Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Enchalott    19/06/2023    3 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a tutti! :)
**************************************************
Dopo una guerra ventennale, i Salki vengono sottomessi dalla stirpe demoniaca dei Khai. Negli accordi di pace figura una clausola non trattabile: la primogenita del re sconfitto dovrà sposare uno dei principi vincitori. La prescelta è tanto terrorizzata da implorare la morte, ma la sorella minore non ne accetta l'ingiusto destino. Pertanto propone un patto insolito a Rhenn, erede al trono del regno nemico, lanciandosi in un azzardo del quale si pentirà troppo tardi.
"Nessuno stava pensando alle persone. Yozora non sapeva nulla di diplomazia o di trattative militari, le immaginava alla stregua di righe colorate e numeri su una pergamena. Era invece sicura che nessuna firma avrebbe arginato i sentimenti e le speranze di chi veniva coinvolto. Ignorarli o frustrarli non avrebbe garantito alcun equilibrio. Yozora voleva bene a sua sorella e non avrebbe consentito a nessuno di farla soffrire."
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
La danza delle lame
 
Yozora non aveva mai visto la capitale tanto gremita. I preparativi per celebrare i trecentoventisei anni del trono di Kaniša erano ultimati e gli ospiti si accalcavano all’ingresso principale.
«Non presenziare è una provocazione» precisò Valka, sporto dal loggiato «I clan confermano l’appoggio alla corona, i reikan riscuotono gli encomi, le famiglie trattano alleanze e matrimoni, mentre i comuni mortali sperano di incontrare il futuro compagno in una circostanza diversa dal campo di battaglia.»
Yozora intuì un velato riferimento a se stesso e alla sua condizione sociale.
«Oh, anche voi? Così giovane?» domandò schietta.
«Siete sorpresa? Centosessantacinque anni sono i vostri diciotto, mese più mese meno. Siamo coetanei e state per convolare a nozze, anche per i Khai è il momento giusto, con le immaginabili eccezioni incatenate al rango. Io però fatico a mettere la testa a posto.»
Nonostante l’umorismo c’era una nota di malinconia negli occhi del cavaliere alato, che scintillavano d’eccitazione mentre osservava il flusso ininterrotto di persone. Forse l’inglorioso compito di guardia del corpo era collegato all’ammissione d’immaturità. Celò il sorriso con la mano, certa che al contrario sapesse il fatto suo.
«È la vostra prima solennità a Mardan, direi.»
«Si nota tanto?» sbalordì Valka «Alla faccia dell’atarassia demoniaca! Durante l’addestramento nessuno partecipa alle ricorrenze, vale per le reclute e soprattutto per i membri dei clan minori. Ho guadagnato i gradi solo un anno fa, sono qui per proteggervi, altrimenti nuoterei nel fango dell’Irravin, lontano dai fasti della corte.»
La principessa intese la seconda nota pungente sulla disparità tra cerchie familiari ma preferì non forzare la conversazione.
«Quindi oggi conoscerò il clan d’oltremare?» s’informò.
«Mmh. Il principe Suhail non è in buoni rapporti con il re, tant’è che la delegazione interviene da oltre due secoli senza di lui.»
«State dicendo che Mahati non ha mai incontrato il nonno?»
«A palazzo no di certo.»
Yozora sospirò avvilita: che non si fosse fatto vivo per appoggiare il nipote dopo la morte di Naora era inspiegabile persino per i dettami dei Khai.
Se non per affetto, perché neppure per orgoglio o vendetta?
«Non vi capacitate, vero?» mormorò Valka.
«Sinceramente no. E dire che sono qui da parecchio.»
«Sollevate il morale, io ci sono nato e comunque non capisco.»
«Non scherzate!»
«Che Suhail abbia sacrificato il rancore all’unità del regno è chiaro. Ciò che la mia testa rifiuta di comprendere è il presupposto. Se a mia figlia fosse stato riservato quel trattamento, sarei entrato nelle stanze reali con tutto lo stormo.»
«Allora non è la vostra testa, è il vostro cuore» sorrise Yozora.
Il reikan sgranò gli occhi e appoggiò d’istinto la mano al petto.
«Non scherzate voi, ora. Un Khai non ama. Si tratta di una questione d’onore.»
«Oh, sempre così categorici! Non vi offenderò con la parafrasi dei vostri dogmi, cambiamo argomento. Siete molto informato, anche se duecento anni fa non eravate nato.»
«Ho una mentalità aperta, chissà che la soluzione alla pietra che portiamo nel petto non venga da una straniera» concesse allegro il giovane «Quanto al resto, non se ne parla per riguardo ma è difficile non esserne al corrente. Perché sorridete?»
«Ho osato affermare davanti all’erede al trono che persino una pietra fonde. Nel vostro caso tuttavia non scorgo alcuna pietra.»
Valka avvampò. Era sciolta da tempo, se mai ne aveva posseduta una, e la lava che gli scorreva nelle vene bruciava con il dannato ahaki. La ragazza aveva la stessa sensibilità di Shaeta, maggiorata dall’urgenza di imparare e dalla prospettiva di vivere lì, legata per sempre a uno di loro.
Questo spiega perché il Šarkumaar la guarda così. Gli dèi ci assistano.
«Non… serve che ve la mostri» bofonchiò in risposta.
«È per questo che vi è stato ordinato di farmi la guardia? Troppa umanità?»
«No. Sono abile.»
Non specificò in cosa, ma la coscienza si rivoltò al pensiero della quarta asheat e del ricatto cui stava sottostando. Provò a staccarsene con il muro mentale che gli era stato insegnato con i primi passi.
È un granello nel deserto. Solo un granello nel deserto.
 
In abiti formali Mahati era un’apparizione celeste. La seta chiara cadeva perfetta in ogni piegatura, mettendo in risalto i tratti marcati. Non l’aveva mai visto con la corona, non pensava fosse suo diritto e guardarlo con l’ornamento sulla fronte la emozionò.
«Vado bene?» chiese lui, allacciando al medio le maniche a punta.
«Temo che gli Immortali siano invidiosi di te.»
Il principe rise e la tensione che gli irrigidiva le spalle si dissolse.
«Se accade è perché ho una consorte impareggiabile.»
«Hai detto…?» si sorprese Yozora, convinta di aver travisato il termine.
«Sì. Abbiamo consumato l’unione. Non è la cerimonia formale a renderci sposi.»
«Me ne avevi parlato, ma ero persuasa che le asheat dovessero essere complete.»
Il Šarkumaar inalò l’aria come se l’appunto lo disturbasse. Vide una scheggia d’ansia nello sguardo di lei e le sollevò il viso, rassicurante.
«Tre su quattro è un risultato egregio. L’ultima ti preoccupa?»
«No. Mi fido di te.»
Mahati si chinò a baciarla, avvinto in un calore che sgorgava da dentro, diverso da quello che spingeva un Khai ad agire in base al codice e alla ferocia.
«Sull’Arco letale di Belker, non ti tradirei neppure se mi piegassero con un veleno peggiore di quello minkari» giurò.
La ragazza posò il capo sul suo petto, lo sguardo velato da lacrime di commozione e d’inquietudine. Un vuoto nello stomaco la atterriva, desiderava riempirlo con l’impegno sincero e carico di passione da lui pronunciato.
Ho paura! Mi manca la terra sotto i piedi!
«Vale anche per me» alitò «Preferirei morire.»
Mahati la tenne stretta, assimilò il ritmo irregolare dei suoi battiti e il gradevole fresco della sua pelle. Era qualcosa di fragile e inestimabile, qualcosa che ogni singola fibra bramava preservare. Il concetto di appartenenza, di vincolo non era mai stato così manifesto, l’ira contro chi l’aveva umiliata era una fiamma inestinguibile.
«Non piangere, non lo sopporto.»
Quando lei si mosse per lasciare l’abbraccio, la trattenne.
«No. La verità è che davanti alle tue lacrime mi sento inerme, fronteggio emozioni che i Khai non praticano. Non riesco a condividerle e non… dannazione!»
«Hai il tuo credo, mio prezioso» rispose Yozora, colpita dal suo trasporto.
«Non è quello. Io capisco il motivo per cui piangi anche se non l’ho mai fatto.»
Lei spalancò gli occhi: che lo stratega supremo ammettesse di empatizzare con i sentimenti valeva quanto un prodigio.
«È gioia» gli disse.
Mahati sorrise, ma i sensi restituirono una sensazione diversa. Quella che emanava da Yozora aveva l’aroma di una spina amara. Stabilì di non insistere e soprassedette, ripromettendosi di prestare maggiore attenzione.
«Quindi non serve che ti dica che sei un meraviglioso bocciolo di midar
La principessa sistemò la seta verde, arrossendo per il paragone ardito: un fiore rarissimo, che veniva posato sul talamo nuziale in segno di buon auspicio e fertilità. Si avvinse al suo braccio e si lasciò condurre fuori dall’ala est.

«Resta vicina a me.»
Il tono di Mahati non ammetteva repliche. Si era incupito non appena aveva distinto Ŷalda e la sua cricca di adulatori, poi aveva emesso un sibilo minatorio quando questi si era approssimato con la freddezza altezzosa di chi è intoccabile.
Yozora non si ritrasse per evitare di apparire irresoluta davanti al maggior detrattore del marito, tuttavia sentì l’inverno nelle vene.
L’uomo aveva una corporatura imponente, gli occhi di azzurri erano magnetici, glaciali, la bocca arricciata in una piega sprezzante che pareva congenita. I capelli biondi spruzzati di grigio erano raccolti sulla testa e impreziositi da fermagli gemmati. Dalla scollatura dell’abito spuntava il tatuaggio di una fenice che spiccava il volo. Non era bello, il suo fascino risiedeva nella forza virile e nella sicurezza che emanava.
«Altezza reale» salutò con un invisibile inchino «Assomigliate sempre di più a vostro padre, avete il suo sguardo tagliente e la sua intraprendenza. I Khai sono fortunati a contare su un comandante vostro pari.»
Il Šarkumaar ribollì all’insulto mascherato da elogio. L’impulso fu di sguainare, ma le dita femminili artigliate al suo gomito gli ricordarono uno strumento altrettanto letale.
«Sono io a contare sulle armate, principe Ŷalda, non il contrario. Tali parole mi tranquillizzano, l’efficienza in ciò che mi compete differisce dalla presunzione. Grazie al vostro giudizio sono certo di non essere caduto nell’errore comune ai grandi.»
Il più anziano incassò con signorilità, ma il torvo balenio degli occhi confermò che la stoccata era andata a segno.
«Pongo la secolare esperienza al vostro servizio» pronunciò asettico, sdrucciolando uno sguardo vizioso su Yozora «Non mi presentate la vostra fidanzata?»
«Sono certo la conosciate già. Non attraverso i canali ufficiali, però l’importante è aver onorato la cortesia.»
L’altro si limitò a sorridere con supponenza, poi tese la mano: un gesto prevaricante che avrebbe obbligato la principessa salki a concedere la sua. Il Kharnot lo fulminò con lo sguardo: impedendo l’atto, sarebbe caduto in una villania e avrebbe autorizzato l’interlocutore a pretendere soddisfazione davanti a tutti.
L’elettricità raggiunse l’apice, coinvolgendo gli astanti, fermi ad ascoltare lo scambio verbale in attesa dell’infuocarsi dell’attrito.
Yozora fissò le dita del maturo aristocratico, poi staccò un nastro dalla manica.
«Affinché abbiate qualcosa di mio» lo posò sul suo palmo come un’elemosina «A Seera chi porta il pegno di una dama vanta il privilegio di difenderla. Qui, dove l’orgoglio accende il sangue, sono certa apprezzerete il valore del dono.»
Ŷalda impietrì. Fu costretto ad accettare e accennò un ringraziamento, infilando la fettuccia di seta nella manica. Poi si congedò con un pretesto.
Lei tirò il fiato: le sembrò che il salone avesse riguadagnato la temperatura e che i convenuti si fossero rianimati come un meccanismo appena ricaricato. Sollevò il viso e incontrò lo sguardo esterrefatto del Kharnot.
«C-che c’è?» balbettò.
«Come ti è venuto in mente?»
«Io… perdonami, non intendevo metterti in imbarazzo! Trovarmi a tu per tu con quell’ipocrita, che pensa di valere più di te e si nasconde dietro al prestigio del clan, mi ha fatto perdere il lume della ragione! Davvero, non…»
Mahati le appoggiò l’indice sulle labbra e si aprì in un sorriso radioso.
«Ssh. L’hai incastrato tra i rovi, rare volte ho visto una mossa del genere» mormorò, godendosi l’espressione smarrita di lei «L’allusione ha lasciato intendere che lo ritieni il mandante dell’aggressione, mentre il lembo di stoffa che gli hai consegnato ha valore di risarcimento per le vite dei suoi. È poca cosa, pertanto hai assegnato loro scarso pregio. Caricandolo di un significato legato alle tue origini, l’hai fatto sentire vincolato e, considerando il nostro modo di pensare, sarebbe stato meno umiliante se lo avessi bastonato con il fodero della spada.»
Lei divenne paonazza quando il marito la costrinse al muro e la baciò.
«Ti muovi tra le parole come una Khai, pensi, agisci come una di noi» continuò «Addirittura ti viene naturale. Eppure non è la ragione per cui ti desidero da impazzire. È quando non approvi i nostri costumi, quando ti opponi alle nostre leggi e comunque cerchi di non insultarci che voglio possederti con tutto me stesso. Con l’anima. E mi chiedo se essa sarà mai mia come lo è il tuo corpo.»
Yozora si sentì perforare dal suo sguardo. Intrecciò le dita alle sue, arginando il tumulto interiore.
«Prego il sommo Kalemi per noi, per ciò che senti tu, per ciò che sento io. Se restiamo insieme è perché siamo stati esauditi. Mi domando ogni giorno cosa custodisca il tuo cuore, come sarebbe fare l’amore con te. Se è possibile plasmare una forma unica a quanto aneliamo.»
Lui ascoltò, guardandola come se avesse la soluzione a portata di mano.
«Altezza reale, perdonate l’incomodo.»
L’alto dignitario rispettò la distanza pur recando disposizioni improcrastinabili. Mahati emise il fiato con irritazione.
Come al solito vengo interrotto.
«Sì. Siamo attesi alle udienze, me lo ricordo» lo congedò brusco.
Si prese un istante per riordinare le idee, l’espressione si ricompose severa.
«È il momento, Yozora. Non esitare se vuoi impetrare grazia, domandala come se ti fosse dovuta. Rivolte a te, paiono raccomandazioni superflue.»
«No. Continua a parlarmi, dimmi come fai a mantenere il sangue freddo, non voglio che il re avverta la mia angoscia. Un errore e per Naiše sarà la fine.»
«Il metodo che mi è congeniale non ti sarà affine. Odiare dal profondo. Difficile istruirti in dieci passi, ma Kaniša ti ha già accolta una volta, la strada è spianata.»
La accompagnò alla sommità della gradinata, davanti al seggio di suo padre. Si piegò e attese che gli porgesse l’anello per portarlo alla fronte in ossequio. L’astio infuriò nel petto, tanto aggressivo che pronunciò la formula augurale con più distacco del solito.
Il sovrano gli posò sul capo una destra stranamente leggera.
«Il mio secondo frutto» constatò incolore «Sei più sincero di tuo fratello nell’auspicare per me lunga vita e intramontabile gloria?»
«Non ho udito la sua perorazione, padre.»
Il contatto si interruppe, segno che il re gli aveva concesso di alzarsi. Sul viso scavato dalla malattia c’era un’espressione gelida.
«Rhenn dovrebbe reclamare al celeste Belker anni a venire, tu accrescere la mia fama sul campo di battaglia. Offri il tuo massimo, Mahati?»
«Sì, erkhem
Kaniša annuì, stringendo le palpebre come a saggiare la veridicità dell’asserzione.
«Danzerete per me le spade?»
«A vostro piacere, padre.»
Lo sguardo del sovrano deviò su Yozora, inginocchiata con deferenza.
«Chissà che quest’anno io non assista al solito banale pareggio» mormorò sottile «Che il sangue di uno di voi si risvegli dal torpore e ripudi la correttezza dietro cui reprimete gli istinti. Pare che la sorte abbia deciso di ignorare il mio volere e di perpetrare la dannazione della nostra famiglia anche se ho diviso i vostri cammini.»
Famiglia!?
La collera di Mahati dilagò, rischiando di sprigionarsi all’esterno. Si morse il labbro inferiore e mantenne l’impassibilità. Evitò lo sguardo del fratello, compìto accanto al trono e immobile come una statua.
Kaniša scosse la testa con biasimo e continuò quella sorta di assolo drammatico.
«Preparatevi» sancì alla fine «Ascolterò la richiesta della tua principessa.»
Mahati avrebbe preferito staccarsi una mano piuttosto che lasciarla con lui, inoltre avrebbe voluto ascoltare i termini che lei avrebbe scelto per smuoverne l’inesistente misericordia.
La frotte aggrottata di Rhenn esprimeva un identico malumore, inasprito forse dal distacco cui era stato costretto dopo l’episodio della biblioteca. Scesero la scalinata spalla a spalla, in silenzio, come se tutte le parole fossero state pronunciate.
Yozora procedette al ritmo della tachicardia che le scuoteva il petto. Cercò di pensare all’ultimo incontro con il tiranno, ove l’ardimento aveva sovrastato il panico.
«Siete preda di una tempesta, diletta» mormorò Kaniša, sforandole la chioma bruna «Cosa vi turba oggi?»
«Il destino di una persona, maestà.»
«Trascorrete l’esistenza preoccupandovi per il prossimo. Vi stimerei eccentrica, se non avessi scorto lo stesso aspetto nella regina Kelya. Che mi chiedete, dunque?»
«Di annullare una pena capitale, erkhem
«Perché non di tornare a casa?»
«Mardan è casa, mio signore. Avete menzionato mia madre, a Seera troverei solo la sua tomba, qui vive una donna che mi ha confortata con un identico calore. Poiché la vita dell’una è stata sacrificata al celeste Belker, pretendo che quella dell’altra venga consegnata a me.»
Kaniša inarcò un sopracciglio: nelle iridi nocciola fluttuò una discreta meraviglia.
«Iyoshi?» ripeté «Un verbo che nessuno pronuncia al mio cospetto.»
«Nessuno avverte la mia urgenza, maestà.»
Il re emise una fredda risata. Poi inalò l’ossigeno, trattenendo i colpi di tosse in rauchi e faticosi respiri. Yozora gli porse con premura una pezzuola di lino, ma lui rifiutò.
«A furia di regalare stoffa, rimarrete nuda. Mio figlio non gradirebbe.»
Lei arrossì, interrogandosi su come potesse sempre essere edotto su tutto.
«E non apprezzerebbe quest’attenzione nei miei riguardi» seguitò con un filo di voce «L’istanza vi ritrae come priva di egoismo, tanto da sacrificarvi a beneficio di una shitai. Pur biasimandolo, comprendo l’animo che avvertite per costei. Ciò non spiega perché in tale preziosa occasione non m’implorate affinché annulli l’impegno tra voi e Mahati.»
«Vi apparirà bizzarro, erkhem, ma supplicherei il contrario.»
Kaniša tormentò il mento volitivo, meditando.
«Il mio secondogenito è ligio, perciò vi tratta con riguardo. Si attiene ai doveri, difende il vostro onore e vi dà piacere nell’amplesso. Qualunque principe o degno marito vi riserverebbe il medesimo decoro. Cosa lo rende tanto speciale?»
«Io, maestà.»
Il sovrano spalancò gli occhi in un lampo di consapevolezza.
«Parlate con franchezza, diletta.»
«Ciò che avete elencato, ciò che verrà nel tempo, nella gioia o nella sofferenza, lo condividerò unicamente con lui. Il pensiero di averlo perso mi ha quasi annientata, ora è l’idea di restare priva di Naiše ad angosciarmi. Non tenterò di convincervi che senza di lei il clan reale sarebbe stato infangato e indotto alla faida. Con la sincerità che avete comandato dirò che non voglio mai più desumere il valore di un essere umano dopo la sua morte. Non voglio che l’assenza diventi un metro di valutazione.»
Kaniša si sporse in avanti, dalle labbra uscivano respiri affannati.
La mancanza. Per rifuggirla ho immolato al dio della Battaglia il mio regno, i miei figli, ogni istante della mia esistenza! Per una donna che mi ha odiato sino all’ultimo ansito ho distrutto me stesso! Cosa sarebbe accaduto se Naora mi avesse amato, cosa se ottenessi il suo cuore in questa o nella prossima vita? Ipocrita, sì. Meriterei il titolo, se contestassi alla giovane straniera l’onere dei miei stessi sentimenti.
«Siete persuasiva. Lo era anche vostra madre, le sue parole si insinuavano nel petto imprimendo un solco. Non l’ho esaudita, termini quali pace e confronto non rientrano nel codice di un Khai. Voi tuttavia reclamate un riscatto, un concetto dignitoso, più coraggiosa di tanti miei sudditi. Soddisferò la vostra richiesta.»
Yozora trepidò, chinandosi a rasentare le dita nodose del re in un ringraziamento colmo d’aspettativa. Aver ottenuto l’assenso con insperata facilità le infliggeva però insicurezza, come se la questione non fosse conclusa.
«In cambio vi domando una cortesia» seguitò lui a conferma dei timori «I miei eredi danzeranno le spade nell’ofytar, come da tradizione. Sedete con me e osservateli con estrema attenzione.»
La ragazza assentì sconcertata, mentre un efficiente nisenshi sistemava i cuscini ai piedi dello scranno.
 
Rhenn e Mahati rientrarono nel salone appositamente sgomberato. Gli ospiti erano addossati alle pareti, bisbigliavano e scambiavano pronostici sulla sfida. Accanto a lei, stretta nel meraviglioso abito argento, Rasalaje pareva tesa, il respiro lievemente accelerato. Quando aveva preso posto, le aveva rivolto un debole sorriso, poi aveva iniziato a tormentare il manto tempestato di cristalli e Yozora le aveva sfiorato la mano facendola trasalire.
Non aveva decifrato le ragioni dell’affanno, ma l’atmosfera aveva richiamato l’ultimo giorno trascorso con Hyrma e un groppo alla gola le aveva impedito di domandare.
«I clan stanno scommettendo» mormorò Valka abbassato sulle ginocchia, le lame posate a terra in rispetto al codice «È sconveniente puntare contro uno dei figli del re, ma la tentazione è superiore alla discrezione.»
Yozora annuì, l’attenzione fagocitata dai due prìncipi.
Il minore portava ai fianchi un lembo di stoffa ciclamino sorretto da una cintura dorata, spallacci curvi di metallo e identici copri avambracci. Le fiamme del thyr sfidavano le gemelle impresse sul petto di Rhenn, che vestiva lo stesso niente in pelle nera, bracciali ai polsi ed esibiva un ornamento a fascia alla base del collo. Erano concentrati all’eccesso, i piedi nudi indugiavano nervosi sul pavimento lucido. Quando i valletti porsero loro le spade, gli occhi di ambedue s’accesero minacciosi.
«La sfera fissata alla base dell’elsa è un contrappeso» precisò il reikan «Altrimenti non potrebbero padroneggiarle.»
All’improvviso una musica aggressiva di corde e percussioni saturò l’ambiente, aizzando i contendenti.
Il primogenito lanciò l’arma al soffitto e saltò come se avesse le ali, ricevendola al polso e facendola rotolare al braccio opposto attraverso le spalle. Poi la fece scorrere sulla schiena e con un guizzo della muscolatura la riportò in posizione.
Mahati rispose all’istante, volteggiando a terra su una mano e mulinando la spada con l’altra: la lama letale sfiorò la pelle nuda, girò intorno al collo tre volte come se possedesse una volontà propria e fosse ancorata a lui da invisibili fili. Tornò tra le sue dita come l’atto più naturale del mondo.
Rhenn appoggiò il pomello sul piede destro ed eseguì un’acrobazia senza toccare l’impugnatura, poi rimase in equilibrio e ruotò su se stesso in un girotondo sfrenato.
Il fratello si unì a lui con un balzo all’indietro, mandando tra le ginocchia e alle caviglie l’arma che sembrava priva di peso, facendola saltare quasi senza sfiorarla.
La melodia impennò, mentre i figli del re danzavano con la morte, uno difronte all’altro in una sequenza di passi veloci e movimenti ipnotici.
Yozora seguì incantata, il cuore che pulsava feroce al pensiero di un fallo: intese sia l’origine dell’irrequietezza della cognata sia la tensione distinta quella mattina in suo marito. Sbagliare non era concesso, mancare una presa equivaleva all’assenza di controllo, commettere un errore e ferirsi significava perdere la faccia più che la vita. Rhenn e Mahati non erano disposti ad ammettere la superiorità dell’altro, la prova sarebbe potuta durare all’infinito, considerando la loro abilità.
«È Kaniša a sospendere l’ofytar» illustrò Valka «Di norma i guerrieri si spingono all’eccesso, ma il sovrano non permette che uno dei figli risulti sconfitto.»
A quelle parole sobbalzò tanto forte che Rasalaje si voltò a incoraggiarla.
«Non temere, kalhar, non è mai accaduto nulla di spiacevole.»
Yozora le strinse le dita, ma l’ultima affermazione del re e la richiesta di assumere il ruolo di spettatrice si colorarono di nero. Alla vista dei bracieri trasportati a fatica dagli schiavi, la voce non uscì.
I giovani demoni aspersero le lame di una sostanza vischiosa, le avvicinarono ai caldani e le fiamme ruggirono divorandole fino all’apice. Nessuno dei due indossava protezioni, le mani erano esposte al riverbero, i corpi lucidi di sudore esibiti per fierezza. Solo i capelli erano raccolti per precauzione, ma la chioma corta di Mahati sfuggiva ai legacci in brillanti ciocche corvine.
Le spade ripresero la danza incendiando l’aria di faville: ogni rotazione stracciava l’aria con un mugghio furibondo, la tenuta salda era una carezza sulle fasce di seta che decoravano l’impugnatura, una magia che rendeva il metallo affilato impalpabile piuma.
Il tempo si dilatò a dismisura, i volti arrossati dei prìncipi si stravolsero per lo sforzo, ansiti ritmati emersero dalle labbra socchiuse. Kaniša taceva, sprofondato sul trono, la fronte corrugata a moderare l’impassibilità dell’espressione.
«Perché non li ferma!?» eruppe Yozora.
Valka scosse il capo, gli occhi rubino spalancati nel medesimo sconcerto.
Rasalaje si volse al sovrano, lo sguardo sovraccarico di una preoccupazione che non avrebbe dovuto esibire.
«Erkhem…?»
Questi ignorò la richiesta, i suoi eredi colsero l’invisibile levarsi dell’indice che li costringeva a proseguire. Si rivolsero occhiate significative e sussurri. Poi il dialogo si fece concitato, la musica coprì lo scambio che divenne sempre più serrato. Parole e acrobazie in un silenzio raggelante. La stanchezza affiorò dalle membra tese, rallentando le mosse ma non la mortalità delle spade, non il desiderio di primeggiare o l’obbligo verso il padre.
«Maestà!» implorò Yozora in preda al panico.
Sgusciò dalla presa del reikan e si prostrò ai suoi piedi, la fronte a lambire il bordo della veste, presumendo che la malattia gli stesse offuscando i sensi e la volontà. Tuttavia lo sguardo del tiranno era vigile, determinato, freddo. Era conscio della richiesta, conscio delle conseguenze.
All’apice del terrore la ragazza si volse di nuovo al duello, cogliendo su di lei il balenio delle iridi di entrambi i giovani. Tra loro volarono altre parole e per un istante la danza riacquisì la grandiosità e il vigore iniziali.
Rhenn prese il sopravvento come se la spossatezza antecedente fosse simulata, costringendo il fratello verso il muro in un volo di lame e fiamme. Mahati oppose e per la prima volta le spade si toccarono in un’esplosione di scintille, abbandonando la spettacolare prova d’abilità per mutarsi in aperta contesa.
La corte rumoreggiò stupefatta, i presenti invocarono la considerazione del sovrano, qualcuno si fece avanti ma fu arrestato dai nisenshi schierati ai margini del cerchio.
Il secondogenito, la schiena addossata alla parete, mancava della libertà necessaria a rendere efficaci le contromosse, incalzato dalla perizia del maggiore.
«Erkhem! Vi prego!» gridò Yozora sconvolta alle lacrime.
Non ottenne risposta.
Al contempo Rhenn, privo di esitazioni, affondò la lama nel corpo del fratello.
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Enchalott