“Non
si guida un popolo se non prospettandogli un avvenire,
un leader è un mercante di speranze”
CAPITOLO 3
SCERIFFO
Nella mia vita precedente non ero stato
benedetto con un corpo prestante e atletico.
Al
contrario ero sempre stato di costituzione piuttosto malferma, lo provava il
fatto che me n’ero andato molto prima di quanto mi sarei aspettato.
Come
se non bastasse ad un certo punto avevo ecceduto nei vizi, e questo oltre a
dare ai miei nemici argomenti su cui ridere e fare satira aveva sicuramente
contribuito alla mia prematura dipartita.
Questo
era uno dei tanti errori che ero determinato a non ripetere.
Libero
da costrizioni e vincoli famigliari, potevo ora coltivare il mio nuovo corpo al
meglio delle sue possibilità non facendogli mancare niente.
Con
la caccia mi tenevo in costante allenamento, ed i suoi frutti mi permettevano
di seguire una dieta bilanciata e altamente energetica che mi garantiva le
forze necessarie per nuovi esercizi in un circolo virtuoso senza fine.
Cinque
anni dopo aver stretto l’accordo con Borg il bambino piccolo e magrolino aveva
fatto spazio ad un giovane che si apprestava ad entrare nell’età adulta nel
pieno delle sue forze.
I
muscoli si erano fatti tonici, la vista acuta, i riflessi pronti. Conscio di
come un bell’apparire sia il miglior biglietto da visita mi ero preso cura
anche dell’aspetto esteriore, così da non dover più essere costretto a coprirmi
di orpelli e altre chincaglierie per mascherare quello che stava al di sotto.
Nel
mentre avevo lasciato definitivamente la mia casa nel ghetto per trasferirmi
alla baita insieme a Drufo, congedando una volta per
tutte l’inesistente signor Haselworth e prendendone il posto agli occhi del
mondo.
In
tutto questo tempo avevo trovato anche il tempo di addestrare una coppia di
aquilotti recuperati da un nido caduto, Louis e Marie, che una volta cresciuti
erano diventati compagni inseparabili, procurandomi talmente tante lepri e
cerbiatti da non dovermi preoccupare di cacciarmi il pasto.
Ovviamente
non avevo trascurato le pubbliche relazioni.
Come
avevo previsto lavorare per Borg era stato il mio lasciapassare per le stanze
del potere di mezza Erthea. Quel maiale poteva essere un arrogante, viscido,
opportunista figlio di una scrofa, ma era un tipo di parola, che oltretutto
sapeva come ricompensare il talento e riconoscere i buoni investimenti. Dal
giorno in cui mi ero messo al suo servizio, restandoci anche dopo aver onorato
in toto il nostro accordo, mai una volta era venuto meno al nostro accordo, prima
detraendo fino all’ultimo goldie dal mio debito con assoluta precisione e in
seguito pagandomi puntualmente per ogni incarico che svolgevo per lui.
Era
anche per merito mio e dei proventi che gli procuravo con il mio lavoro se nel
giro di tre anni era stato in grado di abbandonare quella caverna ammuffita in
favore di un vero e proprio magazzino, costruito in una zona appartata ma a due
passi dalla Via Magna.
Il
giorno che mi aveva presentato al mio primo mercante Toriano
mi aveva definito il miglior investimento della sua vita, e con simili
credenziali non mi era stato difficile entrare nelle grazie di un gran numero
di persone influenti, elargendo favori e servizi che un giorno avrei potuto
riscuotere.
Alcuni
di quegli azzimati faccendieri erano stati così stupidi da coinvolgermi in
affari talmente sporchi che al momento giusto sarebbe stato un gioco da ragazzi
poterli ricattare per ottenerne la collaborazione.
Dopotutto
quando avevo ribadito a Borg che per lui non avrei fatto altro che il
cacciatore non avevo mai detto che non mi sarei dedicato ad altre attività per
conto mio.
Tuttavia,
essendo consapevole di dover un domani unire tra di loro varie razze e popoli
che al momento si odiavano a morte gli uni con gli altri, mi ero dato delle
regole che servissero a preservare la mia immagine agli occhi di tutte le parti
in causa.
Non
facendomi coinvolgere nel traffico di schiavi ad esempio avevo nobilitato la
mia immagine agli occhi di quegli ambienti altolocati che sbandieravano idee
riformatrici, mentre adoperandomi nel contrabbando di armi destinate ad
alimentare o stroncare insurrezioni nei ghetti mi facevo amici di qua e di là
della barricata.
Ma
era soprattutto nella provincia dell’Eirinn che mi sforzavo di farmi conoscere.
Oltre
a rifornire il Castello con merci della migliore qualità, periodicamente
scendevo a Dundee per vendere pelli, attrezzi e carne ai mercanti locali, e in
questo senso l’emporio Wallace si stava rivelando molto utile.
Crescendo
Mary era diventata un piccolo genio del commercio, capace di fiaccare la
resistenza dei mercanti più taccagni a colpi di sagace dialettica –che
ovviamente le avevo insegnato io– e con un fiuto per i buoni affari degno di un
direttore della Compagnia delle Indie.
Un
altro posto in cui crescendo avevo iniziato a farmi vedere spesso era la
locanda del Cervo Nero di Giselle; quando aveva iniziato ad assistere
assiduamente suo padre nella gestione del locale le era venuta la brillante
idea di aumentare gli introiti aprendo una bacheca per gli avvisi e stipulando
un accordo con la locale gilda degli avventurieri.
Caccie
speciali, missioni di scorta e altre richieste simili mi fruttavano un bel
gruzzolo ed accrescevano la mia reputazione nella provincia. E visto che tutti
diventano loquaci dopo un paio di birre, frequentando la locanda potevo
saggiare il sentimento popolare e capire come soffiava il vento.
Oltretutto
il vecchio Rutte due anni prima era stato nominato sindaco del villaggio,
quindi tenerselo amico e aiutarlo quando chiedeva dei favori era ovviamente una
buona idea.
Nel
nome del quieto vivere aveva cercato di dare una stretta al reunionismo
serpeggiante di cui troppo spesso si parlava nella sua locanda, tenendo fuori i
clienti più problematici –e con Giselle a disposizione non c’era neanche
bisogno di un buttafuori–.
Se
da una parte questo aveva aperto le porte del Cervo Nero anche ai membri della
milizia aumentando le informazioni che ero in grado di carpire, dall’altro mi aveva
reso più difficile saggiare il malcontento verso il governatore e l’Impero.
In
tutto ciò riuscivo anche a trovare un po’ di tempo per studiare; anche dopo
aver conseguito il diploma scolastico a pieni voti avevo continuato ad
allargare le mie conoscenze coi libri che riuscivo a comprare da mercanti e
librai di passaggio, accettandoli quando possibile anche come forma di
pagamento per i miei servigi.
Studiavo
un po’ di tutto, soprattutto alchimia, geografia, e naturalmente tattica e
strategia. Mi ero persino costruito un mio laboratorio in un capanno dietro la
baita, usando le conoscenze del mio vecchio mondo per realizzare semplici
strumenti come termometri, barometri o sestanti che su Erthea ancora non erano
stati inventati, e che sapevo mi sarebbero tornati utili.
Ma evidentemente ciò che stavo
facendo non era abbastanza per il mio committente, che decise infine di venirmi
a chiedere conto della situazione.
Una
notte, dopo essermi appisolato sul ramo di un albero durante una caccia
all’orso, mi ritrovai nuovamente in compagnia del mio amico Faucheur,
seduti l’uno di fronte all’altro alla scrivania del mio vecchio studio alle Tuilerries. Naturalmente c’era lui seduto allo scranno che
un tempo era stato mio.
«Non
avevi detto che non ci saremmo più rivisti?»
«A
condizione che tu avessi fatto un buon lavoro. Ma a giudicare da quello che
vedo la situazione sembra stare evolvendo molto più lentamente di quanto
dovrebbe.»
Il
che ci portava alla questione di cui avrei sempre voluto chiedergli conto.
«Faccio
quello che posso con ciò che ho a mia disposizione, come ho sempre fatto. Forse se tu mi avessi
fatto rinascere in un contesto diverso le cose sarebbero potute andare
diversamente e più in fretta.»
«Considerala
una forma di garanzia. Un modo per essere sicuro che tu facessi ciò che mi
aspettavo da parte tua.»
Il
senso di quelle parole era chiaro, e d’altronde era una cosa che avevo sempre sospettato.
«Se
fossi rinato come membro di una qualche famiglia nobile, o persino come un
sovrano, avrei avuto molti meno vincoli o impedimenti, e una più vasta libertà
d’azione. Invece, date le circostanze, la mia missione non potrà esimersi dal
liberare gli schiavi.»
«Non
avrebbe senso salvare Erthea da un Re dei Demoni e lasciare nel contempo
invariata la miseria in cui versano molti dei suoi abitanti. Come ti avevo
preannunciato Erthea è piena di problemi, e risolverli è importante tanto
quanto fermare l’invasione.»
I
miei occhi si portarono sul globo semitrasparente che roteava su sé stesso
sopra la scrivania, sul quale potevo distinguere le forme di due diversi
continenti; uno era sicuramente Erthea, l’altro, grande quasi il doppio, doveva
essere Treibam. Ad occhio dovevano esserci non meno di cinquemila miglia di
oceano sconfinato a separarli in ogni direzione, e dato il livello della
tecnologia navale di quel mondo non sorprendeva che i loro popoli non si
fossero mai incontrati.
«E
questo?»
«Un
piccolo regalo da parte mia. Non troverai mai mappe così dettagliate.»
Il
mio ego in altri tempi mi avrebbe impedito di accettare, ma erano informazioni
che difficilmente avrei potuto reperire in altro modo. Così memorizzai in pochi
secondi gli aspetti più importanti della geografia di Erthea, soprattutto delle
regioni più lontane da Eirinn.
Una
macchia nera comparve in un punto a nord di Treibam, allargandosi rapidamente
fino a ricoprirlo del tutto.
«Il
tempo sta scadendo, Imperatore. Il Re dei Demoni ha sottomesso anche l’ultima
nazione ancora libera di Treibam. Se i piccoli gruppi di resistenza che ancora
si oppongono a lui dovessero venire sconfitti, l’invasione di Erthea potrebbe
avvenire prima di quanto prevedessimo.»
«A
tal proposito. Questo Re dei Demoni è per caso lo stesso Signore Oscuro che
cinquecento anni fa usò i mostri per tentare di sottomettere Erthea?»
«Sono
abbastanza simili, ma non sono lo stesso essere. Questo è tutto ciò che hai
bisogno di sapere.»
«Capisco.
Ad ogni modo, non hai motivo di preoccuparti. Ho lavorato più di quanto
potresti immaginare. Ormai i semi sono piantati, e presto daranno i loro
frutti.»
«Lo
spero. Avevo grandi aspettative sul tuo conto. Non vorrei mai che si
rivelassero malriposte.»
L’inizio
della trasformazione del mio corpo in pulviscolo preannunciò la fine di
quell’incontro.
«A
presto, Imperatore. E ricordalo sempre. Ti tengo d’occhio.»
E l’occasione infatti arrivò.
E
prima di quanto mi sarei aspettato.
Qualche
settimana dopo, al termine di una cavalcata quasi ininterrotta durata una notte
intera, mi ritrovavo a fissare in lontananza le linee possenti e maestose del
Castello, arroccato sulla cima di un basso colle al centro di una vasta pianura
e circondato da una piccola cittadina.
Era
stato il governatore in persona a convocarmi con una lettera, e benché non
fosse stato specificato il motivo di tale convocazione l’istinto mi diceva che stavo
per raccogliere finalmente il frutto tutti i favori fatti a quel panzone
lussurioso.
Mentre
aspettavo di essere ricevuto, mi presi qualche attimo per osservare
attentamente la fortezza e lo stato delle sue difese.
Due
cerchi di mura. Dodici torri su quello più esterno, quattro su quello interno.
Balliste su una torre ogni due. Canali per olio bollente. Porte con grate di
ferro. Guarnigione, più o meno duemila soldati.
Anche
se erano passati almeno cento anni dall’ultima volta che quel posto aveva visto
un assedio si notava ad occhio nudo come fin dai tempi del Granducato
quell’edificio fosse stato pensato per sopportare ogni genere di battaglie.
Un
legionario mi venne incontro mentre calcolavo il raggio d’azione degli arcieri
posizionati sulle mura chiamandomi per nome, ma dovette togliersi l’elmo perché
potessi riconoscerlo.
«Septimus.»
«Ne
è passato di tempo, Daemon. Quant’è, due anni?»
«Quasi
tre. Da quando sei partito per Rhodes per arruolarti.
Ne hai fatta di strada a quanto vedo. Sedici anni e sei già decurione.»
«Sono
stato più intraprendente dei miei compagni. O forse solo più incosciente.»
Sorrideva
e cercava di sembrare lo stesso di quando eravamo bambini, ma nei suoi occhi
potevo leggere la consapevolezza che solo chi si sia trovato faccia a faccia
con una battaglia poteva avere.
«Che
ci fai qui comunque?»
«Sono
stato convocato dal Governatore. E tu? L’ultima volta che mi hanno parlato di
te dicevano che eri ad est a combattere i Baroni.»
«Mi
hanno riassegnato dopo la promozione. Ora servo nella Quindicesima. E dalla
settimana prossima sarò assegnato al forte di Dundee. Riesci a crederci? Un
combina disastri come me secondo in comando di una guarnigione.»
«Sì,
effettivamente mi risulta difficile crederlo. Ma sono sicuro che te lo sei
guadagnato.»
L’arrivo
del maggiordomo interruppe la rimpatriata.
«Master
Haselworth, seguitemi. Sua Eccellenza vi attende in sala da pranzo.»
Una tavola così imbandita l’avevo
vista solo il giorno della mia incoronazione, e la cosa assumeva contorni ancor
più grotteschi se si considera che attorno ad essa erano sedute solamente tre
persone.
A
parte il governatore Longinus, che per quanto
cercasse di darsi un contegno mangiava come un maiale sputando ovunque carne e
vino, vi erano due giovani, entrambi poco più grandi di me, biondi di capelli e
di bellissimo aspetto.
Lui
era sicuramente un nobile, con occhi scuri che tagliavano come rasoi, e per
quanto incredibile potesse essere vedevo una certa somiglianza con il
governatore nei tratti del suo viso.
Lei
invece doveva essere la sacerdotessa di corte, e si guardava attorno con l’aria
di chi avrebbe tanto voluto essere da un’altra parte.
Infine,
alle spalle del governatore, stava il Generale Ron,
di cui avevo sentito parlare, con le insegne della Quindicesima Legione bene
impresse sulla sua corazza. Mi guardava come se avesse voluto uccidermi, ma del
resto il disprezzo che nutriva nei confronti di Eirinn e dei suoi abitanti era
il motivo per il quale Longinus aveva voluto proprio
lui e la sua legione assegnati a quella provincia.
«È
un onore per me fare la vostra conoscenza, Vostra Eccellenza.»
«Mi
hanno detto che devo ringraziare te per buona parte di queste prelibatezze.
Sembri sapere il fatto tuo in materia di caccia.»
«Faccio
quello che posso. Felice che il mio lavoro sia così tanto apprezzato.»
«Presumo
tu abbia sentito parlare di mio figlio Adrian. Il meglio che un padre possa
desiderare.»
In
realtà l’unica cosa che avevo sentito sul suo conto era che fosse completamente
agli antipodi rispetto al padre sotto molti aspetti, ma a vederli così tutto si
poteva pensare tranne che potessero essere padre e figlio.
«La
signorina qui presente invece è lady Sylvie Valera, ambasciatrice del Circolo
presso la mia umile dimora.»
Scambiai
con entrambi un rapido sguardo, salutandoli con il dovuto rispetto. Ma se lady
Valera ricambiò a propria volta con un cenno del capo ed un sorriso abbozzato,
tutto quello che ricevetti da Adrian fu una seconda occhiata obliqua, quasi che
stesse cercando di leggermi nell’anima.
«Nella
Vostra lettera accennavate ad una questione importante di cui volevate
parlarmi. Sono a Vostra disposizione.»
Al
che il governatore scoppiò il ridere, alzando il calice d’oro come a chiamare
un brindisi.
«Mi
fa piacere vedere che anche in questo covo di bifolchi reunionisti
c’è ancora qualcuno che mostra il dovuto rispetto agli emissari
dell’Imperatore. Lo vedi figliolo? Sono queste le persone di cui uno deve
circondarsi per governare in sicurezza.»
Il
tempo di tracannare il vino tutto d’un fiato e il panzone cambiò immediatamente
espressione, piegando le labbra in uno strano sorriso.
«Il
che ci porta al nocciolo della questione. Si dice che per essere così giovane,
tu sia particolarmente rispettato nella tua comunità.»
«Ho
questa fortuna, se così possiamo dire.»
«Come
sicuramente saprai, fino a pochi anni fa la regione di Dundee era sotto
amministrazione militare. Ma da quando quei pidocchi dell’Unione hanno capito
con chi hanno a che fare molte legioni hanno lasciato i confini, e gran parte
degli incarichi sono rimasti vacanti. Incluso, quello di sceriffo della provincia.»
Mi
trovo costretto ad ammettere che lo stupore che manifestai in quell’occasione
fu del tutto sincero: mi aspettavo una ricompensa, oppure una nomina per
qualche posizione vacante di poco conto, ma non certo qualcosa del genere.
Essere
sceriffo di una regione voleva dire guardare dall’alto in basso ogni altra
carica istituzionale della stessa; perché mentre il comandante della milizia
rispondeva sia al sindaco che agli ufficiali della legione, uno sceriffo doveva
rendere conto del suo operato solo al governatore.
Non
riuscivo a credere alla mia fortuna: stavo per saltare a piè pari almeno due o
tre tappe del percorso che avevo in mente per la mia ascesa al potere.
«Mi
sembri confuso.» disse il governatore quasi ghignando
«Effettivamente…
lo ammetto, sono confuso.»
«L’Eirinn
Occidentale è una terra piena di problemi. Fuggiaschi, spie e agenti nemici, o
quegli schiavi lerci che ogni tanto tentano di scappare. C’è bisogno di
qualcuno con le conoscenze e la forza necessarie a tenere pulite le mie foreste
e i miei confini. E se a farlo è un ragazzino plebeo che vive tra i lupi, io
dico chi se ne importa. Dunque? Qual è la tua risposta?»
Ovviamente
accettai.
Sapevo
che in molti non l’avrebbero presa bene, e già mi prefiguravo una tremenda
litigata con Scalia.
Un
orfano cresciuto dagli schiavi che diventa un cane sciolto al servizio dello
stesso Impero che li teneva in catene.
Ma
non c’era altra scelta. Era un rischio che dovevo correre, e al quale mi ero
preparato da tempo.
Chi
è di scena, inizia lo spettacolo.
Fin da bambina avevo sempre amato i
numeri.
Prima
di venire chiamata al cospetto degli dei, la mia adorata madre era solita dirmi
che nei numeri vi è la risposta per ogni cosa.
Era
stato suo padre, mio nonno Lawrence, a costruire l’emporio che portava il
nostro nome, ma era stata lei, con le sue idee e il suo senso per gli affari, a
portarlo alla gloria, facendone l’attività più famosa e ricercata di Dundee.
Ma
quei giorni ormai erano lontani.
Da
quando la mamma era morta mio padre non era più stato lo stesso; forse a
differenza mia non era riuscito a lasciarsi alle spalle la tragedia, o forse
semplicemente la sua vera natura, che la mamma con la sua sola presenza era
sempre riuscita a tenere a bada, era infine venuta fuori.
Lo
so che è una cosa terribile da dire di un genitore, ma io lo odiavo. Lo odiavo
con tutte le mie forze.
Ma
allo stesso tempo, ne avevo paura. E così lo rispettavo, sopportando in silenzio.
La
prima volta che mi aveva picchiata avevo solo sette anni, colpendomi così forte
sul viso con una bottiglia che da quel giorno ero stata costretta a portare gli
occhiali.
Da
allora era successo molte altre volte, più di quante voglia ricordarne; e dire
che ogni tanto, quelle poche volte in cui riusciva a stare più di qualche ora
lontano dal vino, sembrava tornare il padre gentile e buono che ricordavo,
quello che mi portava in giro a cavalcioni sulle spalle e mi comprava i
bastoncini di zucchero.
Il
bello era che avevo avuto l’occasione di sottrarmi a tutta quella sofferenza
quando la sorella di mia madre era venuta a farci visita e, intuendo la
situazione, si era offerta di prendermi con sé.
Ma
io avevo rifiutato; amavo troppo il ricordo della mamma, e non potevo
sopportare l’idea che il negozio che lei il nonno avevano costruito con tanta
fatica andasse in rovina.
Per
fortuna prima di morire mi avevano lasciato in eredità molti affezionati
clienti, oltre ad insegnarmi molti trucchi del mestiere; gli altri li avevo
imparati da me strada facendo, guadagnandomi rispetto e reputazione tra gli
altri mercanti prima ancora di terminare la scuola.
La
scuola.
Anche
prima della morte della mamma non ero mai stata una persona molto espansiva, e
per un lungo periodo, tra il dolore per la sua perdita e quello che ero
costretta a subire ogni giorno, me ne ero rimasta in disparte. Passavo tanto
tempo a scuola o in biblioteca non tanto perché studiare mi piaceva, quanto per
non dover tornare a casa, dedicando il poco tempo che restava a gestire il
negozio e riuscendo con molta fatica a tenerlo a galla.
Poi,
nella mia vita grigia e solitaria, era piombato un bambino, e tutto era
cambiato.
Anche
prima della sua improvvisa maturazione e cambio di atteggiamento, Daemon era
sempre stato una forza della natura: battagliero, intraprendente, sicuro di sé.
Era
un orfano finito nelle mani di un tutore che non lo voleva, ma benché la sua
situazione fosse anche peggiore rispetto alla mia non aveva perso la voglia di
vivere.
Oltretutto
amava i numeri e la matematica proprio come me, e nel momento in cui gli avevo
rivolto la parola per la prima volta era scattato qualcosa dentro di me.
Più
crescevamo, più spesso mi ritrovavo a pensare a lui, e quando era entrato nel
mio negozio proponendomi di diventare soci e gestire insieme un mercato
sotterraneo di beni di lusso generati dalla sua attività di cacciatore avevo
balbettato come una stupida nel momento di accettare.
Mi
ero innamorata di lui, inutile nasconderlo.
Il
problema era che, oltre al fatto di non riuscire a trovare il coraggio per
dirglielo, le concorrenti non mancavano; praticamente non c’era ragazza a
Dundee che non sospirasse quando lo vedeva passare.
E
poi era così gentile. Tendeva la mano a chiunque gli chiedesse aiuto, a volte
rifiutando persino di essere ricompensato per i suoi servigi, e questo non
aveva fatto altro che accrescere la sua reputazione agli occhi di tutti.
Era
stato un duro colpo vederlo apparire da un giorno all’altro in giro per il
villaggio con la stella da sceriffo appuntata sulla giubba, ed erano stati in
molti ad accusarlo di essersi venduto.
Ma
lui, stoicamente, aveva risposto alle accuse, proclamando a cuore aperto e
davanti a tutti che se aveva accettato quella posizione non era stato per
guadagno personale –avremmo scoperto in seguito che prendeva meno della metà
del suo salario, continuando a fare il cacciatore nel tempo libero per
mantenersi– ma solo per essere ancora più di aiuto alla comunità che lo aveva
accolto e che aveva così tanta stima di lui.
Non
tutti gli avevano creduto, ma in tanti lo avevano comunque fatto, ma questo non
mi aveva del tutto sorpresa.
Fin
da quando eravamo bambini avevo sempre avuto la sensazione che ci fosse
qualcosa di ipnotico nel suo modo di parlare e di apparire, come un’aura che
spingeva la gente a fidarsi di lui a prescindere da ogni cosa.
Usava
le parole come fossero oro, con parsimonia ed attenzione, e agiva con la stessa
intelligenza.
Qualcuno
diceva a mezza voce che avesse tutte le qualità di un capo. Io ero certa che
non avrebbe passato il resto della sua vita in un piccolo villaggio di
frontiera: troppo grandi erano le cose che era destinato a fare.
Purtroppo
lo aveva capito anche mio padre, l’unico al quale Daemon non fosse mai andato a
genio.
«Ma
che mi dici di quel ragazzo.» disse una delle pochissime volte in cui era
intento a darmi una mano in negozio «Come si chiama? Quello con la faccia da
ebete.»
«Intendete
Daemon?»
«Se
non sbaglio voi due andate molto d’accordo. Stavo pensando che forse dovresti
entrare più in confidenza con lui, se capisci cosa intendo.»
«Che
storia è questa, padre? Credevo che Daemon non vi piacesse.»
«Certo,
quando era solo un bifolco che viveva in mezzo ai boschi. Ma ora la storia è
ben diversa. Voglio dire, dove si è mai visto uno sceriffo così giovane?»
Era
chiaro dove volesse andare a parare, e mi diedi della sciocca per non averlo
capito subito.
«Si
dice che sia entrato nelle buone grazie del grassone. Di sicuro è destinato a
fare carriera, e presto tutte le donne di questo schifo di paese si metteranno
in fila per farsi sposare. Tu però partiresti avvantaggiata, visto che te la
intendi già bene con lui. Saresti sistemata per la vita.»
«E
voi con me, dico bene?»
Stavolta
il manrovescio arrivò senza alcun preavviso, ma nonostante il dolore e la
guancia rossa stavolta fu diverso dal solito: stavolta non chiesi perdono.
«Ti
ho già detto molte volte di non rivolgerti a me con quel tono, ragazzina.
Ricorda che lo sto facendo per il tuo bene.»
«Del
mio bene ha smesso di importartene tanto tempo fa, maledetto ubriacone. Anzi,
forse non ti è mai importato davvero.»
Il
secondo ceffone fu talmente forte da farmi volare via gli occhiali buttandomi a
terra, ma neanche questo fu sufficiente a piegarmi.
Ormai
avevo preso la mia decisione: non avrei più avuto paura di lui.
«Cosa
sono quegli occhi? Devo forse darti un’altra lezione?»
Quella mattina non ero certo uscito
dall’ufficio che il sindaco mi aveva assegnato con l’idea di recitare la parte
del valoroso cavaliere nella sua scintillante armatura.
Al
contrario, ero decisamente di cattivo umore.
Il
giorno prima ero stato chiamato al cantiere della Via Imperiale perché il
povero Malik era andato fuori di testa nel momento in cui quei sadici di
miliziani avevano esagerato con il bind.
Ce
l’avevo messa tutta per evitare di ucciderlo, ma quando quella montagna
ambulante nel suo delirio distruttivo si era messo a caricare come un toro una
carovana di passaggio semplicemente non mi aveva lasciato scelta.
E
ovviamente tutto era avvenuto sotto gli occhi di Scalia e di un altro gruppo di
altri mostri, arrivati giusto in tempo per vedermi ricevere i ringraziamenti
del capitano Oldrick per aver salvato la vita ad una
ventina di innocenti, inclusi parecchi schiavi.
Ne
conseguiva che quel giorno avevo decisamente la luna storta, e non aspettavo
altro che l’occasione giusta per menare le mani.
Inoltre se c’era una cosa che odiavo più
ancora di chi picchiava le donne era chi non sapeva riconoscere ed apprezzare
il talento.
E
Mary di talento ne aveva fin troppo per sprecarlo nella gestione di una piccola
bottega di periferia, in balia di un ubriacone.
Un
paio di volte avevo preso in considerazione l’idea di risolvere il problema
togliendolo di mezzo, ma per legge Mary non avrebbe potuto ereditare l’attività
fino ai vent’anni; e io non potevo rischiare di avere un burocrate pignolo a
ficcare il naso nei molti affari sottobanco che gestivamo insieme.
Quando
durante il mio giro di ronda passai accanto al negozio e sentii i rumori capii
subito cosa stava succedendo, ma a differenza del passato stavolta avevo
l’autorità per agire.
E
ammetto che forse mi feci un po’ prendere la mano, anche perché quando vidi
quel fallito in piedi sopra a Mary, pronto a riempirla di calci, persi
completamente il controllo.
Prima
gli piombai addosso scaraventandolo sul bancone, quindi presolo per la camicia
lo scagliai contro lo scaffale della frutta.
«È
facile prendersela con le ragazzine, vero bastardo? Prova un po’ con me!»
Quell’idiota
tentò persino di reagire, ma benché fosse quasi il doppio di me mi bastarono un
paio di pugni per stenderlo.
Era
la prima volta che facevo a pugni seriamente con qualcuno, e fui felice di
constatare che gli insegnamenti di Scalia avessero dato ottimi frutti.
Il
Comandante Beek come al solito se la prese comoda,
arrivando giusto in tempo per vedersi scaraventare quell’ubriacone già legato
tra le braccia.
«Aggressione
ad un funzionario imperiale e resistenza, quindici giorni di galera!»
Non
era molto, ma almeno per un po’ se ne sarebbe stato lontano da Mary e dai
nostri affari.
Beek
ovviamente protestò: Doug era uno dei suoi debitori più fruttuosi, e guadagnava
di più spennandolo a carte che con lo stipendio da Comandante. Ma io, il
“montanaro bifolco” che solo il mese prima doveva sopportare in silenzio le
calunnie di quell’illetterato in uniforme, adesso ero il suo superiore, e non
poté fare altro che obbedire.
«Stai
bene?»
«Io…
sì, grazie…»
Mary
mi guardava come se fossi stato il suo dio, ma avendo passato anni a coltivare
con cura il nostro rapporto non ne ero sorpreso.
Apparendo
ai suoi occhi come un modello a cui aspirare e un amico su cui contare mi ero
assicurato sia la sua costante determinazione a migliorare che la sua
dedizione, e sapevo che al momento giusto non sarebbe stato difficile
persuaderla ad entrare a far parte della cerchia di fedelissimi che intendevo
costruire.
Per
lei vedevo già un futuro da ministro delle finanze del mio nuovo impero.
Ma
per riuscire a spiccare il volo doveva liberarsi definitivamente delle sue
catene con un evento catartico, che segnasse il passaggio dalla bambina
spaventata dalla vita alla giovane donna fatta e finita, pronta a prendere
nelle sue mani il suo destino e le sorti di un’intera nazione.
Per
il momento però dovevo dare la priorità ad altre cose.
La
mia nomina a sceriffo aveva scontentato parecchie persone, ma se con la
determinazione, le giuste frasi e gesti simbolici come quello che avevo appena
compiuto ero riuscito a mantenere inalterata la considerazione di cui godevo
tra gli umani, arrivando anche ad accrescerla, altrettanto non si poteva dire
per gli schiavi del ghetto.
Come
aveva detto Faucheur, la creazione del mio impero
passava inevitabilmente per l’emancipazione degli schiavi, che dovevano
diventare la punta della lancia con cui tranciare le scricchiolanti fondamenta
del potere imperiale nella provincia.
Non
mi avrebbero mai seguito se non avessi prospettato loro un futuro, e per
poterlo fare era necessario che avessero ancora fiducia in me.
Ma
come avrebbero potuto averne se mi mettevo ad uccidere alcuni di loro,
stringendo la mano ai loro aguzzini?
Dannazione.
Perché è sempre così maledettamente difficile riuscire a mettere d’accordo
tutti?
Ero preparato ad affrontare gli imprevisti, ma c’era
un limite alle situazioni che potevo gestire nello stesso momento in una simile
situazione di equilibrio precario: come se non bastasse ci si misero pure i burocrati
della capitale a complicarmi le cose ancora di più.
Nota
dell’Autore
Salve
a tutti!
Anticipo
di qualche ora la pubblicazione di questo terzo capitolo per via di alcuni
impegni che mi terranno fuori casa per tutto il resto della giornata.
Così
ci siamo. Dopo una premessa, questo è il momento in cui gli eventi cominciano
effettivamente a mettersi in moto per giungere infine al cuore della vicenda.
Chi
ha familiarità con l’ambiente delle light novel saprà
che solitamente i primi capitoli sono sempre molto introduttivi, e che a
partire dal terzo (in alcuni casi già dal secondo) la storia inizia a procedere
molto più spedita.
Io
ho cercato di essere un po’ più lineare per non creare buchi di trama o
spiegare alcune cose in maniera troppo sbrigativa, prendendomi un po’ di tempo
anche per presentare gli altri personaggi secondari che in questi primi
capitoli si sostituiranno spesso a Daemon come voce narrante, cosicché gli
eventi che porteranno alla Rivoluzione siano narrati da tutti i punti di vista.
Ringrazio
Fenris per
la sua recensione e tutti coloro che stanno leggendo.
Ora,
una piccola domanda.
In
occasione della release della versione inglese che avverrà domenica prossima
(18 Giugno, anniversario della Battaglia di Waterloo) ho deciso, data la
lunghezza considerevole di alcuni capitoli, di tagliarli in due e pubblicarli
non più a cadenza bisettimanale ma ogni domenica.
Lo
faccio perché molti lettori internazionali preferiscono capitoli brevi e facili
da leggere, mentre per esperienza so che qui in Italia si tende a preferire
capitoli più completi ed esaustivi anche se più lunghi.
Voi
cosa preferite? Fatemelo sapere e mi adatterò secondo i vostri gusti^^
A
presto!^_^