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Autore: Yellow Canadair    07/06/2023    2 recensioni
Lucci, Kaku e Jabura si svegliano nudi in un laboratorio sconosciuto. Dove sono? che è successo al resto del gruppo? perché non riescono più a trasformarsi? Tutte domande a cui risolvere dopo essere scappati, visto che sono giustamente accusati di omicidio plurimo.
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Nefertari Bibi è sparita da Alabasta: Shanks il Rosso l'ha portata via per salvarla da morte certa, perché qualcuno vuole il suo sangue per attivare un'Arma Ancestrale leggendaria. Ma i lunghi mesi sulla Red Force suggeriscono a Bibi che forse chiamare i Rivoluzionari potrebbe accelerare i tempi...
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Intanto Caro Vegapunk ha una missione per gli agenti: recuperare suo padre, prigioniero nella Sacra Terra di Marijoa. Ma ormai Marijoa è inaccessibile, le bondole sono ferme, e solo un aereo potrebbe arrivare fin lassù...
I Demoni di Catarina, una long di avventura, suspance e assurde alleanze in 26 capitoli!
Genere: Angst, Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cipher Pool 9, Jabura, Nefertari Bibi, Rob Lucci, Shanks il rosso
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dal CP9 al CP0 - storie da agenti segreti'
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Capitolo 24

Giochi di specchi

 

Benn e Shanks entrarono e il rumore cessò di colpo.

Nell’ampia sala che si apriva davanti a loro, dal pavimento di marmo e le pareti colme di intarsi d’oro e di preziosi tendaggi rossi, non c’era nessuno.

Le urla di uccisi, il torcersi di intestini trapassati dalle lame, il clangore delle spade e dei coltelli.

La sala era vuota, deserta, e il fracasso era scomparso.

Benn e Shanks fecero qualche passo incerto in avanti, guardandosi attorno; non c'era nessuno, a parte loro due.

Davanti a loro si estendeva la sala del trono, immensa, dal soffitto alto metri e metri, e il suo marmo azzurro e freddo costellato da centinaia e centinaia di spade, spadoni, stocchi, scimitarre e katane rugginose e corrose conficcate da decenni nelle pietre lisce e fredde.

E poi, rialzato, a cinque o sei metri dal pavimento, c'era un magnifico palco con il trono vuoto giusto al centro, icona del mondo intero: foderato di velluto rosso e con il simbolo del Governo Mondiale, era il simbolo di un mondo governato in democrazia, senza re, senza tiranni.

Ai suoi piedi, sempre sullo stesso palco, altre spade, conficcate per terra. Simbolo di sudditanza.

Tutte balle.

«È normale questa cosa?» sibilò Benn, riferendosi ai rumori che erano spariti. Eppure li avevano sentiti bene entrambi.

«Per niente.» disse Shanks sguainando la spada.

Una mareggiata improvvisa di Ambizione investì i due pirati, senza tuttavia farli cedere.

«Oh, eccovi finalmente. Siete arrivati. Tutto qui? Solo in due?»

Shanks e Benn si voltarono verso il trono: ora era occupato da una figura allampanata e oscura, con due penetranti occhi di brace che spiccavano nella penombra in cui era avvolto il palco.

«Im-sama.» lo salutò Shanks. «Due gentiluomini bastano, per parlare pacificamente con una persona ragionevole.»

Im si guardò attorno con fare teatrale. «Non vedo gentiluomini.» sentenziò infine, muovendo le mani affusolate con fastidio.

Benn disse calmissimo: «E sospetto che non ci sia nemmeno la persona ragionevole.»

Shanks soprassedette: «Siamo venuti a chiederti di sospendere l'attivazione di Uranos.» dichiarò.

Lunghi istanti trascorsero.

Im li guardava dall'alto, dovevano apparire come formiche ai suoi occhi distanti. Schioccò le lunghe dita e si accesero quattro grandi bracieri ai lati del trono, che finalmente illuminarono la sua persona.

Aveva una figura altissima, slanciata, o almeno così parve ai pirati in basso. Spiccavano i lunghi capelli biondi, pari alle spalle e con la frangia bombata e piena, l'abito lungo e nero, una stoffa in cui perdersi, in cui sembravano non esistere pieghe né volumi. Gli occhi fiammeggianti erano aperti, mandavano bagliori come un incendio nella montagna, ma il resto del volto era coperto da una morbida mascherina nera, vellutata e splendente, che gli avvolgeva naso e bocca. E, in testa, una corona altissima, scintillante di diamanti neri.

«Voi non avete idea» disse con il veleno sulla lingua «di quanto mi stia costando attivare Uranos.»

«No, ma abbiamo idea di quanto costerà al mondo.» rispose Shanks senza alzare la voce: sapeva benissimo che l'acustica di quella sala era fatta per far risuonare più terribile e profonda la voce di Im, ma anche per far arrivare alle sue orecchie ogni minimo sussurro mormorato nel più remoto angolo del salone. «Abbiamo parlato con i Vegapunk. Abbiamo verificato i loro calcoli. Stai per distruggere ciò che i tuoi divini avi crearono. Uranos non distruggerà solo la stirpe che odi, ma porrà fine al pianeta. Per l'ultima volta, a nome di tutti: rinuncia a Uranos.»

Im sembrò rifletterci per qualche istante. E infine disse: «No.»

«Bene, fine della diplomazia.» sospirò Shanks. Sguainò la Griphon, e Benn estrasse le pistole.

 

~

 

Il corridoio del primo piano aveva le fredde pareti metalliche illuminate dai neon; i quattro ex agenti del Cipher Pol Aigis Zero erano fermi, circondati e senza vie d'uscita.
Era successo in fretta, senza che nessuno di loro potesse percepire nulla.

Lucci ansimava: stava per sopraggiungere un'altra crisi respiratoria, dovevano muoversi.

«Non potete passare. Prego identificatevi.» disse la ginoide davanti a loro. Dietro di lei c'era una selva di altre ginoidi tutte uguali, che occupavano tutta la larghezza del corridoio, così numerose da non contarle. Li fissavano con i loto occhi tutti uguali e tutti argentei, senza differenza tra iride, pupilla o sclera.

Erano comparse all'improvviso, dal fondo del corridoio. Erano donne alte circa due metri e mezzo, slanciate, leggiadre. Si muovevano sulla punta dei piedi e tenevano le braccia lungo i fianchi, un po' distanziate dal corpo, come delle ballerine classiche; non avevano vestiti ed erano interamente placcate d'argento, senza capelli, senza ombelico, senza capezzoli. 

Le Sentinelle D’Argento, modello ginoide.

Kaku tentò un passo indietro, e sbatté contro un'altra ginoide, uguale a quella che li aveva fermati, uguale alla cinquantina di ginoidi dietro di lei. «Siamo circondati.»

«Pane e volpe, stamattina?» sibilò Jabura.

Hattori si guardò intorno: non c'era spazio per spiccare il volo, non c'erano nascondigli. Il corridoio era interamente occupato da quelle strane creature, i robot dalle sembianze femminili di cui aveva parlato Vegapunk. Spiegò le ali, in difficoltà, e una miriade di paia di occhi d'argento seguirono il movimento delle sue penne. Sorridevano lievi, ma gli sguardi di vetro e il modo in cui si erano mosse all'unisono fecero pensare al piccione che era molto meglio rimanere sulla solida spalla di Rob Lucci, anche se questa si alzava e abbassava troppo rapidamente, tradendo una dolorosa difficoltà a respirare.

«…siamo della manutenzione.» disse il leader con molta calma, senza tradire la mancanza di fiato. 

Kaku scivolò in silenzio vicino a lui, Jabura e Kumadori si posizionarono dietro di loro, spalle contro spalle, guardando le ginoidi che li avevano accerchiati.

Lucci continuò per prendere tempo: «Siamo stati chiamati da Vegapunk. C'è una perdita d'acqua nel settore nord-ovest 234 scala C.»

La robot che aveva parlato guardò Lucci con aria vuota, e poi replicò: «Settore sconosciuto. Nessuna anomalia rilevata.»

Con uno scatto metallico, le ginoidi trasformarono le loro braccia in decine di mitragliatrici. 

«Kumadori.» disse semplicemente Lucci. 

Kumadori scomparve in un colpo di Soru. Jabura si fece schioccare le vertebre del forte collo.

La ginoide emise la sentenza: «Eliminare.»

«YOYOI!! 'L VOSTRO DESTINO 'N MILLE DOLCI NODI AVOLGEA… SHIGAN DEI CAPELLI D'AURA

 

~

 

Shanks schivò a mala pena il colpo partito letteralmente dai propri vestiti, una lama nera che aveva tentato di sventrarlo, mentre Benn scaricava le sue pistole contro il trono, dov'era assiso Im, non per colpire lui, ma per dare a Shanks quel mezzo secondo che gli serviva per contrattaccare.

«Gran dito in culo» disse il Vicecapitano.

Shanks aveva il fiatone e i sudori freddi, annuì con un ghigno. 

Beckman si scambiò di posto con il Capitano, per respingere un'altra bordata di Im.

Il suo potere era strano, inafferrabile, indefinibile. Lunghe ombre nere, dense e fredde, si materializzavano dalle fessure delle lastre del pavimento, dai torcigli dei candelabri dorati, dalle else rugginose delle spade conficcate al suolo, persino da sotto il mantello nero di Shanks, o dalle fondine di Benn.

 

"Qual è il tuo incubo peggiore?"

La voce di Mihawk era profonda e cupa, si abbracciava con la morbida semioscurità della sua biblioteca.

Shanks non aveva risposto subito. Aveva roteato il bicchiere tra le dita, osservando il vino ondeggiare. "Vedere tutte le persone care che…"

"Che stronzata, dico seriamente" lo aveva strigliato lo spadaccino migliore del mondo fino a prova contraria. Shanks gli faceva saltare la mosca al naso da vent’anni. No, di più. Che persona irritante.

Erano nel castello di Kuraigana, il Frutti del Diavolo avevano fatto precipitare il mondo nella follia collettiva circa una settimana prima.

Su quell'isola, dove l'unica che aveva quel tipo di poteri era Perona, i danni erano limitati e, se rimaneva chiusa nella sua camera in fondo al corridoio, all'ultimo piano, se era nutrita e se aveva qualcosa con cui impegnarsi, si aveva quasi l'impressione che non fosse cambiato niente.

Shanks era arrivato quella mattina, di gran carriera, e aveva chiesto di parlare con il padrone di casa. Mihawk, dopo un piccolissimo incidente occorso al Rosso con i fantasmini della Ghost Princess, l'aveva fatto accomodare in biblioteca, aveva accettato il vino portato in pegno dal pirata, e avevano cominciato a parlare fitto circa un piano, architettato da Shanks e da Rayleigh, che forse avrebbe salvato il mondo.

E poi, naturalmente, la conversazione a lume di candela era virata sul trono vuoto, su Marijoa, su Im.

"Qual è il tuo incubo peggiore?" aveva chiesto Mihawk, rilassando il capo contro lo schienale della poltrona di velluto rosso.

Shanks aveva cercato ancora qualcosa da dire, ma Mihawk aveva scosso la testa e infine aveva detto: "Qualsiasi sia il tuo incubo, Im lo conosce. Im lo sa. Il suo potere fa esattamente questo."

"Materializza gli incubi?" aveva azzardato Shanks.

"Fammi finire." aveva tuonato lo spadaccino. "Il suo potere è l'oscurità. È basata sul concetto… l'oscurità che hai dentro, l'oscurità che temi, l'oscurità di qualcosa che non cambia mai."

"E come combatte?" aveva chiesto ancora Shanks. "Mi farà fare quelle cose tipo viaggio nella mente, in cui sconfiggere i miei incubi?"

"Saresti fin troppo fortunato a batterti contro una saponetta." lo stilettò, squadrandolo. "Farà provare paura al tuo corpo. Rimorso, terrore, panico. E godrà nel vederti contorcere a terra. Oppure cercherà di materializzare l'oscurità in lame… spunteranno da ogni angolo. Preparati. L'Ambizione fa poco. Ora ti spiego meglio…"


 

«Forse non avete capito bene.» li arringò il regnante più importante del mondo. «Ma potete al massimo perdere tempo, qui… non siete in grado di sconfiggermi.»

Ma non ebbe neppure il tempo di finire di parlare, che un colpo della Griphon si abbatté sul pavimento di marmo, lo spaccò facendo tremare l'intero castello, e si allargò una crepa che si arrampicò fin sul trono.

«Cosa fa il tuo potere, Im? com'è che dicevi sempre…? lunga vita agli incubi?»

«Noster est mundo malorum!» lo corresse Im. «Ma certo la mia persona non può pretendere che voi» calò il disprezzo su quel "voi", e impetuosamente scosse i capelli biondi «conosciate le lingue antiche»

«No, se continui a far fuori chi le studia» tuonò Benn. Si fermò, indietreggiò bruscamente.

«Benn!» gridò Shanks. Si parò davanti al secondo e respinse una lama nera uscita dalla parete con la sua Griphon, mentre Beckmann vomitava sul pavimento di marmo. Un colpo sorprese il capitano, trapassò la sua guardia, lui saltò di lato, ma una lingua rovente nera e profonda lo prese al fianco, bruciando la camicia e la pelle.

Strinse i denti, imponendosi di non pensarci. Guardò Benn. «Non lo diciamo a nessuno, che a te la strizza prende lo stomaco, ok?» ansimò il capitano, cercando di rimanere allegro.

«Chiamamela strizza» borbottò Benn. Sparò in direzione di altre grosse lame di oscurità, facendone deviare la traiettoria e proteggendo il capitano. «Ce la fai a combattere?»

«È solo un graffio.» 

«Adesso basta, basta, basta.» Im si alzò, spazientito, mentre dal pavimento uscirono altre mille, cento lame, che bollenti circondarono Benn e Shanks. «Ne ho abbastanza di questo.» decretò. E, mentre Shanks si lanciava all'inseguimento, semplicemente sparì.

Benn si asciugò il sudore, mentre Shanks strappò l'orlo del mantello e lo usò per tamponare la ferita al fianco, che fumava e bruciava come un tizzone.

Il pavimento cominciò a tremare, le spade conficcate nel terreno tintinnarono tra di loro, alcune caddero per la scossa, i vetri alle finestre vibravano.

Le migliaia di ombre delle migliaia di spade che erano infisse nel pavimento ribollirono, si allargarono come olio, si fusero, divennero un lago di ombra ai piedi dei due pirati, che indietreggiarono.

Sorse dall'oscurità una foresta di mani, che afferrarono le antiche spade dalle else, le estrassero dal pavimento, e poi crebbero ancora, emersero dal pavimento, superarono in altezza i due pirati, e infine si schierarono davanti a loro.

Erano migliaia. Cavalieri oscuri, in armatura scintillante, mantelli che ondeggiavano a un vento che non esisteva, vessilli macchiati del sangue di antiche battaglie. Un elmo inconfondibile, a forma di luna.

«I Cavalieri degli Dei.» mormorò Shanks. «Non ci voleva.»

 

~

 

«Miseriaccia.» disse Kaku. Lucci gli tese una mano e Kaku la usò per tirarsi su. Gli ultimi colpi decisivi li aveva dati in scivolata, passando tra le luccicanti e affusolate gambe delle Sentinelle d’Argento, per poi falciarle tutte in un colpo solo con il Rankyaku più potente che poteva, staccando loro le gambe e lasciare che fosse Kumadori a finirle, con una precisa e spietata decapitazione.

«Di che cazzo erano fatte?» Jabura sputò addosso ai rottami delle ginoidi d'argento. Un esercito di donne meccaniche tutte costruite in serie, fortissime quasi quanto il suo Tekkai e sicuramente con una qualche diavoleria che le faceva rigenerare a ogni colpo… persino gli Shigan erano quasi inutili, e la superiorità numerica le rendeva una bella rottura di coglioni.

Ma poi avevano iniziato a staccare loro le braccia e le teste, come dei demoni… e quello era evidentemente il limite della loro rigenerazione.

«Yoyoi, che inverosimile crivello per noi assassini… come si uccide una creatura che non è viva?»

«Strappandole gli arti.» rispose Jabura, grattandosi la testa con un braccio lucente tenuto dal gomito. Poi lo gettò via nel mucchio.

«Sei stato tu a trovare il limite alla loro rigenerazione, ma non montarti la testa. Sono stato io a distruggerle.» lo sferzò Lucci, in evidente affanno, ma Jabura stava palleggiando con il piede una testa.

I quattro agenti erano in piedi nel corridoio che stavano attraversando. Sembravano naufraghi in un mare di pezzi argentei e scintillanti di robot, che ora giacevano ai loro piedi, inerti e ancora debolmente frizzanti di scintille dovute a qualche cortocircuito.

Lucci si appoggiò a una parete e scivolò lentamente a terra.

Jabura si girò verso di lui giusto in tempo, lo vide più bianco del pavimento e in un istante lo resse a sé per evitargli la caduta. Non respirava, Hattori cercava di fargli aria con le ali, allarmato. Jabura assecondò la gravità fino a farlo sedere per terra, e tenendogli un braccio dietro le spalle per sorreggerlo.

«Fammi passare, togliti.» esclamò Kaku, scansando Jabura e conficcando una siringa nel collo di Lucci. Lo stantuffo andò giù, e il ragazzo si accovacciò accanto al boss. Gli mise le dita sul collo e sul torace, come gli aveva insegnato la dottoressa Kureha, per controllare che la respirazione ripartisse.

In pochi secondi l'uomo prese una boccata d'aria, e riprese a respirare normalmente.

Kaku sospirò di sollievo. 

«Cazzo, Lucci.» mormorò Jabura, facendo appoggiare Lucci al muro e allontanandosi di qualche centimetro per lasciargli spazio. «Ti hanno colpito?»

Lucci scosse la testa. Kaku rispose per lui: «No, ogni tanto ha qualche crisi. Forse è stato il movimento?»

Lucci fece cenno di sì con la testa.

«Ce la fai a rialzarti?» chiese Kaku.

Lucci si resse alla mano che il collega più giovane gli offriva e mormorò barcollando: «Muoviamoci»

Kaku ricontrollò la vivre-card e sbottò: «Accidenti, la vivre-card sembra impazzita.» Gli altri due uomini accorsero a controllare il cartiglio che aveva in mano: balzava di qui e di lì sul palmo del ragazzo, come un pop-corn, ma senza mai cadere.
«Forse la roba che tengono qui la fa incasinare…» pensò il Lupo.

«Interferenze.» disse meglio Lucci.

«Sì, sì, quello…» bofonchiò Jabura senza dargli importanza.

«Può essere anche perché è un labirinto, e non riesce a seguire una rotta dritta come accadrebbe in mare.» ragionò Kaku. «Comunque sia, non possiamo fare affidamento su di lei come pensavamo.»

Kumadori impallidì sotto il cerone: «Yoyoi… miserere, noi tapini… noi perduti in questo labirinto, in questo profondo mare, senza un filo che ci conduca nei familiari lidi. Come faremo, yoooyoooi, dove guarderemo quando tutte le nostre speranze nella notte abissale saranno spente?»

«Continuiamo a cercare e cerchiamo di non perdere l'orientamento. È l'unica soluzione.» disse pratico Kaku.

I corridoi della struttura sembravano bui, ma era bastato salire al piano appena superiore per trovarsi illuminati da neon installati nel pavimento, e che si accendevano a ogni passo a mano a mano che avanzavano. Bastava un passo, perché l'intero corridoio davanti a loro si illuminasse di azzurro, mentre alle loro spalle le luci, gradualmente, si spegnevano: era come cambiato l'ambiente, se prima erano in un piano sotterraneo, dove non veniva quasi mai nessuno, adesso dovevano trovarsi nel vero e proprio laboratorio.

«YOOOYOOOOI IN TAL MODO PERDIAMO L'EFFETTO SORPRESA!!!»

«E capirai.» borbottò Jabura. «Vuoi abbassare quella cazzo di voce??»

Le pareti erano metalliche e fredde. Ogni tanto si apriva una porta automatica a vetri senza nessun tipo di serratura, che conduceva in altri vasti ambienti a volte pieni di enormi librerie, altre volte pieni di gabbie con piccoli animali, altre volte pieni di ampolle e bottiglie piene di liquidi di varia natura… gli agenti preferirono non indugiarvi: la missione era portare Vegapunk fuori. Tutto il resto, a meno che non tentasse di ucciderli, non doveva interessarli.

Kumadori, seguito da Jabura, aveva provato ad affacciarsi in uno di questi laboratori, ma la vista di un'intera parete di ampolle con dentro quelli che sembravano dei feti animali deformi li convinse che non volevano saperne proprio niente ed era meglio per una volta dar retta a Lucci, che li spronava a non distrarsi.

«Ormai manca poco.» disse Kaku salendo delle scale «La vivre-card sembra puntare verso l'alto.»

«Però non è affidabile…» mormorò Lucci, guardingo.

Arrivarono su un pianerottolo e osservarono la vivre-card. Si muoveva come un'anguilla.

«Tende verso l'alto.» osservò Jabura. 

«Yoyoi, dove sono le scale? Forse qui?» disse Kumadori affacciandosi alla tromba delle scale e volgendosi verso il soffitto.

I quattro uomini imboccarono un corridoio e all'improvviso Hattori cambiò strada, staccandosi dalle costole di Lucci e fermandosi davanti a una delle porte a vetri che però non si aprì davanti al forsennato sbattere delle sue ali.

Immediatamente Lucci fu vicino a lui. «Che succede?» chiese, serissimo.

Forse avevano calpestato un pulsante nascosto, forse c’era un sensore di qualche genere, fatto sta che la porta a vetri si aprì docilmente davanti a Lucci e si accesero i neon sul pavimento della stanza e sul soffitto, rivelando una stanza vuota con monitor spenti e neri sulla parete di fondo, e una gabbia proprio nel mezzo con un uomo dentro. Era nudo, se non si contava una stupida camiciola da ospedale, ed era incazzato nero.

«…Rob Lucci? che cazzo ci fai qui?»

Lucci assottigliò lo sguardo, freddo, senza scomporsi. «Potrei dire lo stesso.»

«Fammi uscire. È un ordine.» ringhiò il prigioniero.

Lucci rispose sprezzante: «Non prendo ordini dalla Marina.»

Jabura, Kumadori e Kaku si affacciarono sullo stanzone e lo riconobbero: «L'Ammiraglio Sakazuki?» mormorò Kaku stranito.

 

~

 

«Im è ancora qui?» disse Benn, respingendo un drappello di cavalieri con una sventagliata di proiettili. «Non è nemmeno nelle stanze accanto.»

«Non lo avverto nemmeno io.» sibilò Shanks distruggendo le armature di tre Cavalieri degli Dei, mentre altri cinque lo attaccarono con le alabarde. «Drakul me l'aveva detto, che l'Ambizione era quasi inutile.»

I due uomini si misero spalla a spalla, e con lo sguardo raggiunsero la porta, dal lato opposto della stanza. «Li distraggo, e tu la raggiungi.» propose Shanks.

Benn ridacchiò. «Ci hai provato. Adesso impegnati, altrimenti cosa raccontiamo a Bibi?»

Shanks roteò su se stesso, liberando un'onda di Ambizione che atterrò soltanto la prima fila di Cavalieri; quelli dietro incespicarono, ma poi ripresero a marciare contro i due pirati.

Una voce risuonò tra le pareti della sala del trono: «Pirati, stirpe della D, scienziati… invenzioni inutilmente complicate per un mondo semplice. Vi ringrazio per avermi portato qui, nella mia residenza, alla mia sontuosa presenza, l'ultimo tassello per evocare Uranos.» 

Un bagliore illuminò gli occhi di Shanks.

Una vetrata si infranse in una cascata di vetri, l'aria dell'alba entrò tumultuosa e spense i quattro bracieri, spargendo nella stanza un acre odore di incensi, mentre la luce pallida del nuovo giorno illuminò e fece brillare il marmo bagnato del sangue dei pirati.

E, in piedi a gambe larga, con la oscura Yoru sguainata, c'era Drakul Mihawk.

 

"Ma se si tratta di un Frutto del Diavolo, com'è possibile che siamo ancora qui a parlarne?" aveva avversato il Rosso.

Drakul Mihawk aveva avuto un sussulto quasi ilare. "Perché non è un Frutto del Diavolo. È un potere tutto suo. Te l'ho detto, non è un essere umano."

"E nemmeno tu." aveva conclusoShanks, osservando il compagno bere vino rosso dal calice, come al solito.

"Nemmeno io." aveva centellinato Mihawk. "Proprio per questo sarò io a mettere la parola fine a questa follia."

 

~

 

«Andiamo, Lucci ha detto di raggiungerlo. C'è un'altra uscita più vicina.» disse Jabura. 

«Ma… l'unica uscita era questa, no?» protestò Califa cercando di distogliere lo sguardo dalle cosce poderose, fasciate da pantaloni di pelle attillatissimi e a vita bassissima, che lasciavano intravedere il fitto vello del basso ventre. Che molestia! 

Jabura si irritò: «E Lucci mi avrebbe mandato fin qui? Non perdiamo tempo.»

«Va bene, agli ordini…» rispose ancora l'agente in capo, seccata e sospettosa.

«Chapapa, come ti sei vestito?» lo stuzzicò Fukuro. «Hai perso una scommessa?» azzardò, seguendo con un ditino il movimento che faceva la grossa catena che gli pendeva dal collare e che lambiva la zip del pantalone aderente e lucido. 

«Non è il momento per delle scommesse.» muggì Blueno, severo. 

«Non ho fatto nessuna scommessa, idioti.»

«Indossavi quella roba anche quand… cioè… prima?» balbettò Lilian, senza riuscire a staccare gli occhi dall'abbigliamento di Jabura, con quelle cinghie con le borchie che gli strizzavano i pettorali muscolosi.

Jabura asserì con sicurezza: «Sì.»

«Ah…» mormorò Lilian cogitabonda. «Ok, ehm… bene.»

Jabura la ignorò e si rivolse a Califa: «Forza, tornate indietro.»

Blueno si mise subito in marcia, ma la dottoressa Kureha protestò: «Piano, piano… perché dobbiamo tornare indietro?»

«Già, cos'è successo?» rispose Califa, invece di obbedire all'ordine del collega.

«Siete stati attaccati, qui è pericoloso.» spiegò Jabura.

«Chapapapa, ma il piano era deciso, quindi qualcosa è andato storto?» propose Fukuro.

«Ve lo spiego strada facendo, andiamo.» ovviò Jabura, spingendo in avanti Califa e Fukuro che, sospinti, fecero qualche passo in avanti. 

«Andiamo, forza. Evidentemente hanno bisogno di rinforzi.» muggì Blueno.

Jabura, camminando dietro di loro, raccontò: «Eravamo quasi arrivati al laboratorio. Poi abbiamo cominciato a sentire dei rumori da dietro una porta, e Kaku è andato a vedere in questa stanza. Non usciva, così Lucci gli è andato dietro.»

«E poi?» incalzò Lilian. 

«E poi ci siamo resi conto che era una trappola. Shigan

Jabura sparì dalla coda del gruppo e ricomparve alle spalle di Califa, le torse un polso nella stretta possente della sua sinistra, e immerse l'artiglio della mano destra fra le sue scapole.

Califa si divincolò, tirò un poderoso calcio al collega e lo spinse via irosa. 

Jabura non si lasciò sbilanciare, e lanciò un fortissimo Rankyaku verso Califa, che tagliò l'aria e poi si infranse contro la parete opposta con un boato che scosse la terra.

Califa si spostò giusto in tempo con il Kami-e, ma proprio dove si era spostata, trovò la figura imponente di Jabura e gli finì letteralmente tra le braccia. 

Jabura ghignò, con un braccio le serrò il collo, e con tre dita trapassò il suo Tekkai poco sotto lo sterno, penetrandole l'addome e infine gettandola a terra nel suo stesso sangue.

«Tutto qui?» ghignò soddisfatto, leccando il sangue dalla mano. «Adesso tocca a voi.»

E così dicendo si fiondò su Blueno.

«Non so che accidenti sta succedendo…» mormorò l'agente. «Ma hai perso l'effetto sorpresa.»

«Come se mi servisse.» rispose Jabura, sparendo in un colpo di Soru e ricomparendo al di sopra di Blueno, cadendogli addosso pesantemente sfruttando la gravità per atterrarlo. «Rankiaku Galvani» tuonò il Lupo, lanciando una falciata con le gambe che investì in pieno Blueno, e che sprigionò scintille elettriche che si espansero sul pavimento per alcuni metri, facendo indietreggiare Fukuro, Lilian e la dottoressa Kureha.

«Chapapa ma che attacco è?» mormorò Fukuro spaesato.

Dal polverone, Jabura emerse ridendo, e trascinando Blueno privo di sensi per il bavero del giaccone.

«Chapapa! In guardia! Ma ti avverto, io sono più riposato di Califa e di Blueno! Non puoi sconfiggermi facilmente!» disse Fukuro combattivo, stringendo i pugni e saltellando sul posto.

Kureha corse in direzione di Califa, abbandonata contro il muro come una bambola rotta.

«Ehi, ehi, ragazza, forza. Mi senti?» disse la dottoressa. Mise due dita sotto il collo di Califa, il cuore batteva ancora. Si tolse lo zaino, ci frugò dentro, bisognava arrestare i fiotti di sangue che uscivano dalla ferita sotto il petto e quella che c'era dietro le scapole. Tese un orecchio verso lo scontro in atto: quel Fukuro era veloce, ma quanto avrebbe resistito contro Jabura? Lilian corse verso di lei, diafana. 

«Jabura sta…» mormorò spaesata.

«Non farlo avvicinare.» ordinò dura la dottoressa. «Finito Fukuro passerà a noi.»

«Non è in sé! dev'essere successo qualcosa!!» urlò Lilian.

Kureha estrasse la pistola dalla fondina che Lilian teneva al fianco e gliela piazzò in mano di malagrazia. «E TU SPARA ALLE GAMBE!»

Lilian ringhiò e buttò a terra il giaccone. «Fanculo, Jabura.»

Corse dal lato opposto del corridoio e mirò contro Jabura, che combatteva ancora contro Fukuro.

Fukuro era messo male, considerò Lilian. Vediamo di non dargli il colpo di grazia. Prese la mira e sparò con sicurezza verso le gambe di Jabura.

Il colpo rimbombò nel corridoio, Jabura si fermò, si girò verso Lilian e rise: «Ah, eccoti. Mancavi proprio tu alla festa.»

"Non l'ho colpito, cazzo." pensò furiosa la ragazza correndo dall'altro lato del tunnel, cercando di allontanarsi il più possibile. "Ma ne ero sicura…"

Fukuro approfittò della distrazione: «Rankiaku del Gufo… piuma d'argento!» dichiarò caricando il colpo su Jabura, alle spalle.

Ma Jabura si girò all'ultimo attimo e rispose sprezzante: «Jus-Shigan», e Fukuro venne travolto dalla gragnola di colpi, e rovinò a terra a pochi metri da Blueno.

Lilian sussultò, e si allontanò di qualche metro cercando di capire cosa stesse succedendo. Gli sparò una sventagliata di colpi, ma Jabura riuscì a saltare evitando miracolosamente la scarica di piombo, arrivò davanti alla ragazza e, famelico, rise e dichiarò: «Mi piaci quando ti scaldi così.»

La spinse contro il muro mentre Lilian estraeva il secondo caricatore, la inchiodò contro a parete facendole sbattere pesantemente la testa contro le pietre fredde, e serrò la presa attorno alla sua gola con destra, sollevandola da terra. 

Lili cercò di combattere, graffiò il braccio dell'uomo, poi chiuse gli occhi, l'aria sparì dalla sua bocca, e gli occhi si chiusero sull'immagine di Jabura famelico e trionfante. 

Lei strinse i denti e mosse la bocca per dire qualcosa. Qualsiasi cosa cercasse di dire, la ripeté almeno due volte, tanto che all'uomo venne il dubbio che stesse dicendo qualcosa di importante.

«Che vuoi, ora?» la apostrofò l’uomo. Aprì di pochi millimetri le dita, un filo d'aria arrivò a sfiorare i polmoni della ragazza. Era troppo poco per combattere. Ma abbastanza per sussurrare: «…come si… chiama… bar… dove andavamo… sull'isola inver…?»

«Che puttanate.» Jabura tornò a stringere con rabbia, soffocandola senza pietà. «Sei solo una perdita di tempo.» sputò fuori, mentre la ragazza smetteva di muoversi.

Poi, all'improvviso: BANG!

Jabura e Lilian si guardarono negli occhi, lui sorpreso, lei ghignava.

Proprio sotto la cinghia che stringeva i pettorali, c'era un foro nero e odore di bruciato. Usciva un fiotto di sangue denso a ogni battito cardiaco. 

E la pistola che Lilian aveva in mano fumava.

«Non basta un proiettile, per battere il Tekkai di Jabura.» sussurrò spavalda. Ma forse la sua ferita era troppo grave e aveva le allucinazioni: vide il foro rimarginarsi, e chiudersi, in pochi istanti.

Jabura alzò una mano artigliata e ringhiò: «Shigan»

«RANKYAKU!»

Lili cadde a terra nel suo sangue, Jabura venne scaraventato lontano, e una voce femminile rimbombò nel buio del corridoio: «Queste sono… decisamente molestie sessuali.»

 


 

Dietro le quinte...

Eccole!! finalmente sono arrivate!!! sono le BBBBOOOTTEEEE!!!!

Finalmente dei personaggi di One Piece che fanno il loro santo dovere: si picchiano! Spero che il capitolo vi sia piaciuto! L'attacco di Kumadori riprende il verso di Francesco Petrarca "Erano i capei d’oro a l’aura sparsi / che ’n mille dolci nodi gli avolgea", del suo Canzoniere, mentre l'attacco di Jabura prende il nome da Luigi Galvani, fisico italiano del Settecento. Perché Jabura (Jabura?) usa un attacco basato su... uno scienziato?

E Im??? senza fare spoiler, spero vi sia piaciuto! è ancora un personaggio molto misterioso! Shanks e Benn come sono andati? sono passati anni da quando scrivevo di loro, sono arrugginita! 

Spero di avervi lasciati abbastanza con il fiato sospeso... la prossima settimana non avrò il pc sotto mano e non potrò pubblicare :( appuntamento per mercoledì 21 giugno con il PENULTIMO capitolo, intitolato: "Alba di sangue"! 

Grazie a tutti i lettori e un grazie ancor più grande ai recensori ♥

A presto,

 

Yellow Canadair

 

  
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