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Autore: Signorina Granger    04/05/2023    2 recensioni
Raccolta di varie OS dedicate a coppie/singoli personaggi delle mie Interattive.
I: Joseph Richardson
II: Charlotte Selwyn
III: Ivan Petrov/Irina Volkova
IV: Constance Prewett
V: Markus Fawley/Berenike Black
VI: Jude Verrater/Isabelle Van Acker
VII: Jake Miller/Scarlett Anderson
VIII: Nicholas Bennet
IX: Antares Black
X: Gabriel Undersee/Helene Bergsma
XI: Altair Black/Elizabeth Abbott
XII: Aiden Burke/Eltanin Black
XIII: Adrianus Stebbins
XIV: Cecil Krueger/Isla Robertson
XV: Regan Carsen/Stephanie Noone
XVI: Pawel Juraszek
XVII: Phoebus Gaunt/Nymphea McLyon
XVIII: Hooland Magnus/Rose Williams
XIX: Dante Julius/Jane Prewett
XX: Lilian Blackwell
XXI: Oliver Miller/Ingrid Braun
XXII: Noah Carroll/Mairne Connelly
XXIII: Seth Redclaw/Kate Bennet
XXIV: Emil Bach/Rebecca Crawley
XXV: Sean Selwyn
XXVI: Jade Bones
XXVII: Andrew Maguire/Iphigenia Ashworth
XXVIII: Gabriel Greengrass/Elena MacMillan
XXIX: Wyatt Hill
XXX: Erzsébet Bathkein-Horvàth
XXXI: Carmilla Bathkein-Horvàth
XXXII: David Maguire
XXXIII: Maxine Keenan/Erik Murray
XXXIV: Charlotte/Adela/Hector/William/Aurora/Regan/Stephanie
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Maghi fanfiction interattive
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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May the 4th be with you
 
 
 
M-H



Se c’era una cosa che Håkon Jørgen non amava era essere svegliato presto nel weekend, sempre che il gesto non avesse origine dalla sua adorata ed unica figlia. Figlia che il giorno prima aveva portato a casa dei suoi genitori e che non avrebbe dovuto andare a prendere prima di quel tardo pomeriggio, ragion per cui un lieve gemito di protesta unito ad uno sbuffo fu ciò con cui il mago iniziò quella domenica di inizio ottobre quando si sentì sfiorare il braccio, muto invito ad aprire gli occhi e a destarsi dal mondo dei sogni.
“Margi, cosa c’è…”
Seppur a malincuore Hakoon si costrinse a dischiudere le palpebre, sollevandole quel che gli bastava per mettere a fuoco il volto pallido e sorridente della donna che sedeva davanti a lui sul bordo del letto, una mano poggiata sul suo braccio lasciato nudo dalla maglietta nera che indossava per dormire.
“Alzati, andiamo a fare colazione.”
“Non possiamo farla dopo?”
“Dopo sarà pieno. Forza, alzati.”
Håkon non aveva idea di che cosa la strega stesse parlando – era sveglio da un numero di minuti fin troppo esiguo –, tanto che la guardò aggrottando le sopracciglia e con gli occhi scuri ancora annebbiati dal sonno, ma Margot si limitò a protendersi verso di lui per scoccargli un bacio su una guancia, alzandosi dal letto e uscendo dalla loro camera prima di dargli il tempo di chiederle spiegazioni.
Håkon non aveva poi tanta voglia di lasciare il suo comodo e caldo giaciglio e avrebbe preferito di gran lunga crogiolarsi in stato di dormiveglia abbracciando la sua fidanzata e lasciandosi avvolgere dal tepore delle coperte ancora per un po’, ma poiché non voleva contraddire Margot finì col scostarsi le lenzuola di dosso e trascinarsi a piedi nudi verso il bagno collegato direttamente alla loro camera mediante una porta di legno scorrevole verniciata di bianco, lavandosi il viso con acqua gelida per lasciarsi il sonno alle spalle.
Pochi minuti dopo la sua alta figura apparve nella cucina del cottage stagliandosi sull’ampia apertura nella parete che la collegava all’ingresso, vestito ma con i capelli ancora arruffati. Un’occhiata alla finestra più vicina bastò per informarlo di quanto il cielo fosse già grigio e pieno di nuvole, cosa che non lo stupì affatto, e Håkon si chiese con sincera perplessità dove Margot volesse portarlo quando adocchiò lo zaino di tela color sabbia coperto da margheritine ricamate che la strega stava finendo di riempire appoggiandosi al massiccio tavolo di legno che si trovava in mezzo alla stanza.
 
“Dove andiamo?”
L’astronomo la guardò chiudere le cerniere dello zaino e sorridergli allegra inarcando un sopracciglio, chiedendosi ancora una volta dove trovasse tutta la sua energia mentre Margot gli si avvicinava, uno spesso maglione color crema addosso e stivali Wellington ai piedi:
“Colazione, te l’ho detto. Prendi la giacca di pelle, fa freddino.”
La strega si alzò in punta di piedi per baciarlo, dopodiché si issò lo zaino in spalla e lo superò senza dire una parola, dirigendosi verso la porta celeste del cottage sotto lo sguardo ancora leggermente attonito del fidanzato.
 
 
 
Se glielo avessero chiesto Håkon di certo non avrebbe definito il clima come quello più idoneo ad un picnic, ma l’ultima cosa che voleva era amareggiare la sua fidanzata dopo che lei si era prodigata per preparare la colazione per entrambi, tanto che finì col seguirla fuori di casa e lasciare che Margot lo prendesse per mano per Smaterializzarsi altrove senza fare storie. In più, aveva ormai imparato che per gli scozzesi quelle temperature erano perfettamente nella norma, per non dire più che accettabili: probabilmente per chi come Margot era cresciuta in quei luoghi una giornata del genere era quasi l’equivalente di una giornata soleggiata.
Si era lasciato condurre, il sonno che andava via via svanendo, sulle sponde del Loch Linnhe, il Lago su cui la cittadina dove vivevano, Fort William, si affacciava. Aveva letto, o forse era stata Margot a dirglielo, che da quelle parti si potevano persino ammirare delle foche, e mentre rabbrividiva leggermente si ritrovò a non considerarla affatto una sorpresa. Margot lo prese per mano e lo condusse per un breve tratto di riva leggermente fangosa, reduce di lunghi giorni di pioggia, fino a fermarsi su un pontile di legno che si affacciava direttamente sulle acque grige e gelide del Lago.
Fu lì che si sedettero, le gambe penzoloni oltre il bordo, e che Margot sistemò lo zaino prima di aprirlo e di lasciare che si svuotasse da sé con un lieve colpo di bacchetta, consentendo ad una tovaglia beige a motivo florale di dispiegarsi in mezzo a loro e a tazze, cucchiai, zucchero, due thermos, uno contenente caffè e l’altro latte, burro, pane già tagliato e marmellata di disporsi sopra di essa.
Per qualche minuto nessuno dei due parlò mentre sorseggiavano caffè caldo tra un boccone di pane coperto da burro e marmellata e l’altro, gli sguardi che vagavano sul panorama mentre si godevano la pace e il silenzio. Håkon, suo malgrado, si ritrovò ad ammettere che quei luoghi e la calma quasi surreale che evocavano possedevano qualcosa di estremamente rilassante, e anche se faceva freddo e il clima era umido si lasciò avvolgere da quello strano senso di pace e di quiete, come se lui e Margot fossero le uniche persone rimase in quella piccola parte di mondo.
“Devo ammettere che è bello.”
“Non è un fascino che colpisce chiunque. È la Scozia. O la ami o subisci la sua suggestione o la odi e la trovi un buco cupo su cui piove sempre.”
Margot addentò la sua fetta di pane stringendosi nelle spalle, gli occhi celesti che vagavano pensosi sulle montagne poco distanti. Si chiedeva spesso con lieve inquietudine se ad Håkon vivere nelle Highlands piacesse o se invece si sentisse costretto solo e soltanto a causa sua, ma il turbinio di pensieri poco piacevoli che l’aveva colta venne bruscamente spazzato via quando il danese, terminata la colazione, si spostò sul bordo del pontile in modo da trovarsi vicino a lei, estraendo la coperta che Margot aveva infilato nello zaino per avvolgerla attorno ad entrambi. Circondò le spalle esili della strega con un braccio e appoggiò la propria testa contro la sua, baciandole la tempia prima di sorridere e parlare a bassa voce:
“Grazie per la colazione. Tre delle mie cose preferite al mondo tutte insieme.”
“Caffè, burro… la terza?”
“Indovina.”
Håkon sorrise e Margot ricambiò prima di tornare brevemente a guardare il lago, gettando un’occhiata inquieta al panorama prima di tornare a concentrarsi sul suo viso, gli occhi velati da un accenno di preoccupazione:
“Sei sicuro che vivere qui non ti pesi? Non dev’essere così per forza, se a te non sta bene. Davvero. Io ci sono nata qui, ma capisco che non è… adatto a tutti.”
Quella domanda parve sorprendere Håkon, che la guardò sollevando entrambe le sopracciglia per un paio di lievi istanti prima di annuire e distendere le labbra in un sorriso, sfiorandole una ciocca di capelli castani per allontanarla dal suo viso e posarle una mano sulla guancia:
“Certo che sì. So quanto ami questi posti e non vorrei mai farteli lasciare. Sto bene qui perché ci sei tu, il resto non conta molto.”
“Anche se piove sempre?”
Håkon in effetti non era un grande fan della pioggia, ma in fin dei conti aveva vissuto in Groenlandia, nell’angolo di mondo più freddo, isolato e sperduto. Che cos’era un po’ di pioggia, dopotutto? Annuì e le sorrise, baciandole la punta del naso infreddolito per rassicurarla:
“Per fortuna porto sempre gli anfibi.”
 
 
*
 
 
Håkon Jorgen aveva smesso di considerarsi un fan di Halloween più o meno quando aveva iniziato il suo primo anno ad Hogwarts, quando secchielli per dolci a forma di zucca e travestimenti erano stati sgomberati dalla sua vita, ma se c’era una cosa che la paternità gli aveva insegnato era la frequente necessità di assecondare le più o meno bizzarre inclinazioni di sua figlia, primo tra tutti il comune ed infantile desiderio di trasvestirsi e di bussare di porta in porta chiedendo dolcetti.
Håkon teneva a sua figlia e a farla felice più di qualsiasi altra cosa ma era al tempo stesso consapevole che per quanto potesse sforzarsi quello non sarebbe mai stato il genere di cose in cui, come padre, sarebbe riuscito ad eccellere. Per questo motivo per lui era una vera fortuna poter contare su qualcuno molto più avvezzo a quel genere di cose, nonché più incline a riuscire a trasformare qualsiasi cosa in un gioco, qualcuno che contrastava la cupezza del suo aspetto dispensando sorrisi che riuscivano ad illuminare stanze intere.
Margot era la persona più capace con i bambini che avesse mai conosciuto, il classico soggetto di cui ogni creatura infantile finisce con l’innamorarsi perdutamente al primo sguardo e che sembra capace di dire e fare sempre la cosa giusta quando ha un bambino attorno, ma per la prima volta da quando era diventato padre Hakoon si ritrovò a mettere in dubbio, accigliato, ciò che la donna aveva architettato: non riusciva a capire in che modo i suoi abiti avrebbero potuto essere considerati un costume. A lui sembrava di essere vestito in modo perfettamente normale: pantaloni neri, anfibi ai piedi, felpa nera. Insomma, era agghindato più o meno come in ogni momento dell’anno, e l’unica cosa che la fidanzata gli aveva espressamente chiesto di indossare e comprato per l’occasione era stata una sciarpa a righe, grigia e nera.
Margot Campbell era conosciuta per le sue sciarpe coloratissime e per la ramanzine che era solita rivolgergli a causa del suo vestiario total black, tanto che Håkon mai avrebbe creduto di vederla porgergliene una di quel genere: tutto ciò che era riuscito a fare era stato sbattere in silenzio le palpebre più volte, incerto se accettare di buon grado l’accessorio o se preoccuparsi per la sua salute.
Ora Håkon Jorgen aspettava in piedi nell’ingresso del cottage dove da ormai qualche mese viveva con Margot e sua figlia, in attesa che le due uscissero dalla camera di Freya dichiarandosi pronte per uscire. Non aveva idea di quale costume le due avessero scelto – ma dopo averle viste bisbigliare e ridacchiare con fare cospiratorio per settimane non aveva un buon presentimento – e si chiedeva perché Margot gli avesse concesso di vestirsi normalmente: era davvero la stessa donna che l’anno prima lo aveva obbligato ad accompagnare Freya per le strade vestito da pirata? Con la figlia agghindata da pappagallino sulle spalle?
C’era qualcosa che non quadrava, era tutto troppo bello per essere vero. Conosceva Margot da troppo tempo per credere all’assenza di una qualche fregatura che invece doveva essere dietro l’angolo, ma per quanto si stesse sforzando Håkon non riusciva a vederla, né a realizzare come e perché il suo outfit avrebbe potuto rivelarsi un costume.
Sul momento, in effetti, non lo capì nemmeno quando dei passi leggeri sulle scale anticiparono la comparsa di sua figlia nel piccolo ingresso del cottage dalle pareti verniciate di bianco e il parquet chiaro, più nuovo della struttura dell’edificio. Quando diede le spalle alla porta d’ingresso celeste per posare lo sguardo sulla figlia Håkon inarcò un sopracciglio, visibilmente scettico: sua figlia gli stava sorridendo allegra sfoggiando una minuscola salopette di jeans, sneakers bianche e una maglietta a righe orizzontali bianca e arancione. Margot le aveva legato i ricci capelli castani in un codino alto con un elastico fucsia dal quale pendevano delle ciliegie, il preferito della bambina. Nel complesso sua figlia appariva, ovviamente, la più adorabile delle creature, ma Håkon si chiese se per caso Margot non avesse scordato di dare un’occhiata al calendario: non sembrava affatto un costume, quello di Freya, così come il suo!
“Papino, sono pronta! Ti piace il mio costume?”
Freya sembrava estremamente orgogliosa del suo aspetto, a giudicare da come si mise le manine sui fianchi e ruotò leggermente su se stessa per farsi ammirare, preda della sua vanità infantile. Ma Håkon, pur trovandola deliziosa, non capì quale fosse il costume che avrebbe dovuto ammirare.
“Emh, certo tesoro, sei bellissima. Ma… da cosa sei vestita?”
Freya non parve accogliere di buon grado la sua domanda: la bimba spalancò sgomenta i grandi occhioni castani e sbuffò esasperata, incrociando le braccine al petto prima di dichiarare seccata di avere un padre che non capiva nulla. Quelle sembravano parole pronunciate da qualcuno che certo non aveva sei anni, e Håkon credette di capire: in effetti quell’outfit qualcuno glielo ricordava.
Sei vestita da mini Margot?” 
Freya parve ancora più delusa, perché scosse la testa prima di voltarsi verso le scale, rivolgendosi a gran voce all’altra donna di casa mentre una porta veniva chiusa sopra le loro teste, anticipando i passi di Margot sulle scale. Hakon corrugò la fronte, stanco di non capire: perché sua figlia si scandalizzava? Margot le salopette e le sneakers bianche le indossava eccome.
“Zia Margi, non ha capito!”
“Che ci vuoi fare, a volte è un po’ testone. Pronta, possiamo andare!”

Fu solo quando Margot si piazzò di fronte a lui, ai piedi delle scale, con un largo sorriso ad illuminarle il volto, lo stesso che abbagliava chiunque si trovasse sul cammino della donna, che Hakoon capì. Certo gli ci volle qualche istante, perché in un primo momento anche l’abbigliamento della strega gli parve rientrare nella norma – forse non erano molte le donne della loro età che indossavano sgargianti felpe gialle e salopette di jeans, ma per lei non si trattava di nulla di eccezionale –, ma infine l’astronomo collegò tutti i pezzi. E si sentì peggio di un anno prima, quando si era dovuto conciare da pirata.
“Stai scherzando. Mi stai facendo andare in giro come quel tizio con naso enorme dei Minions?!”
Il nome del tizio in questione non lo ricordava, ma ricordava chiaramente il film da cui proveniva da quante volte era stato costretto a vederlo. E gli enormi occhiali da scienziato pazzo che Margot si era allacciata sulla fronte, uniti alla sua felpa gialla e alla salopette, non lasciavano spazio a molti dubbi. Mentre l’orrore si faceva largo sul viso del mago Freya trillò felice, finalmente il suo papà aveva capito da cosa si fossero vestite, e Margot cercò in tutti i modi di non mostrare alcuna traccia di divertimento mentre sorrideva, annuendo amabile:
“Beh, tesoro, ti lagni sempre perché non vuoi travestirti, ti sei praticamente vestito da te stesso, di che ti lamenti? Freya è un’Agnes perfetta, non trovi?”
Una battutina sulla questione nasale venne fermamente trattenuta da Margot sulla punta della lingua, e la strega si limitò a sorridere amabile al fidanzato mentre s’infilava il cappotto leggero blu: sapeva che Hakoon non avrebbe mai contraddetto il loro costume di gruppo davanti alla figlia, e infatti lo vide scoccare un’occhiata incerta alla bimba, che stava agitando impaziente il suo secchiello a forma di zucca, prima di schiarirsi la voce e convenire con lei:
“Certo, ma…”
“È il costume perfetto per noi! Freya, mettiti la giacca, fa troppo freddo per andare in giro senza.”
Margot sfilò la giacchina rosa di Freya da uno dei ganci dipinti d’azzurro dell’appendiabiti di legno bianco appeso accanto alla porta, aiutandola ad infilarlo mentre la bambina parlava emozionata di tutti i dolci che le sarebbe piaciuto raccogliere. Håkon boccheggiò cercando qualche argomentazione per protestare, ma in men che non si dica si ritrovò fuori di casa, avvolto dal pungente freddo scozzese e con una mano della figlia stretta nella sua. Subito Freya trascinò entrambi verso le file di cottage che popolavano la stradina di Fort William dove vivevano, destando un complimento dietro l’altro nei vicini per il loro costume e risatine sommesse da parte di Margot. A fine serata, quando rientrarono a casa, Freya corse in cucina per rovesciare il contenuto del secchiello sul tavolo e dare un’occhiata al suo bottino, consentendo a Margot di indugiare nell’ingresso per abbracciare Håkon e appoggiare il mento sollevato contro il suo braccio, complimentandosi beffarda con lui per l’aria cupa che aveva sfoggiato per calarsi al meglio nella parte.
“L’anno prossimo deciderò io il costume.”
Håkon le scoccò un’occhiata che giurava rivincita, ma invece di scomporsi Margot si strinse nelle spalle, continuando a sorridere come se nulla fosse:
“Come preferisci, nessun problema per me. Anche se rispolverare il vestito da pirata non sarebbe una cattiva idea, la camicia bianca con i lacci ti stava proprio bene.”
 
Margot gli strizzò l’occhio prima di sciogliere l’abbraccio e dirigersi in cucina sfilandosi il cappotto, rispondendo ai richiami di Freya. Håkon rifletté per qualche istante prima di seguirla, pensando alla camicia bianca troppo larga che era stato costretto ad indossare: il bianco non era il suo colore e si era sentito ridicolo nell’indossarla, ma tutto sommato avrebbe anche potuto fare un sacrificio e rimetterla di tanto in tanto, se a lei piaceva.
 
 
*
 
 
Scorgere Freya e Margot bisbigliare non era mai un buon segno, Håkon lo aveva appreso a proprie spese già quando la figlia aveva iniziato ad andare all’asilo. Di solito le due si alleavano contro di lui per costringerlo a fare qualcosa che proprio non gli andava, e quando gli capitava di vederle parlare e zittirsi di colpo alla sua comparsa finiva sempre con l’insospettirsi.
E mai a torto.
Una settimana prima le aveva colte in flagrante più di una volta, e un sabato sera Margot appoggiò in mezzo al tavolo un sottopentola di sughero con motivo a margheritine insieme ad una pirofila di ceramica bollente e profumata che confermò tutti i suoi peggiori timori: salmone in crosta di patate? Doveva per forza essere in arrivo una notizia terribile, e subito Håkon s’insospettì: Margot cucinava i suoi piatti preferiti quasi sempre per ammorbidirlo, e il salmone anticipava spesso eventi ad alto rischio.
“Håk, io e Freya abbiamo preso una decisione. E siamo in maggioranza, quindi ti informiamo solo perché, beh, anche tu vivi qui. Ma siamo in democrazia, quindi è già deciso.”
“Che gentili. Grazie per la considerazione e per ricordarvi che anche io vivo qui, di tanto in tanto. Cosa avete deciso? Disneyland?”
Håkon inarcò un sopracciglio mentre faceva rimbalzare lo sguardo dal viso della figlia fino a quello della fidanzata, scettico e già sulla difensiva. Capì di non essere nel giusto quando Freya quasi saltò sulla sedia guardando Margot con gli occhioni spalancati in segno di preghiera, ma la donna si limitò ad un appena percettibile cenno di diniego del capo – condito con uno sguardo che promise alla bambina che ne avrebbero riparlato in un altro momento – prima di sorridere e far sì che le posate tagliassero da sé le porzioni di salmone con un lieve tocco di bacchetta.
La strega attese che il piatto del fidanzato fosse pieno prima di parlare, scelta del tutto casuale che non sfuggì all’attenzione di Håkon: i grandi occhi celesti della strega lo invitarono a mangiare sbattendo amorevolmente le folte ciglia scure, e il mago obbedì – di certo non avrebbe rifiutato del salmone – pur senza abbandonare il cipiglio sospettoso. Margot si servì per ultima, premurandosi di attendere di vedere Håkon ingurgitare il primo boccone prima di sorridere e servirgli la grande notizia:
“Prenderemo un cane!”
“Sìììì!”
Freya sorrise muovendosi eccitata sulla sedia, gli occhi scuri pieni di gioia mentre il sorriso si allargava sul volto di Margot. Håkon invece smise bruscamente di masticare, incredulo, guardando la fidanzata con gli occhi fuori dalle orbite. Un cane?! Oltre a quelle due avrebbe dovuto badare anche ad un cane?!
“E lo chiameremo Chewbie!”
“Sìììì!”
Come sedare gli entusiasmi senza apparire come il perfido padre crudele che negava un cucciolo alla sua figlioletta? Håkon masticò il boccone riflettendo rapidamente, deglutendo prima di esprimersi con il tono più pacato di cui era capace:
“Non chiameremo mai un cane Chewbie. Al massimo un nome serio, come Thor. Punto primo. Secondo, non sono d’accordo. Mi piacciono i cani, ma non penso sia una buona idea… Siamo già tanto occupati così, Margi.”
“Ma io voglio tanto un cucciolo!”
Freya lo guardò parlando con tono lacrimoso, ma Håkon scosse la testa, asserendo di non essere per niente d’accordo. Stava per tornare a concentrarsi sul salmone quando incrociò malauguratamente lo sguardo di Margot, scontrandosi con orrore con i suoi splendidi occhioni imploranti e lacrimosi a sua volta. Come poteva dire di no di fronte a quella temibile combo e deludere le due persone che amava di più al mondo? alla fine Håkon sospirò, arreso e consapevole di come quelle due avrebbero passato il resto della vita a manipolarlo.
“… Che cavolo. Ok, ne possiamo parlare. Ma se anche fosse esigerei un maschio, qui ci sono già troppe donne. E mai, mai Chewbie!”
 
 
*
 
 
Un mese dopo un pelosissimo Goldendoodle color caramello varcò la soglia del cottage, felicissimo per aver finalmente lasciato la gabbia del canile: Freya e Margot si erano talmente commosse di fronte a tutti quei cani abbandonati da far temere ad Håkon di scorgerle tornare a casa con almeno quattro o cinque al seguito, ma per fortuna avevano finito col sceglierne solo uno, il più peloso del canile.
Chiaramente l’aspetto del cane contribuì ad incrementare la determinazione di Margot nel chiamarlo Chewbie, e Håkon presto dovette arrendersi. Al nome al suo rivelarsi il cane più viziato di tutta la Scozia, nonché nuovo fulcro delle attenzioni di sua figlia e della sua fidanzata: le due trascorsero tutto il giorno appreso al nuovo arrivato, giocando con lui dentro e fuori casa e riempiendolo di coccole. Chewbie aveva già una cuccia comodissima tutta sua, copertine e giocattoli in ogni angolo, ma naturalmente quella sera, giunto il momento di spegnere le luci, il cane finì col sentirsi solo e uggiolare davanti alla porta chiusa della sua camera e quella di Margot.
Quando aveva acconsentito a prendere un cane Håkon aveva fatto promettere a Margot che mai e poi mai lo avrebbero fatto dormire in camera loro, men che meno sul letto, ragion per cui l’astronomo smise di premersi il cuscino e la federa con le costellazioni sulla faccia per sibilare qualcosa in direzione della fidanzata, che invece sedeva sul materasso con le gambe incrociate e lo sguardo tetro puntato sulla porta bianca chiusa:
“Non pensarci neanche.”
“Ma sveglierà Freya! E non farà dormire neanche noi. E poi mi fa pena, scusa se ho un cuore!”
“Se lo fai dormire qui si abituerà e vorrà starci sempre, in camera nostra! Margi!”
Ma Margot era già balzata giù dal letto e si stava dirigendo verso la porta in uno svolazzo del pigiama bianco a fiorellini che indossava, aprendo la porta per consentire a Chewbie di entrare scodinzolando nella stanza rimasta fino ad all’ora inesplorata. Håkon guardò rassegnato il cane annusare dappertutto, incluse le sue pantofole, e un attimo dopo il simpatico muso peloso del nuovo membro della famiglia si trovava a pochissimi centimetri dal suo viso, guardandolo scodinzolando.
“No. Sta’ giù. Non mi fai pena.”
Håkon concluse la sua arringa girandosi sul fianco per dare le spalle al cane, giusto per essere certo di non farsi impietosire. Margot, tornata a letto, sbuffò prima di fargli notare la crescente somiglianza tra lui e la sua acida prozia Mildred sprimacciando il suo cuscino, ma Håkon la ignorò e chiuse gli occhi, deciso ad addormentarsi il più rapidamente possibile.
Cinque minuti dopo udì un peso abbassare il materasso e qualcosa annusargli i piedi al di sopra del piumone celeste. Margot soffriva il solletico e finì presto col contorcersi ridendo, ma Håkon non si unì a lei, limitandosi a scoccarle un’occhiata truce – era tutta colpa sua, dopotutto – mentre Chewbie si accomodava soddisfatto ai piedi del letto.
“Perché ho la sensazione di essere l’ultimo per importanza in questa casa?”
Margot liquidò il suo brontolio con un sorriso e un frettoloso diniego, scoccandogli un bacio sulle labbra e uno sulla punta del naso prima di accoccolarsi contro di lui e augurargli la buonanotte con le labbra incurvate verso l’alto, felice. Seppur indispettito Håkon l’abbracciò d’istinto, maledicendo l’altissima adorabilità della sua fidanzata che gli impediva perennemente di avercela con lei per di più di venti secondi consecutivi.
 
 
*
 
 
Håkon, che si era subito dichiarato contrario all’idea di adottare un quadrupede peloso, finì con il diventare l’addetto delle passeggiate del weekend. All’inizio si era opposto, ma Margot aveva rilanciato con un’argomentazione tra le più convincenti: se voleva che cucinasse ottimi pasti, quando doveva anche destreggiarsi tra il correggere i compiti, pulire e aiutare Freya con i suoi, lui doveva portare fuori Chewbie nel weekend. Inutile dire che di fronte alla prospettiva di privarsi dell’ottima cucina della strega Håkon aveva subito ceduto.
Un sabato pomeriggio – pioveva, strano a dirsi – Håkon imboccò la stradina di ghiaia che dallo steccato di legno e dalla cassetta della posta gialla coperta di apine conduceva alla porta d’ingresso del cottage sbuffando come una ciminiera, Chewbie coperto da un telo impermeabile pieno di piccole immagini che ritraevano il personaggio da cui aveva preso il nome accanto a lui. Il tempo faceva schifo, si era bagnato e infangato gli anfibi lucidati la sera prima per percorrere solo pochi metri, faceva freddo e avrebbe persino dovuto pulire le zampe di Chewbie prima di entrare in casa. Giunse in prossimità della porta chiudendo l’ombrello e sperando quantomeno che la fidanzata avesse intenzione di preparare del salmone per cena, quando l’occhio gli cadde sull’inusuale zerbino che faceva capolino dinanzi all’ingresso.
Uno zerbino che, ne era certo, quando aveva lasciato casa poco prima non c’era.
“Margi!? Hai di nuovo speso soldi su Etsy per queste puttanate?!”
Freya era dai nonni: poteva dire tutte le parolacce che voleva. Pronunciando a gran voce quelle parole non gli servì nemmeno suonare il campanello – che aveva lottato per non far diventare un motivetto della colonna sonora di Star Wars –, annunciando da sé il proprio arrivo e consentendo a Margot di aprire la porta sfoggiando la sua miglior espressione di incredulità:
“Ma che stai dicendo, è vecchio! L’ho preso secoli fa. Sei tu che non vedi ad un palmo dal tuo naso. Vieni piccolo, ti sei bagnato povero cucciolo?”
Margot subito distolse l’attenzione da lui per indirizzarla sul cane, sorridendogli amorevolmente mentre gli sfilava la cerata e Appellava un asciugamano per tamponargli il pelo color biscotto. Håkon entrò in casa sfilandosi gli anfibi gettando un’occhiataccia alla fidanzata, facendole notare come anche lui si fosse bagnato parecchio prima di depositare ombrello e scarpe fuori dalla porta, accanto allo zerbino che aveva tutta l’aria di essere nuovissimo e che riportava la scritta “Chewbie, we’re home”.
 
Non lo aveva mai visto in vita sua e di certo Margot aveva atteso di spedirlo fuori di casa per metterlo fuori dalla porta, Håkon ne era sicuro. Margot non lo ammise mai, ma per fortuna il salmone di qualche ora dopo distolse la mente del brillante astronomo dai suoi acquisti compulsivi da nerd incallita.
 
 
*
 

 
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“Pronta, possiamo andare. Sto morendo di fame, quindi spero che sia pronto anche tu.”
Dopo essere uscita dal bagno collegato direttamente alla loro camera da letto Margot recuperò le scarpe col tacco nere dal pavimento per infilarle ai piedi con rapidi gesti resi ormai meccanici dall’abitudine, impedendosi così di scorgere l’espressione di sgomento misto a meraviglia con cui Håkon aveva accolto il suo ingresso nella stanza: l’uomo a stento udì ciò che la strega disse, limitandosi a restare immobile, seduto sul bordo del letto rifatto con cura e coperto da cuscini morbidissimi, nel suo outfit rigorosamente total black composto da pantaloni, camicia leggermente lucida e giacca.
Non c’era nulla di inconsueto nel suo vestiario, ma lo stesso non si poteva dire di quello sfoggiato da Margot, che finì di indossare le scarpe e recuperò una delle sue boccette di profumo dalla superficie della cassettiera di legno chiedendogli accigliata perché la stesse guardando con quell’aria stranita.
“Hai… un vestito nero?”
Håkon fece scivolare lo sguardo sulla figura minuta della fidanzata e sul suo tubino nero lungo leggermente fin sopra al ginocchio sbattendo le palpebre, incerto. Forse stava avendo un’allucinazione.
“Certo, che domande fai?!”
“Ma… è per caso diventato nero perché lo hai lavato con i miei vestiti?”
O forse stavano andando ad un funerale e non ne aveva idea?
Per tutta risposta Margot scoppiò a ridere, scuotendo la testa mentre colmava la differenza che li separava camminando sulle assi del parquet chiaro con i tacchi a spillo che, a detta sua, la rendevano alta “come una persona normale e non come un Hobbit”. La strega gli si fermò davanti stringendogli dolcemente le spalle, rassicurandolo di non essere stato colpito da un’allucinazione e che sì, il suo abito era nero.
“Ma stai bene?”
Di nuovo Margot rise, annuendo di fronte al suo sguardo sospettoso mentre gli portava entrambe le mani ai lati del viso, accarezzandogli gentilmente gli zigomi alti e pronunciati:
“Benissimo, solo molto affamata.”
“Ti avrò visto con un vestito nero forse due volte in vita mia. E ci conosciamo da decenni.”
“Ho solo pensato che ti sarebbe piaciuto.”
Margot distese le labbra in un sorriso e all’improvviso, guardandola meglio, Håkon smise di concentrarsi sul colore del vestito in sé per prestare invece attenzione a tutto l’insieme. Appurato quanto la fidanzata fosse bella e resosi conto di vederla indossare qualcosa del suo colore preferito per la prima volta da quando stavano insieme Håkon annuì, stringendole dolcemente la vita stretta per attirarla a sé e baciarla mentre le dita di Margot gli accarezzavano i capelli corti. Quando le loro labbra si staccarono Håkon non la lasciò andare, guardandola sentendosi sinceramente combattuto tra l’idea di alzarsi e quella di trascinarla accanto a sé sul letto.
“Ci dobbiamo proprio andare a cena?”
“Vorrei dire di no, ma ho davvero fame.”
A pensarci bene valeva anche per lui, così dopo una rapidissima riflessione Håkon annuì, le afferrò una mano e alzò in piedi per dirigersi a passo deciso verso la porta aperta della camera, annunciando che avrebbero cenato il più rapidamente possibile mentre Margot lo seguiva ridendo e camminando in equilibrio sui tacchi alti.
 
Poco più tardi, avevano appena varcato la soglia del ristorante ed erano diretti al loro tavolo quando un pensiero improvviso fiorì nella mente di Håkon, che chinò lo sguardo per rivolgersi a Margot:
“Per caso sei vestita di nero anche…”
“Sì.”
La strega, che gli camminava accanto stringendogli dolcemente il braccio, annuì cercando in tutti i modi di non ridere quando sentì il bicipite di Håkon irrigidirsi per un breve istante sotto agli abiti, finendo col cedere e lasciare che una lieve risata si librasse dalle sue labbra quando il danese imprecò a mezza voce:
“Dovevamo restare a casa.”
 
 
*
 
 
Era una fredda domenica di aprile e, strano a dirsi, pioveva a dirotto da prima che Håkon aprisse occhio. Le prime settimane successive rispetto al trasferimento suo e di Freya a casa di Margot non erano state tra le più semplici proprio a causa del mal tempo che nella grigia e fredda Scozia imperversava quasi costantemente per la stragrande maggioranza dell’anno, ma poco a poco, anche grazie ai suoi soggiorni ad Hogwarts, l’astronomo aveva finito col prenderci l’abitudine. Naturalmente trascinava Margot e Freya a sud, spesso in spiaggia e a trovare i suoi genitori, almeno un weekend al mese, ma col tempo aveva finito col realizzare che dopotutto persino la pioggia e il cattivo tempo avevano i loro aspetti positivi: Margot, di certo la persona più positiva che avesse mai conosciuto in tutta la sua vita, ripeteva instancabilmente come fosse possibile vedere il bicchiere mezzo pieno pressochè in ogni situazione, e dopo aver messo da parte la sua dose di scetticismo Håkon aveva finito col darle ragione, più o meno.
Le domeniche di pioggia, quando lui e Margot riuscivano a liberarsi da lezioni da preparare e compiti da correggere, spesso venivano trascorse restando tutti insieme nell’accogliente soggiorno del cottage, magari col camino acceso e coperte sulle ginocchia, e da quando Chewbie si era unito a loro il cane aveva preso l’abitudine di sdraiarsi sull’ottomana color crema coordinata con la poltrona che Håkon era solito occupare, scaldandogli piacevolmente i piedi.
Malgrado il cattivo tempo tutta la casa profumava piacevolmente: la domenica, stando alle convinzioni di Margot, era giorno di pulizie, e ogni settimana la strega trascorreva più o meno tutta la mattina a pulire o a cucinare: dalla cucina si levava un dolce profumo di biscotti, e il soggiorno era avvolto dall’aroma delle candele che erano state accese, una sopra al camino e una sul tavolino di legno circolare situato accanto al divano. Håkon sedeva sulla sua poltrona con Chewbie a scaldargli i piedi e un libro in mano, godendosi il silenzio e la pace piacevolmente scanditi dal rilassante crepitio del fuoco nel camino.
Freya e Margot avevano, al contrario, occupato il divano dopo essersi lavate i capelli – la “pulizia” domenicale di Margot comprendeva anche il proprio aspetto –, entrambe in vestaglia e con un asciugamano avvolto attorno alla testa. Si erano presentate in soggiorno con delle maschere arancioni spalmate sul viso e armate di smalti per le unghie, e ora aspettavano che il prodotto si asciugasse chiacchierando a bassa voce.
Malgrado avesse preso in giro per anni Margot per la sua mania per le maschere facciali e la skincare Håkon non riusciva a non trovarle adorabili quando si conciavano in quel modo. Per questo motivo il mago abbozzò un sorriso con gli angoli delle labbra quando fece rimbalzare brevemente il proprio sguardo dalle pagine del libro fino ai volti della fidanzata e della figlia, guardandole chiacchierare e sorridersi con le teste vicine e le gambe protese sui cuscini del divano, le caviglie incrociate allo stesso modo.
Senza farsi troppo notare – figurarsi se avrebbero badato a lui – Håkon sollevò il telefono dal bracciolo della poltrona, scattando con discrezione una foto alle due prima di sorridere soddisfatto ed intenerito all’immagine. L’unico se ne accorse fu Chewbie, ma il cane si limitò a scoccargli un’occhiata perplessa prima di rimettersi comodo sull’ottomana imbottita, lasciando che il padrone impostasse la foto come sfondo senza che nessuno se ne accorgesse.
Qualche giorno, una volta scorta di sfuggita, Margot gli avrebbe chiesto inorridita perché avesse scelto una foto dove era orribile e con una maschera allo zenzero spalmata sul viso, ma Håkon si sarebbe limitato a stringersi nelle spalle e a chinarsi per scoccarle un bacio, assicurandole di trovare quella foto, nella sua delicatezza e spontaneità, tra le più belle che avesse mai fatto.
 
 
*
 
 

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Håkon stava strimpellando la sua chitarra, seduto sul divano mentre Freya giocava sul tappeto insieme a Chewbie al “salone di bellezza”, indispettendosi con il cane quando lui si rifiutava di farsi infilare una coroncina in testa. Il mago teneva la testa reclinata all’indietro sullo schienale color crema, gli occhi scuri puntati sulle travi di legno a vista del soffitto e la mente altrove, ridotta ad un vortice di pensieri. O almeno finchè Margot non gli si avvicinò di soppiatto, senza far rumore, e una volta fermatasi accanto al divano lo abbracciò, stampandogli un sonoro bacio su una guancia prima di sorridergli allegra, i capelli appena lavati e profumati raccolti sulla nuca e una maglietta a maniche corte di Darth Vader che lasciava scoperte le braccia pallide e cosparse di chiare efelidi.
“Domani vuoi andare al mare? So che non ami particolarmente il grigiore di qui.”
Håkon smise di suonare mentre il suo sguardo veniva catturato dai meravigliosi occhi blu di Margot, ritrovandosi ad annuire e a ricambiare il sorriso della strega mentre lei gli sfiorava il viso con l’indice destro, accarezzandogli dolcemente la pelle olivastra.
“Certo, se ti va. Anche se fa comunque troppo freddo per fare il bagno, ancora.”
La Scozia era grigia e fredda, a tratti cupa e un po’ lugubre, e talvolta Håkon si scopriva ad osservare Margot chiedendosi come potesse una creatura simile essere nata e cresciuta in posti come quello, lei che aveva forse il sorriso più luminoso che avesse mai scorto.
“Possiamo prendere la pizza stasera?”
Freya smise di discutere con Chewbie, che con la sua tiara nuova non sembrava troppo entusiasta, per rivolgere un’occhiata implorante al padre e a Margot, gli occhioni castani spalancati ad arte in modo da impietosire chiunque, anche il meno bendisposto degli essere viventi. E poiché quello sguardo aveva funzionato anche con Phil MacMillan i due potevano affermarlo con assoluta certezza.
“Sì, perché non ho nessuna voglia di cucinare. Scegliete cosa volete, io vado ad asciugare il bucato.”
Margot subito assentì destando un sorriso gioioso sul delizioso visino di Freya, che gongolò soddisfatta mentre la donna si raddrizzava con un lieve sbuffo, affatto entusiasta all’idea di dover finire le sue faccende. Prima che la strega potesse allontanarsi dal divano però Håkon allungò la propria mano per stringerla attorno al suo polso sottile, imitando la figlia con un’occhiata implorante per impietosirla:
“Ti aiuto io dopo. Stai qui con me per un po’.”
Margot tentennò, indecisa sul da farsi, ma finì con l’annuire e dimenticare momentaneamente il bucato per sedersi accanto a lui sul divano, ricambiando il sorriso soddisfatto con cui Håkon l’accolse prima di scoccarle un bacio su una spalla:
“Vi somigliate più di quanto non si creda.”
Margot si sistemò comodamente sul divano per lasciarlo riprendere a suonare in silenzio, limitandosi ad appoggiargli la testa sulla spalla mentre Håkon la guardava con un accenno di sorriso sulle labbra, grato di avere il suo piccolo e meraviglioso concentrato di luce e di colori a rischiarare la cupezza del luogo in cui viveva.
 
 
*
 
 

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Margot Campbell affrontava il quarto giorno di maggio, il Star Wars Day, con la stessa riverenza che molte persone rivolgono al giorno di Natale: la sera prima indossava rigorosamente un pigiama a tema, e in caso la ricorrenza fosse infrasettimanale si presentava ad Hogwarts con un abbigliamento almeno in parte a tema. Quell’anno la strega aveva optato per una giacca di jeans che aveva fatto personalizzare con l’immagine di Grogu dipinta a mano sulla schiena, arricchita da un gran numero di spillette fissate all’altezza del petto, ignorando deliberatamente l’espressione contrariata della Preside e quella schifata di Phineas. Si era persino premurata di indossare i suoi anfibi neri nuovi, un gesto che avrebbe riempito Håkon di orgoglio se solo non fossero stati decorati a loro volta con degli stickers in linea con la giacca.
Il quarto giorni di maggio rappresentava forse uno dei giorni che Margot preferiva in assoluto nell’arco di tutto l’anno, ed era stato con un gran sorriso sia che aveva aperto gli occhi quel mattino, sia che si era infilata nel caminetto del suo ufficio per tornare a casa tramite la Metropolvere insieme ad Håkon.
Essendo un giorno della settimana purtroppo Margot non aveva avuto la possibilità di festeggiare a dovere prima di sera, ma dopo aver cenato – con un servizio di piatti a tema che Håkon ricondusse immediatamente al misterioso pacco di Etsy che era arrivato guarda caso qualche giorno prima – accese ovviamente la tv per concedersi una breve maratona di almeno uno o due film. Freya, ormai ufficialmente iniziata al culto già da tempo, si sistemò sul divano con una ciotola di popcorn stretta tra le braccine e un pigiama di Grogu bianco e rosso addosso, Chewbie accanto.
Ad Håkon non rimase che stringersi tra il bracciolo del divano e Margot, rassegnato a quella tradizione a cui la fidanzata teneva tanto, portando a letto Freya una volta concluso il primo capitolo della longeva saga cinematografica. Prima di tornare in soggiorno l’astronomo si attardò brevemente nella camera da letto sua e di Margot, scendendo le scale e giungendo infine in soggiorno con un minuscolo pacchettino rettangolare in mano e con la fidanzata e Chewbie ad aspettarlo sul divano per la visione di L’Impero colpisce ancora.
“Ti ho… preso queste.”
Quando vide Håkon, in piedi con la sua tuta rigorosamente nera, porgerle un pacchettino colorato e avvolto da una carta coperta da minuscoli Millennium Falcon Margot credette quasi di commuoversi: la strega fece rimbalzare i grandi occhi blu dal volto serioso del fidanzato fino al regalo, meravigliata, sfoderando infine uno dei suoi irresistibili sorrisi mentre protendeva le braccia per stringergliele al collo.
“Grazie Håk Bello! Non dovevi.”
Dopo essere stato costretto a chinarsi notevolmente per consentire alla strega di abbracciarlo Håkon, un tantino imbarazzato, sedette accanto a lui borbottando che in fondo si trattava solo di un umile pensierino, guardandola scartare il regalo facendo del proprio meglio per non rovinare la carta prima di farsi sfuggire un gridolino eccitato:
“Ma sono bellissime! Le adoro, grazie!”
Margot guardò le sue nuove penne, tutte in tema Star Wars e adibite a vari personaggi della saga, come se Håkon le avesse appena fatto il più bel regalo del mondo. Di nuovo la strega si protese verso di lui per abbracciarlo, le penne strette nella mano sinistra, scoccandogli un bacio a stampo sulle labbra che destò un sorriso di rimando anche su quelle dell’astronomo: Margot fece partire il film accoccolandosi contro di lui e rigridandosi felice le penne tra le dita, assegnando ad ognuna una funzione diversa, e ad Håkon non restò che accarezzarle i capelli ripetendosi quanto la sua dolcezza e il suo felicitarsi genuinamente per piccole cose come quella costituissero ciò che in assoluto più amava di lei.








Che dire se non che oggi è il Star Wars Day, dunque potevo esimermi dal pubblicare qualcosa dedicato a Margi e, ovviamente, ad Håk Bello? Questa raccolta sta diventando sempre più vecchia, ma di tanto in tanto aggiornarla è sempre un immenso piacere🤍
Tornerò presto con altre OS e altre coppie, nel frattempo grazie a chiunque abbia letto e a Bea per il mio adorato Håkon🖤
Irene

 
   
 
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