degli sposi, circondata, quasi soffocata dall’affiatamento delle altre coppie, sul sottofondo dei gridolini festosi dei bambini e del rumore dei loro celeri piedini, che, chiedendosi come si fosse comportato in tale circostanza, iniziò a immaginarlo al suo fianco.

Figlio della moderna Berlino, non si sarebbe scandalizzato per quella unione e, partecipando con lei al ricevimento nuziale, da uomo acculturato qual era, avrebbe saputo sostenere una conversazione con Davide e il figlio del signor Gennaro avvocato.

Affidando all’immaginazione la volontà di sopravvivere al senso di solitudine e abbandono, egli divenne così reale tanto da percepirlo seduto accanto a sé, dapprima sentendone il profumo dalle inconfondibili note di ambra e muschio, poi guardandolo di sottecchi in abiti civili, ovvero con indosso uno smoking chiaro, nel gesto di accendersi una sigaretta.

Fece per versarle il vino nel bicchiere, ma Sarah dissentì, sollevando una mano. “No, grazie. Lo sai benissimo che sono astemia”, gli disse e udì la propria voce ovattata.

Nube sfocata di sogno ad occhi aperti essa svanì al tocco gentile di una mano sulla spalla e si ritrovò innanzi il volto preoccupato di una delle nuore del signor Gennaro che, con un’intonazione di stupore, le chiedeva: “Tutto bene, Sarah?”

D’imbarazzo ella impallidì e, pronunciando un flebile, inattendibile «sì», distolse lo sguardo nel vuoto, il cuore verso i ricordi.

Da allora, fece di Hermann il pensiero che le strappava un sorriso nella monotonia dei giorni e, da languido sussurro, il suo nome divenne grido nelle notti di sonno inquieto.

 

“Ma sono vivo

e sono qui

e vengo dentro a prenderti.

Da solo disarmato, innamorato,

tu devi arrenderti.

Ci sono io e sono qui

con la pazzia di stringerti.

Mi hai perquisito gli occhi

e sai sono pulito,

non posso ucciderti mai più.”

 

Claudio Baglioni, Io sono qui

 

 

 

 

 

   
 
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