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Autore: Longview    27/06/2023    1 recensioni
"Quei ricordi gli formicolavano nella testa e gli sembrava -impossibile, davvero insensato- di starli rivivendo in quel preciso istante. Se ne accorse non appena sentì, in uno sprazzo di lucidità, che quel ladruncolo stava lentamente scivolando sotto le sue dita ormai paralizzate, molli, così come il resto del suo corpo. Una piccolissima parte della sua coscienza gli gridava di svegliarsi, di alzarsi e rincorrerlo, ma il resto del suo cervello era avvolto da una nube densa fatta di consistenti flashback del suo passato; era come in un sogno, anche se era perfettamente consapevole del suo corpo reale e di ciò che stava accadendo nell’ambiente attorno a lui."
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Izuku Midoriya, Katsuki Bakugou, Ochako Uraraka, Shouto Todoroki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tre.








Per quanto tutta quella faccenda si fosse rivelata più complessa e contorta del previsto, Izuku era certo di avere ancora un paio di certezza nella testa: la prima, più a lungo termine, era che in un modo o nell'altro sarebbe venuto a capo di quel mistero. Voleva tornare alla sua vita di sempre, alle sue abitudini e a tutto ciò che lo faceva sentire tranquillo e a suo agio; non era tipo da riuscire a gestire i cambiamenti repentini. 
La seconda certezza riguardava il momento presente e la giornata assurda che stava vivendo, ovvero il fatto che non sarebbe tornato a casa sua quella sera. Lo spaventava l'idea di trovarsi faccia a faccia con Ochako, quasi si trattasse del boss finale di un videogioco; non l'avrebbe affrontata, non di nuovo e non nel breve periodo. 
Sì, non poteva negare di sentirsi un po' un verme. Lei non gli aveva fatto niente di male, anzi, era sembrata sinceramente preoccupata quella stessa mattina vedendolo così agitato ed elusivo; ma lui era davvero terrorizzato da ciò che gli stava accadendo e, finché non avesse compreso il come e il perché di tutto quanto, avrebbe cercato di evitarla in ogni modo. Lui, il timido e ansioso Izuku Midoriya, non sarebbe mai stato capace di fingere, vestendo i panni della versione futura di se stesso. Forse così facendo avrebbe avuto qualche cosa in più da spiegare non appena tutto sarebbe tornato alla normalità, ma era un piccolo prezzo che era disposto a pagare pur di non vedersi costretto a infilarsi nuovamente a letto in compagnia di Ochako: se lo avesse fatto quella sera, sarebbe morto di infarto.
Pertanto, qual era la scappatoia migliore se non chiedere asilo all'unica persona che non lo avrebbe mai rifiutato? 
Sperando che non avrebbe fatto troppe domande, il ragazzo chiese a sua madre di ospitarlo per la notte. Le domande, tuttavia, arrivarono, e anche piuttosto preoccupate: aveva forse litigato con Ochako? Era successo qualcosa di grave? Lei stava bene? Insomma, per qualche ragione -forse spinta da un'incredibile simpatia che provava nei confronti della giovane eroina- credette che il figlio avesse combinato un guaio rovinando per sempre la loro bella relazione. In un certo senso, quella sua paura aveva un fondo di verità, ma questo Izuku non lo avrebbe mai detto. Non aveva importanza, e lui era troppo stanco e assalito da sensazioni spiacevoli per mostrarsi accondiscendente come sempre. 
Si limitò a liquidare ogni questione con la scusa della stanchezza e a sistemarsi nella sua vecchia cameretta -che era quasi completamente stata riarredata a studio, fatta esclusione per il letto rimasto al suo posto "in caso di necessità". 
Poco prima che il figlio si chiudesse la porta alla spalle e la lasciasse fuori fisicamente e mentalmente dal suo piccolo spazio privato, lo sguardo di Inko tradì molte emozioni contrastanti: era allarmata da quel comportamento, ma anche dubbiosa e un po' amareggiata. Izuku non era tipo da troncare le discussioni a metà, ed era certa che se ci fosse stato un problema con Ochako gliene avrebbe parlato senza farsi troppi problemi. Era sempre stato molto sincero e aperto con lei, era persino andata a chiederle consiglio quando era arrivato il momento della sua fatidica prima volta -in ogni occasione, lei non si era mai scandalizzata, anzi, aveva sempre cercato di dimostrargli tutto il suo appoggio e la sua comprensione. Di conseguenza, il figlio non aveva mai avuto motivo di nasconderle qualcosa. Era come un patto silenzioso tra loro due.
Ecco il motivo per cui si sentiva così agitata. Qualsiasi cosa fosse successa, doveva essere abbastanza grave da aver spinto Izuku a tacere, chiudendosi in se stesso.
Inko aveva dei pessimi presentimenti.
Il figlio dal canto suo, beh, si era infilato sotto le coperte con la faccia pallida e il cuore pesante. Sperava solo che la madre non ci fosse rimasta troppo male, o avrebbe avuto la certezza di aver deluso una seconda persona nell'arco di una sola giornata; non le prime della sua vita, di quello ne era certo, ma l'abitudine non rendeva meno sgradevole quella sensazione alla bocca dello stomaco.
Con un po' di fatica riuscì infine ad addormentarsi: una piccola parte di lui sperava di svegliarsi da qualche altra parte il mattino dopo.
 
La notte passò veloce e senza sogni. Quando Izuku riaprì gli occhi, era ancora assonnato e le ossa, oh, gli dolevano quasi avesse appena finito di incassare un centinaio di pugni. Sì, forse aveva dormito in una posizione assurda, o forse la sera prima era crollato e non si era più mosso per le successive sette ore... ma quel dolore a braccia e gambe -e anche un po' all'altezza dello sterno- era davvero inusuale. 
Non riuscì a trattenere un mugugno sofferente non appena si mise a sedere, ma subito dopo si accigliò stranito: diede un paio di colpi di tosse, per schiarirsi la voce.
-Ciao?-, pronunciò con non troppa convinzione, lo sguardo perso nel vuoto, -Ciao!-
La seconda volta lo esclamò con tono sicuro, e fu allora che non ebbe più alcun dubbio: la sua voce era stranamente acuta. 
-Dannazione-
Nella penombra della stanza si intravedeva una miriade di poster appesi sulle pareti, la sua vecchia scrivania in un angolo e tutti i libri di scuola sparsi senza cognizione di causa in ogni angolo libero. 
Istintivamente portò entrambe le mani in alto, verso i suoi stessi capelli, che trovò crespi e ben più voluminosi di quanto ricordasse; o, quantomeno, di quanto non fossero la sera precedente. 
-Izuku?-
Il diretto interessato sobbalzò preso alla sprovvista. La porta di camera sua si aprì lentamente, facendo entrare la luce del mattino proveniente dal soggiorno.
-Con chi stai parlando?- sua madre gli rivolse uno sguardo perplesso, mentre a grandi falcate si dirigeva verso la finestra spalancando tende e imposte in legno.
-N-nessuno!-, rispose quello, spaventato dalla sua stessa voce, -Avevo un po' di... mal di gola-
Inko sospirò, alzando gli occhi al cielo: -Certo. Ora muoviti o farai di nuovo tardi a scuola-
Di nuovo? Izuku non aveva mai fatto tardi, in nessuna occasione della sua vita. Meno che meno a scuola. 
Obbedì senza aggiungere altro, e con un po’ di fatica si diresse in bagno con la divisa della Yuuei stretta tra le mani; si fece una doccia veloce, si vestì e si fermò per un istante a osservarsi nel piccolo specchio appeso sopra il lavandino.
Quanti anni aveva ora? 15, al massimo. Le sue braccia erano così piccole e poco sviluppate rispetto a quelle che aveva allenato duramente negli anni che sembrava potessero spezzarsi da un momento all’altro -e forse, ora che ci ragionava meglio, quello era proprio il motivo per cui sentiva quei dolori sparsi in tutto il corpo.
Tornato in camera per raccogliere lo zaino, prese tra le mani il cellulare: la data sullo schermo confermò tutti i suoi sospetti. Aveva 15 anni, ed era ovviamente tornato indietro nel tempo.
Uscì di casa di corsa, senza fare nemmeno colazione; aveva lo stomaco sottosopra, quindi in ogni caso non sarebbe riuscito a mandar giù niente. 
Era parecchio in anticipo ad essere sinceri, pertanto passeggiò con calma in direzione dell'accademia: conosceva a memoria quella strada, ed era assurdo pensare che fosse incisa nel suo cervello al punto che anche in una situazione simile, confuso e stanco, le sue gambe si muovessero da sole verso la loro meta.
In quel momento ripensò a ciò che sua madre gli aveva detto poco prima. Era stata una frase quasi casuale, buttata lì senza pensarci troppo, ma che nascondeva una grande verità. Lei non gli aveva mai parlato in quel modo, non gli aveva mai rivolto una parola cattiva, mai uno sguardo di rimprovero -o, almeno, non senza che lui avesse fatto niente.
Era tutto così strano.
Mentre camminava, passò accanto a un negozio; i suoi occhi vennero catturati dalla sua stessa immagine riflessa, come se non si fosse già osservato allo specchio quella mattina. Si fermò, facendo borbottare infastidite un paio di persone che furono costrette ad evitarlo per non cadergli addosso. 
Ma quanto aveva lasciato crescere i capelli? Onestamente, non ricordava di averli mai avuti così lunghi: la solita chioma riccia si era un po' appiattita ai lati, forse se si fosse impegnato avrebbe persino potuto raccoglierli in una coda. Era un look alquanto fuori dai suoi standard -e forse persino fuori dalla sua comfort zone.
Aveva 15 anni, stava studiando alla Yuuei, viveva ancora con sua madre, quindi riusciva a collocare con una certa sicurezza quel periodo preciso all'interno della sua non troppo lunga vita. Eppure c'era qualcosa che lo faceva sentire spaesato, come quando cambi disposizione ai mobili di casa: il contesto rimane sempre lo stesso, confortevole e ben conosciuto, ma il contenuto ti lascia disorientato.
Chissà se quella giornata gli avrebbe riservato altre sorprese.
 
Arrivò in anticipo in classe. L'atmosfera era abbastanza tranquilla, per i corridoi c'erano alcuni gruppi di ragazzi che chiacchieravano e altri che dal giardino esterno iniziavano a dirigersi pigramente verso le proprie aule. I docenti ancora non si vedevano.
Non appena Izuku entrò dalla porta già aperta, sospirò e, quasi inconsciamente, si rilassò in un piccolo sorriso vedendo una strana capigliatura bicromatica scattare di lato per capire chi si stesse avvicinando. C'era anche Iida, che alzò lo sguardo dai libri solo per rivolgergli un saluto leggermente infastidito.
-Midoriya- 
Quel richiamo, accompagnato da un gesto del capo, fu serio, pur tradendo però una lieve contentezza: Shoto si sentiva sempre stranamente allegro attorno a Izuku. Quel ragazzo gli trasmetteva positività.
Tuttavia, gli bastò un'occhiata veloce per capire che c'era qualcosa di strano -no, qualcosa di diverso. Izuku era diverso, un po' più ansioso del normale forse, ma decisamente diverso. Glielo lesse in faccia: non sembrava minimamente la stessa persona che aveva salutato il pomeriggio precedente, finite le lezioni. 
Il verdino, leggermente intimidito, rimase immobile sull'uscio mentre sosteneva quell'incomprensibile gara di sguardi. Fissò Shoto dritto nelle pupille -quanta agitazione potevano infondergli quell'azzurro e quel grigio tanto freddi ma allo stesso tempo tanto familiari?- durante attimi che sembrarono durare ore. Se solo il suo danger sense fosse stato in grado di attivarsi -dannato corpo che non rispondeva ai suoi comandi-, probabilmente si sarebbe preparato a un duello. 
Shoto, però, fu il primo a cedere, socchiudendo gli occhi e scrollando lievemente le spalle come un cane che rilascia la tensione. Forse era solo in ansia per il test di chimica, si disse quello; non c'era motivo di preoccuparsi, almeno per ora.
Izuku si sedette al suo posto indeciso: che materie aveva quel giorno? Avrebbero fatto degli allenamenti? E se sì, sarebbe stato in grado di controllare il suo quirk o avrebbe combinato uno dei suoi soliti disastri?
-Come mai sei arrivato così presto?-
Quella domanda prese il verdino completamente alla sprovvista, e per poco non ribaltò il banco di fronte a sé.  Shoto si era seduto dietro di lui, e si era sporto il più possibile verso il suo orecchio, per parlare piano; le occhiatacce di Iida dall'altro capo della classe erano il principale motivo di quel comportamento.
-Midoriya-kun?-, lo richiamò l'altro, facendolo tornare alla realtà, -Stai bene?-
L'amico sembrava sinceramente interessato alla sua risposta. Se ricordava bene, in quel periodo stavano iniziando ad avvicinarsi, e non voleva di certo evitarlo mandando a monte tutta la loro amicizia.
-Suppongo di sì-, rispose con un tono che diceva tutto il contrario, -Ho solo dormito un po' male-
-Sei andato a una festa?-
Un'altra voce, un po' più acuta e frizzante, spezzò la quiete del momento. Era Kaminari, appena arrivato con al seguito Kirishima e Kacchan. Senza pensarci, Izuku sorrise a quest'ultimo in segno di saluto, maledicendosi appena un istante dopo: erano adolescenti, e l'amico ancora lo odiava. La redenzione e il pentimento sarebbero arrivati da lì a qualche tempo. 
Tuttavia, con enorme stupore del verdino, Kacchan si limitò a sollevare un sopracciglio perplesso, e stranamente non lo insultò, né tentò di farlo a pezzi. 
Strano.
-Una... festa? Perché avrei dovuto?- 
Izuku era sempre più confuso. Perché ogni persona con cui interagiva faceva supposizioni senza senso su di lui?
Ma soprattutto, da quando Kaminari gli parlava e gli dava pacche sulle spalle come se fosse stato uno della sua cerchia di amici?
C'erano molte, troppe cose che non quadravano quella mattina. Non era stato come il giorno precedente: sì, Izuku non sapeva come sarebbe stato il suo futuro quindi non aveva realmente motivo di stranirsi per qualche cosa, ma gli era comunque sembrato tutto abbastanza plausibile. 
Il suo passato, invece, lo aveva già vissuto e lo conosceva bene. Era certo di non aver mai sperimentato un martedì mattina come quello durante i suoi 15 anni, ed era certo che tutto quello che gli stava accadendo -scuola e Shoto a parte, forse- non era affatto normale. 
Kaminari scrollò le spalle con un sorrisetto serafico in volto, lasciando cadere il discorso. Si limitò a lanciargli un "Ne riparleremo in pausa pranzo" per poi dirigersi verso il suo posto. 
Izuku rimase perso nei suoi pensieri fino all'ingresso del professor Aizawa in classe, che diede inizio alle lezioni.
 
L'ora di pranzo arrivò come una benedizione lanciata direttamente dal cielo; la giornata scolastica non era ancora finita, e nel pomeriggio avrebbe dovuto affrontare alcuni allenamenti che, al solo pensiero, lo facevano sudare freddo, ma l'idea di poter mettere qualcosa nello stomaco e, possibilmente, stare da solo con se stesso per la successiva ora lo facevano tranquillizzare un po'.
O almeno quello era teoricamente ciò che avrebbe voluto fare. Nella pratica, beh, la sua impresa si rivelò ben più complessa del previsto: appena suonò la campanella, Izuku sgattaiolò fuori dall'aula alla velocità della luce; forse, così facendo, nessuno lo avrebbe fermato. 
Riuscì ad arrivare in corridoio, ma fece in tempo a percorrere appena una decina di metri prima di venire richiamato dalla voce di Shoto. Izuku bloccò la sua marcia, socchiudendo gli occhi: non poteva ignorarlo. Avrebbe tanto voluto farlo, ma il suo sesto senso gli consigliava di non farlo. Erano già successe fin troppe stranezze e non aveva intenzione di peggiorare la situazione.
-Midoriya?- lo chiamò ancora, convinto che non lo avesse sentito. Era un po' dubbioso, un piccolo broncio intristito rabbuiava il suo volto normalmente serio. Izuku sospirò, voltandosi poi a guardarlo. Quella sua espressione gli ricordò Ochako la mattina precedente -sei anni nel futuro- che lo aveva scandagliato da capo a piedi convinta che qualcosa fosse fuori posto in quel corpo tanto familiare. Entrambi sembravano aver intuito qualcosa, ma se da un lato Izuku era riuscito solo a deludere Ochako lasciandola annegare nei dubbi e nelle preoccupazioni, ora aveva intenzione di mantenere un comportamento vagamente normale con Shoto. Sarebbe stato decisamente più semplice, dopotutto con lui non ci sarebbero state strane implicazioni amorose o contatti fisici indesiderati: erano solo due amici, due amici adolescenti che parlavano perlopiù di scuola e tecniche di combattimento. Poteva farcela.
-Vuoi stare solo?- 
Quella domanda lo fece galleggiare per un istante tra i suoi pensieri. Sì, avrebbe voluto urlarglielo in faccia con una punta di panico a colorare quelle due semplici lettere. Voleva restare da solo a ragionare su ogni singolo, minimo e impercettibile dettaglio o azione compiuta che lo avevano portato a quel passato leggermente scostato dalla linea temporale che aveva vissuto sulla sua pelle, come i denti di una zip che non combaciano alla perfezione ma tentano comunque di chiudersi.
Più la cerniera sale, più i denti iniziano a incastrarsi, a sovrapporsi e a saltare. Era una reazione a catena: così come le scelte del suo passato avevano scritto il suo presente, gli errori commessi in ogni salto temporale si ripercuotevano in quello successivo.
-No-, rispose infine, secco, -Ti va di pranzare insieme, Todoroki-kun?-
Aveva dovuto forzare se stesso per non chiamarlo per nome. Non era ancora il momento.
Shoto strabuzzò appena gli occhi, sorpreso. Poi, dopo un breve silenzio -ci stava ragionando su, forse?- annuì con il capo. Si diressero in cortile, verso il primo tavolo vuoto che trovarono: era nascosto dietro un pesco ampio e verde, fatto che forse avrebbe regalato a Izuku quella privacy che tanto desiderava -e avrebbe impedito a qualsiasi persona di individuarlo e metterlo in difficoltà con ciance non volute. 
Aveva dimenticato il pranzo quella mattina, prima di uscire di casa. Sì, forse era un po' viziato, ma sua madre gli aveva sempre preparato un bento che gli lasciava sulla scrivania mentre era in bagno a farsi la doccia. Tuttavia, in quello strano passato distorto ciò non era accaduto, e si era dovuto comprare dei noodle mollicci e sciapi alla mensa scolastica. 
Quel pasto scadente lo faceva sentire in qualche modo arrabbiato. Lui, che era stato arrabbiato appena un paio di volte nella sua vita -e sempre per motivazioni molto valide, si intende. Si accigliò non poco mentre tirava su alla velocità della luce gli ultimi bocconi. Shoto gli lanciava qualche occhiata di tanto in tanto, quasi si aspettasse che dicesse qualcosa; qualsiasi cosa, ad essere onesti. Era troppo silenzioso per i suoi gusti.
-Dopo le lezioni i ragazzi volevano fare qualche allenamento extra. Sei dei nostri?-
Se possibile, Izuku si irritò ancor di più. Perché non comprendeva una singola parola di ciò che chiunque gli diceva? Chi erano i ragazzi? Shoto non si era mai espresso con quei termini. Il loro gruppo di amici era sempre stato uno: loro due, Iida, Ochako, Tsuyu... Sì, Izuku voleva bene a tutti nella loro classe e a molti della loro scuola, li considerava suoi amici e non aveva problemi a uscirci assieme, ma non aveva mai avuto il classico gruppo di amici maschi che passano il tempo a fare sport e, uhm... beh, non sapeva precisamente cosa facessero i gruppi composti esclusivamente da adolescenti maschi -anche lievemente iperattivi. Parlavano di eroi? Di ragazze? Di eroine -giusto per unire i due argomenti in uno-?
Era molto confuso, sì, confuso e irritato da tutta quella giornata impossibile.
-Ehm, giusto per sapere, i "ragazzi" sarebbero...?- glielo chiese così, con una punta di fastidio nella voce. 
Shoto non si scompose, ma si intuiva che nella sua testa qualcosa avesse iniziato a girare.
-I soliti. Kirishima, Kaminari, Sero, Bakugo... Forse anche qualcun altro- 
Gli ingranaggi ormai arrugginiti del cervello di Izuku si incepparono nel sentire quel nome: Bakugo. Una risata isterica gli uscì spontaneamente di bocca.
-Kacchan non mi vorrebbe mai presente. Credo tornerò a casa-
-Perché?-, la perplessità del ragazzo era sincera, -Tu e Bakugo siete migliori amici, da sempre-
Izuku non credeva che si sarebbe potuto sentire più sconvolto di quanto già non fosse. Tuttavia, Shoto stava davvero mettendo alla prova la sua infinita pazienza; o, forse, si trattava più che altro dei suoi nervi già incredibilmente tesi. Era al limite, non si sarebbe stupito se le sue orecchie avrebbero presto iniziato a fumare. 
La sua faccia stravolta parlava al posto suo.
-No grazie-, disse infine, le dita che sfregavano sugli occhi nel tentativo di calmare quel turbinio di emozioni negative, -Penso che tornerò a casa a riposare-
Non aveva intenzione di esporsi così tanto conoscendo così poco di tutto ciò che gli stava accadendo.
 
Tornato a casa, Izuku si chiuse nuovamente in camera sua uscendone solo per cenare; non parlò granché con sua madre, altro fatto alquanto insolito. Lei non gli chiese come fosse andata la giornata, non sembrava nemmeno allegra come suo solito. Le persone attorno a lui si erano trasformate e lui non capiva più cosa fosse reale e cosa no.
Ecco perché voleva trovare delle informazioni riguardo ciò gli stava distruggendo la psiche e la vita. Rivoleva indietro la sua vita, il suo presente, i suoi amici e la sua famiglia così come se li ricordava; non voleva quell'inquietante e cupa copia del suo vissuto.
In un certo senso, dopo quella giornata davvero strana, si sentiva violato in ciò che custodiva con più gelosia dentro di sé: i suoi ricordi. Ormai non credeva ci fossero più molti dubbi riguardo la causa di tutto ciò -non era pazzo, non stava male e non stava accadendo tutto per un malato scherzo del destino: era finito vittima di un quirk. Oddio, forse era davvero uno scherzo del destino, perché si trattava decisamente del quirk più assurdo che avesse mai visto. Era affascinato, spaventato e arrabbiato allo stesso tempo. 
Mentre era perso tra i suoi pensieri -e tra le sue ricerche su internet-, sentì il telefono squillare. Era Kacchan.
 
"Eri davvero molto strano oggi"
"Intendo più strano e idiota del solito"
 
Sì, dopotutto non poteva dargli torto, si era comportato in modo strano, ma non era proprio cosa da tutti i giorni venire sballottati avanti e indietro nel tempo senza cognizione di causa e dovendo fare i conti con tutte quelle assurdità che non appartenevano in alcun modo alle persone e ai luoghi che conosceva. 
Tuttavia, quei messaggi sembravano fin troppo sospettosi e quasi apprensivi per provenire da Katsuki Bakugo. Soprattutto il Katsuki Bakugo quindicenne rabbioso e rancoroso nei suoi confronti che ricordava; in un certo senso, quel tentativo di instaurare un dialogo con lui lo metteva un po' in difficoltà, pareva quasi che i loro ruoli si fossero invertiti.
Izuku lesse i messaggi, e digitò una risposta veloce: la cancellò subito, convinto che non sarebbe mai riuscito a farlo fesso con una scusa qualsiasi. 
Gettò il telefono sul letto in preda allo sconforto: finì per ignorare completamente qualsiasi altra notifica, sebbene il biondino tentò di chiamarlo e, in seguito, gli mandò una sequela di messaggi  abbastanza minacciosi e risentiti che facevano tutti riferimento alla sua, testuali parole, "stronzaggine".
Al diavolo. Izuku aveva trascorso tutta la sera a fare ricerche su quella sua assurda condizione e scoccata la mezzanotte era stato scosso da un brivido di terrore al solo pensiero di mettersi a dormire e risvegliarsi di nuovo chissà dove, chissà quando. Si era ripromesso di non incasinare le carte in tavola con altre persone, era vero, ma la stanchezza e la confusione interiore erano troppo forti per cercare ancora di tenere insieme i pezzi della sua vita sociale -di cui non sapeva praticamente nulla, tra l'altro.
Aveva passato la notte sveglio, prima al computer e poi davanti allo schermo del telefono una volta infilatosi sotto le coperte, nella speranza di trovare qualche informazione che gli avrebbe permesso di far chiarezza su tutta quella faccenda.
L'unica cosa che aveva compreso dai forum online che aveva spulciato era che il metodo migliore per trovare una soluzione ai suoi problemi prevedeva il trovare il possessore del quirk incriminato e farsi spiegare il meccanismo di inversione. Semplice a dirsi, sì, ma nella pratica che avrebbe dovuto fare? Ricordava a malapena che faccia avesse quel ladruncolo.
Sospirò alla consapevolezza di star passando la notte insonne; forse alla ricerca di risposte o, forse più probabile, nel ridicolo tentativo di non trovarsi nuovamente scaraventato in un momento casuale della sua esistenza al suo risveglio. 
Era spaventato, sì. Solo che gli era più comodo sotterrarsi sotto quella marea di pensieri che, per quanto collegati, gli riempivano la testa e non lo facevano preoccupare per altro.
Quando la sveglia sul suo telefono prese a suonare, Izuku teneva ancora il dispositivo tra le mani -a metà tra internet e qualche attimo di relax sui social. Si alzò dal letto ignorando l'emicrania che gli pulsava sulla tempia sinistra e si diresse in bagno per prepararsi. Stessa routine della mattina precedente, stessi sguardi di sbieco provenienti da sua madre, stessa sensazione di malessere mista a confusione.
Uscì di casa e si diresse con molta calma verso l'accademia. La stanchezza lo aveva colpito in piena faccia non appena l'afa estiva lo aveva avvolto da capo a piedi, fuori dal portone del suo palazzo.
Giunse in classe prima del suono della campanella, come il giorno precedente solo Shoto e Iida erano già al loro posto intenti a studiare. Li salutò con ben poca convinzione e si lasciò cadere al suo posto; Todoroki provò a chiamarlo, forse per chiacchierare, ma Izuku lo liquidò con una mano alzata come a voler dire "Lasciami in pace".
Il silenzio era quasi assordante, interrotto soltanto dal leggero vociare di qualche studente che passava per i corridoi. Le palpebre faticavano a rimanere aperte.
Dopotutto, avrebbe potuto giusto chiudere gli occhi per qualche attimo, almeno fino all'arrivo del professore. Poteva resistere all'impulso di addormentarsi, sì.
Posò il capo sul banco e sentì subito sollievo: finalmente i suoi bulbi oculari smisero di bruciare come annegati nell'acido. Rimase ad ascoltare il suo stesso respiro lento e regolare, lo tranquillizzava.
Si rilassò e si estraniò dalla realtà attorno a lui tanto che, a un certo punto, si addormentò.
  
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