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Autore: Puffardella    08/06/2023    1 recensioni
Eilish è una principessa caledone dal temperamento selvatico e ribelle, con la spiccata capacità di ascoltare l’ancestrale voce della foresta della sua amata terra.
Chrigel è un guerriero forte e indomito. Unico figlio del re dei Germani, ha due sole aspirazioni: la caccia e la guerra.
Lucio è un giovane e ambizioso legionario in istanza nella Britannia del nord, al confine con la Caledonia. Ama il potere sopra ogni altra cosa ed è intenzionato a tutto pur di raggiungerlo.
I loro destini si incroceranno in un crescendo di situazioni che li spingerà verso l’inevitabile, cambiandoli per sempre.
E non solo loro...
Genere: Guerra, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità greco/romana
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KALEVA
Ripercorsero insieme il tratto di strada fino alla cascata, poi Eirikr proseguì verso la fortezza e Kaleva in direzione delle stalle, dove sperava di trovarvi ancora Adrian. E infatti il Britanno era lì, dentro il recinto, intento a strigliare uno stallone bianco come la neve. Lo stesso faceva Kayden con uno stallone dal manto lucido color rosso cupo. Oltre a loro, non c’era nessun altro.
Adrian sollevò gli occhi su di lui mentre lo raggiungeva. Lo salutò con una smorfia, scuotendo il capo.
«Dove sono tutti gli altri?» lo anticipò Kaleva, intuendo che il Britanno non fosse particolarmente felice di vederlo per via della discussione che avevano avuto quella mattina.
«Chi a darsi una ripulita nel fiume, chi a cavalcare… A proposito di cavalli, Eirikr ti sta cercando.»
Kaleva sedette sulla staccionata. «Sì, lo so, ci siamo appena salutati.»
«E…?»
«“E” cosa?»
«E, quindi, glielo hai detto che non intendi restare? Perché i cavalli che ci hanno messo a disposizione sono undici.»
Kaleva sbuffò sonoramente. Nutriva per Adrian un profondo rispetto e, tuttavia, quel ragazzo dai capelli neri come il carbone riusciva ad irritarlo come pochi altri.
«Gli darò la mia risposta domattina» rispose asciutto.
Nonostante avesse cercato di mantenere un tono neutro, Adrian, in qualche modo, sembrò percepire i suoi dubbi, perché strepitò: «Per la miseria, non dirmi che hai cambiato nuovamente idea!»
«Non ho cambiato idea, ho solo preso del tempo. Hanno mandato le loro fottute navi per soccorrermi, hanno corso dei rischi, un minimo di rispetto se lo meritano, no?»
«Ma falla finita, ragazzino!» esclamò Adrian gettando il panno con il quale stava strigliando il cavallo in un secchio colmo d’acqua.
Kaleva saltò giù dalla staccionata e gli si avvicinò a muso duro.
«Continui a darmi del ragazzino ma tu non sei poi molto più vecchio di me, Britanno!»
«Non è una questione di età, ma di cervello, e tu continui a comportarti come un moccioso piagnucoloso e viziato» controbatté Adrian chinandosi su di lui fino a toccare la fronte con la sua.
Kaleva stava per ribattere quando Kayden, in modo brusco, disse: «Zitti, tutti e due!»
Sia lui che Adrian si zittirono all’istante e si voltarono a guardarlo. Kayden aveva le sopracciglia aggrottate, concentrato ad ascoltare qualcosa che solo lui, tuttavia, sembrava in grado di udire.
«Li sentite anche voi?» chiese dopo un po’. Adrian fece cenno di no con la testa, ma a Kaleva parve di udire un debole latrato in lontananza. Per qualche strana ragione gli venne in mente Haki e i peli delle braccia gli si drizzarono. Sollevò lo sguardo sul giovane druido. Egli teneva gli occhi chiusi e sembrava essere caduto in una specie di profonda riflessione.
«Dannazione, Kayden, lo stai facendo di nuovo! Si può sapere di che parli? Io non sento niente!» sbraitò Adrian a quel punto, ma sia Kayden che Kaleva lo ignorarono. L’ululato cresceva di intensità e di potenza ad ogni istante che passava e Kaleva si girò su se stesso guardandosi intorno, preoccupato e disorientato, nel tentativo di capire cosa stesse succedendo, se fossero o meno in pericolo. Sentiva che stava per accadere qualcosa, ma non sapeva cosa. Poi, ad un certo punto, Kayden aprì nuovamente gli occhi e li puntò su di lui. E quando iniziò a muoversi nella sua direzione, a Kaleva, inspiegabilmente, schizzò il cuore in gola. Kayden non aveva un aspetto minaccioso, eppure ne fu spaventato.
«Stammi lontano, Kayden…» lo intimò, ritraendosi da lui di qualche passo.
«Mi dispiace, Kaleva, ma devi guardare» proferì solennemente Kayden. Non traspariva alcuna emozione dalla sua voce, né dal suo sguardo. Aveva un compito da svolgere ed era determinato a portarlo a termine, e questo era tutto. Il druido sollevò una mano sulla sua fronte e Kaleva non fu in grado di sottrarsi al suo tocco. Udì appena la voce di Adrian inveire contro il fratello mentre gli chiedeva cosa accidenti stesse facendo, poi i suoni intorno a lui si smorzarono. Tutti meno gli ululati, che ora sembravano provenire da più lupi.
All’improvviso, Kaleva venne proiettato con prepotenza in un altro luogo.
Vide un trono d’oro posto sotto un colossale porticato sostenuto da gigantesche colonne. Su di esso era seduto un uomo di mezza età, vestito di bianco e di porpora. Sulla sua fronte portava una corona di foglie di alloro intrecciate, interamente in oro. Accanto a lui, in piedi alla sua destra, c’era un giovane dalla pelle chiara e i capelli biondi, di una bellezza statuaria. Se ne stava lì, immobile, ma nello sguardo si agitavano un turbinio di emozioni che lo rendevano infinitamente triste. Alle loro spalle, vi erano soldati e anche anziani vestiti con tuniche di un bianco sgargiante.
Tutti loro rivolgevano lo sguardo verso un punto preciso alle sue spalle. Kaleva seguì istintivamente i loro sguardi e vide il padre legato con pesanti catene, in ginocchio, davanti ad un soldato romano che tentava di soffocarlo stringendogli il collo con un braccio poderoso, e le viscere gli si attorcigliarono per lo sgomento.
«Padre!» gridò. Si gettò sull’aggressore di suo padre, e quando si rese conto dell’inutilità del gesto, dell’impossibilità di intervenire materialmente, si accasciò al suolo e continuò a gridare il suo nome a pieni polmoni, nella speranza che lo sentisse in qualche modo, che percepisse la sua presenza e trovasse la forza di reagire, di liberarsi dalla stretta dell’uomo e riuscisse a capovolgere la drammatica situazione.
L’Orso, tuttavia, non mostrò in alcun modo di reagire. Ad un certo punto, i suoi occhi si rovesciarono all’indietro e Kaleva sollevò uno sguardo furibondo verso l’uomo che lo stava uccidendo. Riconobbe in lui il generale che tante volte, durante le battaglie, aveva visto da lontano. Aveva il naso diritto e leggermente pronunciato, il mento volitivo e capelli neri come il cielo limpido di notte. La benda che portava sull’occhio gli copriva parzialmente il volto. Ciononostante, ora cha aveva modo di vederlo da vicino, si accorse che aveva un aspetto dannatamente familiare. Kaleva si sentì invadere da un nuovo e più violento sentimento di rabbia. Avrebbe voluto afferrare quel maledetto Romano, strapparlo di dosso al padre e scaraventarlo lontano, invece non poté fare altro che assistere impotente a quel supplizio.
Intanto, i lupi continuavano a ululare. Come se fossero stati in grado di udirli solo in quel momento, tutti i presenti iniziarono a spaventarsi. Perfino l’uomo seduto sul trono, l’imperatore, si alzò in piedi e si guardò intorno, terrorizzato. All’improvviso, egli fece un cenno al generale dicendo qualcosa. A Kaleva non fu concesso di udire le sue parole, ma capì, dal linguaggio del suo corpo, che stesse ordinando al generale di interrompere l’esecuzione. Si voltò nuovamente verso il padre, mentre il cuore gli si riempiva di speranza. Vide la faccia del generale distorcersi ulteriormente di rabbia. Egli impiegò un secondo di troppo ad ubbidire al suo imperatore, lo fece solo dopo essersi ulteriormente accanito contro il suo nemico, serrandogli il collo con tanta ferocia che il suo volto assunse un colore bluastro. Quando lasciò andare la sua vittima, lo fece emettendo un lungo verso rancoroso.
Il tempo sembrò dilatarsi e scorrere più lentamente. Suo padre rimase per qualche secondo immobile, in ginocchio, ma poi il corpo cadde in avanti di peso e assunse una posa innaturale, quasi grottesca. Kaleva attese a lungo un segno, anche il più piccolo movimento, che indicasse che suo padre fosse ancora vivo, ma ciò non avvenne. Infine fu costretto ad accettare la dolorosa realtà dei fatti: era finita.
Uscì dalla visione nel preciso istante in cui acquisiva quella terribile consapevolezza, mentre l’ululato dei lupi si faceva più cupo e, per certi versi, triste.
Kaleva si sentiva stordito e confuso. Cercò di allontanarsi da Kayden, di scrollarsi oltre a lui anche la brutale e spaventosa visione che aveva appena avuto, ma questi lo afferrò ad un braccio con la mano libera e lo costrinse a subire ancora il suo contatto.
«Chiudi gli occhi» lo esortò, usando stavolta un tono compassionevole.
«No…»
«Lo sentirai più vicino se terrai gli occhi chiusi. Fallo, Kaleva, fidati di me» ribadì il giovane druido, e stavolta Kaleva si lasciò convincere.
Dopo un breve istante, Kayden gli mise una mano sulla nuca e appoggiò la fronte alla sua, e Kaleva avvertì, attraverso quel gesto così intimo e familiare, la presenza del padre.
«Sono orgoglioso di te, Kaleva. Lo sono sempre stato» udì Kayden dire, ma non ebbe dubbi che a parlargli fosse suo padre. Non sapeva come fosse possibile, non capiva in quale modo Kayden lo stesse rendendo possibile, ma non dubitava affatto che lì, accanto a lui, in quel momento, ci fosse suo padre. Si sentì sopraffare da un’emozione violenta e dolorosa, e iniziò a singhiozzare violentemente.
«Padre… Mi dispiace… Mi dispiace di averti detto quelle cose all’assemblea. Mi dispiace di averti dato del codardo… Non lo pensavo davvero, non l’ho mai pensato… Non lasciarmi, ti prego, ho bisogno di te…»
Kayden gli afferrò saldamente il volto con entrambe le mani, mentre continuava a tenere schiacciata la fronte alla sua, e di nuovo Kaleva non ebbe dubbi che, in realtà, a tenerlo stretto fosse suo padre.
«Tu sarai un re straordinario, Kaleva. Il migliore che le Terra dei Fiordi abbia mai avuto» disse. Indugiò ancora un istante in quella posizione, poi allentò la presa sul suo volto e Kaleva comprese che stava per lasciarlo. Gemette disperato e costrinse Kayden a tenere le mani sul suo volto, nel tentativo di ritardare quel momento.
«Padre, ti prego, non andartene… non lasciarmi…» lo supplicò di nuovo, ma non ricevette risposta. Nel comprendere che se ne era andato definitivamente, si staccò da Kayden, si accasciò al suolo ed emise un lungo, lacerante grido che squarciò il silenzio. Quando non ebbe più aria nei polmoni se li riempì di nuovo ed urlò ancora, e ancora, mentre i lupi urlavano insieme a lui.

ADRIAN
Adrian era rimasto impotente ad osservare come semplice spettatore quanto era accaduto. Suo fratello aveva avuto una visione e l’aveva condivisa con Kaleva. Aveva sentito borbottare sia dall’uno che dall’altro parole incomprensibili, poi Kayden aveva lasciato andare il principe, che si era accasciato al suolo urlando come un forsennato. Kayden aveva vacillato, ma si era prontamente appoggiato al tronco di un albero per non perdere l’equilibrio.
Adrian rimase un istante interdetto, indeciso a chi dei due avvicinarsi per primo. Infine stabilì che era meglio chiedere al fratello cosa fosse accaduto, mentre Kaleva finiva di sfogare il suo dolore, o la sua rabbia, o qualsiasi cosa provasse in quel momento.
«Kayden, per la Dea Madre, ma che accidenti sta succedendo?» gli domandò afferrandolo per le spalle.
Kayden, tuttavia, era troppo provato per riuscire a rispondergli. L’unica cosa che riuscì a fare fu un cenno di dissenso con la testa, per fargli comprendere che ciò che lui e Kaleva avevano visto nella visione era qualcosa di terribilmente drammatico.
«Ti prego, dimmi che non si tratta del re…» disse Adrian in tono implorante. E quando Kayden annuì lentamente con un’espressione dispiaciuta sul volto, sentì tutto il suo essere sciogliersi in un turbamento profondo. Il suo eroe era morto e questa era una cosa difficile da accettare.
Si voltò verso Kaleva, che continuava a piangere e a urlare disperato, inginocchiato al suolo, e provò un’infinita pena per lui. Se avesse potuto farsi carico delle sue afflizioni, lo avrebbe fatto senza esitazioni.
Gli andò vicino e gli mise una mano sulla spalla, per mostrargli tutta la sua comprensione. Ma Kaleva reagì a quel tocco in maniera inaspettata. Si sollevò in piedi e, gridando con ferocia, lo afferrò e lo gettò al suolo, saltandogli a sua volta addosso. Preso alla sprovvista, Adrian non ebbe il tempo di difendersi.
Il principe agguantò un pugnale che teneva legato alla cintola dei pantaloni e glielo puntò alla gola.
«Chi sei, tu? Dimmelo, o ti sgozzo come un porco» gli disse, trafiggendolo con uno sguardo così feroce da fargli accapponare la pelle.
Adrian scosse il capo, disorientato. Forse aveva mal interpretato il fratello e la visione non aveva niente a che fare con la morte del re Orso. Insomma, se fosse stato così, per quale motivo Kaleva se la stava prendendo con lui?
Kayden cercò di intervenire, ma Kaleva accentuò la pressione della lama sulla gola di Adrian, procurandogli un dolore bruciante. Sembrava davvero intenzionato ad usarla contro di lui se non avesse ottenuto le risposte che cercava, per tanto Kayden fece un passo indietro.
«Chi sono? Che cazzo di domanda è questa?» cercò di prendere tempo Adrian, nel tentativo di comprendere finalmente cosa accidenti stesse accadendo.
«Ho appena visto la tua esatta copia invecchiata strangolare mio padre. Non so come ci sia riuscito quel pazzo fottuto di tuo fratello ma è quello che ho visto, e ora voglio che tu mi dica la verità. Il giorno in cui ti vide, mio padre stava per ucciderti. Dimmi perché!» urlò Kaleva.
«Non so di che parli…» disse Adrian, cercando di risultare il più credibile possibile. Ma non doveva esserci riuscito troppo bene, perché Kaleva lo colpì sulla bocca con il manico del pugnale. Adrian gridò di dolore mentre, con un gesto fulmineo, Kaleva tornava a puntargli la lama appuntita sul collo.
«Menti, Adrian! Dimmi chi sei, o la prossima volta ti colpirò usando la parte giusta del pugnale!» lo minacciò.
«Fottuto ragazzino, che cosa vuoi da me, si può sapere? Che cosa vuoi che ti dica che tuo padre non ha mai trovato il coraggio di rivelarti?»
«DIMMELO!» gridò a pieni polmoni Kaleva.
Adrian lanciò uno sguardo veloce al fratello, per chiedergli tacitamente un parere. E quando Kayden annuì, capì che avrebbe fatto meglio a dare al principe delle risposte.
«Mio padre è un Romano. Il resto lo sai già.»
Gli occhi di Kaleva si riempirono di orrore e sgomento. «Sei il figlio del peggior nemico di mio padre, per questo lui ti odiava…» realizzò.
«Sono figlio dell’uomo che odiano in molti, me compreso.»
«Perché? Perché mai dovresti odiare tuo padre?»
Adrian si chiese fin dove era saggio spingersi, quanto di ciò che gli avrebbe rivelato sarebbe stato in grado di sopportare. Deglutì combattuto. Da una parte desiderava proteggerlo, risparmiargli l’umiliazione della verità. Dall’altra, riteneva avesse ormai tutto il diritto di conoscerla.
Decise di procedere per gradi.
«Ho saputo di essere suo figlio prima della guerra. Lo odiavo già da prima, il fatto di aver scoperto chi fosse non ha cambiato i miei sentimenti nei suoi confronti» rispose.
Kaleva si prese del tempo per elaborare quella informazione, poi disse: «Mio padre giurò di ucciderti, eppure in seguito cambiò idea. Non riesco a spiegarmelo. Ma tu lo sai il perché, non è così?»
Per l’ennesima volta, Adrian cercò il modo per uscire da quella spiacevole situazione senza provocare troppi danni. Stava ancora cercando una risposta credibile da dare al fratellastro, quando Kayden intervenne: «Diglielo, Adrian.»
Kaleva indurì nuovamente lo sguardo. «Dirmi cosa?» chiese, tornando a spingergli la punta della lama nella gola.
Adrian indugiò ancora un lungo istante. Non avrebbe mai voluto trovarsi in quella situazione, non trovava giusto che toccasse a lui rivelare al fratellastro il loro legame di sangue, ma capiva che era arrivato il momento per Kaleva di conoscere la verità, a qualunque costo. Così, si riempì d’aria i polmoni e trovò il coraggio di dire: «Tuo padre cambiò idea su di me per amore nei confronti di mia madre.»
Kaleva sbarrò gli occhi, ora decisamente indignato. «Amore nei confronti di tua madre? Ma cosa vai farneticando, bastardo figlio di un cane? Mio padre non avrebbe mai tradito mia madre! È stata l’unica donna che abbia mai amato!» replicò
«È così, infatti» ammise afflitto Adrian.
Kaleva sembrò non capire subito, perché rimase a lungo a fissarlo mentre rimuginava sulle sue parole. Ma poi, lentamente, sul suo volto calò una nuova espressione, stavolta addolorata.
«No… Non può essere… Non mia madre…» farfugliò disorientato, allentando la pressione della lama sulla sua carne. «Avrebbe dato la vita per mio padre, è quello che ha fatto…»
«Se questo può consolarti, il rimorso per aver tradito tuo padre non l’ha mai abbandonata» tentò di confortarlo Adrian. Tuttavia, le sue parole produssero l’effetto contrario.
Kaleva lasciò andare il pugnale, si coprì il volto con le mani e si portò lentamente in piedi.
«Mi dispiace, Kaleva… Avrei preferito risparmiartelo…» disse Adrian mortificato, sollevandosi a sua volta in piedi.
Kaleva gemette piano nelle mani, poi abbassò le braccia lungo i fianchi.
«Ho bisogno di stare da solo…» enunciò, senza guardare in faccia né lui né Kayden.
Voltò i tacchi e corse via. Adrian fece per inseguirlo, ma Kayden lo fermò.
«Lascialo stare, Adrian. Non puoi fare niente, per lui. Ha solo bisogno di starsene un po’ per conto suo.»
Adrian fece scorrere le dita tra i capelli. «Non avremmo dovuto dirglielo» asserì.
«Invece è stata la cosa più giusta da fare. Col tempo capirà.»
Adrian sospirò a fondo. Avrebbe voluto credere alle parole del fratello, ma non ci riusciva. Se era stato difficile per lui accettarlo, non osava immaginare quanto potesse esserlo per Kaleva, che aveva avuto con la madre il giusto legame.
«No, non è vero, non lo accetterà mai. Non avremmo dovuto dirglielo» reiterò, addolorato.

Il sole stava per tramontare come solo in Scandinavia accadeva, in quel suo strano modo, senza mai farlo del tutto, e l’aria della sera si era fatta particolarmente fresca.
Seduto sui ciottoli in riva al fiume, bagnato dalla luce dorata del crepuscolo, Adrian rimuginava su ciò che era accaduto quel pomeriggio.
Dopo che erano rimasti soli aveva chiesto a Kayden quanto fosse affidabile la visione che aveva avuto, e lui gli aveva risposto che lo era al di là di ogni dubbio perché a fargliela avere era stato lo spirito del re stesso, che aveva in ultimo preso possesso del suo corpo per poter comunicare direttamente col figlio.
Anche se Adrian aveva sempre saputo che esistevano poche probabilità che l’Orso fosse ancora vivo, avere la conferma della sua morte era stato comunque sconvolgente. Ma ciò che più lo aveva scosso era stato dover affrontare con Kaleva il discorso bruciante della loro consanguineità, rivelargli segreti che gli erano stati tenuti nascosti per ovvie ragioni.
Poteva solo provare a immaginare quali sentimenti si agitavano in questo momento dentro di lui, e si sentì bruciare di rancore verso se stesso.
“Non avrei dovuto dirglielo…” tornò a ripetersi per l’ennesima volta, come faceva ormai da ore.
Afferrò un ciottolo piatto e lo lanciò con rabbia sul pelo del fiume. Il sasso effettuò tre o quattro rimbalzi, poi affondò.
Un rumore di passi alle sue spalle lo fece sobbalzare. Si girò di scatto e il cuore gli schizzò in gola quando vide Kaleva procedere verso di lui. Egli lo raggiunse e sedette al suo fianco. Per un po’, nessuno dei due disse nulla.
«Hai i suoi stessi occhi… Il colore, ma anche lo sguardo…» affermò dopo un po’ Kaleva.
Adrian deglutì imbarazzato. «Temo che la somiglianza sia tutta qui» disse, pensando con fastidio che tutto il resto lo aveva ereditato dal bastardo che lo aveva concepito.
Kaleva annuì. Prese fiato per aggiungere qualcos’altro ma esitò. Infine disse: «Mio padre e mia madre non litigavano quasi mai. Quando accadeva lo facevano a porte chiuse. Si amavano di un amore folle, ma che ci fosse un’ombra a incrinare il loro rapporto era piuttosto palese. Ora so qual è…»
«Mi dispiace, Kaleva. Non avrei dovuto dirtelo» mormorò Adrian mortificato.
«Invece sì» ribatté risoluto Kaleva. Sollevò lo sguardo verso lo spettacolo del sole sospeso a un palmo dalla linea dell’orizzonte ed emise un profondo respiro. «Ora tutto mi è chiaro e capisco molte cose che in passato mi lasciavano perplesso. Capisco gli improvvisi silenzi di mia madre, quando a un tratto si rattristava e volava via con la mente. Credo che, in quei momenti, lei pensasse a te… E capisco le sfuriate cicliche di mio padre, le loro improvvise litigate, i loro rancori… Non so per quale motivo mia madre si sia concessa ad un altro uomo ma so con certezza che anche lei, come mio padre, non ha mai amato altri che lui. E se lui non l’ha ripudiata, se è riuscito a perdonarla, allora chi sono io per giudicarla?»
Adrian rifletté a lungo sulle parole del principe, mentre ne osservava i lineamenti marcati, che andavano definendosi ogni giorno sempre di più.
«Da qualche parte, una volta, ho sentito dire che l’amore copre ogni cosa» disse.
«Sì, deve essere così» ne convenne Kaleva annuendo. Seguì un nuovo profondo silenzio, poi il principe si voltò a guardarlo dritto negli occhi e aggiunse: «Non sarei rimasto. Ero disposto a tutto pur di salvare mio padre. Ora, ovviamente, le cose sono cambiate, ma questo non significa che io rinunci alla vendetta. Non avrò pace finché l’uomo che ha determinato la morte dei miei genitori non verrà annientato. Non so come, ma troverò il modo di distruggerlo, troverò il modo di distruggere e umiliare tutta Roma» giurò spietato il giovane re.
Adrian si infervorò. Inconsciamente strinse i pugni e lo sguardo si fece più profondo. Quello era il suo stesso proposito.
«Quel giorno, io sarò al tuo fianco» giurò quindi solennemente.

All’alba, giunto il momento di separarsi, Adrian salutò il fratellastro offrendogli l’avambraccio.
«Questo non è un addio, ma un arrivederci» garantì.
Kaleva gli strinse forte l’arto. La luce nel suo sguardo era affilata come una lama pronta a mietere vittime.
«Roma cadrà» rinnovò il giuramento fattogli la sera prima, risoluto.
Adrian annuì.
«Roma cadrà.» 






Caro lettore, se sei giunto fino a qui vuol dire che questa storia, che per scherzo amo definire un "polpettone barbarico" ti ha colpito.
Come avrai notato, il racconto non ha commenti perché, seppur a malincuore, a suo tempo decisi di cancellarlo per pubblicarlo di nuovo, per consentire a nuovi eventuali lettori, come te, di leggerlo. Diversamente, purtroppo, sarebbe finito nel dimenticatoio, in coda a decine e decine di altre storie. 
La penultima parte della trilogia si è appena conclusa, ora manca l'ultima parte, dove i nostri protagonisti si riorganizzano per arrivare a raggiungere i loro propositi.
Non ti chiedo di lasciare un commento, ma a questo punto mi farebbe piacere sapere che tu, caro lettore, ci tieni a continuare a leggere questa storia, che desideri che continui a pubblicare il resto per scoprire come va a finire. Mi bastano tre parole: Sì, ci tengo.
In ogni caso, grazie per essere arrivato fin qui e per aver inserito la storia in qualche lista.
 
   
 
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