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Autore: Yellow Canadair    21/06/2023    2 recensioni
Lucci, Kaku e Jabura si svegliano nudi in un laboratorio sconosciuto. Dove sono? che è successo al resto del gruppo? perché non riescono più a trasformarsi? Tutte domande a cui risolvere dopo essere scappati, visto che sono giustamente accusati di omicidio plurimo.
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Nefertari Bibi è sparita da Alabasta: Shanks il Rosso l'ha portata via per salvarla da morte certa, perché qualcuno vuole il suo sangue per attivare un'Arma Ancestrale leggendaria. Ma i lunghi mesi sulla Red Force suggeriscono a Bibi che forse chiamare i Rivoluzionari potrebbe accelerare i tempi...
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Intanto Caro Vegapunk ha una missione per gli agenti: recuperare suo padre, prigioniero nella Sacra Terra di Marijoa. Ma ormai Marijoa è inaccessibile, le bondole sono ferme, e solo un aereo potrebbe arrivare fin lassù...
I Demoni di Catarina, una long di avventura, suspance e assurde alleanze in 26 capitoli!
Genere: Angst, Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cipher Pool 9, Jabura, Nefertari Bibi, Rob Lucci, Shanks il rosso
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dal CP9 al CP0 - storie da agenti segreti'
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Capitolo 25

Alba di sangue

 

Califa ansimava, ma era ritta e fiera a pugni stretti, guardia alta e gambe ben piantate a terra. Sulle bende che la dottoressa le aveva appena messo si andavano allargando macchie scure di sangue, ma un'agente del Cipher non avrebbe mollato per così poco.

«Sei molto più molesto di quanto ricordavo.» sibilò irosa.

Jabura si rialzò e si scrollò la polvere di dosso. «E io non ricordavo che una come te sapesse anche combattere.»  

La dottoressa intanto strisciò accanto a Lilian, che a terra boccheggiava e cercava inutilmente di fermare il sangue che sgorgava dalla ferita che Jabura le aveva inferto. 

Califa estrasse una frusta spinata e ringhiò: «Whip crack-rankyaku!» e liberò dalla frusta cinque lingue taglienti che solo per poco mancarono Jabura, che fu costretto ad arretrare nel corridoio.

Poi fu lei a dover parare con il Tekkai l'attacco dell'uomo, che le rovesciò addosso una pioggia di Shigan che la fecero cedere. Ma dal fondo del corridoio si rialzò una figura imponente e minacciosa, che non poteva tollerare un simile tradimento perché di tradimenti se ne intendeva: Blueno strinse con i denti una fasciatura improvvisata, e si preparò a combattere.

Fukuro, alle sue spalle, scosse il testone dalla zazzera verde e mormorò: «Hai fatto molto male a metterti contro di noi.»

Insieme saltarono addosso al compagno che li aveva aggrediti, subissandolo di colpi, coordinandosi per non lasciarlo avanzare, e riuscirono a farlo arretrare, e a farlo allontanare da Califa, che era ferita e stava evidentemente dando gli ultimi colpi.

Ma Jabura non cedeva, rideva, rideva e continuava ad attaccare per uccidere.

Blueno ringhiò basso e fece il Tekkai, riparando Califa riversa a terra. Jabura non ansimava, non andava a terra, non si feriva, nonostante tutti loro l'avessero colpito. «Quel bastardo sta usando il suo Tekkai.» spiegò Blueno. «È fuori dalla nostra portata. Dobbiamo sperare che si stanchi.»

«Chapapa, ma io sono sicuro…» mormorò Fukuro, appoggiandosi a Blueno «di averlo colpito! Guarda!» disse mostrandogli le dita sporche del sangue di Jabura. «Gli ho fatto lo Shigan!» piagnucolò.

«Ti sarai sbagliato.» insistette Blueno.

Fukuro protestò: «Chapapa, come posso sbagliarmi di una cosa del genere?? e poi, come faccio ad aver penetrato il Tekkai di Jabura, se nemmeno Lucci ci riesce!?»

Blueno non sapeva spiegarselo. E nemmeno poteva ragionarci, impegnato com'era a sopravvivere.

«E ammettendo che Fukuro ci sia riuscito» mormorò Califa rialzandosi. «Perché non ha neanche un graffio??»

All'improvviso uno squillo di lumacofono.

«Ops, scusate.» disse Jabura con noncuranza. Estrasse un lumacofono e rispose. «Ehi capo!»

Lilian si rialzò a fatica, si asciugò le lacrime con le mani e si allineò con gli altri agenti.

Jabura continuò: «Sì, sono qui. No, non li ho ancora fatti fuori.»

Parò un Rankyaku di Fukuro. 

«Sì certo… no, hanno opposto… CERTO CHE HANNO OPPOSTO RESISTENZA.»

Scansò senza difficoltà l'attacco congiunto di Blueno e Lilian, li falciò con un Rankyaku che quasi tagliò loro le gambe, e terminò: «Arrivo subito, capo. Ma manda qui le Sentinelle D'Argento a finire il lavoro.»

 

~

 

Jabura si guardò attorno, ma la stanza era vuota, a parte la gabbia con l'ex Ammiraglio. «Dite che è l'unico, o ce ne sono altri in altre stanze?»

«Fatemi uscire, idioti! Dove siamo?? che posto è questo?» ringhiò con più forza Akainu, cercando di allargare le sbarre ma chissà di che materiale erano fatte per non riuscire neppure a piegarle.

«Io dico che ce ne dobbiamo andare il prima possibile.» mormorò Kaku.

Lucci annuì e tornò  sui propri passi, lasciando Akainu al proprio destino.

Su quel piano c'era più gente: uomini e donne, nudi o quasi, alcuni storditi, altri addormentati, altri lividi di rabbia che gli urlarono contro qualsiasi cosa nel tentativo di farsi liberare. Sembrava si fossero svegliati da poco, rumoreggiavano in un coro scomposto in crescendo, alcuni si chiamavano da una stanza all’altra riconoscendo a vicenda le proprie voci.

«M’inganno, o sono tutti Marine che avevano un Rogia?» notò Kaku.

«No no, ci hai visto giusto.» rispose Lucci.

«Forse il potere dei Rogia si sta esaurendo.» ricostruì Jabura. «Prima i Paramisha, poi noi… e adesso tocca a loro.»

«Yoyoi…! Ma se ciò rispondesse al vero… sono stati imprigionati come noi! Povere anime libere! Poveri tapini! Yoyoi, se provassimo a liberarli…»

«Adesso ci sarebbero solo d'impiccio.» disse Lucci, lucido. «Apriremo le gabbie se ci servirà un diversivo.»

«Sempre che troviamo come farlo.» mormorò Kaku.

Jabura mise la testa in una stanza e ne uscì subito: «Qui c’è una teca di vetro… rotta.» riportò agli altri.

«…qualcuno in libertà?» ipotizzò Lucci.

«Ma su quante cavie sta lavorando Vegapunk??» esclamò Kaku.

«Sei davvero sorpreso?» lo rimbeccò Lucci chiudendo una stanza dove in una gabbia c'era, ben custodito, un cubo di ghiaccio in una cella frigorifera trasparente, che andava sciogliendosi e che stava bagnando tutto il pavimento. «Gli scienziati non si fanno problemi. Noi stessi siamo stati due anni in un laboratorio, devo ricordartelo?»

«Scienziati di merda.» sputò Jabura.

«YOYOI, EPPUR IL NOSTRO DESTINO È LEGATO AL DESTINO DELLA SCIENZA. E COLORO CHE SANNO LEGGERE NELLE SUE PIEGHE SONO MODERNE SIBILLE, IL CUI ORACOLO DEV'ESSER SACRO, YOOOOOYOI.» vociò Kumadori facendo tremare le pareti.

«Ma quale sacro?? Vegapunk ha sequestrato mezza Marina e l’ha chiusa qui!» rispose Jabura.

Kaku li spinse verso la direzione indicata a stento dalla vivre-card. «Proprio adesso dovete discutere di etica? VOI DUE??» 

«Ehi ehi ehi, fermati un attimo, Kaku.» esclamò Jabura. «Sento qualcosa.»

Gli uomini inchiodarono. Si sentiva il vociare di Marine Governativi dalle gabbie, richiami, ma Jabura non intendeva quello.

«Qualcuno viene verso di noi.» mormorò il Lupo. «Sentite?»

Tutti si misero al coperto, dietro armadi, pilastri, e qualsiasi cosa nel corridoio assicurasse una minima protezione. 

«La sento.» disse Lucci. «Viene dal piano di sotto, quello dov’eravamo prima… è una persona sola.»

«È strano.» borbottò Jabura. «Ci hanno mandato contro un piccolo esercito, prima…»

«Questo sarà un professionista allora. Rimaniamo concentrati.» disse duro Kaku.

Ma Kumadori trasecolò: «No… invero questo non è un assassino, né un mercenario senza onore od un ultimo disperato…»

«Che cazzo stai dicendo?»

Kumadori si allontanò dalla libreria che lo riparava e andò verso le scale che si erano lasciati alle spalle. La sua Ambizione rivelava una persona che conosceva bene. Si affacciò e sentì dei passi affrettati che salivano, salivano, salivano…

Finché non vide un faccino teso, una katana scintillante, e dei capelli lunghi e neri.

E un sorriso illuminò il suo volto truccato di bianco: «TASHIGI!»

 

~

 

Aveva il fiato corto e i capelli erano in disordine, ma Kumadori fu felice di vederla più paffuta e più energica, rispetto a quando l'aveva conosciuta durante gli stenti della prigionia. Era vestita con quella che sembrava quasi un'uniforme della vecchia Marina, con un jeans bianco, un giubbino di jeans sopra la felpa e, finalmente, una katana.

«Sono qui per… per il signor Smoker.» Tashigi evitò accuratamente di dire di averli spiati a Drum. «Ho incontrato la Grand'ammiraglia Momousagi. Ci sono buone possibilità che sia tenuto prigioniero in questo laboratorio. Per questo sono qui!»

«E chi sarebbe?» intervenne Jabura.

«Il mio superiore! Due anni fa era il Viceammiraglio Smoker! Il Cacciatore Bianco!» 

«Ce l’ho presente.» disse cogitabondo Kaku. «Una testa calda della Marina. Dava un sacco di problemi»

Tashigi desiderò contraddirlo, ma decise di deviare il discorso per fare finta che lei, invece, doveva essere molto sorpresa di trovarli in quel posto: «Voi che ci fate qui?»

Parlava al plurale, ma teneva le mani di Kumadori nelle sue e si rivolgeva unicamente a lui.

«Yoyoi, una missione di recupero parimenti alla tua!» rispose il navigato attore.

«Le vuoi dire anche di chi, già che ti trovi??» lo rimproverò Jabura.

«Yoyoi, ma certo! cerchiamo Vegapunk, l'uomo di scienza dal multiforme ingeg-»

«ERO SARCASTICO, IDIOTA!!»

«Cerchiamo Smoker.» saltò su Kaku, all'improvviso.

Lucci si voltò interrogativo verso di lui.

Kaku si spiegò meglio: «Lui è stato qui molto tempo. Sicuramente dei mesi. Potrebbe sapere dov'è Vegapunk. Quella teca vuota che ha visto Jabura… aveva il potere della nebbia, del fumo, una cosa del genere, vero?»

«Yoyoi, pensi che fosse tenuto lì, e che sia riuscito a rompere la sua gabbia, sebbene ridotto a etereo cirro?»

Lucci considerò per un istante la cosa. «Torniamo a quella teca vuota.»

Tornarono a rotta di collo verso la stanza incrociata poco prima, con Jabura in testa: era stato lui a entrare lì e si ricordava meglio la strada.

Correndo accanto a Tashigi, Kaku esclamò all'improvviso: «Quindi sei venuta giù col montacarichi! Allora Rayleigh ha sbloccato le bondole e tutto il resto!» 

«Sì! Sono salita quassù con le bondole, anche Bibi di Alabasta è venuta con me, e in questo momento sicuramente…»

«Sì sì sì, perfetto, andiamo.» continuò ad avanzare Rob Lucci, per nulla interessato alla storia della vita di Tashigi, ma soddisfatto che il piano stesse andando avanti come previsto.

Kumadori ovviamente non era dello stesso avviso. «Narra pure, Tashigi, cosa è successo sulla superficie?» tuonò dolcemente, prendendole le mani.

«Gli Astri della Saggezza sono stati sconfitti. Mihawk sta combattendo contro Im, e Bibi dovrebbe essere in diretta in mondovisione tramite i lumacofoni dei Rivoluzionari!»

«Vanno avvertiti!» esclamò all'improvviso Kaku. «Dovevamo tornare tutti con l'aereo!» 

Lucci annuì, ma disse: «Appena troveremo Vegapunk.» 

«Manchiamo solo noi.» osservò Jabura, slacciandosi la felpa sul petto. Poi gli venne in mente: «Quindi sei passata per il montacarichi nelle segrete del castello Pangea, vero?»

Tashigi si illuminò. «Sì, esatto! non immaginavo fosse così grande, mi aspettavo una sorta di ascensore, e-»

«Quindi devi aver incrociato Califa e gli altri nel tunnel che collega il laboratorio al montacarichi!» disse Jabura.

Tashigi sembrò confusa. «Ehm… No. Non ho incontrato nessuno. Dovevano esserci loro?»

Jabura sbiancò, Lucci si fermò e tornò a considerare la Marine. Kaku cercò il bandolo della matassa: «Erano con noi, ma li abbiamo mandati verso il montacarichi per tornare su. Considerate le tempistiche, avreste dovuto incontrarti… dev’essere un unico corridoio, senza sbocchi…»

Tashigi mise le mani sulla bocca e mormorò: «Io… non ho incontrato nessuno, ne sono sicura. Però…» mormorò, incerta su come dare la notizia. «Però circa un chilometro prima del laboratorio, c'era sangue a terra. Un sacco di sangue. Qualcuno è stato attaccato, e poi trascinato via.»

 

~

 

«Quanto accidenti manca a quel balcone??» chiese Bibi avanzando in tutta fretta tra i calcinacci e l'aria piena di cenere incandescente «Sicuro che sia la strada giusta?» tossì con forza.

Koala aveva le lacrime agli occhi per il fumo.

Sabo respirava a pieni polmoni quell'aria, anche se i polmoni non li aveva. «Sì, grazie a Koala abbiamo ricreato una pianta precisa di questo posto. E l'abbiamo studiata nei minimi dettagli. Al prossimo salone prendiamo la porta sulla sinistra, mi raccomando.»

«Fermi!» tossì Koala. «Non possiamo andare avanti così.» estrasse un coltello e strappò via un lembo della tenda. Poi, tradendo una certa confidenza con una dimora reale, andò verso uno stipo decorato di blu e d’oro e tirò fuori una bellissima brocca di ceramica preziosa, e versò l’acqua al suo interno sui pezzi di stoffa.

«È un mobile da toletta.» disse a Bibi, che la fissava interrogativa. «Sono sparsi un po’ ovunque nelle case dei Draghi Celesti, si lavano le mani per non toccare quello che potrebbero aver toccato i loro schiavi.» 

«Che vermi…» mormorò indignata Bibi, chiedendosi per quanto tempo Koala avesse studiato il comportamento di quella gente.

Le due ragazze si misero su naso e bocca la stoffa bagnata, e continuarono ad avanzare.

All’improvviso, mentre era felicemente affacciato al suo pentolino, quella fiammellina che era Sabo cominciò a tossire, e tossire, e tossire.

«Ehi! Che ti prende?» disse Koala.

«Non lo so! Mi sento strano!» disse Sabo. Si resse al bordo del pentolino con delle minuscole manine di fiamma. «Mi gira la testa.» 

«Tu non hai la testa.» osservò Koala.

«Fermiamoci un attimo!» propose Bibi.

«Ma no, dobbiamo correre al Balconcino! Rischia di crollarci tutto addosso!» disse Koala.

All'improvviso, con un clangore sinistro, il corridoio dove si trovavano venne bloccato da un drappello di cinque cavalieri dall'armatura scintillante, tutti d'argento, pennacchi al vento e spade sguainate.

Anzi, per l'esattezza il pennacchio di uno nell'ultima fila stava andando a fuoco.

Una voce metallica si levò dalla pancia di quello più avanti: «Attenzione: rilevati intrusi! Identificatevi!»

Koala stava per attaccare, ma Sabo si sporse in avanti gorgogliando: «Mi sento veramente poco ben- oh…» 

La fiammella si sbilanciò e cadde dal pentolino, schiantandosi sul pavimento con un sordo “splock”!

«SABO!!» Koala cercò di afferrarlo con la mano libera. «AHIA!» ma si scottò.

Sabo, sul pavimento, si lamentò brevemente e poi, con un sonoro starnuto, divenne un intero falò che strinò i vestiti delle due ragazze.

E poi, con una vampa fredda, ritornò un essere umano.

Anche i Rogia si stavano esaurendo.

 

~

 

«No. Ci sono Califa, Blueno e Fukuro. Sanno perfettamente come cavarsela. Tu mi servi qui.» ordinò Lucci.

«Non ti servo qui!» ringhiò il Lupo. «Qui ci sei tu, c'è Kaku e c'è Kumadori. Gli altri sono in pericolo, la tipa» e indicò Tashigi «ha parlato di bossoli a terra e pareti distrutte dal Rankyaku. Dev'essere successo qualcosa di grave.»

«Succederà qualcosa di molto più grave, se Vegapunk non torna a casa sua, a questo ci arrivi?» sibilò Lucci.

Jabura si irritò, prese Lucci per il bavero e lo sbatté contro il muro ringhiando. «Stai lasciando Califa, Blueno, Fukuro, Lilian e la dottoressa che ti ha salvato il culo quattro volte nelle ultime due settimane in un bunker, nelle mani di chissà chi, dopo che sono stati attaccati e non sappiamo in che condizioni sono.»

Lucci gli afferrò i polsi e li stritolò nella propria presa. «La missione è Vegapunk. Torneremo a prenderli dopo.»

Jabura rispose con il suo Tekkai e a mala pena sentì quelle dita che potevano sgretolare il cemento. «Già. Proprio quello che hanno detto Califa, Fukuro e Blueno a Enies Lobby: "lasciamolo qui, lo verremo a prendere dopo".» rispose tagliente, scandendo bene l'ironia di quella frase.

Hattori spiccò il volo dalla spalla di Kaku, e si posò su quella di Jabura.

Lucci abbassò lo sguardo, sospirò e cercò di convincere il collega: «La nostra missione è recuperare Vegapunk. Oltretutto, non sappiamo dove siano i nostri compagni…»

«Al lumacofono che avevano, non rispondono…» aggiunse Kaku, che stava provando a chiamarli.

Lucci continuò: «Se troviamo Vegapunk, o quello Smoker, è probabile che loro sappiano dove possano essere stati portati. Ora come ora vagheresti a vuoto per il laboratorio senza risolvere niente, hai capito?» maledetto testone, avrebbe voluto aggiungere, ma si trattenne con grande fatica.

Jabura abbassò lo sguardo, riflettendo sulle parole di Lucci. Lasciò la presa sul bavero del collega, anche Lucci lasciò andare i polsi del Lupo. 

Poi Jabura sobbalzò e si ricordò: «Ma ho ancora la vivre-card di Lilian…» e si frugò nelle tasche del pantalone di tuta.

«Funzionerà male, proprio come quella di Vegapunk.» obiettò Lucci.

«Funziona lo stesso, è solo imprecisa...» borbottò Jabura mettendosi una mano in una tasca interna. Poi cambiò immediatamente tono: «…oh no...»

Sul suo palmo ruvido, il pezzo di carta andava a fuoco, i contorni erano brace viva e si levavano fili di fumo. Jabura si girò verso Lucci e tuonò: «Non me ne frega niente di Vegapunk, io corro da loro.»

Ma fece appena in tempo a voltarsi, che davanti a lui un drappello di ginoidi d'argento, in punta di piedi, eleganti e inesorabili, gli sbarrarono il passo. 

Gli agenti si misero in posizione d’attacco, Tashigi sguainò la sua katana, ma proprio un attimo prima che si scatenasse il finimondo in quel corridoio, gli occhi di tutti sembrarono appannarsi, una pesante nebbia avvolse tutto, e divenne in pochi attimi sempre più densa, finché Jabura non sarebbe riuscito a vedersi nemmeno la punta della treccia.

Le ginoidi accesero delle eleganti luci blu che rilucevano sulle ginocchia, sulle anche e sulle clavicole, ma inutilmente.

Tashigi cadde in ginocchio, la nebbia la avvolgeva come un abbraccio familiare.

Lucci non perse tempo: «Attaccate! Non riescono a vedere! Non devono avere tempo di fare niente! Distruggiamole tutte!»

 

~

 

I Cavalieri degli Dei erano immobili, le loro ombre ribollivano sul pavimento di marmo, sembravano sul punto di crollare sulle loro ginocchia.

Drakul Mihawk saltò giù dalla finestra e atterrò davanti al drappello di Cavalieri, tra loro e i due pirati. «Non muovetevi!» ordinò ai Cavalieri.

Lo spettrale esercito arretrò e rimase immobile, le spade sollevate, i mantelli ondeggianti al vento che entrava dal finestrone infranto, mentre nell’aria si spargeva la cenere proveniente dall’ala del palazzo in fiamme.

«Era ora» sussurrò Shanks, dietro di lui.

«Te l’avevo detto che non sarebbe stato uno scontro facile.» lo rimbeccò l’ex flottaro. «Ora andate.» disse.

Shanks aprì la bocca per protestare, Benn intervenne: «Abbiamo fatto quello che potevamo. Ora tocca a lui. Raggiungiamo Bibi.»

Raccolsero i loro mantelli e si diressero verso la porta, senza più incontrare la resistenza dei Cavalieri, atterriti e prostrati davanti a Drakul Mihawk.

La porta d'ingresso si chiuse pesantemente alle spalle dei due pirati con un possente tonfo; la voce di Im risuonò imperiosa e infastidita: «Dopo quanti anni ti rifai vivo…?»

E una figura oscura comparve di nuovo, assisa sul trono, protesa in avanti, verso la sala, e con le unghie conficcate nei braccioli.

«Pochi.» disse laconico lo spadaccino. «Ma non preoccuparti… da qui in avanti non sarà più un problema. Non mi vedrai più. » Mihawk avanzò di qualche passo verso il trono; al suo camminare, i Cavalieri si inginocchiavano e si ritraevano, ossequiosi.

 

~

 

Tashigi strinse i denti, chiuse gli occhi, e si lanciò a colpo sicuro laddove sapeva che c'era il drappello di Sentinelle D'Argento. Quel fumo bianco l'abbracciava, ed era più denso dove le ginoidi si raccoglievano, spaesate per l'avvenimento inatteso, e sferrò con decisione il suo colpo.

Sguainò la spada e con un salto superò gli agenti, e piombò con furia sulle sentinelle, e in un unico attacco ne decapitò cinque, senza che potessero reagire.

«Bene, vogliamo lasciar fare tutto alla Marina?» Jabura avanzò con decisione, lanciando un Rankyaku Kuro che spazzò via le gambe ad altre ginoidi d'argento.

«Come hai fatto?» disse Kaku confuso, guardandosi attorno. «Non funziona l'Ambizione con queste! Sono meccaniche!!»

Jabura ghignò sprezzante. «Allora rimani fermo lì. Io non rimango con le mani in mano solo perché "non riesco a vedere".»

Kaku ringhiò insulti, e seguendo l'esempio di Lucci e di Jabura attaccò anche lui. Non c'era bisogno di usare l'Ambizione, in effetti: i corridoi erano così stretti che bastava mirare dove non c'erano gli agenti o Tashigi, e sicuramente avrebbe distrutto qualche sentinella.

In cinque minuti l'intero drappello era a terra, e il fumo bianco si fece più rado, senza sparire del tutto; ora ci si poteva quasi vedere attraverso, ed era lungo e largo circa due metri… per quanto potesse aver senso misurare una nuvola che cambiava forma di continuo.

Aleggiante e leggero, si raccolse attorno a Tashigi, in ginocchio per terra, con le mani sulla bocca a reprimere un pianto liberatorio.

«…Signor Smoker…» mormorò tendendo le dita al fumo bianco. «È lei, vero?»

Per chi non l'avesse mai conosciuto da vicino, quella nebbia era solo una coltre bianca, uguale a tutte le altre nebbie del mondo. Oppure simile al vapore che si levava dai bastoncini d'incenso nelle sale da té e nei salotti. 

Ma solo Tashigi e i suoi compagni Marine avrebbero potuto riconoscere, in quell'odore acre ma morbido, e in quella particolare sfumatura di grigio chiarissimo, lui: il Cacciatore Bianco.

Kumadori le si avvicinò da dietro e le mise le mani sulle spalle. «Yoyoi… intendi proprio, Tashigi… che qui c'è il tuo antico superiore?»

Tashigi strinse i denti, sforzandosi di non abbandonarsi in puerili singhiozzi. Tese la mano in avanti con il palmo verso l'alto, incerta. L'odore era esattamente quello di Smoker: l'aveva colpita in un punto lontanissimo e profondissimo della sua testa, riemergendo dai ricordi di una vita fa, e arpionandola come una balena alla fiocina. E ora la sensazione non la lasciava andare.

E poi, indiscutibilmente, quella nebbia li aveva aiutati a sgominare le Sentinelle D'Argento e poi si era acquattata vicino a lei: era senz'altro senziente. 

«Signor Smoker…?»

La nebbia sembrò fare uno sforzo, concentrarsi, e poi sulla mano aperta di Tashigi prese una forma come di due piccoli e lunghi cilindri: due sigari. Si dissolsero, e la ragazza si coprì il volto con le mani e pianse compostamente, seguita a ruota da Kumadori, che intonò: «YOOOYOOOI, QUAL MIRACOLOSO RITORNO!!! STRAPPATI, STRAZIATI, SEPARATI DA UN DESTINO NEFASTO, MAESTRO E ALLIEVA, YOOOYOOI, SI RIUNISCONO AL FINE!!» e se Tashigi non voleva disperarsi, ci pensò lui ad abbracciarla e piangere commosso.

La nebbia rimase ad aleggiare attorno a lei, circondandola, facendole sentire vicinissima e tiepida la sua presenza.

Poi, quando Lucci, Kaku e Jabura finirono di fare a pezzi le ultime ginoidi e cominciarono a rumoreggiare con fastidio per quella scena pietosa che stava facendo perdere loro tempo prezioso, Smoker cominciò ad agitarsi, come se avesse voluto spronare Tashigi ad alzarsi, o come se fosse -ragionevolmente- molto irritato dalla compagnia nella quale si trovava.

«Le spiegherò tutto, una volta usciti!» eruppe Tashigi. «Adesso devo pregarla di non allontanarsi da noi!»

Lucci ne aveva già abbastanza della scena: «Abbiamo già perso troppo tempo. Proseguiamo…»

«YOYOI, ATTENDETE!» esclamò Kumadori. Poi rivolgendosi alla nube di fumo: «Illustre Smoker, lei potrebbe conoscere la posizione del laboratorio del Dottor Vegapunk?»

Tashigi disse: «Stanno cercando Vegapunk. I loro compagni sono in pericolo, dobbiamo trovarli, trovare anche il professore e andarcene subito. Signor Smoker, signore, lei sa dov'è?»

La nube non sembrò molto contenta di collaborare: Tashigi sapeva benissimo cosa pensasse il Cacciatore Bianco degli agenti del Cipher, e conosceva fin troppo bene l'opinione che aveva di Rob Lucci, il più efferato assassino che il Governo avesse avuto a disposizione, il pazzo che una ventina di anni prima aveva sterminato cinquecento giovani soldati e che era stato definito "bambino prodigio" da dei criminali ancora più criminali di lui.

Tuttavia Smoker aveva cieca fiducia in Tashigi: doveva avere buone ragioni per quella richiesta. Si staccò da lei e avanzò verso il fondo del corridoio.

«Lo sa!» esultò Kaku.

Jabura si mise alle costole della nube come un cane da caccia. «Seguiamolo, presto!»

Il drappello corse per i corridoi, seguendo la guida di Smoker. Apparvero altri sparuti gruppi di Sentinelle d'Argento, ma ormai Jabura era partito come un treno e non sarebbero stati quattro robot del cazzo a bloccare la sua corsa. Saltava cadaveri e dilaniava avversari che ormai non erano che sacchi di paglia davanti alla sua furia.

«Non fare il pazzo.» ringhiò Lucci, tallonandolo. «Non vai da nessuna parte se ti lasci sovrastare così dalle emozioni.»

«Fanculo, Lucci.» disse calmo il Lupo, mentre mandava a schiantarsi nel muro una delle splendenti guardie d'argento. Avrebbe voluto aggiungere altro, qualche amichevole consiglio sul seguire il proprio istinto e non solo, ciecamente, la missione da portare a termine, ma non aveva tempo e fiato da sprecare.

 

~

 

L’ultima Sentinella D’Argento modello androide, in armatura scintillante e pennacchio bruciato , cadde per terra, e Bibi esclamò felice: «Shanks!» e volò incontro all’uomo.

Lei, Koala e Sabo si erano finalmente allontanato dall’ala in fiamme del Castello Pangea; prima o poi l’incendio sarebbe arrivato anche lì, ma almeno avevano ricominciato a sentire di nuovo l’odore frizzante dell’alba, e non quello acre e soffocante del fumo.

Nell’ultimo corridoio prima della Sala delle Conferenze, dove c’era l’affaccio del Balconcino, Bibi, Koala e Sabo avevano affrontato l’ultimo ostacolo prima della trasmissione che avrebbe cambiato il mondo: un drappello di Sentinelle d’Argento. Erano tanti, agguerriti, ma i tre ragazzi non si erano persi d’animo e avevano ingaggiato battaglia senza quartiere. Anche Sabo si era battuto, sebbene arrugginito per i due anni in forma di fiammella, armato con l’asta metallica di una tenda: non aveva il potere del fuoco, ma era stato il secondo di Monkey D. Dragon, e poteva gestire un combattimento senza problemi.

Infine, le ultime Sentinelle erano state abbattute da una raffica di proiettili: Benn Beckman non poteva certo permettere che Bibi Nefertari sciupasse oltre quel vestito che tanto faticosamente aveva resistito per due anni in un baule della Red Force.

«Shanks! Benn!» esclamò la regina, sorridendo e andando incontro ai due uomini. Man mano che si avvicinava però rallentava, e la preoccupazione e l'incredulità adombravano il suo volto. «Ma siete… siete feriti?!» per lei era innaturale.

Shanks sorrise malconcio, e cercò di tirarsi il mantello a coprire la ferita al fianco.

«Solo graffi.» cercò di rassicurarla, tirandosi indietro dalle sue mani sollecite. «Non sporcarti di sangue, altrimenti come ci vai, in diretta mondiale?»

«Ma fammi vedere, non puoi…» rispose la ragazza.

«Nulla che Ftoros non possa ricucire.» tuonò Benn, ricordandole il medico di bordo della Red Force. «Non distrarti. Hai un compito importante.»

Bibi si fermò, inspirò e annuì con forza. Poi si ricordò di Koala e Sabo, dietro di lei.

«Loro sono…»

«Koala e Sabo dell’Armata Rivoluzionaria.» completò Shanks chinando lievemente il capo in cenno di saluto. Sorrise e sottolineò: «I patti sono che questo incontro tra Shanks e voi non è mai avvenuto.»

«Shanks il Rosso…?» replicò Sabo. «Mai sentito nominare.»

Shanks rise. Poi aggiunse: «Adesso non esagerare, ragazzo.»

Koala riscosse tutti, esclamando: «Ehi! Avete finito, tutti? È arrivato il tuo momento, Bibi!»

E tirò fuori un videolumacofonino. «Cerchiamo il balconcino, e facciamola finita.»

 

~

 

Gli agenti, con Tashigi, si ritrovarono davanti a una porta blindata, sul fondo di un corridoio grigio dalle pareti metalliche. Smoker si era fermato lì. Ondeggiava a qualche centimetro da terra, andava un po' verso la porta blindata e un po' tornava indietro, e poi prese posto accanto a Tashigi.

«Grazie.» mormorò lei.

Anche Kumadori era accanto a Tashigi, dal lato opposto di quello di Smoker, e si soffiò rumorosamente il naso. 

La porta aveva una strettissima finestrella a circa due metri d'altezza.

Rob Lucci ci sbirciò dentro (era larga appena per gli occhi) e vide un laboratorio disordinato, caotico e quasi invivibile: cocci e frammenti erano ammucchiati in una montagnola da un lato, del liquido verde andava seccandosi sul pavimento, vicino alla scopa che evidentemente aveva radunato i cocci di un recipiente che era caduto. C'erano numerosi tavoli lungo la parete, tutti colmi di fogli, brogliacci, cartacce, microscopi, macchinari gorgoglianti. C'era una gabbia con qualche topo bianco, anche se ogni animaletto aveva qualcosa di inusuale: chi due code, chi un terzo occhio, chi delle chele…

Anche Hattori volle guardare dallo spioncino: vide grandi scaffali ingombri di grossi vasi trasparenti, pieni di liquido color ambra e con inquietanti oggetti che vi galleggiavano dentro. Su un altro tavolinetto c’erano rimasugli di cibo, posate, lattine e piatti sporchi; e in mezzo al delirio, seduto concentratissimo con gli occhi fissi su un microscopio, c'era lui: Vegapunk.

Lucci bussò con forza, l'uomo alzò la testa, lo notò, e andò verso la porta parlando e gesticolando.

«Non si sente niente, è insonorizzata.» disse Lucci, ammirando lo scienziato che parlava, pregava, spiegava, ma non si sentiva assolutamente niente.

«Come la apriamo?» chiese Kaku. «Se ha una combinazione come quella delle porte esterne, siamo fregati.» disse, notando un piccolo schermo al lato della serratura. Sopra c'era una domanda e una formula numerica che Kaku non si sprecò nemmeno di leggere, e c'era un tastierino e uno spazio vuoto per la risposta.

«Non credo proprio che useremo la combinazione.» disse Jabura. «Dì a quel cazzone di levarsi dalla porta, o a Caro portiamo solo le ossa.» ruggì basso. E poi: «RANKYAKU OVERWOLF: PACKBREACKING!»

Per un istante sembrò che non fosse successo niente, che Jabura non avesse neppure fatto partire il colpo. Invece dopo qualche secondo si sentì un ululato in lontananza, ed ecco che le pareti ai due lati della porta collassarono su se stesse, sgretolandosi, rese ormai della consistenza della farina; la porta, rimasta senza un sostegno, rimase in piedi per qualche istante e poi cadde all’indietro con un clangore metallico. Un fitto polverone avvolse il corridoio e il laboratorio, mentre Jabura con noncuranza dava le spalle allo scenario di distruzione appena creato.

«Se l'hai ammazzato te la sogni, la ricompensa di Caro.» disse Lucci.

«Forse hai dimenticato con chi stai parlando.» ringhiò Jabura.

Ma dal fondo della stanza invasa dai detriti della parete si levò un colpino di tosse, incerto, e appena la polvere si posò ecco un ometto alto circa un metro e mezzo, con il tipico camice bianco degli scienziati, l'andatura incerta, la lingua da fuori come un cane assetato, e una singolare testa che si innalzava verso il soffitto, e prendeva forma di una mela.

«Accidenti accidenti, ecco Rob Lucci.» salutò il leader con la mano. «Ero sicuro che Caro si sarebbe rivolta al migliore.»

L'ego di Lucci approvava molto. Fece un mezzo sorriso, ma poi si ricompose subito e ordinò: «Si muova. Vi scortiamo fuori di qui, come concordato con vostra figlia.»

«Bene, andiamo, presto. No! Anzi!» disse lo scienziato. «Devo prendere alcune cose! non posso lasciarle qui!!» e si affrettò di nuovo nel laboratorio, prese da terra una busta di plastica e cominciò a riempirla di fialette, fogli, siringhe, e ogni oggetto vagamente utile che gli capitava davanti agli occhi, finché Lucci non avanzò in mezzo al laboratorio, lo prese con le mani sotto le ascelle, lo sollevò e lo depositò nel corridoio, tra lui e gli agenti.

«Tempo scaduto. Rimanga tra me e lui» ordinò, intendendo Kaku «e ci segua senza fare domande. La scortiamo fuori.» recitò.

«Giusto, giusto, bisogna fare presto. Avete sconfitto le mie ginoidi, vero?» aggiunse, un po’ triste. «Avrei voluto fermarle, ma purtroppo non sono controllate da me, ma dal capo della sicurezza. Affrettiamoci, perché i vostri combattimenti hanno indebolito la struttura del laboratorio e presto ci crollerà tutto in testa.»

«Sta per crollare tutto!?» esclamò Tashigi.

«Ma no, tranquilli… la struttura è molto indebolita, ma ormai sono qui, non dovete combattere ancora, vero?»

«Il resto della squadra!!» lo interruppe Jabura. «Eravate con loro, col robot coi capezzoli luminosi! siete riusciti ad arrivare al montacarichi, vero?» 

«Oh, quello… non so cosa sia successo. Il mio robot ha smesso di funzionare, la trasmissione si è interrotta mentre eravamo nella galleria… possono solo essere stati attaccati da… oh no.» mormorò abbassando il tono.

«"Oh no" cosa?!» Jabura lo prese per le spalle.

«La squadra speciale! devono essere stati fermati dalla squadra speciale! Se non avete trovato cadaveri… devono essere nella stanza di sicurezza! Questo posto è un labirinto, vi guido io fin lì, è di strada.»

«Muoviamoci.» ordinò Jabura allungando il passo e trascinandosi dietro tutti gli altri. 

Per reggere il passo, Vegapunk doveva trotterellare; ma questo non gli impediva di fare domande: «Oh, questo dev'essere il signor Smoker. Ancora in forma gassosa?» si stupì.

Tashigi esclamò: «"ancora"? quindi tornerà umano?»

«Ma certo, ragazza mia. Mano a mano il potere dei Frutti del Diavolo si esaurisce… cioè in questo periodo, mese più, mese meno, tutti tornano alla normalità.» 

«E lei sta cercando un modo per far tornare i poteri, vero?» chiese Kaku, speranzoso.

«Che te ne frega? torneresti una giraffa, mica puoi scegliere.» osservò Jabura, così serio che lo stava palesemente prendendo per il culo.

«LO SO BENISSIMO!!» ci cascò infatti Kaku. «Ma a me piacciono le giraffe!! le amo! per questo volevo sapere se…»

Ma Vegapunk aveva ben altre domande: «Ma voi… eravate trasformati, giusto? in questi due anni, dico. Avevate degli Zoo-zoo, mi ricordo bene.»

«Già, per il divertimento di quei simpaticoni del Germa.» sputò fuori Kaku.

«Il Germa?» si fece attento lo scienziato. «Eravate con il Germa!?»

«In un laboratorio segreto. Non eravamo coscienti, non ne sappiamo niente. Mantenga il passo, dottore, non perdiamo tempo.» scucì Jabura.

«Ma, ma…! Accidenti… che esperimenti hanno fatto su di voi?»

«Senta.» lo fermò Lucci. «Non è il momento. I dettagli sui nostri esperimenti li sa tutti sua figlia Caro, era negli accordi per venirla a liberare. Avrete tutto il tempo per discuterne, ma fuori di qui.»

Lo scienziato arrossì davanti alla fermezza e alla stazza di Rob Lucci. Mormorò un imbarazzato: «Oh, ehm, certo. Quindi ha tutto Caro, vero? Avete dei documenti?»

«Ha tutto Caro, non perdiamo tempo, forza.» lo spronò Jabura.

«Ha le nostre cartelle cliniche, ha parlato di esperimenti sul Demon. Le basta come anticipo? ora si muova, marsch'.» lo pungolò Kaku.

Ma la parola "Demon" ovviamente causò un'altra ondata di domande: «Demon?? siete stati sottoposti al Demon?? Devo saperne di più! Cosa vi hanno iniettato? Cosa hanno usato per…»

Jabura, in testa al gruppo, si fermò, si chinò, prese per il bavero lo scienziato e lo guardò dritto negli occhi. «Dottor Vegapunk.» ruggì basso. «Caro non ha specificato se vi voleva vivo o morto, e mi creda, per me è più veloce trasportare un cadavere.»

Vegapunk inghiottì a vuoto, incapace di esprimere verbo davanti a quegli occhi ferini scuri e freddi. «Ricevuto.» disse soltanto. 

Imboccarono un corridoio e trovarono delle scale che portavano verso l'alto. Vegapunk ebbe appena il tempo di dire "alla fine di queste scale c'è un salone, oltre quel salone ci sono delle stanze di sicurezza dove tenevamo le cavie più problematiche…", che Jabura partì come un fulmine, saltando i gradini con il Geppo senza nemmeno sfiorarli, percorse un corridoio guidato dalla vivre-card, ma alla fine dovette fermarsi: si ritrovò in una sala ampia, dal soffitto altissimo, con il pavimento coperto da sontuosi tappeti ricamati e quadri imponenti appesi alle pareti. Un camino acceso mormorava all'estremità opposta rispetto alla porta d'ingresso, e davanti a esso c'era una grande scrivania con attorno alcune sedie dall'aria austera di legno scuro.

Oltre, c'era la porta d'uscita, grande, alta e dall'aspetto pesante.

«…siamo ancora al laboratorio?» si chiese Kaku entrando dopo di lui. «Mi ricorda stranamente…»

«…il salone principale alla base di Enies Lobby.» completò Jabura.

Una risata perversa si fece sentire dalle parti del camino.

La sedia più grande, rivolta verso le fiamme, ruotò su se stessa e, assisa in trono c'era una faccia che conoscevano fin troppo bene.

Jabura mise a fuoco quel malnato figuro e poi si leccò le fauci, famelico: certo, aveva fretta di trovare il gruppo… ma aveva molta più fretta di uccidere. Qui e ora.

«Spandam.» diede voce ai suoi pensieri Rob Lucci, arrivato con il resto del gruppo.

«Gyahahaahahahaaha! Ma che bella sorpresa! gli agenti del Cipher Pol!» gracchiò Spandam alzandosi e sbattendo le mani sulla scrivania. «Ci avete messo un bel po' a trovarmi! state perdendo colpi.»

«Si sta cagando sotto.» disse Kaku, osservandolo con l'Ambizione.

«Però non scappa. Quindi ha qualcosa in mente.» completò Jabura facendosi schioccare le nocche.

E infatti Spandam continuò: «Non avevo dubbi che gente come voi non trovasse ostacoli davanti alle Sentinelle D’Argento. Però purtroppo la vostra corsa finisce qui.» e così dicendo estrasse dal cassetto della scrivania un piccolo lumacofono color rame lucido. «Pronto? Entrate.»

La porta in fondo al salone si sollevò ed entrarono in sala Lucci, Kaku e Jabura. Una volta entrati, la porta si richiuse calando dall’alto con un cupo schianto, e scattò una serratura al suo interno.

Lucci, Kaku e Jabura, dall'altra parte, si guardarono tra loro confusi.

Sarebbe sembrato un gioco di specchi, se non fosse stato per il fatto che i nuovi arrivati, tre uomini perfettamente identici a loro, sfoggiavano degli attillati completi sadomaso.

 

~

 

Drakul Mihawk scosse la testa: «Te l’ha detto Vegapunk» elencò. «Te l’hanno detto gli Astri di Saggezza. Te l’ha detto il Rosso. Non hai dato retta a nessuno.»

Im si adirò. «Nessuno può dire a me cosa fare. A me, la persona che crea e che domina questo mondo.»

«Sì, l’immortale, il divino, l’eterna, l’iconica, e tutti quei soprannomi assurdi che ti dai.» sbuffò Mihawk annoiato. Poi aggiunse: «E poi la tua storia è finita in un castello lontano, in un mondo che nemmeno sa che esisti. Che rammarico.»

«Un figlio snaturato, più umano che divino, è il mio più grande rammarico. Potevi essere qualcosa di grande.»

Mihawk scosse la testa. «Forse non hai capito che siamo su due livelli differenti.» e sguainò la lama nera e luccicante della sua Yoru, maledetta e intrisa di incubi. «Cosa ti serviva per il tuo piano? Sangue di Drago Celeste? Un peccato non averne trovato di sacrificabile… a proposito…» gli sfuggì un sorriso. «Lo sai chi ti manda i saluti?»

Lo sguardo di Im si offuscò per un istante, poi esplose la rabbia nel suo tono: «…tu sei quello che ha assassinato il Drago Celeste a Impel Down! Il figlio dei Donquijote!» sibilò.

«E a quel punto hai ben pensato di usare l’ultima dei Nefertari.» rivelò Mihawk. «Ma, sfortunatamente per te, ci ho pensato prima io.»

Im, al colmo della frustrazione, schiacciò un pulsante sul bracciolo del trono, e immediatamente spuntò un lumacofono da una nicchia nascosta nel muro poco distante.

«VEGAPUNK!!!» chiamò iroso, diventando più grosso e più alto, e sempre più nero. «SGANCIA IL MOTHER FLAME! ADESSO, SUL CASTELLO!!» 

Mihawk scosse la testa: «Ti ho isolato. Non esiste più un unico lumacofono funzionante in tutta Marijoa. Shanks e Benn Beckman sono stati un ottimo diversivo.»

Im si alzò in piedi schiumante di rabbia, il caschetto biondo scomposto e gli occhi sembravano due vulcani che sputavano faville. Diede un pesante calcio al trono, che tremò tutto e si trasformò, con un gran clangore di ingranaggi, in quello che somigliava a un grosso lumacofono meccanico inanimato, di legno. Sollevò una grossa cornetta a forma di corno e chiamò esasperato: «VEGAPUNK!!!! IL MOTHER FL-»

Mihawk era sorpreso. «Quello non lo ricordavo.»

«L’HO FATTO COSTRUIRE PRIMA CHE NASCESSI, FIGLIO SNATURATO» tuonò Im diventando ancora più grande, inglobando nel nero del suo corpo tutto il palco con il trono.

«Poco importa.» fece spallucce lo spadaccino. «Abbiamo liberato Vegapunk. Al momento» controllò l’orologio da taschino: sì, Rob Lucci doveva aver finito. «è sotto scorta. Non è raggiungibile.»

Im esplose in un’eruzione di nero, sommerse come un’onda inarrestabile tutta la sala, i Cavalieri, le spade infisse, e trascinò nel suo oblio anche Drakul Mihawk.

 

~

 

Spandam ghignò davanti alle espressioni sorprese dei suoi ex capi… non si aspettava quella vendetta, ma era un'ottima occasione per testare i suoi cani da guardia.

Ridacchiò e prese in mano il guinzaglio che pendeva dal collare di Rob Lucci, dando un forte strattone. Ma Lucci non si mosse, rimase statuario lì dov'era, e non cedette di un millimetro. 

«Una bella sorpresina, vero? Una gentile concessione del Germa. Sono vostri cloni, geneticamente uguali a voi… ma potenziati e diciamo così, senza le vostre zavorre.»

Lucci, dall'altro lato della stanza, punto sul vivo, sussurrò tetro: «Zavorre?» non poteva certo passar sopra l'accusa di avere una zavorra. 

«Ma certo! zavorre!» rise sadico rivolgendosi al suo avversario. «Credi di essere un assassino perfetto, Rob Lucci? com'è che dicevi sempre, a Enies Lobby? un "superumano"...»

Kaku intervenne. «Certo che lo siamo. Non c'è nessuno al nostro livello.»

Jabura incrociò le braccia con fare provocatorio. «Altrimenti non saresti venuto a nasconderti qui.» 

Spandam diventò paonazzo e sbraitò: «NON SONO VENUTO A NASCONDERMI QUI!! PER TUA INFORMAZIONE, SONO STATO ASSEGNATO ALLA DIREZIONE DI QUESTI TRE!!! E TUTTO QUESTO MOLTO PRIMA CHE MI COMUNICASSERO CHE ERAVATE TORNATI UMANI!!»

Jabura annuì e rise: «Ci ho preso, eh?»

«Il solito cagasotto inutile.» mormorò Rob Lucci scuotendo la testa. «Non abbiamo nessuna zavorra.»

«Lascia perdere, Lucci, ammazziamoli e usciamo di qui.» suggerì Jabura, nervoso.

«Certo che le avete!» si ricompose Spandam. «Siete superbi, invidiosi e avidi!» sbraitò indicandoli uno per uno.

Lucci, quello originale, scalpitò impaziente. «Dove vuoi arrivare?»

«Chiamale se vuoi emozioni!» rivelò Spandam. «Loro invece» e diede uno strattone ai tre guinzagli, che intanto aveva preso in mano «Sono come roccia. Senza emozioni inutili! Obbediscono e basta! creati dal Germa e potenziati da Vegapunk… quindi credo proprio che il titolo di "superumani" sia loro, non vostro.»

«E quindi, quando hai avuto per le mani delle nostre copie, per prima cosa le hai vestite sadomaso.» osservò Jabura. 

«Facendogli fare dei completi su misura, immagino. Quanto impegno.» rincarò Lucci.

Kaku arrossì guardando il proprio clone con il gag in bocca e il corsetto di pelle. «Lo sapevo, che eri un pervertito di prim'ordine.»

«E chissà cosa ci fa, in privato, con quelli!» gli fece notare Jabura.

«PIANTATELA DI FARE KINKSHAMING!» urlò Spandam a pieni polmoni. 

«È che ci sentiamo coinvolti…» spiegò Jabura. 

Spandam tolse il guinzaglio ai cloni: «UCCIDETELI!!!!»

«Vediamo di riprenderci il titolo.» sibilò Lucci derisorio. «Rankyaku

«Kumadori.» chiamò Jabura. «Difendi Vegapunk. Non lasciare avvicinare nessuno e allontanati da questa sala.»

«YOYOI. NON CADRÀ INVANO IL TUO ORDINE.»

In meno di un istante Spandam sparì, portato in salvo dai cloni di Kaku e di Jabura, mentre il clone di Rob Lucci incassò senza batter ciglio il Rankyaku dell'originale.

«Dove cazzo vai?» ringhiò Jabura afferrando la propria copia per il collare di cuoio, incurante degli spuntoni. «Voglio proprio vedere, se sei più forte di m-»

Un cazzotto micidiale e fulmineo al plesso solare stroncò la frase di Jabura, facendo vacillare addirittura il suo Tekkai

La copia aprì la bocca, e sibilò con una voce spaventosamente identica a quella di Jabura: «Certo che sono più forte di te. Stronzo.»

Kaku attaccò diretto il suo omologo, senza perdere tempo e caricando un furioso Rankyaku, che costrinse il bersaglio a fermarsi per pararlo, e Spandam a una fuga precipitosa.


 

~

 

«Ti piace questo posto, figlio ingrato che non sei altro?» ruggì melliflua la voce di Im.

Mihawk si guardò attorno e aveva la sensazione di… di nulla. Nulla come ciò che aveva in mano. Dov'era la Yoru? Nulla come ciò che vedeva: il vuoto. Il bianco. Oppure il nero? Nulla come ciò che c'era alla fine del suo braccio: non vedeva le sue mani, né i suoi piedi, non sentiva il suo corpo ribollire e palpitare come al solito. Non sentiva la sensazione morbida della camicia di seta che normalmente lo abbracciava.

«Avresti potuto avere anche tu il potere di dominare tutto questo. E te lo sei lasciato scappare.» venne redarguito.

Non me lo sono lasciato scappare, disse Mihawk. O forse lo pensò. O forse c'era un narratore che gli parlava da un telefono alla fine dell'universo. 

Non me lo sono lasciato scappare, insistette lo spadaccino. Io non lo volevo. 

«E fai malissimo! Rinneghi la tua stessa natura!»

La mia natura me la sono scelta, casomai sei tu che non hai mai voluto scegliere liberamente la tua. Ora possiamo smetterla con questo cliché del viaggio mentale?

«Questa non è la tua mente… a meno che tu non sia più stupido di quanto pensassi. Questo è… il nulla. Benvenuto nel mio regno.»


 

~

 

Identici a loro nella genetica, ma anche nelle cicatrici, nei tatuaggi, nei tagli di capelli. Molto più di tre copie perfette: allenate secondo i dettami più rigidi del Cipher, in grado di usare le Tecniche e con un cazzo di fattore di rigenerazione; ma molto più potente di quello delle Sentinelle D’Argento, cui bastava un buon Rankyaku per far saltare arti e annientarle: quei tre erano macchine d’assalto, volevano le loro teste, ferite anche gravi gli si rimarginavano quasi all’istante e non avevano bisogno neppure di prendere fiato.

E intanto da qualche parte chissà che cazzo stava succedendo al resto del gruppo, cazzo, cazzo, cazzo. Jabura era furioso, ma quella famelica copia di sé non gli dava un attimo di tregua, si rigenerava e attaccava, si rigenerava e attaccava, e solo il suo perfetto Tekkai gli permetteva di resistere e di dare qualche colpo in più a quel sacco di merda.

Il clone sparì alla sua vista, Jabura si preparò a parare il colpo che sicuramente gli stava arrivando, e all’improvviso l’avversario gli piombò addosso dall’alto, facendolo crollare sul pavimento sotto il suo peso e incrinando i lastroni di pietra, sghignazzando e godendo del Tekkai di Jabura che finalmente stava riuscendo a incrinare.

«Chi era la tua fidanzatina? La biondona o la piccoletta?» abbaiò il clone, tra un cazzotto e l’altro che avrebbero sfondato la cassa toracica di un uomo normale. «Le ho fatte divertire per bene, non preoccuparti. Mi hanno implorato di smetterla, e sapessi come gridavano…» schivò un furioso pugno col Soru, e continuò: «La ragazza era una schiava, vero? eheh, si vede ancora il segno del collare… e scommetto che il padrone la cerca. Gliela riporterò io, non preoccuparti!»

Jabura, preso dalla rabbia, si scagliò contro il clone, che lo evitò senza difficoltà e lo sbatté nel muro con un calcio che gli mozzò il fiato e gli spaccò il Tekkai

Jabura tossì, cercò di rimettersi subito in piedi, ma il clone non aveva fretta e ridacchiò: «Durante la battaglia, farsi prendere dalle emozioni fa solo abbassare la guardia.»

Il Lupo ringhiò: era abbastanza sicuro di averla detta anche lui, quella frase, anni prima. Era proprio da lui. Cos'era, uno scherzo??

«Invece di compatire quella stupida, pensa a sopravvivere.» lo sferzò l'avversario, decidendo di finirlo con un unico, singolo e micidiale colpo.

Ma Jabura era un incassatore incredibile, riuscì a ribaltarsi giusto in tempo e ad dargli un calcio che lo mandò a rovinare nel muro. Caricò col Tekkai uno Shigan che poteva perforare i muri, e gli sferrò un cazzotto dritto al mento che finalmente fece stare zitto lo stronzo, gli smontò la mandibola lacerando le carni in un gran fiotto di sangue. Ghignò. «Piantala di sputare sentenze senza sapere un cazzo.» sentenziò sputandogli addosso. «Né Califa, né Lilian, si farebbero battere da uno come te.» 

La copia lo guardò acceso d’ira. Aveva la faccia distrutta dal colpo, la mandibola pendeva inerte da un lato e la faccia squarciata, la sua espressione era una risata amara e orribilmente allargata, con la lingua che pendente tra i denti inferiori.

Jabura cercò di sferrargli un altro micidiale cazzotto e approfittare del colpo inferto, ma la rigenerazione riparò i tessuti in mezzo secondo, la mandibola tornò in sede, la ferita si rimarginò, e la mano del clone fermò il pugno proprio un attimo prima che Jabura lo toccasse.

Il clone ghignò, la sua mano divenne caldissima, tra le dita brillarono fiamme vive che si riflessero sulle iridi di Jabura. La paura trapelò dal suo sguardo, e il clone se ne accorse: «Vedo che non hai ancora risolto quel problema col fuoco.» disse.

 

Kaku arrancava: parava, respingeva, ma quel maledetto clone era una scheggia impazzita, velocissimo, con un Kami-e sfuggente che lo rendeva simile non alla carta, ma alla seta. Ma il peggio, se possibile, era stato quando con un gesto lascivo si era sfilato l'arnese dalla bocca (com'è che si chiamava? Gag?) e aveva cominciato a parlare: «E tu vorresti dirmi» lo provocava «Di essere un agente del Cipher? Uno dei migliori?»

Ed era già sparito, come risucchiato in un vortice supersonico di Soru; girava attorno a Kaku, cercava di confonderlo, e Kaku sguainò

«Certo che lo sono!!» rispose indignato. La rabbia in bocca fece da miccia per un colpo esplosivo, che finalmente fermò a terra la corsa della piccola merda, che però contrattaccò con un Rankyaku devastante che scaraventò Kaku contro il muro.

Il clone avanzò verso l'agente, ridendo. «E quel tuo frutto del diavolo? La giraffa? Non farmi ridere. So benissimo cos’è successo a Enies Lobby… farti battere da un pirata… che vergogna!» 

«NON LO ASCOLTARE, KAKU!» gridò Jabura. «Sono programmati per dire stronzate!» ma l’avvertimento gli costò un colpo micidiale al fianco che lo lasciò a terra.

Kaku strinse i denti e caricò un attacco, mentre quel suo maledetto clone rideva, e rideva, e doveva avere il corpo corazzato perché solo pochi colpi andavano a segno, ed erano vanificati dalla rigenerazione quasi istantanea.

«Mi piacciono le giraffe.» ammise digrignando i denti e sputando un grumo di sangue. «Ma mi piace molto di più ammazzare gli avversari. Ed ecco perché sono uno dei migliori agenti del Cipher! Royal Bigan Shigan!!» 

«Non mi sembra.» sussurrò la copia. Saltò in aria, fino all'altissimo soffitto, ed evitò uno dopo l'altro i colpi. Poi un bagliore sinistro brillò nei suoi occhi, e sparì alla vista.

Kaku non lo vide neppure arrivare, sentì solo qualcosa che gli sfondava la schiena e il nero che avvolgeva i suoi sensi.

 

L’aria di Lucci era pericolosamente poca, i colpi dell’avversario erano macigni, e ogni volta che veniva colpito incassava, la ferita si rimarginava, e tornava all’attacco. I ripetuti colpi di Shigan gli avevano quasi fatto fracassare le dita, il Rankyaku veniva evitato senza troppe difficoltà, e Lucci non era così stupido da non capire che, se non avesse vinto nel giro di dieci minuti, anche il suo Tekkai avrebbe ceduto, lasciandolo esposto alla mitragliatrice che quel clone di merda aveva al posto delle mani.

Si concentrò, cercò un punto debole, ma li stava rapidamente esaurendo. Si guardò attorno, vide Spandam che, beato, si godeva la scena e il sangue sul pavimento giocherellando con il filo del lumacofono.

“Se tagli la testa al serpente”, pensò “il corpo muore”. 

Non aveva ancora sferrato il Rokuogan: era una tecnica che aveva inventato lui, ma forse il clone non la conosceva. Avrebbe potuto prenderlo di sorpresa e usare i pochi secondi in cui sarebbe stato per terra per andare da Spandam e ucciderlo sul colpo.

Prese un prezioso respiro, aspettò il momento giusto. Lo stronzo non si avvicinava, quindi decise di attirarlo, e incassò con il Tekkai prima un colpo, poi un altro, infine l’avversario si avvicinò abbastanza per sferrargli un gancio micidiale che avrebbe staccato la mandibola a un uomo normale… sentì sapore di sangue in bocca, e poi, senza vacillare, caricò un Rokuogan a distanza ravvicinatissima che sorprese il clone e lo lanciò dall’altra parte della stanza con un volo di almeno dieci metri.

Lucci non si chiese se e quanto fosse ferito, ma con il Kami-e corse verso Spandam, stava per saltargli addosso, ma venne placcato per le gambe e sbattuto per terra.

Ringhiò e si voltò: il clone lo aveva raggiunto, e con uno sguardo freddo e distaccato caricò un colpo diretto al suo stomaco con tutta la forza che aveva, sussurrando spettrale: «Rokuogan

Rabbia e sorpresa trapassarono gli occhi di Lucci, fece il Tekkai all’istante, ma sentì qualcosa rompersi, e la vista gli si annebbiò.

 

«Accidenti, accidenti…» sussurrò Vegapunk incerto. «Rischiano di rimetterci la pelle…! Quei cloni sono stati costruiti nei laboratori del Germa per essere più forti degli originali sotto ogni punto di vista, e io li ho anche migliorati per adattarli alla difesa del laboratorio…»

«Yoyoi! Ma gli originali posson vantare di qualcosa che i cloni non avranno mai!» si commosse Kumadori. «Sentimento! Cuore! Degli amici sinceri!» 

Vegapunk scosse la testa. «Magari, amico mio. Questa non è un fumetto per ragazzini… la forza dell’amore non c’entra niente.» 

«Ma, dottor Vegapunk!» invocò Tashigi. «Ci sarà un modo per fermarli! Un punto debole! Dev’esserci qualcosa che possiamo fare!» 

Smoker, temporalesco, si aggirava nervoso alle spalle di Tashigi, inquieto.

«No, purtroppo! L’unico che li può fermare è Spandam, obbediscono unicamente a lui!» pianse lo scienziato. Poi mormorò tra sé e sé: «Dovrei pensarla meglio, questa storia dei cloni che rispondono a una catena di comando… con un unico capo, la situazione rischia di andare fuori controllo, proprio come adesso…» 

«ALLORA?! VOLETE MUOVERVI A UCCIDERLI???» il grido di Spandam li fece sobbalzare: costruiti come copie migliori degli originali? Lucci, Kaku e Jabura erano feriti, ansimanti, con le facce che erano maschere di sangue e le nocche spaccate per i pugni dati: barcollavano a denti stretti, ma ancora per poco.

«ATTIVATE IL PROTOCOLLO D'EMERG-» 

«NOOOO!!!» disperò Vegapunk.

Spandam rise. E ripeté: «PROTOCOLLO D'EMERGENZA! ORA.» 

«DISTRUGGERAI IL LABORATORIO!!»

Forse avevano una capsula incastrata nei denti, avrebbe pensato più tardi Kumadori, o forse un comando vocale. Vide i tre cloni prima venire percorsi da un brivido, poi indietreggiare, e poi deformarsi orrendamente, e ingigantirsi sempre di più. Le cinghie e i vestiti si lacerarono con schiocchi sordi, sui loro corpi comparve un folto pelo, i loro volti si allungarono, le loro unghie divennero artigli, i loro occhi bianchi e vuoti. Versi bestiali proruppero dalle loro gole roche, ruggiti ancestrali che scuotevano i cuori. 

Una giraffa, un lupo e un leopardo in piedi sulle zampe posteriori, e alti fino al soffitto, raspavano per terra con le zampe e annusavano l'aria: volevano sangue, e davanti a loro c'erano tre prede pronte per essere dilaniate dai loro denti.

Kumadori sbiancò e rimase senza fiato: un incubo gli tornava alla mente, quel giorno a Enies Lobby, quando davanti a lui era apparso un’alce gigante che lo aveva osservato, lo aveva preso per i capelli, e lo aveva sbattuto ripetutamente per terra, fino a fargli perdere i sensi, per poi trascinarlo per tutta Enies Lobby come un macabro trofeo.

«Che succede, dottore…? Cosa sono… è un risveglio?» mormorò Tashigi, con gli occhi fissi sui tre mostri.

«No, è molto peggio… è un mio esperimento sui Frutti del Diavolo modello Zoo-zoo… quello è… l'ho chiamato Monster Point

 

 

 

Dietro le quinte...

Eccomi!! eccomi sul gong! scusate il ritardo!! grazie per avermi aspettata!! ♥

Bene, ora le cose cominciano a farsi MAZZATE. 
Volevo dire giusto due cose: le frasi che il clone di Jabura dice al vero Jabura... sono frasi di Jabura. Sono le stesse frasi che, a Enies Lobby, Jabura diceva a Sanji, che si preoccupava per Nico Robin invece di mettersi in salvo o di concentrarsi sul combattimento. La ruota gira... e adesso è Jabura nella posizione di doversi preoccupare per i suoi amici.

La scena "in nero"... ecco, se non siete riusciti a leggerla basterà evidenziarla, e salteranno fuori le parole... cosa succederà nel buio assoluto?

Siamo alle battute finali. Non so se dopo di questo ci sarà un unico capitolo o lo dividerò in due parti, ma... ormai ci siamo. Grazie veramente di cuore per questo viaggio ♥ alla prossima settimana per l'ultimo appuntamento di questa storia, con il capitolo dal titolo:

I DEMONI DI CATARINA.

Grazie e ciao a tutti ♥

Yellow Canadair

 

Edit 28 giugno 2023: ho bisogno di qualche giorno in più per ultimare l'ultimo capitolo ♥♥♥ scusate, ma gli ultimi combattimenti hanno richiesto più revisioni! Pubblicherò appena possibile... non vi lascio appesi senza finale, tranquilli!

Vi anticipo però che ci saranno probabilmente altri due capitoli: uno, quello finale vero e proprio, e poi un epilogo molto breve.
Grazie per aver letto fin qui, e scusatemi ancora! Grazie per supportare questa storia! ♥ 

 

  
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