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Autore: drisinil    14/06/2023    2 recensioni
Questa è una raccolta di oneshot dedicate alle ship UshiOi/IwaOi che seguono il mio personale headcanon. L'ordine delle storie non è cronologico, sono tutte indipendenti e autoconclusive, ma anche legate fra loro, come i tre protagonisti. Il finale per me è uno solo, ma è molto più interessante il percorso per arrivarci.
***
Il primo capitolo di questa storia è stato scritto in forma di one shot epistolare per il Concorso San Valentino 2022 WattpadFanficionIT.
Il secondo capitolo è in qualche modo un seguito e nasce come omaggio per il compleanno di Oikawa 2022.
Il terzo capitolo nasce con la challenge "comeasyouarenot2023" del gruppo fb "Non solo Sherlock"
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hajime Iwaizumi, Tooru Oikawa, Wakatoshi Ushijima
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Triangolo
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Oltre la soglia

 

Con i piedi affondati nella neve, Wakatoshi guarda verso l’alto.
E’ un continuo guardare verso l’alto, quando si tratta di Tooru. Guardare e aspettare, come si aspettano i doni del cielo: la pioggia, il tramonto, le stelle cadenti.
Ha i piedi bagnati, inizia a fargli male il collo, mentalmente si segna di fare un lunghissimo stretching per la cervicale domattina.
La sagoma di Tooru è scolpita nell’aria della sera da una tavolozza di azzurro e di vento leggero e gelido, che porta fiocchi di neve e li sbriciola in polvere bianca. E’ chino sulla balaustra del minuscolo balcone della sua stanza, gli avambracci contro la ringhiera, gli occhi che vagano inquieti e parlano lingue straniere, il respiro leggero.
Da quanto tempo sono in silenzio?
Minuti, ore, il tempo lo governa Tooru, muovendo il polso, inclinando il viso, abbassando le palpebre per un attimo e increspando le labbra. Quando decide di parlare, si fermano tutti gli orologi del mondo.
«Ushiwaka, tu lo sai dove vanno a finire i pettirossi d’estate?» gli chiede.
Waka non ne ha idea. Impiega qualche istante a dare un senso alla frase, si fa assalire dalla confusione, dal rammarico di non avere la risposta a una domanda così semplice. Non le ha quasi mai, le risposte. Probabilmente non le avrà mai.
«No, non lo so. Ma possiamo cercarlo da qualche parte. Posso cercarlo, poi te lo dico.»
«Mi piacciono i pettirossi» sussurra Tooru, e le parole sono un frullo d’ali, un alito di vento caldo, una promessa d’estate che fa rabbrividire Wakatoshi sotto la sciarpa color porpora. La neve diventa sabbia, il corpo avvampa di calore. Dove vanno a finire i pettirossi?
«Non ne posso più di vederti lì sotto impalato. Non hai freddo?»
«No.» Sta ancora bruciando.
«Sei proprio un robot del cavolo. Io mi sto congelando.»
Allora rientra. Vorrebbe dirlo, ma non ne ha le forze.
Waka si slaccia la giacca a vento, la sfila e la porge verso l’alto, in un gesto talmente spontaneo da sorprendere entrambi. La stanza di Tooru è al primo piano, se si sporgesse in giù potrebbe afferrarla. Ovviamente non lo fa.
Ride, invece. Ride di lui, e va benissimo così.
«Perché devi essere così stupido e ostinato?»
Wakatoshi abbassa gli occhi a terra, la giacca stretta in mano. La neve sciolta intorno ai piedi forma una pozza in cui si sente affondare, insieme alle sue ragioni, alla logica, alla prudenza minima che gli imporrebbe di evitare di beccarsi una polmonite a due settimane dalla finale delle eliminatorie.
Alza lo sguardo, piovono stelle cadenti.
«Perché ne vale la pena.»
«Di ammalarsi sotto la mia finestra?»
Di togliersi la giacca, la camicia e la pelle. Di perdere la salute, di perdere il sonno, di perdere il senno. «Anche.»
«Si può sapere che ci vieni a fare qui? Cosa vuoi da me?»
Tutto. Niente. Anche solo le briciole. La voce non esce, le corde vocali non vibrano, Wakatoshi apre la bocca, ma il cuore è un macigno che spinge in basso le parole.
Resta lì a bocca spalancata, come un pesce, fissando il gancio di metallo con sopra l’esca che fra poco gli trafiggerà il palato.
«La devi smettere di starmi sempre tra i piedi. Siamo nemici naturali, Ushiwaka. Mettitelo in testa.»
«Avversari, non nemici. E solo perché hai scelto la scuola sbagliata.»
«Ancora questa storia? Te l’ho spiegata due anni fa, mi pare, la scelta che ho fatto. E non me ne frega niente se hai capito o no.»
«Io ti avrei portato in nazionale.»
«Quanto sei stronzo. Non mi serve nessuno che mi porti. Ci vado da solo dove voglio andare.»
«Non con uno schiacciatore mediocre, una ricezione inesistente, senza preparatore atletico, mangiando roba schifosa piena di zucchero ogni volta che vinci.»
«Come lo sai?»
So tutto. «Il posto dove vai a strafogarti di gelato è giusto di fronte alla mia fermata dell’autobus.»
«Davvero?» Il viso di Tooru è impassibile, infastidito, ma qualcosa nei suoi occhi sussurra, provoca e irride. E’ un caso che la gelateria sia proprio lì? Wakatoshi resta impigliato in quello sguardo e in quella domanda stupida, la cui risposta non cambierebbe nulla, eppure sembra importante. E’ un caso? Dev’essere un caso.
La mano elegante che pende dalla ringhiera è così vicina che alzandosi sulle punte dei piedi potrebbe toccarla. La immagina tiepida, leggera, morbida ma non perfettamente liscia, come la superficie curva della palla, quando aderisce alla mano e la riempie, subito prima di schiantarsi al suolo oltre la rete.
Ecco, vorrebbe riempirsi le mani di Tooru, ingozzarsi di lui, lasciarlo sciogliere nel sangue come un veleno dolce e tossico, come gli antidolorifici, come lo zucchero.
Vorrebbe offrirgli il gelato. Vorrebbe correre con lui sulla spiaggia, guardare le stelle, giocare fino a crollare di stanchezza. Vorrebbe allacciargli le scarpe, per bene, senza quel mozzicone di laccio che sporge e minaccia di sciogliersi da un momento all’altro. I desideri più assurdi dondolano nel suo cuore come fa la mano di Tooru nell’aria, spostando l’acqua di un mare immaginario in cui Wakatoshi affogherà.
«La squadra non c’entra» protesta Tooru.
No, la squadra non c’entra. Non servono affatto sei persone per tutto quello che ha in testa Wakatoshi in quel momento.
«Mi ascolti? La squadra non c’entra proprio niente. Tobio-chan è in una squadra di merda, ma lo hanno convocato al ritiro della giovanile, no? Senza che ce lo portassi tu.»
«Kageyama? Kageyama è molto promettente. Anch’io lo avrei scelto. E la squadra non è così di merda: vi hanno battuti, dopotutto. Sono imprevedibili. Forse anche interessanti.»
«Non ti fa paura?»
«Chi? La Karasuno? Kageyama? E’ un ragazzino.»
«Il talento degli altri, Ushiwaka.»
«Il talento degli altri è una risorsa. Per la nazionale, per la pallavolo, per me. Perché dovrebbe spaventarmi?»
«Perché c’è un solo vincitore e tutto il resto del mondo deve perdere.»
«La pallavolo è uno sport di squadra.»
Tooru sbuffa, storce la bocca, alza gli occhi al cielo. «Essere il migliore non è uno sport di squadra.»
«Tu sei unico, non ti serve essere il migliore.» Lo dice con una semplicità che non conosce dubbio, una convinzione che non ammette repliche.
Tooru sorride suo malgrado, e gli si accendono di rosa le guance, sempre suo malgrado. La neve si ferma sospesa nell’aria, il mondo brilla per un attimo di una luce che prima non c’era.
Poi un calcio fa vibrare la ringhiera, un calcetto leggero, simbolico. Wakatoshi si riscuote.
Tooru governa il tempo e il tempo riprende a scorrere.
«Toshi, ti ho mai detto che ti odio?»
Toshi.
«Tante volte.»
«E la cosa non ti fa incazzare?»
«No.» Per questo sono qui.
«Ha ragione Iwa-chan: sei davvero uno stupido. Io però sto gelando. Mi verrà un colpo.»
«Allora dai, rientra.» Stavolta lo dice. E si ricorda di infilarsi la giacca.
«Tu resti lì?»
«Solo un altro po’.»
Tooru riflette, ha le mani ancorate alla ringhiera, le spalle dritte, guarda per aria, qualche fiocco gli turbina intorno. «Vuoi salire?»
Sono soltanto due parole ma spalancano un milione di porte, che sbattono tutte insieme. Il boato è assordante, le equazioni dell’universo convergono a una manciata di incognite. A Waka sudano le mani, una nuvola di farfalle furiose gli si libra alla bocca dello stomaco.
Per superare la soglia di quella casa basta un passo. Mentre lo compie, Waka si accorge dei calzini bagnati, delle mani bagnate, dell’erezione compressa e dolorosa, della pelle d’oca su tutto il corpo. Si accorge dei muscoli e dei tendini che si contraggono per spingerlo oltre quel confine invisibile. Si accorge dell'amo conficcato nella guancia, del sangue sulla lingua.
Si accorge di Tooru, una sagoma netta, colorata ad acquerello di sfumature impossibili, non più azzurre, ma tutte rosse. Così vicino.
Si accorge del prezzo che pagherà.
Si accorge di tutto e se lo lascia alle spalle, oltre la soglia.
Ne vale la pena.

***
Questa OS è stata scritta per la challenge MayIwrite del gruppo fb "Non solo Sherlock" grandissima e inesauribile fonte di ispirazione.
   
 
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