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Autore: Cj Spencer    11/06/2023    1 recensioni
Cosa succede se Napoleone Bonaparte viene fatto rinascere in un mondo fantasy per salvare un intero continente dall'avvento di un Re dei Demoni?
Un attimo dopo essere morto, l'ormai ex dominatore d'Europa riceve la visita del misterioso Faucheur, che gli offre la possibilità di rinascere in un altro mondo nel continente di Erthea, a condizione che lo protegga dall'imminente arrivo dell'esercito del Re dei Demoni.
La sfida non è per niente facile, poiché Napoleone si ritrova a rinascere nel corpo di Daemon, un bambino orfano adottato dagli schiavi semiumani che abitano nel sudicio ghetto di Ende, con null'altro per compiere la sua missione che i ricordi della sua precedente vita.
Questa è la storia di come l'Imperatore dei Francesi dovrà riunire sotto il suo comando un continente diviso e in guerra con sé stesso e prepararlo ad affrontare la minaccia che lo aspetta.
Genere: Avventura, Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“Non si guida un popolo se non prospettandogli un avvenire,

un leader è un mercante di speranze”

CAPITOLO 3

SCERIFFO

 

 

Nella mia vita precedente non ero stato benedetto con un corpo prestante e atletico.

Al contrario ero sempre stato di costituzione piuttosto malferma, lo provava il fatto che me n’ero andato molto prima di quanto mi sarei aspettato.

Come se non bastasse ad un certo punto avevo ecceduto nei vizi, e questo oltre a dare ai miei nemici argomenti su cui ridere e fare satira aveva sicuramente contribuito alla mia prematura dipartita.

Questo era uno dei tanti errori che ero determinato a non ripetere.

Libero da costrizioni e vincoli famigliari, potevo ora coltivare il mio nuovo corpo al meglio delle sue possibilità non facendogli mancare niente.

Con la caccia mi tenevo in costante allenamento, ed i suoi frutti mi permettevano di seguire una dieta bilanciata e altamente energetica che mi garantiva le forze necessarie per nuovi esercizi in un circolo virtuoso senza fine.

Cinque anni dopo aver stretto l’accordo con Borg il bambino piccolo e magrolino aveva fatto spazio ad un giovane che si apprestava ad entrare nell’età adulta nel pieno delle sue forze.

I muscoli si erano fatti tonici, la vista acuta, i riflessi pronti. Conscio di come un bell’apparire sia il miglior biglietto da visita mi ero preso cura anche dell’aspetto esteriore, così da non dover più essere costretto a coprirmi di orpelli e altre chincaglierie per mascherare quello che stava al di sotto.

Nel mentre avevo lasciato definitivamente la mia casa nel ghetto per trasferirmi alla baita insieme a Drufo, congedando una volta per tutte l’inesistente signor Haselworth e prendendone il posto agli occhi del mondo.

In tutto questo tempo avevo trovato anche il tempo di addestrare una coppia di aquilotti recuperati da un nido caduto, Louis e Marie, che una volta cresciuti erano diventati compagni inseparabili, procurandomi talmente tante lepri e cerbiatti da non dovermi preoccupare di cacciarmi il pasto.

Ovviamente non avevo trascurato le pubbliche relazioni.

Come avevo previsto lavorare per Borg era stato il mio lasciapassare per le stanze del potere di mezza Erthea. Quel maiale poteva essere un arrogante, viscido, opportunista figlio di una scrofa, ma era un tipo di parola, che oltretutto sapeva come ricompensare il talento e riconoscere i buoni investimenti. Dal giorno in cui mi ero messo al suo servizio, restandoci anche dopo aver onorato in toto il nostro accordo, mai una volta era venuto meno al nostro accordo, prima detraendo fino all’ultimo goldie dal mio debito con assoluta precisione e in seguito pagandomi puntualmente per ogni incarico che svolgevo per lui.

Era anche per merito mio e dei proventi che gli procuravo con il mio lavoro se nel giro di tre anni era stato in grado di abbandonare quella caverna ammuffita in favore di un vero e proprio magazzino, costruito in una zona appartata ma a due passi dalla Via Magna.

Il giorno che mi aveva presentato al mio primo mercante Toriano mi aveva definito il miglior investimento della sua vita, e con simili credenziali non mi era stato difficile entrare nelle grazie di un gran numero di persone influenti, elargendo favori e servizi che un giorno avrei potuto riscuotere.

Alcuni di quegli azzimati faccendieri erano stati così stupidi da coinvolgermi in affari talmente sporchi che al momento giusto sarebbe stato un gioco da ragazzi poterli ricattare per ottenerne la collaborazione.

Dopotutto quando avevo ribadito a Borg che per lui non avrei fatto altro che il cacciatore non avevo mai detto che non mi sarei dedicato ad altre attività per conto mio.

Tuttavia, essendo consapevole di dover un domani unire tra di loro varie razze e popoli che al momento si odiavano a morte gli uni con gli altri, mi ero dato delle regole che servissero a preservare la mia immagine agli occhi di tutte le parti in causa.

Non facendomi coinvolgere nel traffico di schiavi ad esempio avevo nobilitato la mia immagine agli occhi di quegli ambienti altolocati che sbandieravano idee riformatrici, mentre adoperandomi nel contrabbando di armi destinate ad alimentare o stroncare insurrezioni nei ghetti mi facevo amici di qua e di là della barricata.

Ma era soprattutto nella provincia dell’Eirinn che mi sforzavo di farmi conoscere.

Oltre a rifornire il Castello con merci della migliore qualità, periodicamente scendevo a Dundee per vendere pelli, attrezzi e carne ai mercanti locali, e in questo senso l’emporio Wallace si stava rivelando molto utile.

Crescendo Mary era diventata un piccolo genio del commercio, capace di fiaccare la resistenza dei mercanti più taccagni a colpi di sagace dialettica –che ovviamente le avevo insegnato io– e con un fiuto per i buoni affari degno di un direttore della Compagnia delle Indie.

Un altro posto in cui crescendo avevo iniziato a farmi vedere spesso era la locanda del Cervo Nero di Giselle; quando aveva iniziato ad assistere assiduamente suo padre nella gestione del locale le era venuta la brillante idea di aumentare gli introiti aprendo una bacheca per gli avvisi e stipulando un accordo con la locale gilda degli avventurieri.

Caccie speciali, missioni di scorta e altre richieste simili mi fruttavano un bel gruzzolo ed accrescevano la mia reputazione nella provincia. E visto che tutti diventano loquaci dopo un paio di birre, frequentando la locanda potevo saggiare il sentimento popolare e capire come soffiava il vento.

Oltretutto il vecchio Rutte due anni prima era stato nominato sindaco del villaggio, quindi tenerselo amico e aiutarlo quando chiedeva dei favori era ovviamente una buona idea.

Nel nome del quieto vivere aveva cercato di dare una stretta al reunionismo serpeggiante di cui troppo spesso si parlava nella sua locanda, tenendo fuori i clienti più problematici –e con Giselle a disposizione non c’era neanche bisogno di un buttafuori–.

Se da una parte questo aveva aperto le porte del Cervo Nero anche ai membri della milizia aumentando le informazioni che ero in grado di carpire, dall’altro mi aveva reso più difficile saggiare il malcontento verso il governatore e l’Impero.

In tutto ciò riuscivo anche a trovare un po’ di tempo per studiare; anche dopo aver conseguito il diploma scolastico a pieni voti avevo continuato ad allargare le mie conoscenze coi libri che riuscivo a comprare da mercanti e librai di passaggio, accettandoli quando possibile anche come forma di pagamento per i miei servigi.

Studiavo un po’ di tutto, soprattutto alchimia, geografia, e naturalmente tattica e strategia. Mi ero persino costruito un mio laboratorio in un capanno dietro la baita, usando le conoscenze del mio vecchio mondo per realizzare semplici strumenti come termometri, barometri o sestanti che su Erthea ancora non erano stati inventati, e che sapevo mi sarebbero tornati utili.

 

Ma evidentemente ciò che stavo facendo non era abbastanza per il mio committente, che decise infine di venirmi a chiedere conto della situazione.

Una notte, dopo essermi appisolato sul ramo di un albero durante una caccia all’orso, mi ritrovai nuovamente in compagnia del mio amico Faucheur, seduti l’uno di fronte all’altro alla scrivania del mio vecchio studio alle Tuilerries. Naturalmente c’era lui seduto allo scranno che un tempo era stato mio.

«Non avevi detto che non ci saremmo più rivisti?»

«A condizione che tu avessi fatto un buon lavoro. Ma a giudicare da quello che vedo la situazione sembra stare evolvendo molto più lentamente di quanto dovrebbe.»

Il che ci portava alla questione di cui avrei sempre voluto chiedergli conto.

«Faccio quello che posso con ciò che ho a mia disposizione, come ho sempre fatto. Forse se tu mi avessi fatto rinascere in un contesto diverso le cose sarebbero potute andare diversamente e più in fretta.»

«Considerala una forma di garanzia. Un modo per essere sicuro che tu facessi ciò che mi aspettavo da parte tua.»

Il senso di quelle parole era chiaro, e d’altronde era una cosa che avevo sempre sospettato.

«Se fossi rinato come membro di una qualche famiglia nobile, o persino come un sovrano, avrei avuto molti meno vincoli o impedimenti, e una più vasta libertà d’azione. Invece, date le circostanze, la mia missione non potrà esimersi dal liberare gli schiavi.»

«Non avrebbe senso salvare Erthea da un Re dei Demoni e lasciare nel contempo invariata la miseria in cui versano molti dei suoi abitanti. Come ti avevo preannunciato Erthea è piena di problemi, e risolverli è importante tanto quanto fermare l’invasione.»

I miei occhi si portarono sul globo semitrasparente che roteava su sé stesso sopra la scrivania, sul quale potevo distinguere le forme di due diversi continenti; uno era sicuramente Erthea, l’altro, grande quasi il doppio, doveva essere Treibam. Ad occhio dovevano esserci non meno di cinquemila miglia di oceano sconfinato a separarli in ogni direzione, e dato il livello della tecnologia navale di quel mondo non sorprendeva che i loro popoli non si fossero mai incontrati.

«E questo?»

«Un piccolo regalo da parte mia. Non troverai mai mappe così dettagliate.»

Il mio ego in altri tempi mi avrebbe impedito di accettare, ma erano informazioni che difficilmente avrei potuto reperire in altro modo. Così memorizzai in pochi secondi gli aspetti più importanti della geografia di Erthea, soprattutto delle regioni più lontane da Eirinn.

Una macchia nera comparve in un punto a nord di Treibam, allargandosi rapidamente fino a ricoprirlo del tutto.

«Il tempo sta scadendo, Imperatore. Il Re dei Demoni ha sottomesso anche l’ultima nazione ancora libera di Treibam. Se i piccoli gruppi di resistenza che ancora si oppongono a lui dovessero venire sconfitti, l’invasione di Erthea potrebbe avvenire prima di quanto prevedessimo.»

«A tal proposito. Questo Re dei Demoni è per caso lo stesso Signore Oscuro che cinquecento anni fa usò i mostri per tentare di sottomettere Erthea?»

«Sono abbastanza simili, ma non sono lo stesso essere. Questo è tutto ciò che hai bisogno di sapere.»

«Capisco. Ad ogni modo, non hai motivo di preoccuparti. Ho lavorato più di quanto potresti immaginare. Ormai i semi sono piantati, e presto daranno i loro frutti.»

«Lo spero. Avevo grandi aspettative sul tuo conto. Non vorrei mai che si rivelassero malriposte.»

L’inizio della trasformazione del mio corpo in pulviscolo preannunciò la fine di quell’incontro.

«A presto, Imperatore. E ricordalo sempre. Ti tengo d’occhio.»

 

E l’occasione infatti arrivò.

E prima di quanto mi sarei aspettato.

Qualche settimana dopo, al termine di una cavalcata quasi ininterrotta durata una notte intera, mi ritrovavo a fissare in lontananza le linee possenti e maestose del Castello, arroccato sulla cima di un basso colle al centro di una vasta pianura e circondato da una piccola cittadina.

Era stato il governatore in persona a convocarmi con una lettera, e benché non fosse stato specificato il motivo di tale convocazione l’istinto mi diceva che stavo per raccogliere finalmente il frutto tutti i favori fatti a quel panzone lussurioso.

Mentre aspettavo di essere ricevuto, mi presi qualche attimo per osservare attentamente la fortezza e lo stato delle sue difese.

Due cerchi di mura. Dodici torri su quello più esterno, quattro su quello interno. Balliste su una torre ogni due. Canali per olio bollente. Porte con grate di ferro. Guarnigione, più o meno duemila soldati.

Anche se erano passati almeno cento anni dall’ultima volta che quel posto aveva visto un assedio si notava ad occhio nudo come fin dai tempi del Granducato quell’edificio fosse stato pensato per sopportare ogni genere di battaglie.

Un legionario mi venne incontro mentre calcolavo il raggio d’azione degli arcieri posizionati sulle mura chiamandomi per nome, ma dovette togliersi l’elmo perché potessi riconoscerlo.

«Septimus.»

«Ne è passato di tempo, Daemon. Quant’è, due anni?»

«Quasi tre. Da quando sei partito per Rhodes per arruolarti. Ne hai fatta di strada a quanto vedo. Sedici anni e sei già decurione.»

«Sono stato più intraprendente dei miei compagni. O forse solo più incosciente.»

Sorrideva e cercava di sembrare lo stesso di quando eravamo bambini, ma nei suoi occhi potevo leggere la consapevolezza che solo chi si sia trovato faccia a faccia con una battaglia poteva avere.

«Che ci fai qui comunque?»

«Sono stato convocato dal Governatore. E tu? L’ultima volta che mi hanno parlato di te dicevano che eri ad est a combattere i Baroni.»

«Mi hanno riassegnato dopo la promozione. Ora servo nella Quindicesima. E dalla settimana prossima sarò assegnato al forte di Dundee. Riesci a crederci? Un combina disastri come me secondo in comando di una guarnigione.»

«Sì, effettivamente mi risulta difficile crederlo. Ma sono sicuro che te lo sei guadagnato.»

L’arrivo del maggiordomo interruppe la rimpatriata.

«Master Haselworth, seguitemi. Sua Eccellenza vi attende in sala da pranzo.»

 

Una tavola così imbandita l’avevo vista solo il giorno della mia incoronazione, e la cosa assumeva contorni ancor più grotteschi se si considera che attorno ad essa erano sedute solamente tre persone.

A parte il governatore Longinus, che per quanto cercasse di darsi un contegno mangiava come un maiale sputando ovunque carne e vino, vi erano due giovani, entrambi poco più grandi di me, biondi di capelli e di bellissimo aspetto.

Lui era sicuramente un nobile, con occhi scuri che tagliavano come rasoi, e per quanto incredibile potesse essere vedevo una certa somiglianza con il governatore nei tratti del suo viso.

Lei invece doveva essere la sacerdotessa di corte, e si guardava attorno con l’aria di chi avrebbe tanto voluto essere da un’altra parte.

Infine, alle spalle del governatore, stava il Generale Ron, di cui avevo sentito parlare, con le insegne della Quindicesima Legione bene impresse sulla sua corazza. Mi guardava come se avesse voluto uccidermi, ma del resto il disprezzo che nutriva nei confronti di Eirinn e dei suoi abitanti era il motivo per il quale Longinus aveva voluto proprio lui e la sua legione assegnati a quella provincia.

«È un onore per me fare la vostra conoscenza, Vostra Eccellenza.»

«Mi hanno detto che devo ringraziare te per buona parte di queste prelibatezze. Sembri sapere il fatto tuo in materia di caccia.»

«Faccio quello che posso. Felice che il mio lavoro sia così tanto apprezzato.»

«Presumo tu abbia sentito parlare di mio figlio Adrian. Il meglio che un padre possa desiderare.»

In realtà l’unica cosa che avevo sentito sul suo conto era che fosse completamente agli antipodi rispetto al padre sotto molti aspetti, ma a vederli così tutto si poteva pensare tranne che potessero essere padre e figlio.

«La signorina qui presente invece è lady Sylvie Valera, ambasciatrice del Circolo presso la mia umile dimora.»

Scambiai con entrambi un rapido sguardo, salutandoli con il dovuto rispetto. Ma se lady Valera ricambiò a propria volta con un cenno del capo ed un sorriso abbozzato, tutto quello che ricevetti da Adrian fu una seconda occhiata obliqua, quasi che stesse cercando di leggermi nell’anima.

«Nella Vostra lettera accennavate ad una questione importante di cui volevate parlarmi. Sono a Vostra disposizione.»

Al che il governatore scoppiò il ridere, alzando il calice d’oro come a chiamare un brindisi.

«Mi fa piacere vedere che anche in questo covo di bifolchi reunionisti c’è ancora qualcuno che mostra il dovuto rispetto agli emissari dell’Imperatore. Lo vedi figliolo? Sono queste le persone di cui uno deve circondarsi per governare in sicurezza.»

Il tempo di tracannare il vino tutto d’un fiato e il panzone cambiò immediatamente espressione, piegando le labbra in uno strano sorriso.

«Il che ci porta al nocciolo della questione. Si dice che per essere così giovane, tu sia particolarmente rispettato nella tua comunità.»

«Ho questa fortuna, se così possiamo dire.»

«Come sicuramente saprai, fino a pochi anni fa la regione di Dundee era sotto amministrazione militare. Ma da quando quei pidocchi dell’Unione hanno capito con chi hanno a che fare molte legioni hanno lasciato i confini, e gran parte degli incarichi sono rimasti vacanti. Incluso, quello di sceriffo della provincia.»

Mi trovo costretto ad ammettere che lo stupore che manifestai in quell’occasione fu del tutto sincero: mi aspettavo una ricompensa, oppure una nomina per qualche posizione vacante di poco conto, ma non certo qualcosa del genere.

Essere sceriffo di una regione voleva dire guardare dall’alto in basso ogni altra carica istituzionale della stessa; perché mentre il comandante della milizia rispondeva sia al sindaco che agli ufficiali della legione, uno sceriffo doveva rendere conto del suo operato solo al governatore.

Non riuscivo a credere alla mia fortuna: stavo per saltare a piè pari almeno due o tre tappe del percorso che avevo in mente per la mia ascesa al potere.

«Mi sembri confuso.» disse il governatore quasi ghignando

«Effettivamente… lo ammetto, sono confuso.»

«L’Eirinn Occidentale è una terra piena di problemi. Fuggiaschi, spie e agenti nemici, o quegli schiavi lerci che ogni tanto tentano di scappare. C’è bisogno di qualcuno con le conoscenze e la forza necessarie a tenere pulite le mie foreste e i miei confini. E se a farlo è un ragazzino plebeo che vive tra i lupi, io dico chi se ne importa. Dunque? Qual è la tua risposta?»

Ovviamente accettai.

Sapevo che in molti non l’avrebbero presa bene, e già mi prefiguravo una tremenda litigata con Scalia.

Un orfano cresciuto dagli schiavi che diventa un cane sciolto al servizio dello stesso Impero che li teneva in catene.

Ma non c’era altra scelta. Era un rischio che dovevo correre, e al quale mi ero preparato da tempo.

Chi è di scena, inizia lo spettacolo.

 

Fin da bambina avevo sempre amato i numeri.

Prima di venire chiamata al cospetto degli dei, la mia adorata madre era solita dirmi che nei numeri vi è la risposta per ogni cosa.

Era stato suo padre, mio nonno Lawrence, a costruire l’emporio che portava il nostro nome, ma era stata lei, con le sue idee e il suo senso per gli affari, a portarlo alla gloria, facendone l’attività più famosa e ricercata di Dundee.

Ma quei giorni ormai erano lontani.

Da quando la mamma era morta mio padre non era più stato lo stesso; forse a differenza mia non era riuscito a lasciarsi alle spalle la tragedia, o forse semplicemente la sua vera natura, che la mamma con la sua sola presenza era sempre riuscita a tenere a bada, era infine venuta fuori.

Lo so che è una cosa terribile da dire di un genitore, ma io lo odiavo. Lo odiavo con tutte le mie forze.

Ma allo stesso tempo, ne avevo paura. E così lo rispettavo, sopportando in silenzio.

La prima volta che mi aveva picchiata avevo solo sette anni, colpendomi così forte sul viso con una bottiglia che da quel giorno ero stata costretta a portare gli occhiali.

Da allora era successo molte altre volte, più di quante voglia ricordarne; e dire che ogni tanto, quelle poche volte in cui riusciva a stare più di qualche ora lontano dal vino, sembrava tornare il padre gentile e buono che ricordavo, quello che mi portava in giro a cavalcioni sulle spalle e mi comprava i bastoncini di zucchero.

Il bello era che avevo avuto l’occasione di sottrarmi a tutta quella sofferenza quando la sorella di mia madre era venuta a farci visita e, intuendo la situazione, si era offerta di prendermi con sé.

Ma io avevo rifiutato; amavo troppo il ricordo della mamma, e non potevo sopportare l’idea che il negozio che lei il nonno avevano costruito con tanta fatica andasse in rovina.

Per fortuna prima di morire mi avevano lasciato in eredità molti affezionati clienti, oltre ad insegnarmi molti trucchi del mestiere; gli altri li avevo imparati da me strada facendo, guadagnandomi rispetto e reputazione tra gli altri mercanti prima ancora di terminare la scuola.

La scuola.

Anche prima della morte della mamma non ero mai stata una persona molto espansiva, e per un lungo periodo, tra il dolore per la sua perdita e quello che ero costretta a subire ogni giorno, me ne ero rimasta in disparte. Passavo tanto tempo a scuola o in biblioteca non tanto perché studiare mi piaceva, quanto per non dover tornare a casa, dedicando il poco tempo che restava a gestire il negozio e riuscendo con molta fatica a tenerlo a galla.

Poi, nella mia vita grigia e solitaria, era piombato un bambino, e tutto era cambiato.

Anche prima della sua improvvisa maturazione e cambio di atteggiamento, Daemon era sempre stato una forza della natura: battagliero, intraprendente, sicuro di sé.

Era un orfano finito nelle mani di un tutore che non lo voleva, ma benché la sua situazione fosse anche peggiore rispetto alla mia non aveva perso la voglia di vivere.

Oltretutto amava i numeri e la matematica proprio come me, e nel momento in cui gli avevo rivolto la parola per la prima volta era scattato qualcosa dentro di me.

Più crescevamo, più spesso mi ritrovavo a pensare a lui, e quando era entrato nel mio negozio proponendomi di diventare soci e gestire insieme un mercato sotterraneo di beni di lusso generati dalla sua attività di cacciatore avevo balbettato come una stupida nel momento di accettare.

Mi ero innamorata di lui, inutile nasconderlo.

Il problema era che, oltre al fatto di non riuscire a trovare il coraggio per dirglielo, le concorrenti non mancavano; praticamente non c’era ragazza a Dundee che non sospirasse quando lo vedeva passare.

E poi era così gentile. Tendeva la mano a chiunque gli chiedesse aiuto, a volte rifiutando persino di essere ricompensato per i suoi servigi, e questo non aveva fatto altro che accrescere la sua reputazione agli occhi di tutti.

Era stato un duro colpo vederlo apparire da un giorno all’altro in giro per il villaggio con la stella da sceriffo appuntata sulla giubba, ed erano stati in molti ad accusarlo di essersi venduto.

Ma lui, stoicamente, aveva risposto alle accuse, proclamando a cuore aperto e davanti a tutti che se aveva accettato quella posizione non era stato per guadagno personale –avremmo scoperto in seguito che prendeva meno della metà del suo salario, continuando a fare il cacciatore nel tempo libero per mantenersi– ma solo per essere ancora più di aiuto alla comunità che lo aveva accolto e che aveva così tanta stima di lui.

Non tutti gli avevano creduto, ma in tanti lo avevano comunque fatto, ma questo non mi aveva del tutto sorpresa.

Fin da quando eravamo bambini avevo sempre avuto la sensazione che ci fosse qualcosa di ipnotico nel suo modo di parlare e di apparire, come un’aura che spingeva la gente a fidarsi di lui a prescindere da ogni cosa.

Usava le parole come fossero oro, con parsimonia ed attenzione, e agiva con la stessa intelligenza.

Qualcuno diceva a mezza voce che avesse tutte le qualità di un capo. Io ero certa che non avrebbe passato il resto della sua vita in un piccolo villaggio di frontiera: troppo grandi erano le cose che era destinato a fare.

Purtroppo lo aveva capito anche mio padre, l’unico al quale Daemon non fosse mai andato a genio.

«Ma che mi dici di quel ragazzo.» disse una delle pochissime volte in cui era intento a darmi una mano in negozio «Come si chiama? Quello con la faccia da ebete.»

«Intendete Daemon?»

«Se non sbaglio voi due andate molto d’accordo. Stavo pensando che forse dovresti entrare più in confidenza con lui, se capisci cosa intendo.»

«Che storia è questa, padre? Credevo che Daemon non vi piacesse.»

«Certo, quando era solo un bifolco che viveva in mezzo ai boschi. Ma ora la storia è ben diversa. Voglio dire, dove si è mai visto uno sceriffo così giovane?»

Era chiaro dove volesse andare a parare, e mi diedi della sciocca per non averlo capito subito.

«Si dice che sia entrato nelle buone grazie del grassone. Di sicuro è destinato a fare carriera, e presto tutte le donne di questo schifo di paese si metteranno in fila per farsi sposare. Tu però partiresti avvantaggiata, visto che te la intendi già bene con lui. Saresti sistemata per la vita.»

«E voi con me, dico bene?»

Stavolta il manrovescio arrivò senza alcun preavviso, ma nonostante il dolore e la guancia rossa stavolta fu diverso dal solito: stavolta non chiesi perdono.

«Ti ho già detto molte volte di non rivolgerti a me con quel tono, ragazzina. Ricorda che lo sto facendo per il tuo bene.»

«Del mio bene ha smesso di importartene tanto tempo fa, maledetto ubriacone. Anzi, forse non ti è mai importato davvero.»

Il secondo ceffone fu talmente forte da farmi volare via gli occhiali buttandomi a terra, ma neanche questo fu sufficiente a piegarmi.

Ormai avevo preso la mia decisione: non avrei più avuto paura di lui.

«Cosa sono quegli occhi? Devo forse darti un’altra lezione?»

 

Quella mattina non ero certo uscito dall’ufficio che il sindaco mi aveva assegnato con l’idea di recitare la parte del valoroso cavaliere nella sua scintillante armatura.

Al contrario, ero decisamente di cattivo umore.

Il giorno prima ero stato chiamato al cantiere della Via Imperiale perché il povero Malik era andato fuori di testa nel momento in cui quei sadici di miliziani avevano esagerato con il bind.

Ce l’avevo messa tutta per evitare di ucciderlo, ma quando quella montagna ambulante nel suo delirio distruttivo si era messo a caricare come un toro una carovana di passaggio semplicemente non mi aveva lasciato scelta.

E ovviamente tutto era avvenuto sotto gli occhi di Scalia e di un altro gruppo di altri mostri, arrivati giusto in tempo per vedermi ricevere i ringraziamenti del capitano Oldrick per aver salvato la vita ad una ventina di innocenti, inclusi parecchi schiavi.

Ne conseguiva che quel giorno avevo decisamente la luna storta, e non aspettavo altro che l’occasione giusta per menare le mani.

 Inoltre se c’era una cosa che odiavo più ancora di chi picchiava le donne era chi non sapeva riconoscere ed apprezzare il talento.

E Mary di talento ne aveva fin troppo per sprecarlo nella gestione di una piccola bottega di periferia, in balia di un ubriacone.

Un paio di volte avevo preso in considerazione l’idea di risolvere il problema togliendolo di mezzo, ma per legge Mary non avrebbe potuto ereditare l’attività fino ai vent’anni; e io non potevo rischiare di avere un burocrate pignolo a ficcare il naso nei molti affari sottobanco che gestivamo insieme.

Quando durante il mio giro di ronda passai accanto al negozio e sentii i rumori capii subito cosa stava succedendo, ma a differenza del passato stavolta avevo l’autorità per agire.

E ammetto che forse mi feci un po’ prendere la mano, anche perché quando vidi quel fallito in piedi sopra a Mary, pronto a riempirla di calci, persi completamente il controllo.

Prima gli piombai addosso scaraventandolo sul bancone, quindi presolo per la camicia lo scagliai contro lo scaffale della frutta.

«È facile prendersela con le ragazzine, vero bastardo? Prova un po’ con me!»

Quell’idiota tentò persino di reagire, ma benché fosse quasi il doppio di me mi bastarono un paio di pugni per stenderlo.

Era la prima volta che facevo a pugni seriamente con qualcuno, e fui felice di constatare che gli insegnamenti di Scalia avessero dato ottimi frutti.

Il Comandante Beek come al solito se la prese comoda, arrivando giusto in tempo per vedersi scaraventare quell’ubriacone già legato tra le braccia.

«Aggressione ad un funzionario imperiale e resistenza, quindici giorni di galera!»

Non era molto, ma almeno per un po’ se ne sarebbe stato lontano da Mary e dai nostri affari.

Beek ovviamente protestò: Doug era uno dei suoi debitori più fruttuosi, e guadagnava di più spennandolo a carte che con lo stipendio da Comandante. Ma io, il “montanaro bifolco” che solo il mese prima doveva sopportare in silenzio le calunnie di quell’illetterato in uniforme, adesso ero il suo superiore, e non poté fare altro che obbedire.

«Stai bene?»

«Io… sì, grazie…»

Mary mi guardava come se fossi stato il suo dio, ma avendo passato anni a coltivare con cura il nostro rapporto non ne ero sorpreso.

Apparendo ai suoi occhi come un modello a cui aspirare e un amico su cui contare mi ero assicurato sia la sua costante determinazione a migliorare che la sua dedizione, e sapevo che al momento giusto non sarebbe stato difficile persuaderla ad entrare a far parte della cerchia di fedelissimi che intendevo costruire.

Per lei vedevo già un futuro da ministro delle finanze del mio nuovo impero.

Ma per riuscire a spiccare il volo doveva liberarsi definitivamente delle sue catene con un evento catartico, che segnasse il passaggio dalla bambina spaventata dalla vita alla giovane donna fatta e finita, pronta a prendere nelle sue mani il suo destino e le sorti di un’intera nazione.

Per il momento però dovevo dare la priorità ad altre cose.

La mia nomina a sceriffo aveva scontentato parecchie persone, ma se con la determinazione, le giuste frasi e gesti simbolici come quello che avevo appena compiuto ero riuscito a mantenere inalterata la considerazione di cui godevo tra gli umani, arrivando anche ad accrescerla, altrettanto non si poteva dire per gli schiavi del ghetto.

Come aveva detto Faucheur, la creazione del mio impero passava inevitabilmente per l’emancipazione degli schiavi, che dovevano diventare la punta della lancia con cui tranciare le scricchiolanti fondamenta del potere imperiale nella provincia.

Non mi avrebbero mai seguito se non avessi prospettato loro un futuro, e per poterlo fare era necessario che avessero ancora fiducia in me.

Ma come avrebbero potuto averne se mi mettevo ad uccidere alcuni di loro, stringendo la mano ai loro aguzzini?

Dannazione. Perché è sempre così maledettamente difficile riuscire a mettere d’accordo tutti?

Ero preparato ad affrontare gli imprevisti, ma c’era un limite alle situazioni che potevo gestire nello stesso momento in una simile situazione di equilibrio precario: come se non bastasse ci si misero pure i burocrati della capitale a complicarmi le cose ancora di più.

 

Nota dell’Autore

Salve a tutti!

Anticipo di qualche ora la pubblicazione di questo terzo capitolo per via di alcuni impegni che mi terranno fuori casa per tutto il resto della giornata.

Così ci siamo. Dopo una premessa, questo è il momento in cui gli eventi cominciano effettivamente a mettersi in moto per giungere infine al cuore della vicenda.

Chi ha familiarità con l’ambiente delle light novel saprà che solitamente i primi capitoli sono sempre molto introduttivi, e che a partire dal terzo (in alcuni casi già dal secondo) la storia inizia a procedere molto più spedita.

Io ho cercato di essere un po’ più lineare per non creare buchi di trama o spiegare alcune cose in maniera troppo sbrigativa, prendendomi un po’ di tempo anche per presentare gli altri personaggi secondari che in questi primi capitoli si sostituiranno spesso a Daemon come voce narrante, cosicché gli eventi che porteranno alla Rivoluzione siano narrati da tutti i punti di vista.

Ringrazio Fenris per la sua recensione e tutti coloro che stanno leggendo.

Ora, una piccola domanda.

In occasione della release della versione inglese che avverrà domenica prossima (18 Giugno, anniversario della Battaglia di Waterloo) ho deciso, data la lunghezza considerevole di alcuni capitoli, di tagliarli in due e pubblicarli non più a cadenza bisettimanale ma ogni domenica.

Lo faccio perché molti lettori internazionali preferiscono capitoli brevi e facili da leggere, mentre per esperienza so che qui in Italia si tende a preferire capitoli più completi ed esaustivi anche se più lunghi.

Voi cosa preferite? Fatemelo sapere e mi adatterò secondo i vostri gusti^^

A presto!^_^

 

   
 
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