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Autore: Enchalott    04/07/2023    3 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a tutti! :)
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Dopo una guerra ventennale, i Salki vengono sottomessi dalla stirpe demoniaca dei Khai. Negli accordi di pace figura una clausola non trattabile: la primogenita del re sconfitto dovrà sposare uno dei principi vincitori. La prescelta è tanto terrorizzata da implorare la morte, ma la sorella minore non ne accetta l'ingiusto destino. Pertanto propone un patto insolito a Rhenn, erede al trono del regno nemico, lanciandosi in un azzardo del quale si pentirà troppo tardi.
"Nessuno stava pensando alle persone. Yozora non sapeva nulla di diplomazia o di trattative militari, le immaginava alla stregua di righe colorate e numeri su una pergamena. Era invece sicura che nessuna firma avrebbe arginato i sentimenti e le speranze di chi veniva coinvolto. Ignorarli o frustrarli non avrebbe garantito alcun equilibrio. Yozora voleva bene a sua sorella e non avrebbe consentito a nessuno di farla soffrire."
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Notte insonne
 
Il banchetto era terminato. Gli ospiti conversavano accompagnati dalla musica e dai volteggi delle danzatrici in un clima disteso, che aveva sfumato quello convulso dell’ofytar. Il sospeso era svanito quando Mahati aveva fatto il suo ingresso, la giovane sposa al fianco e lo sguardo fiero di sempre.
La generosità del sovrano aveva accordato di attingere a oltranza alla pregiata scorta delle cantine e gli shitai si affannavano affinché nessun bicchiere restasse vuoto. La notte aveva oltrepassato il culmine, ma la festa era lungi dalla conclusione.
«Quell’ornamento non vi si addice, principe Ŷalda.»
Il capoclan sorrise beffardo e infilò nella manica il nastro della principessa salki.
«Avete buon occhio, venerabile pithya
Ishwin sistemò la stola con una mossa collaudata.
«Buongusto» perfezionò «Ritengo non sia l’unico aspetto che ci accomuna.»
Lo sguardo glaciale dell’uomo la indagò con accresciuto interesse. Aveva riscontrato un’apertura nei suoi confronti durante l’ultima visita al santuario, ma quelle parole erano un invito poco velato. Sollevò la mano e la esortò ad accomodarsi.
«Alludete alla lealtà alla corona?»
«Possa ornare la fronte più degna» auspicò lei ambigua «Ho udito che la vostra consorte è incinta. Porgo felicitazioni, il dio della Battaglia gioisce quando un virgulto vede la luce nella fedeltà al suo nome.»
«Vi ringrazio. Sono imperdonabile per non aver espresso la mia riconoscenza all’ara maggiore: è la mia terza moglie, attende il mio decimo erede, temo di essere scaduto nell’abitudinarietà dimenticando il sacro.»
«Non scusatevi, state rispettando un lutto. Moderare la letizia è segno di deferenza, soprattutto difronte alla perdita che coinvolge l’intero regno. Ma il vostro seme è forte, altri discendenti condurranno gloria al vostro casato.»
«Mi affido al celeste Belker.»
Lo scintillio degli occhi di Yalda esprimeva un vigoroso desiderio di rivalsa ma la piega divertita della bocca testimoniava il pieno intendimento dei giri di parole. Versò il vino e la servì con ostentata cortesia.
«Un goccio soltanto» cinguettò lei «Non mi è concesso esagerare.»
«Non temete. Se pur non foste ligia, i vostri segreti sarebbero al sicuro con me.»
Accogliendo il calice, la sacerdotessa gli sfiorò le dita con studiata innocenza.
«Il divino Belker predilige gli uomini come voi.»
«Ed io, da devoto servitore, non lo scontenterei mai.»
«Non siate modesto. Indirizzato dal vostro polso, il clan cui appartenete è assurto ai massimi onori della millenaria storia di Mardan.»
«Non esiste limite per un Khai, solo l’assenso del signore della Battaglia.»
«Se lo interrogassi a tal fine, sono sicura che lo fornirebbe.»
«Detto da voi è uno stimolo, nobile pithya, non vorrei illudermi.»
«Considero i fatti, mio principe. Vantate sangue puro, il vostro lignaggio è cospicuo, rispettate le leggi, siete agile di mente e svelto con la spada. Non vi manca nulla.»
«Davvero?» sorrise lui allusivo.
«Forse l’alleato giusto» azzardò Ishwin.
«Lo yakuwa è suggerito dal nostro codice d’onore.»
«La saggezza vi indicherà la mano da stringere.»
Il capoclan socchiuse le palpebre e levò la coppa. Le sue dita descrissero un lieve movimento, cui la donna rispose con un cenno impercettibile del capo.
Il sodalizio acquisì consistenza in quella che si annunciava una notte insonne.

Rhenn indugiò sulla terrazza dell’ala occidentale, osservando lo spegnersi delle fiaccole.
Quando aveva ripreso posto al desco, suo padre l’aveva fulminato, così era rimasto seduto per ore ascoltando chiacchiere e complimenti come se lo interessassero. Aveva sfoggiato ogni sfaccettatura della rigida etichetta di corte, ma l’animo era tutt’altro che pacificato.
Si era ridestato dal tedio quando, con suo sommo stupore, Mahati aveva invitato Yozora alle danze, un gesto senza precedenti e dunque una sfida. A sua volta aveva trascinato Rasalaje tra le coppie al centro della sala, con l’intenzione di reclamare un cambio dama cui non si sarebbe potuto sottrarre. Ma il secondogenito aveva issato in spalla la sposa e aveva lasciato i festeggiamenti, mostrando l’intento di protrarli in privato.
I Khai avevano solo finto di non farci caso: gli apprezzamenti sulla resilienza e sulla mascolinità del Kharnot erano impattati nei timpani di Rhenn come lo scoppio delle polveri incendiarie, aizzandone il risentimento.
Aveva atteso per non inciampare nell’equivoco dell’invidia, poi aveva premuto la moglie al muro, l’aveva baciata con foga e aveva imboccato la medesima uscita, ignorando lo sguardo polare di Kaniša e ogni altro elemento fuori posto.
Eccelso Belker, che gioia se per un secondo mi concedeste il vostro Arco!
L’invocazione vibrò alla stregua di una resa. Gli sembrò addirittura sbagliata quando lo stomaco si rivoltò come in preda alla nausea.
Stento a riconoscermi. O forse ho bevuto troppo.
Si infilò a letto e cedette al torpore. Percepì gli olii aromatici che esalavano dalla pelle di Rasalaje e il calore del suo corpo nudo, poi fu inghiottito da un grigio dormiveglia cui rinunciò a opporsi.

 La principessa dei Khai si adagiò sul materasso con la cura di non disturbare lo sposo. Vederlo assopito, i lineamenti addolciti dal sonno, le mani rilassate accanto al viso, le faceva martellare il cuore come al loro primo incontro.
Quando speravo che la sua durezza fosse un inevitabile artificio.
Gli accarezzò una guancia e gli passò la mano tra i capelli, sfiorandogli le labbra con un bacio. Lui inspirò, volgendosi al riverbero della lampada senza destarsi: mormorò qualcosa e accennò un sorriso.
Divinità immortali! Allora sei così, quando smetti di odiare il mondo!
Fissò ammaliata l’espressione serena, mai scorta nei giorni trascorsi al suo fianco. I sentimenti traboccarono, così l’immane sconforto: Rhenn possedeva emozioni inconsce o soffocate a forza, ma erano la stanchezza e il vino a svincolarle.
Non io, non ciò che provo per te. Quando tento di esprimerlo, mi zittisci e mi mortifichi come se ti disgustassi.
Le sarebbe bastato ciò che ogni Khai tollerava nell’unione, semplice partecipazione, una scintilla di tepore. Invece una marea irrefrenabile aveva scalzato la razionalità in reazione al rigetto subìto e ciò che aveva preso dimora nel cuore era ignobile. Nessuna meraviglia che lui si preservasse dal contagio, l’insofferenza era legittima.
Posò la bocca sulla sua, a catturare quel sorriso. Le dita scesero sul petto seguendo il perimetro del thyr: il battito cadenzato impennò, l’epidermide s’increspò in brividi di piacere. Rasalaje continuò il percorso tattile: anche se quell’uomo era suo, si sentì una ladra ed esitò alla percezione illogica.
«Non smettere…»
Il sussurro era inudibile, proveniente dal mondo onirico in cui Rhenn era immerso. Era strano che la autorizzasse a guidare il rapporto.
«Vuoi davvero?»
«Ah… sì…»
I baci divennero roventi nel crescendo che esulava dall’intenzione iniziale. Lo provocò, la risposta delle membra di lui si fece intensa nell’inarcarsi del dorso, nell’emissione sommessa dei gemiti, nel respiro roco.
Perché non apre gli occhi? È conscio di quanto accade?
La reazione sarebbe apparsa naturale se non lo avesse conosciuto a memoria, se non lo avesse visto impedire qualunque gesto d’affetto, se non avesse sperimentato l’abissale assenza di coinvolgimento con cui la possedeva.
«Mi desideri?»
«Sì…»
Ma la replica suonava come il riflesso di una visione di cui lei non era parte, le braccia spalancate sul talamo non scattavano a cingerla, le dita si contraevano a vuoto. Sdraiato sulla schiena, inerme alle sue attenzioni fisiche, era un’altra persona, uno sconosciuto che incarnava ciò che lei aveva sempre sognato.
Si concesse di osare e cedette alla passione che aveva relegato nei meandri dell’io.
Le mani di lui la presero ai fianchi con gentilezza, la spinsero verso il contatto che precorreva l’amplesso, il viola delle iridi brillò per un istante tra le ciglia abbassate.
«Lasciami entrare» sussurrò come tormentato da un’afflizione immateriale.
«Rhenn…?»
«Yozora…»
Rasalaje smise di respirare mentre il brandello di mondo che pareva aver accolto le sue suppliche esplodeva in schegge acuminate.
Divino Belker, fatemi morire se le mie preghiere vi sono mai state gradite!
Reggere il dolore era al di fuori della sua portata. Essere usata come strumento per soddisfare la brama verso un’altra donna era un’onta. Non si domandò se nella realtà contingente si fosse portato a letto la ragazza come l’ignota delatrice aveva riferito. Non era rilevante.
Nella sua mente è accaduto, ogni sua fibra la vuole!
Si ritrasse, ansò in cerca d’ossigeno ma i polmoni erano pietre. Il tocco del marito si fece audace in risposta al suo allontanarsi. Lo respinse come non era mai riuscita a fare.
Rhenn spalancò gli occhi e scattò a sedere, le dita si staccarono dalle sue curve per serrarsi a pugno. Il disorientamento durò un millesimo. Realizzò la posizione l’inconsueta della moglie, che gli sedeva a cavalcioni in grembo.
«Rasalaje! Che diavolo…»
La disperazione sul viso di lei gli inflisse uno spasmo.
Dannazione, l’eclissi! Che abbia vaticinato in sua presenza?
«Cos’ho detto? Stavo sognando un che di catastrofico, gli dèi mi siano…»
La principessa lo abbrancò per le spalle, le unghie gli si conficcarono nella carne, il pizzicore del veleno si diffuse nel sangue. Sussultò più per la sorpresa che per la fitta e l’idea di aver dato voce a un presagio acquisì credibilità.
«Sei anche uno spergiuro, Rhenn?»
«Cosa?»
«Non crederò a nessuna delle parole che pronuncerai in tua difesa.»
«Ridicolo! Dovrei scagionarmi per qualcosa che non ricordo?»
Rasalaje lo contemplò, il fantasma della dolcezza sperimentata poco prima aleggiava sulle rovine del suo animo. L’unica verità era la catastrofe addotta come attenuante, ma essa distruggeva lei sola. Le restava la dignità, non gli avrebbe permesso di infangarla con nuove menzogne.
«Yozora» scandì guardandolo negli occhi.
«Come?»
«È l’unica parola che hai pronunciato.»
«E allora? Abbiamo rivisto l’epopea di Kushan, è collegata al caos su cui stavo fantasticando. O è proprio lei la calamità, non mi sorprenderebbe.»
«Persino quando provi a denigrarla la tua voce è carica d’affetto. Non prendermi in giro, Rhenn.»
«Scostati, sai che così mi infastidisci!»
«L’hai chiesto tu.»
«Certo, come ho chiesto il veleno!»
Le torse i polsi, costringendola a liberarlo. Rasalaje estrasse gli artigli ma non ricusò.
«Il tuo autocontrollo è andato in letargo, puoi assegnare il merito al vino o a quel che ti pare. Hai accettato che ti dessi piacere perché hai pensato fossi lei. Ho visto quanto e come la brami.»
L’Ojikumaar impallidì: si era premurato di sminuire una divinazione mentre la realtà, né prevedibile né ridimensionabile, era decisamente peggiore.
«E va bene, ti credo, si è trattato di un sogno erotico! Tu non ne hai mai avuti?»
«Molti, con te.»
«Mi imputi l’adulterio poiché, dormendo, non ho selezionato la femmina giusta?»
«Una parte di te non era nel mondo onirico.»
«Dacci un taglio, Rasalaje. Trovo avvilenti i sottintesi, non me la sono sbattuta.»
«Lo so.»
«Allora perché stiamo discutendo!?»
«Mi baso sulla sincerità della mia kalhar, non sulle tue dichiarazioni. Non importa se non l’hai posseduta, è quanto rincorri e vuoi farlo da pari, con una delicatezza che a me non hai mai riservato. Provi qualcosa per lei, è lampante.»
Rhenn si sentì mordere dal gelo della doccia sotto cui era costretto.
Strano. Dicono che la verità bruci. Mi conosco, sono mesi che il mio corpo vuole infilarsi in quello di Yozora, frenarmi è diventato faticoso. Quanto al resto, è un insulto al mio sangue khai. Non esiste parità, bensì la legge del più forte. Lascio la dolcezza ai deboli, il romanticismo agli schiavi, i sogni al buio della notte.
«Osi negarmi la fiducia? Accusarmi sottilmente di ahaki
«Sono pronta a riconoscere la vergogna di non vedere altri che te. Sono una sciocca, un’illusa, una sposa devota e priva di carattere. Non ti accuso, non ne ho bisogno poiché tu sei il principale detrattore di te stesso.»
Lui ruggì di rabbia e la scaraventò tra le lenzuola, serrandole il collo in una morsa. La stretta increbbe, la vista di Rasalaje vacillò quando l’aria si ridusse a un filamento.
«Ti prego, lascia in pace Yozora… fa’ che trascorra il suo breve tempo con tuo fratello. Uccidimi se pensi di stare meglio, ma lei no… no! Permetti che sia felice.»
L’erede al trono avvertì un vuoto incolmabile. Tutti gli stavano indirizzando la medesima richiesta: imponendo nel caso di Mahati, supplicando in quello di sua moglie, mettendolo alla prova come Kaniša. E la risposta del profondo era identica, una sensazione nera come un baratro, una stretta spasmodica allo stomaco, un malessere spossante. Ogni fibra rigettava il distacco, persino i pensieri e i ricordi annaspavano in cerca di luce. Impossibile rinunciare a Yozora. Scomodare la fugacità della vita salki era rigirare il coltello nella piaga, gli sottraeva più di quanto non reputasse già rubato all’esistenza. La rabbia cieca occupava lo spazio del dolore per autoconservazione, la ferocia risaliva la china e lo istigava a ricreare il muro, l’indifferenza salvifica cui era stato addestrato, a sigillare ogni crepa con la malta della crudeltà.
«Non voglio ucciderti» disse forzando la moglie sotto di sé «Wa ihan šar
Usò l’espressione più volgare per riferirsi al rapporto fisico. La tenne prona e lasciò che il furore lo eccitasse, la penetrò brutale, i capelli dorati stretti tra le dita come un trofeo, le zanne a inciderle la schiena eburnea, incurante dei suoi lamenti.
Diede presto e si staccò con una spinta, senza guardarla.
«Ecco ciò che voglio, ciò che mi piace. L’ho evitato per riguardo al vincolo sponsale, perché sei un’aristocratica e non una sgualdrina. Dimmi se ti aggrada, Rasalaje. Se corrisponde all’immagine puerile che ti sei costruita.»
Allacciò la veste e uscì sbattendo la porta.
La principessa rimase distesa, il viso affondato tra i guanciali, il dolore dell’anima che valicava all’infinito quello del corpo.
Un animale ottenebrato sarebbe stato più umano. Non eri tu, Rhenn, nonostante il tentativo. Conosco ogni tuo frammento, so perché hai agito così e non esiste soddisfazione nella consapevolezza. Ma ora il percorso è terribilmente chiaro.
Quando trovò la forza di risollevarsi, il cuscino era intriso di lacrime. La lunga notte non era finita, le era solo penetrata dentro.

Con la frusta avviluppata al polso Mahati era spaventoso. Una parte di lei aveva sperato che sbollisse o mirasse solo a verificare il suo grado di temerarietà.
«Voltati» ordinò secco.
Yozora obbedì: il movimento le costò fatica. Strinse le labbra tremanti, sentì le gambe divenire gelatina, il dorso si tese in uno spasmo di paura.
Il laccio di cuoio schioccò sul pavimento in un colpo di prova che le fece esplodere il cuore. La mente si augurò di reggere la punizione per far valere il coraggio venerato dai demoni, il corpo pregò di cedere per sfuggire al supplizio.
«Non muoverti.»
Era certa che prolungasse lo snervamento perché adirato dall’ennesima riprensione.
«Uno» contò Mahati.
Il sibilo della sferza stracciò l’aria quieta della notte. L’estremità le sfiorò la spalla, strappando il nodo che chiudeva l’abito. Sussultò attendendo il riflusso acuto della sofferenza.
«Due» lacerò la legatura opposta «Tre» stracciò la cintura che fermava la seta verde «Quattro» squarciò il vestito, che s’afflosciò sul pavimento.
La pelle non sanguinava, non bruciava nemmeno. Solo un lieve pizzicore, simile alla puntura di un insetto. Yozora strizzò le palpebre per non piangere, pronta alla nerbata conclusiva.
«Cinque.»
La frusta si avvolse intorno alla sua vita con un giro indolore. Suo marito tirò con decisione. Fu così rapido che le parve di librarsi. Piombò tra le sue braccia e le lacrime scesero a prescindere dalla volontà. La baciò con gentilezza, poi la spinse sul talamo e la prese in un irrefrenabile crescendo di passione.
«Non… non mi hai punita» ansimò sgomenta nella sua stretta virile.
«Il terrore che hai provato non è abbastanza?» ribatté lui mordicchiandole il collo, un sorriso scaltro a scoprirgli le zanne «Certo non sarei stato così preciso, se quella inservibile fosse la sinistra.»
Le leccò le zone rasentate dal laccio e l’epidermide appena arrossata fremette di piacere. Si stese sul fianco sano e si mosse dentro di lei a scatenare la carnalità di entrambi. La sentì raggiungere l’estasi e si liberò in potenti flutti di appagamento.
«Mahati, la ferita…»
«Ti ho avvisata. Quando ti ribelli alle regole, perdo la testa.»
Il suo respiro sulla nuca era lascivo, il suo torace incollato alla schiena era rovente.
Lei spostò le braccia a carezzargli il viso, la chioma sciolta le solleticò i palmi.
«Spogliati» gli disse, più autorevole di quanto non desiderasse.
«Spero tu lo esiga per guardarmi, non per controllare se perdo sangue.»
«Ambedue» arrossì lei.
«Ah, sentenza sbagliata!»
Le sfuggì un’esclamazione quando la rivoltò senza sforzo. Inchiodò gli occhi nei suoi, la gradazione nocciola sfumata dalla soavità dello sguardo, la tenerezza delle labbra sul suo corpo. Il terzo atto culminò in uno slancio delicato, le membra avviluppate a seguire il ritmo decrescente dell’amplesso. Si godette il tepore generato dal contatto epidermico ma il sonno non giunse, esorcizzato dalle questioni non risolte.
«L’ofytar è stupefacente, non riuscivo a staccarti gli occhi di dosso.»
«Ricevo l’apprezzamento, incluso il “ma” che lo completa. Rhenn ha oltrepassato il limite, se è quanto vuoi sapere.»
La reticenza del marito accrebbe l’inquietudine, l’immagine indelebile dell’affondo di spada le provocò una fitta.
«Pareva volesse ucciderti e questa sciocca paura non passa.»
«L’intento era quello.»
«Come!?»
Yozora lo fissò pietrificata. Il Kharnot scosse il capo come se si trattasse di normale gestione familiare e cambiò argomento.
«Perché mio padre ha voluto che assistessi all’ofytar da una posizione privilegiata?»
Lei si morse le labbra: se anche non fosse stata vincolata dal riserbo, non avrebbe potuto pronunciare davanti a Mahati le parole con cui aveva dissipato gli interrogativi di Kaniša. Avrebbe pregato gli Immortali affinché le destinassero all’oblio.
Il principe corrugò la fronte, abominando il seme che lo aveva generato.
«Ti ha fatta giurare, vero?» la anticipò «Parla sin dove è concesso.»
«È convinto che la vostra stirpe sia maledetta, condannata all’autodistruzione.»
Il secondogenito accolse la notizia come una conferma.
Dannato bastardo, hai tentato un esperimento sfruttando mia moglie? Prega non sia vero o questa sarà la tua ultima alba!
«Si è dato parecchio da fare in tal senso» convenne sarcastico «Anche mio nonno Hosroi ha ucciso il fratello per il trono. E il suo predecessore, Mešar, è rimasto figlio unico in seguito a una differenza di vedute. Quattro generazioni ove gli eredi legittimi erano due maschi e la loro sorte è stata affine. Nella sua ottusa smania di dominio, Kaniša ha pensato di verificare le analogie.»
«Non poteva sapere che vi sareste scontrati.»
«No? Davanti a te non è mai successo!» ironizzò Mahati.
Yozora abbassò il viso, il senso di difetto simile a un veleno. Ebbe la certezza che il sovrano aspirasse a mostrarle la realtà scaturente dall’ambiguità dei rapporti con i suoi figli. Ma avrebbe dovuto essere pacificato dalla sua risposta, prima di dover impedire la morte di uno di essi.
Perché ha infierito su di loro? Perché era tanto preoccupato?
«È convinto che io possa aiutarvi. Ha detto che essere esente dalle leggi del dio della Battaglia è una fortuna. Invece a causa mia tu e Rhenn…»
«Aiutarvi?» ripeté Mahati interdetto.
Non sembrava un termine proferito da suo padre, ma non aveva motivo per confutare la moglie. Ragionò alacre e collegò i fili, avvicinandosi al nodo fondamentale. Emise il fiato, l’astio inveterato deflagrò nelle vene.
«Persuaderti del torto è la sua specialità. Per anni mi ci sono scontrato e ancora rischio di spaccarmi la testa nonostante il rodaggio. Rhenn ed io siamo due colossali idioti, il problema è nostro.»
«Allora perché? Se non ci fossi io…»
Il Šarkumaar le sollevò il mento con gentilezza.
«Esiste un appiglio che ti suggerisco di afferrare nell’incertezza o se ti imputeranno di fomentare la nostra rivalità. Un Khai non ama. Non ama mai.»
Yozora trattenne il fiato: Kaniša lo aveva fatto ed era impazzito. Mahati e Rhenn ne erano a conoscenza, eppure rifiutavano di riconoscerlo.
Perché negano l’evidenza? Forse il re ha inteso appurare se fossero entrambi sani?
«Ti prego, smettete di azzuffarvi, lasciate che sia io a mediare se necessario. Non prenderei le parti di uno a discapito dell’altro. Persino tuo padre se n’è accorto.»
Mahati la fissò, le ciglia abbassate a ombreggiare lo sguardo.
Di questo ed altro. Sei la persona meno adatta alla conciliazione, mia adorata sposa. Sul sacro nome degli Immortali, ti proteggerò dal mio stesso sangue, dovessi versarlo goccia a goccia.
«Non andremmo d’accordo neppure se il sommo Belker lo esigesse.»
«Non dire così! Cos’ha insinuato Rhenn? Di sicuro è stato lui a iniziare!»
Lo stratega supremo avvertì lo spasmo della consapevolezza: lei lo conosceva, conosceva entrambi in modo esclusivo. L’idea che il fratello occupasse un luogo speciale tra i suoi affetti lo tormentava, bastavano un cenno, un sorriso allusivo, uno sguardo a innescare la collera.
«Che è più abile di me» masticò cupo.
 
Mahati non aveva specificato in cosa e Yozora non aveva approfondito, leggendo nella posa reticente la velata freddezza di quando non voleva parlare.
Non era avvezzo a giacere con una donna addormentata tra le braccia, il talamo nuziale era ampio e garantiva il riposo individuale una volta esaurito l’accoppiamento.
Le mie abitudini sono cambiate per lei e non ne sono infastidito.
La luce filtrava dalle cortine abbassate, disegnando linee chiare sulla parete. Una di esse lambiva le spade infoderate, aizzando il risentimento per la sconfitta.

 «Sono più bravo di te, fratellino.»
«A vane parole di sicuro.»
«La danza è secondaria, parlo di fondamenti» aveva scandito Rhenn «Lame, vradak, arte bellica… non mi hai mai battuto in duello né in una gara di volo né nella tattica. Cosa ti fa pensare che avverrà con Yozora?»
«Il fatto che non siamo in competizione.»
«No? L’hai creata tu!»
«Che diavolo blateri!? La sposo per ordini da te condivisi!»
«Ma non hai previsto che te ne saresti innamorato, il che ti rende debole e denota inferiorità mentale.»
«Etarmah! Quanto alla seconda insinuazione, vogliamo provare?»
«Sei stato il primo ad assaggiarla, hai soddisfatto l’orgoglio e gli impulsi, perché impedisci che mi diverta? Non sarebbe l’unica femmina che abbiamo condiviso… o sai di perdere il confronto e ti vergogni?»
«Gli dèi ti inceneriscano! Non è una concubina! Sei ossessionato, accetta il suo “no” e rispetta il vincolo coniugale!»
«Ah, se si trattasse di portarmela a letto, ti offrirei Rasalaje secondo le regole.»
«Non sei ancora re e mi stai invitando a renderti difficoltosa l’ascesa! Mi disgusti, non sopporterei di vederti sul seggio a imporre l’aikaharr che disprezzi!»
«Imporre? È una tua mistificazione, Yozora non mi ha respinto né come suo signore né come uomo.»
«Perché le fai compassione.»
Rhenn non era riuscito a mascherare l’effetto devastante di quelle parole: per la prima volta Mahati aveva scorto nel suo sguardo un dolore vivo. Poi il gelo gli aveva avvolto i tratti. Gli occhi di entrambi si erano levati sulla principessa straniera e la brama di emergere aveva preso il sopravvento.

Si concentrò sulle forme morbide della moglie contro il suo petto. Non era un trofeo, provava imbarazzo per non aver conficcato la spada a terra invocando la fine dell’esibizione.
La mia dannazione è non ritirarmi mai.
   
 
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