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Autore: BabaYagaIsBack    12/05/2023    0 recensioni
In un' Europa dalle atmosfere steampunk e in cui la Chiesa ha tutt'altre connotazioni, un ordine di esorcisti si dedica alla creazione di vânător, cacciatori del sovrannaturale. E' da loro che Katarina impara i rudimenti per affrontare tutti i mostri che popolano la notte più scura, prefiggendosi come obbiettivo ultimo quello di uccidere Dracul, il Re di tutti i Vampiri.
Districandosi tra personaggi bizzarri e situazioni estreme, Miss Bahun cerca di mettere fine alla linea di sangue creata dai fratelli Corvinus, ergendosi al di sopra di tutti gli altri suoi compagni. Eppure qualcosa non torna, una nuova minaccia sembra voler sovvertire tutto ciò che lei conosce e, improvvisamente, gli amici diventano nemici. Di chi fidarsi,quindi, quando il genere umano è in pericolo?
Genere: Avventura, Dark, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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XV (3)


 

Katarina entrò nella propria cella lasciando l'uscio socchiuso per poter udire passi e brusii. Con poco riguardo buttò la bombetta sulla sottospecie di letto che le era stato assegnato e allo stesso modo fece con il cappottino verde. Il tintinnio della catenella dell'orologio sui bottoni le fece storcere il naso e d'istinto voltare verso la porta come se qualcuno potesse aver udito il rumore e la sua presenza lì - un atteggiamento sciocco, se lo rimproverò da sola. Chi mai poteva accorgersi di un suono tanto lieve? E quale Sorella Velata gli avrebbe attribuito una connotazione ambigua come quella di una persona che si prepara alla caccia? Scosse la testa smorzando un sorriso. Era così abituata ad agire in sordina da farsi paranoie inutili anche quando non serviva; dopotutto stava andando a rubare un po' di Spirito alla Salvia, non certo ad assassinare un essere vivente!
In un riflesso involontario si sistemò i guanti e i polsini della camicetta, poi si diresse in punta di piedi verso lo spiraglio di spazio tra la porta e il muro, appoggiandosi a quest'ultimo con la schiena.
In rigoroso silenzio scrutò il corridoio che aveva abbandonato poco prima, guardinga. Non c'era più nessuno all'orizzonte, nemmeno una mosca. Per un istante trattenne il fiato, poi si passò la lingua sul labbro inferiore convincendosi che non fosse poi cosa strana, visto l'irrisorio numero di suore presenti all'Istituto - così, agile, sgattaiolò fuori dalla cella. Con passi leggeri scivolò lungo le pietre non più mosaicate del pavimento al pari di un fantasma e tendendo l'orecchio più di quanto una persona qualsiasi avrebbe fatto avanzò. Il fragore della pioggia echeggiava per i corridoi entrando dalle finestrelle e allungandosi dal cortile interno verso le aree più intime dell'edificio, mettendole i bastoni tra le ruote. Ogni tre falcate Katarina era quindi costretta a lanciare uno sguardo alle proprie spalle, scrutando nella luce malata di quel tardo pomeriggio ogni ombra. Non era certa di poter udire il pericolo al momento giusto, ma allo stesso tempo sentiva di starsi preoccupando eccessivamente. Anche se qualcuna delle Sorelle l'avesse beccata cosa poteva succederle? Probabilmente nulla. Si sarebbe inventata una scusa, oppure avrebbe sfoggiato qualche battuta d'abbordaggio abbastanza esplicita da deviare l'attenzione altrove, scampando il pericolo di essere ripresa da una delle tante autorità ecclesiastiche di cui non desiderava fare la conoscenza.
Rallentò, concedendosi un respiro.
Contò i secondi insieme ai passi seguendo il ricordo di quella mattina, aspettandosi da un momento all'altro il sopraggiungere fastidioso di un richiamo che, invece, non arrivò. Quando i suoi occhi si posarono sulla porta intarsiata che aveva scoperto nel torpore di alcune ore prima, il sorriso le si allargò bruciante in viso. Il sangue fuoriuscito dal taglio le si posò sulla punta della lingua, ma Miss Bahun quasi non se ne accorse: già pregustava il sapore intenso dell'alcol. Con rinnovata urgenza si fiondò sulla maniglia, vi strinse intorno le dita e... attese. Cauta poggiò un lato del viso sull'anta, vi schiacciò contro l'orecchio e trattenne il respiro.
Zgomote (rumori), ecco cosa doveva udire. Ne sarebbe bastato uno per farle rivalutare tutto il piano. Prima di fare qualsiasi cosa era ovvio dovesse essere certa che nel refettorio non vi fosse nessuno, nemmeno Niamh che, tra tutte, sarebbe stata la più facile da intortare.
Deglutì lentamente, con una certa timidezza, poi pigiò i denti sulla lingua cercando di agganciare la concentrazione insieme al muscolo.
Nel refettorio non doveva esserci anima viva.
Katarina abbassò la maniglia, fece scattare la serratura in quel modo pacato e aiutandosi con la spalla spinse. Si aprì uno spiraglio largo tre dita e vi spiò attraverso. Le candele erano spente e a differenza di quella mattina la luce lattiginosa del tardo pomeriggio filtrava da piccole finestre, feritoie che permettevano ai raggi di estendersi come maniche ad angelo lungo un braccio immaginario, proteso verso chissà cosa. Miss Bahun rimase in allerta. I suoi occhi baluginarono in ogni direzione per capire se la stanza fosse realmente vuota e, dopo alcuni istanti, si decise a entrare. Lo fece lanciando un ultimo sguardo verso il corridoio, decisa più di prima a procedere e, una volta oltrepassata la soglia, chiuse la porta con la stessa premura con cui l'aveva aperta.
Dentro!, pensò tirando il primo sospiro di sollievo mentre staccava la mano dal ferro della maniglia. Un senso di sollievo le invase il petto quando il rumore lieve dell'anta oltre le sue spalle le fece capire di essere momentaneamente al sicuro. Per un istante ricordò le prime fughe dalla stanza che Padre Costantino le aveva affittato a Roma, in una delle strade subito fuori Città del Pontificio, quando ancora le importava qualcosa della sua reputazione di vânător. In quell'edificio, oltre a lei, soggiornavano per brevi periodi altre sue colleghe che, esattamente come Katarina, erano tenute sottocchio da Donna Stefania e Donna Emanuela, due ligie laiche innamorate ciecamente del Vescovo Wassily, pronte a tutto per svolgere in modo eccellente i compiti che quest'ultimo affidava loro - ricordava ancora le espressioni sognanti con cui rientravano dalle messe a cui lui prendeva parte. All'inizio, forse per il suo buon nome, avevano creduto fermamente che fosse una ragazza di sani principi, educata, servizievole, ma dopo meno di un anno dal suo arrivo avevano chiesto in lacrime al povero prete di trovarle un altro alloggio. Tra post-sbornie in cui anche lei aveva pensato di morire, succhiotti e lividi che avevano impiegato giorni per sparire e ospiti spesso indesiderati, le poverette avevano decretato che Katarina avrebbe solo rovinato la loro reputazione e portato guai. Forse Padre Costantino a un certo punto era persino riuscito a convincerle a darle un'altra possibilità, ma quando lei si era presentata a colazione in camicia da notte, trucco sbavato e una bottiglia di vodka sottobraccio Donna Stefania aveva perso il controllo. Nel giro di mezza giornata si era ritrovata per strada. 
Negli anni non si era mai pentita del modo in cui aveva ripagato la finta gentilezza di quelle due e, probabilmente, non lo avrebbe fatto nemmeno nei confronti delle Sorelle Velate a cui stava per rubare lo Spirito alla Salvia; anzi, se l'avessero invitata a trovare un nuovo posto in cui alloggiare sarebbe solo stata contenta, risparmiandosi la fatica di dover dire al suo referente di non aver gradito la sua offerta.


In punta di piedi Miss Bahun avanzò, notando intorno a sé sempre più dettagli. Il soffitto in quel punto dell'Istituto era notevolmente più basso, permettendo al refettorio di svilupparsi in lunghezza. Alle pareti non vi era un singolo decoro, né mosaico né arazzo, ancor meno quadri. La pietra grigia avvolgeva pavimento, muri e colonne rendendo tutto così spoglio e spartano. I candelabri di ferro che quella mattina aveva visto sorreggere candele e fiammelle ora sostenevano solo i cadaveri di cera avanzata e si alternavano con regolarità lungo tutta la stanza. Le finestre a sesto acuto avevano quel vetro sabbiato di cui si era accorta il giorno del suo arrivo lì, permettendo alla luce di filtrare e alla riservatezza di proliferare indisturbata. Nessuno avrebbe potuto scorgere dentro quelle mura, così come le Sorelle non si sarebbero potute distrarre con l'esterno. Katarina le guardò a lungo, riuscendo a cogliere di sfuggita le sagome delle gocce che correvano lungo la superficie così chiara da ferirle gli occhi.
Seppur molto lentamente, si stava avvicinando alle panche e ai tavoli su cui le suore probabilmente condividevano i pasti, quelli a cui non le era concesso partecipare per via di chissà quale regola, quando, senza preavviso, dal fondo del refettorio si sentì un tonfo seguito da un cigolio. Il corpo della vânător agì prima ancora che lei potesse effettivamente capire quale fosse il pericolo e, afferrandosi la gonna e compiendo una mezza piroetta, Katarina si acquattò a terra. La mano libera corse alla tasca, ci si infilò dentro e poi scese lungo la coscia. Istintivamente le dita si strinsero sull'elsa del pugnale, pronte a estrarlo e uccidere, ma lei se ne rese conto solo nell'istante in cui scorse una porta spalancata al lato sinistro del refettorio, sul fondo, da cui prima spuntò una pila di paioli e mestoli, poi una delle Sorelle Velate improvvisatasi giocoliere. La donna aveva il viso contrito e per quel che le parve non doveva essersi accorta della sua intrusione. Dagli spazi tra gli arredi Miss Bahun la seguì come un predatore. La vide prima scrollare il capo, con il tallone chiudere la porta da cui era uscita bofonchiando qualche lamentela per il lavoraccio e poi avanzare nella sua direzione. 
Dă-te dracu! (Merda/vaffanculo), imprecò. Doveva cambiare nascondiglio, sfuggire allo sguardo del nemico e raggiungere il suo obiettivo prima che lei potesse notarla - così tirò fino al ventre l'orlo della gonna e muovendosi a ritroso a ritmo dei passi della suora girò intorno alla panca. Quando furono praticamente alla stessa altezza, Katarina era già al sicuro sotto un'estremità del tavolo. Mentre quella avanzava in direzione dell'ingresso da cui era arrivata, la vânător faceva altrettanto verso quella da cui era uscita. Non si girò per controllare se avesse notato o meno la sua presenza, non dubitò nemmeno per un istante di aver fatto un passo falso. Sgattaiolò quasi a gattoni lungo le tre file di deschi, fermandosi solo quando fu arrivata all'ultimo. In rigoroso silenzio attese che la Sorella Velata uscisse e, quando lo fece, si concesse un lungo sospiro. Aveva cantato vittoria troppo presto, se lo rimproverò da sola. 
Con cautela si alzò in piedi, osservò il punto in cui ora non vi era più nessuno e si concesse ancora qualche istante prima di agire in qualsiasi modo - preferiva evitare un altro possibile incontro compromettente con qualcuna delle padrone di casa, vista l'assenza di nascondigli degni di quel nome.
Trattenendo il respiro mise il corpo in reale allerta, come in una caccia. I muscoli si tesero, il sangue rallentò la corsa nelle vene e i pensieri si ammutolirono, lasciando solo ai rumori circostanti il lusso della sua totale attenzione. Sì, quel furto era una sciocchezza, un capriccio a cui sapeva di non dover prestare tanta preoccupazione. Se lo era ripetuto più volte da quando era uscita dalla propria cella, eppure la necessità di anestetizzarsi con l'alcol lo stava trasformando in una vera e propria missione per un bene superiore. Il suo, certo, ma pur sempre un bene di vitale importanza.

Nimeni (nessuno), si disse dopo secondi che parvero infiniti, pe bune de data asta (per davvero, stavolta).

Volgendosi con convinzione posò la mano che prima aveva tenuto l'orlo della gonna sull'ennesima maniglia e, continuando a mordersi la lingua, spalancò la porta da cui la Sorella Velata era spuntata.

Da...! (sì...!) Di fronte a sé, Katarina trovò una piccola stanza. Dentro vi erano scaffali che si innalzavano fino al soffitto le cui mensole ospitavano cassette con cibarie, spezie, stoviglie e bottiglie per la maggior parte impolverate, forse dimenticate lì chissà quanto tempo prima. Cordoni di aglio e peperoncini scendevano tra una spalla e l'altra delle credenze dando a quel luogo una connotazione rustica e in parte familiare, perché persino nelle case della sua terra o nelle osterie di Roma era possibile trovare qualcosa di simile.

Miss Bahun socchiuse la porta alle sue spalle e tendendo un angolo delle labbra pregustò il sapore di ciò che l'attendeva - e se le papille gustative le riempirono la bocca di acquolina, lo stomaco fece le sue solite lamentele a cui lei non diede conto. In un impeto si gettò sulle cassette sparse per quella sorta di dispensa e in punta di dita prese a fiorare tutto ciò che pareva essere una bottiglia o damigiana. Lesse etichette scritte a mano che riportavano nomi altisonanti di oli per la maggior parte finiti, aceti di chissà quale provenienza, succhi di frutta che amava e altri che odiava. Trovò qualche bottiglia di vino ormai talmente vecchio da risultare acido anche allo sguardo, oltre che al naso, e infine, nell'angolo più estremo di quella stanza, nascosto dietro a un sacco di patate che all'inizio l'aveva tediata dalla ricerca, scorse l'oggetto del suo interesse: un capannello di fiasche nuove, dal vetro chiaro e dal contenuto cristallino. Fu un sollievo, quasi non ci volle credere fino al momento in cui ne afferrò una. Il vetro freddo le fece correre un brivido di piacere lungo le dita e il sorriso le si allargò in viso ancor prima di poterlo fermare. Non che volesse, a dire il vero.
Il primo stappo fu un suono divino alle sue orecchie, per non parlare del profumo pungente che si levò dalla bottiglia in quell'istante.
Bevve senza pensarci. Ingollò sorsi così grandi e brucianti che gli occhi per poco non le lacrimarono. Lo Spirito alla Salvia le sfiorò il labbro inferiore e scese lungo la gola pizzicandola violentemente, si posò nello stomaco generando un fastidio che le era mancato e che sembrò corrodere gradualmente non solo il suo organo, ma anche ciò che la conversazione con Lord Terry e Mister Whiteman aveva rischiato di risvegliare. Lo lasciò depositare per ferirla e disinfettarla, per liberarla.
Katarina bevve con la stessa foga di un assetato nel deserto. Si staccò solo per prendere aria e poi ricominciare fino a quando metà bottiglia non fu finita; a quel punto spalancò la bocca, espose la lingua e cercò di sedare il bruciore, esattamente come avrebbe fatto se si fosse versata quella roba su un taglio fresco.
Che schifo, pensò appoggiandosi a una parete con la schiena e restandovi accucciata. Quanto mi era mancato, aggiunse subito dopo, soffocando una risatina.
Tenendo il collo di vetro, fece roteare il liquido al suo interno, lo osservò mentre il torpore alcolico le si diramava nel corpo con una dolcezza nostalgica. Pareva a tratti una carezza, anche se la sua pancia in quel momento avrebbe voluto tirale un pugno.
Era un ottimo distillato, valutò tra un gorgoglio e l'altro. Da un gruppo di ecclesiastiche come le Sorelle Velate non si sarebbe mai aspettata una simile ricercatezza, un sapore così pungente e deciso da concorrere con i migliori alcolici che avesse saggiato negli ultimi anni. Chissà da dove arrivava e quanto costava loro. Chissà come riuscivano a farsi concedere dalla Santa Sede il permesso per usare un prodotto così distinto.
Beh, pensando al sorriso di Sylvia, alle sue labbra turgide e rosee, agli enormi occhi azzurri una risposta riuscì a immaginarla. Quella donna avrebbe potuto ottenere qualsiasi cosa da un branco di uomini repressi nelle loro tonache.
Bevve ancora. E poi ancora. Arrivò alla fine senza rendersene realmente conto, perdendo pian piano contatto con la realtà. Più il tempo le sfuggiva più si sentiva calda ed euforica come il giorno in cui aveva stretto il corpo della Zână a sé, percependo la pulsazione della sua carotide a ridosso della mano che reggeva il pugnale, bramando la fisicità di una lotta, la violenza di un'uccisione. Miss Bahun leccò gli ultimi rimasugli dello Spirito alla Salvia dalla cercine, si mordicchiò il labbro ricordando le sensazioni di quell'episodio e dopo un tentativo poco coordinato rimise il tappo al suo posto sibilando: «Sono sobria da così tanto che paio una novellina!» e poggiò la fiasca in mezzo alle altre, come se mai l'avesse toccata. «A Roma si prenderebbero gioco di me» aggiunse pensando agli oste di fiducia da cui passava con regolarità quando si trovava in città e a quei pochi morti di fame che del suo ruolo, sesso e nome non si curavano, gareggiando con lei a chi vomitava per ultimo.
Scostandosi una ciocca dal viso si volse nuovamente verso il piccolo tesoretto al suo fianco valutando con seria indecisione quale mossa fare: stappare subito un'altra bottiglia, aspettare un po' nella speranza di potersela godere in santa pace lì, oppure compiere un vero e proprio furto per essere certa di avere sempre una scorta in camera. Beh, qualsiasi fosse stata la sua decisione, poteva rifletterci meglio prendendo un altro piccolo sorso.
Katarina allungò il braccio, sfiorò il sughero di quella più lontana e si fermò. Per un brevissimo lasso di tempo credette di esserselo sognata, ma poi un nuovo fruscio la mise in allerta. 

Stava arrivando qualcuno. 

Il suo capo si volse come quello di un avvoltoio, il suo sguardo baluginò nella penombra della dispensa e prima che la porta potesse aprirsi scattò in piedi, lucida più di quanto fosse stata solo un paio di secondi prima. Doveva essere svelta a nascondere ogni traccia del suo peccato e trovare una giustificazione per la sua presenza lì. Poteva dire di aver fame, no?
L'anta si spalancò.
Miss Bahun mandò giù un groppo tanto spesso che le parve di potersi soffocare - ma una volta giù, sarebbe stata libera di mentire spudoratamente. O almeno lo credette fino al momento in cui onde dorate entrarono nella sua visuale, muovendosi nell'aria come brezza estiva.

Dă-te dracu!, imprecò ancora una volta riconoscendo Sylvia Goldchild.

I loro occhi si incontrarono e la sorpresa le colse entrambe alla sprovvista. Le infinite ciglia della Madre Superiora sbatterono un paio di volte, le sue labbra si schiusero come un bocciolo e dalla misera fessura creatasi uscì ancora una volta il richiamo di quella mattina: «Miss Bahun...» la gola di Katarina divenne improvvisamente afona. Tra tutte le Sorelle Velate, certamente, non si sarebbe immaginata di incrociare ancora lei. Per quale ragione era lì? Non era forse compito delle novizie o delle più anziane occuparsi della cena? Eppure, tra di loro, quella che meno avrebbe dovuto trovarsi nel refettorio e più precisamente nella dispensa, non era certo Sylvia, ma lei.
«Che fate qui?»
La vânător si trattenne dal sobbalzare e ritrovando la voce che aveva pensato perduta, si riscosse. Era arrivato il momento di mentire. «Oh, Madre Goldchild, che lieto incontro! Scusate la mia... intrusione.»
«No, no, figuratevi! E' solo che...» l'espressione della suora era un misto di confusione e lieve preoccupazione, come se stesse temendo qualche suo gesto riprovevole - e se avesse saputo per quale reale motivo si trovasse lì, Miss Bahun era certa che non l'avrebbe perdonata; dopotutto il furto era reato.
«Avevo un languore» si affrettò a dire, tendendo le labbra. Per colpa dello Spirito rimastovi sopra le sentì bruciare ancora, ma non poteva evitarsi quella recita, non doveva lasciare a quella donna modo di immaginare, di ritrovare nella memoria i dettagli che riguardavano la sua sconsiderevole fama perché, come le aveva dimostrato ore prima, sapeva di lei più di quanto Katarina avrebbe voluto. «Scusate la mia impertinenza nel venir qui, avrei dovuto avvisare. Vedete,» abbassò lo sguardo provando a mettersi in volto l'espressione più innocente che aveva nel repertorio: «molti vânător finiscono col confondere giorno e notte. Penso che-»
I passi di Sylvia improvvisamente sovrastarono i rumori circostanti e i suoi pensieri, costringendola ad alzare nuovamente gli occhi. La Madre Superiora avanzò come una brezza implacabile fino a raggiungerla e, altrettanto improvvisamente, alzò una mano in direzione del suo viso. Miss Bahun non riuscì nemmeno a scansarsi, colta alla sprovvista si sentì avvampare. Così vicina la suora avrebbe sentito nel suo alito l'odore dell'alcol, avrebbe scoperto cosa stava tramando lì dentro, eppure non fu solo quello a farle balzare il cuore in gola. Per la prima volta erano davvero vicine. Tanto che il tepore della sua mano divenne minaccevole, il profumo ammaliante.
«Siete ferita...» ed ecco che le dita di Madre Goldchild si appoggiarono delicate a lato del suo viso mentre, titubante, il pollice si fermò a filo del labbro inferiore. Il tocco della donna sembrò mozzarle il fiato, Katarina si ritrovò a schiacciarsi contro la parete a cui era rimasta appoggiata come se la stesse mettendo in trappola - ma non era stata forse lei a sognare di premere il proprio corpo a quello dell'incantevole donna che aveva innanzi, imprigionandola tra sé e un qualsiasi muro di quel posto?
Il polpastrello della suora si posò sul taglio che Miss Bahun si era  procurata al rientro, pigiò su di esso strofinando via il sangue che non doveva essersi accorta esser colato fuori, diluitosi a causa dello Spirito alla Salvia. Nel compiere quell'atto, Sylvia scatenò in Katarina qualcosa di inaspettato: una pulsione, un desiderio che doveva tacere. E mentre quella era impegnata a pulirle il labbro, a lei sfuggì il controllo. Non seppe dirsi se fosse per colpa di un principio di ubriachezza o meno, ma quando il pollice si premette con più forza al centro del labbro, la vânător se lo infilò in bocca, intrappolandolo delicatamente con i denti.

Lo stomaco le si torse. Il cuore accelerò il battito. Era certa che da un momento all'altro Madre Goldchild avrebbe alzato inorridita lo sguardo, si sarebbe ripresa il proprio dito, l'avrebbe schiaffeggiata e in un secondo momento cacciata via dall'Istituto perché peccatrice, folle, irrispettosa - eppure non accadde. La mano di lei strinse con più veemenza il suo viso, il pollice affondò nella lingua mentre quelle turgide labbra rosa si schiudevano per raccogliere l'aria che aveva smesso di respirare. Katarina allontanò gli incisivi dalla falange di Sylvia, le permise di penetrare con più bramosia nella sua cavità orale e saggiò il sapore della sua pelle morbida come il petalo di una rosa. Chissà se mordendola la consistenza sarebbe stata la medesima... di certo, sapeva di bergamotto e un'altra pianta che Miss Bahun non riuscì a identificare - e inconsciamente ne volle di più. Staccandosi dal muro tirò indietro il capo, lasciò che il dito della Madre Superiora si sfilasse per inerzia e, una volta liberate entrambe da quel primo passo oltre il limite della decenza, la vânător invertì i ruoli.
Mossa da una foga che le nasceva dal basso ventre si schiacciò a lei, le afferrò il viso con entrambe le mani intrecciando le dita a quei meravigliosi capelli dorati, chiuse gli occhi per godersi meglio l'assaggio successivo e-

«Miss...?»
Katarina batté le palpebre come se si fosse appena svegliata da un sogno.
Sylvia era a un paio di passi da lei, in viso la stessa espressione confusa di quando l'aveva trovata lì nella dispensa. Teneva i palmi stretti tra il mento e il petto in un gesto di evidente preoccupazione e del rossore che le aveva riempito le guance durante il loro scambio nemmeno una traccia.
«State bene? Avete affrontato qualche mostro? Vi serve un medico?»
Come?
Si guardò attorno.
Qualcosa non quadrava.
«Scusatemi, ma... noi non...?»
L'altra corrugò le sopracciglia: «Noi cosa, Miss?»
«Noi stavamo...» Katarina fu sul punto di descrivere quello che avevano fatto, di ricordarle il punto in cui avevano lasciato le cose, ma quando si rese conto di quanto sarebbe potuto risultare inappropriato tacque, permettendo al sorriso di Madre Goldchild di dissipare ogni dubbio: «Mi stavate raccontando del vostro languore.» Già, un languore di Spirito alla Salvia che aveva camuffato con quello per il cibo, permettendo all'alcol di annebbiare la sua ragione trasformandolo poi in qualcosa che se non si fosse sbrigata a sfamare avrebbe davvero causato problemi.
«Se volete possiamo portarvi qualcosa subito» ancora quel sorriso e l'espressione innocente, ancora quegli occhi così ammalianti e quelle labbra che avrebbe voluto mordere e leccare come...
Miss Bahun scosse la testa: «No!» decretò. «No, non preoccupatevi, io... devo uscire a dire il vero. Ho qualcosa di molto importante da fare.»
«Ma-» Le passò accanto senza farle finire la frase, svelta si precipitò fuori dalla dispensa mentre Sylvia l'inseguiva.
«Vi prego di non aspettarmi né per cena né per la notte, Madre Goldchild. Tornerò appena...» appena cosa? Nemmeno lei lo sapeva. Deglutì a forza il disagio che sentiva addosso e solo una volta arrivata alla porta che collegava refettorio e corridoio si volse verso la suora, restandone nuovamente incantata. Quanto avrebbe voluto che ciò che si era immaginata fosse accaduto. Quanto le era sembrata reale ogni sensazione. Si morse il labbro: «appena avrò finito.» Concluse abbandonando la sua figura, mozzando sul nascere l'istinto di fare marcia indietro e premere con cupidigia le labbra sulla bocca di lei, prendendosi tutto, ogni respiro e ogni goccia di saliva, ogni tocco e spaso.

Dannazione quanto era debole di fronte a Sylvia e quella sua divisa!



   
 
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