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Autore: Yellow Canadair    31/05/2023    2 recensioni
Lucci, Kaku e Jabura si svegliano nudi in un laboratorio sconosciuto. Dove sono? che è successo al resto del gruppo? perché non riescono più a trasformarsi? Tutte domande a cui risolvere dopo essere scappati, visto che sono giustamente accusati di omicidio plurimo.
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Nefertari Bibi è sparita da Alabasta: Shanks il Rosso l'ha portata via per salvarla da morte certa, perché qualcuno vuole il suo sangue per attivare un'Arma Ancestrale leggendaria. Ma i lunghi mesi sulla Red Force suggeriscono a Bibi che forse chiamare i Rivoluzionari potrebbe accelerare i tempi...
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Intanto Caro Vegapunk ha una missione per gli agenti: recuperare suo padre, prigioniero nella Sacra Terra di Marijoa. Ma ormai Marijoa è inaccessibile, le bondole sono ferme, e solo un aereo potrebbe arrivare fin lassù...
I Demoni di Catarina, una long di avventura, suspance e assurde alleanze in 26 capitoli!
Genere: Angst, Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cipher Pool 9, Jabura, Nefertari Bibi, Rob Lucci, Shanks il rosso
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dal CP9 al CP0 - storie da agenti segreti'
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Capitolo 23

Quando tutto crolla

 

Trafelato, il primo a raggiungere il duo fu Kumadori. Dietro di lui, a illuminare l’acqua con una potente torcia, c'era Fukuro. 

La torcia sprigionava un fascio di luce che riluceva di verde per la presenza di minuscoli pezzetti di alghe e crostacei che galleggiavano attorno a loro riducendo progressivamente la visibilità. 

Lili e Jabura si schermarono gli occhi con una mano, ma poi furono travolti e sollevati in aria da Kumadori come due pupazzi! «YOOYOOOI, GRAN SOLLIEVO ALFIN VEDERVI!» esclamò prendendo fra le sue braccia i due compagni e roteando commosso.

Le loro bolle si fusero armoniosamente in una bolla più grande. 

«Ehi ehi mettimi giù!!» protestò Jabura. Lilian invece si era arresa al suo destino, e abbracciava con trasporto Kumadori, schiacciando il naso sul suo petto largo. Era impazzita a baciare Jabura proprio adesso? proprio durante una missione? Non sapeva nemmeno se sarebbe mai riuscita di nuovo ad avere quel genere di rapporto con un uomo… ma lui era… meglio annegare nel rosa di Kumadori, e non pensarci più.

«Abbiamo visto lo schianto.» disse Califa. 

Lilian, in braccio a Kumadori come una bambolina, fece quasi fatica a ricordare cosa fosse successo, poi annuì. «Sì… l'ho lanciato nella direzione opposta e i missili l'hanno seguito.» 

«E adesso cosa facciamo? Alcuni di noi dovevano rimanere in aereo, ora come organizziamo la sortita?» intervenne Blueno. 

Momento di silenzio. Poi Hattori cominciò ad agitare le ali, tubando serissimo, spiegando la sua idea. 

«Il tunnel. C'è il tunnel che collega il laboratorio a Marijoa, basta percorrerlo per uscire…» tradusse Rob Lucci sotto gli sguardi attoniti della truppa. Poi osservò: «a quell'ora il Rosso avrà finito con il suo lavoro, spero. Trovereste il castello Pangea libero.»

Kaku attirò l'attenzione degli altri. «Va bene, ora muoviamoci.» disse esponendo la vivre-card dello scienziato. «Non possiamo essere lontani.»

 

~

 

Lucci procedeva per primo, con Kaku accanto che teneva la torcia. La visibilità era di una ventina scarsa di metri, illuminati dal fascio verde-blu della luce che si rifletteva sul pulviscolo del fondale: animali microscopici, briciole di alghe, rimasugli incomprensibili e rottami di ferro dall'aria vetusta...
Tutte le bolle degli agenti si erano fuse graziosamente in un'unica grande bolla, e sembrava di essere in una stanza mobile tutti insieme. Le voci rimbombavano e Kumadori, con le mani strette al suo bastone rituale, faceva del suo meglio per non urlare. Fukuro era contento come una pasqua, ogni tanto chiedeva a qualcuno "chapapapa ehi fermati, fermati un attimo, mettiti di schiena, devo annotare una cosa!", facendo fermare tutto il drappello.
«Un altra pausa e ti sequestro il blocchetto.» minacciò Lucci.

«Oh, e sai benissimo che lo farà.» mormorò Jabura, dal fondo del gruppo, con in mano l’altra torcia. Controllava che nessuno rimanesse indietro, e ogni tanto guardava verso la pilota, che camminava accanto a Kumadori, alla luce della torcia. Si diede del deficiente da solo: cos’era, uno scolaretto alla prima esperienza? 

Califa aveva decisamente sbagliato scarpe; le sue elegantissime decolleté, che di solito indossava con la massima perizia in qualsiasi situazione, affondavano senza pietà nella melma del fondale e rischiavano anche di perforare la bolla: bocciate. Venivano tenute in mano con molta grazia, come una diva in passerella avvolta dalla pelliccia.

Kureha tallonava Lucci: prima di entrare nel laboratorio, cascasse il mondo, gli avrebbe controllato tutti i valori e l'avrebbe mandato allo sbaraglio solo se si fosse ritenuta soddisfatta. Altro che superuomini del Cipher! Quello era un mostro… ma da lui dipendeva la salvezza del piano di Ray e la loro, ed era decisa a fare la sua parte.

Blueno scrutava nelle tenebre: non credeva affatto alle parole della dottoressa, era impossibile che non ci fosse alcuna creatura pericolosa in quell'abisso ed era pronto a combattere, anche se in realtà la sua Ambizione, come quella degli altri, non rivelava niente e nessuno. 

 

Finalmente il fascio di luce illuminò uno dei muri perimetrali del laboratorio, che emerse lentamente dall'oscurità come una massa nera e minacciosa. 

Kaku puntò la torcia verso l'alto, ma non se ne vedeva la fine; la puntò a destra e il muro continuava, per metri e metri, sparendo nel buio. La puntò a sinistra, e comparve un angolo. 

«Ci dividiamo per trovare l'entrata?» propose Califa. 

«Dividersi è il miglior modo per farci ammazzare.» la rimbeccò Lucci. 

«Dovremo dividerci comunque, visto che alcuni di noi devono imboccare il tunnel.» lo contraddisse Califa. 

Tutti stavano pensando al frutto di Blueno, che per entrare di nascosto negli edifici era assolutamente perfetto; il diretto interessato sospirò, e poi propose un'alternativa: «Possiamo crearci un varco. Sono sicuro che con un Rankyaku…»

«…tiriamo giù il muro, facciamo collassare l'intero laboratorio sotto la pressione dell'acqua, e distruggiamo le nostre bolle, così moriamo. Sì, è un'ottima idea.» ridacchiò sarcastica Kureha.

Kaku diede due colpi con le nocche contro il muro perimetrale del laboratorio e disse: «Inoltre, questi muri sono spessi diversi metri, e sono corazzati. Non so se cederebbero per un Rankyaku

«Per il mio sì.» ridacchiò Jabura.

«Irrilevante.» troncò Lucci. «E per tua informazione, Jabura…»

Ma all'improvviso un ronzio arrivò alle orecchie degli agenti, Kaku spense la luce, scattarono in posizione di difesa, con le spalle contro il muro, disposti a ventaglio. Le loro Ambizioni sondavano tutti i dintorni, e trattenevano il respiro. Era un rumore ovattato, per via dell'acqua tutt'attorno, e sembrava una sorta di debole pernacchio subacqueo prolungato all'infinito.

Dal buio avanzavano due occhi gialli a circa un metro dal suolo, arrancando lenta ma inesorabile verso di loro. Una voce si fece strada fin loro, esclamando: «Ehi, Rob Lucci? Lucci dove sei? Sei lì?» 

L'agente in capo sospirò di sollievo provocandosi una fitta, e sibilò: «È Vegapunk.»

 

~

 

Bibi non credeva ai propri occhi. Eppure…! 

«Come faccio a convincerti che sono proprio io?» mormorò la fiammella nel pentolino, illuminando flebilmente il ponte della nave e i volti degli astanti di una tenue luce arancione.

La regina di Alabasta balbettò confusa: «La voce è la tua, ma… Momousagi…?» chiamò in soccorso.

La Grand’ammiraglia ne sapeva quanto lei! Nemmeno per una lupa di mare della sua esperienza era cosa normale, trovarsi a tu per tu con un tizzone parlante! Provò a ragionare: «Lei è sicuramente Koala dell’Armata Rivoluzionaria, la riconosco. Quanto a Sabo… non vorrei si trattasse di un trucco.» ragionò.

Sabo si fece pensoso, e poi si sporse dal suo pentolino e sussurrò a Bibi: «Se ti dico "Stanza della Regina Maria Antoniella", al Reverie…?»

Bibi divenne rosso acceso. «OKAY QUESTO È DECISAMENTE SABO!»

«Sabo, basta così…» disse Koala, osservando la reazione della regina di Alabasta.

Il cielo buio e stellato cominciava appena a impallidire a est, alla Red Force dell'assente Shanks si era unita la Cupcake Bunny della presentissima Momousagi, e ora erano appena stati raggiunti da una modesta imbarcazione a pedali che si era presentata come "ultima élite dell'esercito rivoluzionario".

«…adesso le ho viste proprio tutte.» aveva commentato Momousagi ridendo, guardando avvicinarsi un pedalò con una ragazza a bordo che, nel centro esatto dell'imbarcazione, aveva un pentolino di metallo con dentro un piccolo fuoco: una fiamma, grande quando un pugno o poco più, con due occhi vispi e una vocina minuta. Si era presentato come Sabo, il secondo in carica nell'esercito rivoluzionario.

«Quando vi ho contattati speravo foste… ecco…» balbettò Bibi.

Tashigi, alle spalle di Bibi, intervenne aggiustandosi gli occhiali sul naso: «Di più. Siete in… uno e mezzo.»

«Non servono grandi numeri.» disse Koala risoluta. «Noi due bastiamo. Questa è un’operazione di infiltrazione, non servono tante persone. Dobbiamo solo trasmettere un messaggio.»

Non poteva rivelare cosa fosse successo a Kamabakka durante quei due anni, e come mai lì ci fossero lei e Sabo e non Dragon, e non Ivankov, e non uno qualsiasi degli altri generali. 

«E poi posso sempre combattere. Sono solo… più piccolo.» aggiunse Sabo, ma la vocina di un fiammifero aveva un effetto quasi comico, per di più in un vecchio bollitore tenuto dalla rivoluzionaria con una presina con le paperelle. 

 

~

 

Il sistema d'accesso era degno di uno scienziato, letteralmente impossibile da decifrare, ma loro erano sette agenti segreti che avevano lavorato per il Governo Mondiale… ovviamente prima o poi ce l'avrebbero fatta, a trovare la soluzione per sbloccare i quattro portoni segreti che consentivano di entrare nella struttura. 

Su ogni lato del laboratorio c'era un portone sigillato da un codice a cinquantasette cifre, ma nessuno di questi era l'accesso vero e proprio: bisognava sbloccarli in un certo ordine, una certa distanza di tempo, e solo allora si sarebbe materializzata una piccola botola nel terreno a qualche metro dalle mura: l'accesso era quello. 

Ma nulla che degli agenti come loro non avrebbero capito dopo qualche minuto, suvvia! 

Vegapunk aveva solo reso le cose più rapide: era stato lui a guidare su e giù per i quattro portoni il drappello del Cipher, sbloccare le combinazioni risolvendo in quattro e quattr'otto dei calcoli che gli agenti, in verità, non sapevano nemmeno in che ramo delle scienze posizionare, e poi condurli giù per la porticina che si era aperta tra la melma del fondale.

«Shhhh per carità» sibilava, guidandoli attraverso i corridoi bui del primo piano del laboratorio: era evidente che temeva di essere scoperto. «Vi guiderò fin dove sono prigioniero, e vi indicherò le scale che portano al tunnel.»

Vegapunk in realtà non era lì con loro: era da qualche parte nel laboratorio, chiuso e custodito, e vicino agli agenti c'era un tozzo robottino blu elettrico alto circa un metro con i capezzoli tondi e luminosi (che erano stati scambiati per occhi gialli in lontananza), i piedi cingolati per correre anche nella melma del fondale, e al posto della testa aveva una mela trasparente, di vetro, grande quasi come un pallone da calcio, dentro la quale compariva la figura a mezzo busto dell'eminente scienziato. 

«Come faceva a sapere che eravamo fuori dal laboratorio?» domandò Califa allo scienziato.

«Volevamo farvi credere di aver abbattuto l’aereo.» completò Kaku.

«Infatti non cercavo voi.» disse con tranquillità Vegapunk. «Volevo recuperare qualche pezzo del Canadair. Però ho trovato voi, ed era più sensato quindi aiutarvi a farmi uscire di qui.» 

«St’infame…» mormorò la pilota.

La squadra di salvataggio avanzava cautamente nel buio, con Kaku e la sua torcia davanti, come un faro per tutti. Vegapunk, tramite il robot, era in mezzo al gruppo e dava istruzioni su come procedere, perché il percorso era pieno di svolte, di bivi, di rottami dimenticati, e perdersi sarebbe stato facilissimo.

«Dunque lei sarebbe la dottoressa Kureha… piacere, ho sentito molto parlare di lei…» disse ossequioso il dottor Vegapunk, dallo schermo del robottino, cercando di attirare l'attenzione della terribile donna.

Kureha si voltò e lo fulminò con lo sguardo. «Ti sembra il momento?»

«Santo cielo, mi scusi!!»

«Vedi di muoverti. Non ho nessun piacere a stare qui.» lo rimbeccò Doctorine.

«Vegapunk, vuole fare silenzio e venire qui avanti?» lo rimbeccò Lucci, facendo sobbalzare tutto il gruppo. «Dove dobbiamo andare?» e si fermò.

Il drappello era arrivato a un quadrivio: due strade procedevano dritte, perdendosi nel buio, mentre alla loro sinistra c'era una scala di ferro che si inerpicava in un buco nel soffitto.

«Siamo arrivati. Il tunnel per Marijoa è quello.» disse, indicando il largo corridoio a destra. «Mentre i laboratori sono su.»

La vivre card in effetti puntava verso l'alto, e sembrava un invito a prendere la scala.

«Chapapa, come mai è così largo e alto?» chiese curioso Fukuro.

«Per i mezzi. Carri, gabbie…» spiegò lo scienziato con noncuranza. «Alcune delle attrezzature non entrano in una normale porta. Per questo ho chiesto un corridoio largo almeno dieci metri.» chiacchierò.

«Sembra sia il momento di dividerci.»

«Dove sbuca il tunnel, di preciso?» chiese Blueno.

«Nei sotterranei del castello Pangea.» rispose Vegapunk.

«In questo momento i soldati della guardia sono impegnati a combattere contro un Imperatore, non faranno caso a voi. È una strada sicura.» disse Lucci.

«Certo, ma appena sbucati troverete le mie Sentinelle d’Argento!» 

Lucci si fece attento: non aveva mai sentito nulla del genere a Marijoa, ai tempi del Reverie.

«Che cosa sono?» domandò serissimo. «Una volta c’erano agenti del Cipher…»

«Con l’isolamento ho creato un esercito di androidi! I cloni non mi sono mai piaciuti, e sono difficili da controllare, quindi ho creato dei robot, le Sentinelle d’Argento! Maschili per il castello e… ehm, ehm, femminili per il mio laboratorio. Sono macchine da guerra perfette! Hanno un fattore di rigenerazione fortissimo e solo la mia voce può fermarle, non come i cloni del Germa, che…»

«Perfetto, allora li accompagnerai tu.» disse Lucci chinandosi e guardando freddamente negli occhi lo scienziato.

«Io??»

«Certo. Conosci il tunnel e puoi comandare le Sentinelle. Noi possiamo arrivare da te anche seguendo la vivre-card.» osservò Kaku.

«E per i robot femmina, nessun problema.» sottolineò Jabura.

«Ci sono delle porte che bloccano alcuni corridoi: vi serve la soluzione ai problemi logico-matematici che le sbloccano?» propose Vegapunk.

«No.» disse altezzosamente Rob Lucci. «Ma ce li scriva qui per velocizzare.» ordinò strappando di mano a Fukuro il block-notes e la matita.

«Intanto ti controllo un'ultima volta.» disse la dottoressa a Lucci. «Siediti qui, e togliti la camicia.»

Lucci, obbediente e rassegnato, si sfilò la giacca nera e la camicia di seta bianca a microscopici fiorellini lilla e verdi, e si lasciò misurare battito, respiro, pressione… il volto di Kureha non era per niente soddisfatto. Gli fece cenno di rivestirsi dicendo: «Fa' prima che puoi. Non combattere, se puoi evitarlo.»

Rob Lucci annuì, mentre Kaku contava le fiale rimaste.

Era il momento: Lucci, Kaku e Jabura alla ricerca dello scienziato.

Califa, Kumadori, Fukuro, Blueno, la dottoressa e la pilota verso l'esterno.

Kaku fece un passo in avanti, Jabura si fece schioccare il collo. Anche Kumadori si fece avanti, uscendo dal gruppo del tunnel e avvicinandosi a quello per ricercare lo scienziato.

«Sei sicuro?» mormorò Jabura al compagno.

«Yoyoi. È più che mai necessario essere in forze.»

«È più probabile che se la prendano con chi scorta fuori il dottore in carne e ossa, che con quattro stronzi che cercano di scappare.» disse Kureha. «Vi fanno comodo due mani in più.»

Lucci considerò la truppa e annuì. «Ci vediamo fuori. Califa, lascio a te il comando.»

La donna annuì con decisione, aggiustandosi gli occhiali sul naso.

 

~

 

Rayleigh e Shakky corsero a perdifiato lungo il viale deserto di Marijoa, sgominando le poche guardie robotiche che osavano opporre resistenza. Una milizia che non doveva essere pagata, non doveva mangiare, non doveva dormire… ma che non era imbattibile, pensò Shakky mentre saltava in alto e si lasciava alle spalle, subito dopo, uno stuolo di androidi d’argento dalle giunture trafitte che sfrigolavano di scintille. 

I due pirati corsero lungo i viali di ghiaia appena imbiancati dalla luce argentea della Luna, lasciandosi alle spalle una scia di fontane che sparivano in lontananza, di animali della notte.

Quando arrivarono al porto delle bondole, trovarono solo un battaglione di androidi con i fucili puntati verso l'alto. Erano a forma di cavalieri in armatura, completamente d’argento e scintillanti alla luce delle stelle. Era impossibile guardarli in volto, ammesso che avessero un volto, perché la loro testa era composta da un elmo chiuso, ma nonostante questo sembravano fissare Shakky e Rayleigh con aria distante, fredda.

«Comincio a sentire veramente la mancanza dei Marine.» brontolò Rayleigh, sguainando la spada e aggiustandosi gli occhiali sul naso.

Shakuyaku atterrò vicino a lui dopo un salto che aveva sorpreso dall’alto il drappello, e l’aveva distrutto senza pietà con una tempesta di colpi di lama. «Non l’avrei mai detto ma è vero… sono spettrali questi cosi.» disse tetra, calciando una gamba d’argento che era stata staccata dal resto del corpo dalla potenza del suo attacco.

Si mossero tra i rottami del battaglione. Dietro le schiene c’era impressa la scritta “Sentinelle D’Argento”.

«Suona bene.» disse Shakky.

Rayleigh intanto si era avvicinato al gabbiotto dove riposavano le bondole, e andò verso la più vicina. Fece un breve giro e poi trovò quello che cercava: la leva per calarla in mare. La afferrò saldamente la tirò con decisione verso di sé. 

Lì per lì non successe niente.

«Sei sicuro che sia la leva giusta?» chiese la donna.

All'improvviso le catene girarono muggendo, e la bondola cominciò a scendere, pianissimo.

Rayleigh si avvicinò alla bondola e disse alla compagna: «Recupero la squadra e torno. Fa' buona guardia.»

«Vedi di muoverti, filibustiere.» rispose Shakky, mentre controllava alla luce della pila che i meccanismi fossero ben oliati e che Ray non rischiasse un volo verticale da diecimila metri. Si sfilò la sigaretta di bocca e disse: «Qui tutto a posto…» si alzò, e le sue labbra incontrarono quelle caldissime del suo amante.

La notte era così lieve, l'odore del mare così intenso anche se era così lontano. Sembrava di essere tornati ai bei vecchi tempi: due ragazzini nascosti in quella cambusa, mentre tutti dormivano.

«Adesso devo proprio andare.» si staccò Rayleigh.

Saltò la sontuosa ringhiera di ferro arricciolata a motivi vegetali senza nemmeno aprire il cancelletto, e sparì oltre il dirupo, verso l'oceano nero, verso il mondo intero, e sotto il cielo stellato.

 

~

 

Il paesino di Redport scintillava a poche miglia davanti a loro. Da quando Marijoa era isolata e il Castello Pangea aveva fatto ritirare le bondole in cima alla scogliera, il paesino aveva perso importanza, la guarnigione della Marina era stata congedata e le case avevano cominciato a svuotarsi. Brillavano nella notte solo le poche luci dei lampioni della strada principale e qualche sparuta finestra di qualche nonno ancora sveglio.

Le vedette della Cupcake Bunny e della Red Force tenevano gli occhi puntati sulla scogliera: chi sarebbe stato il primo ad avvistare la bondola che, dopo essere stata ferma per due anni e mezzo, veniva calata lungo il fianco della muraglia?

Ma fu quasi in contemporanea che dalla nave pirata e dalla nave governativa si alzò un grido: «Eccole! bondola in arrivo!»

Sugar Boo era stata più lesta, ma la scimmia Monster avrebbe giurato fino alla morte che era solo per quel maledetto binocolo strambo che si ritrovava per le mani.

«Andiamo.» disse Bibi, con la mano ben protetta dalla presina e stretta sul manico del bricco che conteneva Sabo.

Tashigi strinse i denti e rinsaldò la presa sull'elsa della sua katana.

Momousagi le mise le mani sulle spalle e sussurrò: «Forza ragazza. Va' a salvare il Cacciatore Bianco.»

«Sarà fatto.» promise battagliera l'ex Marine.

La bondola scendeva lentamente, a volte spariva nella nebbiolina della notte, poi ricompariva. Sembrava di poter immaginare, in alto, lassù, oltre le nuvole, il vecchio Silvers Rayleigh, o l’affascinante Shakuyaku, che con cura e attenzione lasciavano scorrere la grande catena che legava la bondola, e dalle loro mani gli anelli scivolavano via, mentre guardavano verso il mare che presto sarebbe stato libero dalle mani luride dei Nobili Mondiali.

Con il cannocchiale (uno qualunque, non necessariamente quello di Sugar Boo), nel buio, si poteva vedere il bordo della bondola tutto illuminato da minuscole lucine rosa e gialle che lampeggiavano. Sicuramente anche da Red Port si erano accorti del movimento, e bisognava raggiungere la terraferma prima che a qualche civile saltasse in testa di montare sulla bondola e arrivare con loro a Marijoa per un giro turistico! 

Il tenente Fedora e Lucky Lou accompagnarono Tashigi, Bibi e Koala con Sabo a Red Port. Come avevano intuito, i pochi cittadini rimasti a Red Port si erano svegliati di soprassalto e ora erano tutti in strada, chi in vestaglia e chi in pigiama, a far da spola di casa in casa per fare congetture su chi stesse scendendo da Marijoa, e raccontarsi di quante altre volte nel passato era successa una cosa simile.

La città era così in subbuglio che nessuno fece caso alla scialuppa che attraccò a una spiaggetta defilata, e le tre ragazze si infilarono rapidamente nei vicoli di Red Port fino ad arrivare ai cancelli che custodivano la stazione d'arrivo delle bondole. 

Tashigi fece da palo, Bibi scassinò la serratura, e Koala con un colpo di Karate degli Uomini-Pesce fece cadere la porta di metallo, e arrivarono proprio nell'attimo in cui la bondola toccò terra.

«Ray!» lo salutò Bibi tendendogli le mani. I due si erano conosciuti durante quei due anni, quando Shanks faceva rotta in incognito verso l'Arcipelago Sabaody per discutere del piano che quella notte erano finalmente riusciti a mettere in atto.

Era stata Shakuyaku a consigliargli di non far incontrare la regina e Rob Lucci: dai giornali, sembrava che i due fossero arrivati ai ferri corti durante l'ultimo Reverie.

«Eccomi, Bibi. Com'è andata la traversata?» le sorrise il Re Oscuro stringendole le mani affusolate e abbronzate. La loro conoscenza risaliva a qualche mese prima, a bordo della Red Force.

«Tutto a posto. La Sword è in posizione e noi siamo pronte a salire!»

«Perfetto.» disse il vecchio pirata, mentre tutte montavano sulla bondola. Strinse la leva che faceva risalire la bondola e la tirò verso di sé. «Allora pronti… da qui in poi non si torna indietro.»

 

~

 

«Quanto è lungo il tunnel?» chiese Kureha a Vegapunk.

«Tre chilometri.» rispose lo scienziato. «La distanza tra il lago e il palazzo.»

«Usiamo il Soru allora.» propose Califa. Guardò il gruppo e ordinò: «Blueno prende la pilota, Fukuro la dottoressa. Io mi occupo di Vegapunk. Muoviamoci.»

«Alla mia età esser presa in braccio come una bambola!» borbottò la dottoressa, ben consapevole che era la soluzione più ovvia per percorrere in fretta quel cunicolo angusto.

«E poi come si sale? saremo comunque a settemila metri di profondità!» considerò la pilota, senza fiato.

«Alla fine del tunnel troveremo un montacarichi che ci porterà in qualche minuto nelle cantine del castello.» rispose Vegapunk.

Fukuro tese le mani per prendere Kureha in braccio, ma lei senza dire una parola, con un dito, gli fece cenno di ruotare e gli montò sulla schiena a cavalcioni con un agile salto.

Blueno invece propose da subito alla pilota di salirgli a cavalcioni sulla schiena, per avere subito le mani libere in caso di un combattimento una volta arrivati al montacarichi.

«Bene, partiamo. Non rimanete indietro.» ordinò Califa, e con un colpo di Soru scattò in avanti, immediatamente seguita dagli altri colleghi.

 

~

 

Rayleigh e Shakuyaku scortarono Bibi, Tashigi, Koala e Sabo fino al castello Pangea: lo trovarono che ardeva come una fiaccola, l’ala est era ormai completamente distrutta, e le fiamme minacciavano il resto dell’edificio, mentre dalla città dei Nobili si sentivano urla disperate di paura e spari, regnava il caos e sarebbe stato pericoloso persino attraversare quella che una volta era considerata la città più ricca del mondo.

Ovunque, per terra, sui vialetti, tra le siepi e persino sugli alberi c’erano i pezzi semidistrutti delle Sentinelle D’Argento.

«Questi non li abbiamo fatti fuori noi.» osservò Shakky.

«No… questa è opera di Mihawk. Finalmente si è deciso a muoversi.» rispose il Re Oscuro.

«Siete stati voi a dare fuoco al castello?» esclamò Tashigi, mentre nei suoi occhi si rifletteva la rovina del simbolo mondiale del potere.

«Che parolona… sono solo un po’ di danni collaterali.» ammise Rayleigh. Ne aveva visti di ben peggiori, ai tempi di Roger!

«Dobbiamo muoverci, altrimenti non rimarrà nessun castello Pangea da cui trasmettere il messaggio.» sibilò Bibi a Koala.

Corsero a per di fiato fino a intrufolarsi nel castello attraverso una parete sventrata. Una volta dentro si divisero: Bibi e Koala, con Sabo, corsero verso il Balcone dei Principi, Ray e Shakky rimasero di guardia, e Tashigi andò da sola verso il montacarichi,

Quella che una volta era “la capitanuccia” non perse tempo a guardare le spalle di Bibi e di Koala che si allontanavano seguendo il vasto corridoio di marmo, facendosi strada tra preziose statue e candelabri dorati: bisognava agire il più in fretta possibile.

Seguendo le istruzioni che le aveva dato Momousagi circa la strada per arrivare al montacarichi sotto il castello Pangea, Tashigi percorse a rotta di collo corridoi sfarzosi e saloni principeschi, senza badare agli stormi di uccelli e angeli dipinti su alcuni soffitti, o demoni e divinità dipinti su altri, stando solo ben attenta a dove mettesse i piedi perché il passaggio dei pirati, due ore prima, aveva seminato i corpi delle guardie reali in giro per il palazzo.

Giovani? vecchi? Impossibile per Tashigi stabilirlo: non sembravano nemmeno umani, e arti staccati costellavano i preziosi marmi e ceramiche dipinte. 

Entrò in una porta abilmente camuffata nel muro, uno dei bugigattoli percorsi dalla servitù: angusti cunicoli che comunicavano con lavanderie e cucine condussero Tashigi ai piani inferiori. La temperatura calò, e finalmente, scala dopo scala, arrivò in un vicolo cieco: era alla fine di un corridoio che si apriva su un grande padiglione a pianta circolare, scolpito magistralmente nella pietra, cesellato con motivi vegetali e dal tetto a cupola. Sembrava un tempietto. Tashigi si guardò attorno e riguardò le istruzioni che aveva, convinta di aver sbagliato strada. Si tolse gli occhiali, li pulì e se li rimise: e proprio allora notò, come da istruzioni, una grossa leva alla sua destra.

Il padiglione stesso era il montacarichi! lei si aspettava una sorta di ascensore… ma quella era Marijoa, la terra degli dei. Non potevano avere un semplice montacarichi: chissà quale architetto avevano costretto a lavorare su quella meraviglia.

Tashigi tirò la leva, scavalcò la piccola balaustra decorativa, e si posizionò al centro del montacarichi. Pochi istanti dopo, tutto parve tremare e quel prodigio architettonico, solenne, cominciò a scendere lento nelle viscere della Terra, portandola con sé. 

 

~

 

«Ehi! Abbiamo qualcuno alle spalle!» avvertì Kureha.

Califa, Blueno e Fukuro attivarono immediatamente l'Ambizione della Percezione. Rimasero silenti per qualche istante, mentre quasi volavano con il Soru, quando Califa esclamò turbata: «C’è davvero qualcuno qui intorno.»

Si fermarono.

Nessuno riusciva a vedere nulla: il corridoio era buio, le loro torce illuminavano solo pochi metri prima che la loro luce finisse inghiottita nel buio. Nemmeno i fanali del robot di Vegapunk facevano miracoli, in quell’abisso.

Vegapunk, facendo mettere a terra il robottino per avere una migliore visuale, mormorò: «Uhm, potrei modificare il circuito, qui, per potenziare i fari senza aver-bzzzzzzzzz.» 

Un gracchiare inghiottì la voce dello scienziato, i fanali si spensero.

Tutti si voltarono verso il robot, allarmati.

Era per terra, come spento all’improvviso, con dei cavi scoperti e sfrigolanti di scintille, e la mela di vetro da cui compariva Vegapunk era spenta e in frantumi.

«Siamo sotto attacco!» ringhiò Blueno.

«Chapapa, ma non vedo nessuno! Neanche con l’Ambizione!» piagnucolò Fukuro.

Risuonarono dei passi da lontano, dalla porzione di corridoio dalla quale venivano.

«La dottoressa al centro!» ordinò Califa. «Tutti in formazione!» 

Ma prima che avessero il tempo di attaccare, una voce familiare salì dal buio: «Ehi, ehi! Sono io! Non attaccate!» 

«È Jabura.» riconobbe Califa.

«Jabura?» fecero eco gli altri.

«Sicura?» domandarono Lilian e la dottoressa.

Tutti si rilassarono un po'.

«È solo?» chiese Lilian.

«Sembra di sì.» percepì Califa.

«Chapapapa, dev'essere successo qualcosa!!»

Ci fu un momento di confusione, poi una figura entrò nel fascio di luce delle torce.

Blueno fece scivolare giù dalla sua schiena la pilota, la dottoressa Kureha saltò a terra. Fecero qualche passo in direzione del compagno in arrivo; doveva aver corso per raggiungerli, ma non sembrava affaticato.

«Chapapa, che è successo?»

«Ehi!» li salutò il Lupo. «Dai, muovetevi, tornate indietro!»

Califa avvicinandosi chiese: «Cos'è successo?»

«Qui è pericoloso, rischiate di essere attaccati!» spiegò. «Tornate indietro.» 

Gli agenti però a mala pena lo sentirono: lo stavano squadrando con interesse, muovendo addirittura le torce dall'alto in basso per illuminarlo meglio.

«…che molestia sessuale.» mormorò Califa distogliendo lo sguardo.

Fukuro studiava ogni dettaglio: «Dove hai preso quei vestiti?»

Perché Jabura era scalzo, indossava pantaloni di pelle attillati e a vita bassissima, e i suoi pettorali nudi erano strizzati in cinghie di pelle in stile sadomaso?

 

~

 

Un silenzio innaturale avvolgeva il castello Pangea come una nebbia, posandosi umido sui rivestimenti dorati, sugli affreschi di nobili e di dèi, sui candelabri preziosi che illuminavano le ricche notti dei Nobili Mondiali. Le sale sembravano svuotate: l'esile guarnigione che c'era era stata sgominata, e i Nobili svegliatisi di soprassalto erano fuggiti a nascondersi come topi appena era risuonato il calcio d'inizio del combattimento tra i Cinque Astri contro Silvers Rayleigh e Shakuyaku. Rimanevano sculture di marmo bianco e rosso, con gli occhi fissi su quello che stava accadendo: non schiavi, non rivoluzionari, ma pirati avevano assaltato la Terra Sacra, durante la notte.

Il suono pesante degli stivali di Shanks e di Benn Beckman risuonava con forza nello splendore del largo corridoio; erano due figure scure e corrucciate che percorrevano di buon passo lo sfarzo della reggia, trascinando dietro armi che risuonavano a ogni passo e che odoravano di mare, di alcol e polvere da sparo, facendo impallidire i sottili steli di incenso che profumavano le sale centenarie. 

Benn reggeva una lanterna nella sinistra, e la sua luce calda baluginava incerta sugli specchi d'argento che che impreziosivano le pareti, e riflettevano i due uomini che passavano senza curarsi né di sfarzo né di corpi a terra.

«Manca molto?» chiese Benn rompendo il ritmo degli stivali sul pavimento di parquet. Estrasse la pistola, sparò dritto in uno specchio alla sua destra, oltre le spalle del suo capitano. Lo specchio si infranse in un fuoco d'artificio di vetri, una persona non meglio identificata crollò a terra con un buco tra gli occhi. Dietro al cadavere si apriva un lungo corridoio oscuro che si perdeva nei meandri segreti del palazzo. «Sembra deserto, e invece sono tutti qui nascosti come topi a osservare.» commentò sprezzante. «E non c'è nemmeno un posacenere.» 

«È perché è difficile fumare, con la testa in una boccia.» commentò Shanks.

«Dov'è il tuo amico?» chiese Benn.

«Sta controllando il perimetro.»

«Sa dove deve andare?»

Shanks annuì: «Spero per noi di sì.»

Camminarono l'uno accanto all'altro attraverso stanze magnifiche, con le pareti coperte da drappi di seta porpora intessuta d'oro che dava alla stanza un'aria formale e ricca, altre volte invece le stanze erano foderate da seta turchese, e sembrava di affacciarsi da una terrazza sul mare, in altre sale invece la seta era giallo splendente, e pareva di nuotare in un'opulenza d'oro… in tutte le sale si respirava odore di potere, di fama e di ricchezza.

«Che odoraccio di chiuso.» commentò Benn. «Almeno le finestre potevano farle apribili.» commentò, dando un colpo d'occhio alle vetrate seminascoste dai pesanti tendaggi di broccato.

«Niente finestre apribili. Questione di sicurezza.» spiegò Shanks, lasciandosi alle spalle un sontuoso salottino ricco di statue e finti colonnati dipinti sulle pareti.

«Oh, e hanno funzionato a meraviglia!» rispose Beckman, guardando disgustato i bastoncini di incenso profumato posati sulla mensola dei caminetti in quasi tutte le magnifiche sale.

«Peccato essere di fretta, ai ragazzi avrebbe fatto piacere un souvenir.» commentò il Rosso, pensando a che razzia avrebbe potuto fare in un posto come quello.

«A lavoro finito puoi prendere una cartolina.» alzando la lanterna verso il grande quadro di un nobile dal sorriso lieve e le guance rosee, avvolto in una pelliccia di ermellino e con le gambe sottili fasciate in calze di seta azzurro pallido.

Camminarono ancora, incontrando scarsissima resistenza. Shanks era già stato a Marijoa e si vedeva: prestava poca attenzione ai marmi, alle opere d'arte e ai magnifici giardini che si intravedevano dalle finestre, e avanzava risoluto e marziale tra le sale e i corridoi.

All'improvviso però, il Rosso si fermò in mezzo a un grande salone con tre lampadari pendenti con migliaia di gocce di cristallo. I dipinti alle pareti mostravano ninfe con giochi d'acqua e tuniche colorate: quando il sole arrivava lì, dovevano crearsi incredibili effetti di luce con i piccoli arcobaleni sprigionati dalle gocce dei lampadari.

Shanks e Benn si guardarono in faccia: percepivano lo stesso suono.

Armi. Scontri. Molte persone si stavano scontrando, da qualche parte. Si sentivano urla maschili, e rimbombi di spade che cozzavano e ossa che si spezzavano.

«Viene dalla sala del trono.» mormorò Shanks riprendendo a camminare e affrettando il passo.

Mano a mano che si avvicinavano alla sorgente del rumore, l'oro negli arazzi, nelle statue, nei quadri, negli stucchi del soffitto e negli arredi aumentava, dando un'impressione crescente di sfarzo e ricchezza. Arrivarono davanti a una grande porta alta almeno cinque metri, fino al soffitto, di bronzo dorato e splendente.

Aumentava sempre di più anche il rumore della battaglia in corso: era intenso, il clangore quasi non faceva sentire le parole tra i due uomini, dietro quei battenti, proprio nella sala del trono, strideva un massacro tra eserciti.

Senza esitare i due pirati spinsero i battenti ed entrarono.

 

 

 

 

Dietro le quinte...

...ma come ti vesti, Jabura!? che vile molestia sessuale! Cosa sarà successo a Lucci, Kaku e Kumadori? 

Ho poco da dire, a questo giro: le pedine si stanno posizionando e ha fatto la sua comparsa... Vegapunk!! 

Shanks e Benn invece sono quasi arrivati alla famigerata sala del trono, dove si sente infuriare una battaglia... cosa troveranno oltre i pesanti battenti?

Questa storia era stata progettata molto molto tempo prima degli ultimi capitoli del manga, quindi chi non è in pari non si deve preoccupare: non ci saranno spoiler, è tutta invenzione. Ho scelto deliberatamente di non adattare certi personaggi a come si sono rivelati nel canon, perché avrebbe significato stravolgere tutto e avere problemi nel gestire troppi personaggi... è solo una fanfiction ♥ spero vi divertiate nel leggerla come io mi sono divertita a scriverla ♥
Grazie a tutti coloro che hanno recensito l'ultimo capitolo e grazie a tutti per essere arrivati fin qui! 

Un grande abbraccio,

 

Yellow Canadair

 

 

  
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