Prologo
Batteva i denti per
il freddo.
Stringeva quel
piccolo fagotto tra le braccia, senza lasciarlo mai andare.
Correva. I suoi
piedi non erano mai stati così veloci, così restii a fermarsi.
Le lacrime le
scendevano copiose sulle guance pallide.
Quella grande
villa, famosa in tutta la città, era ancora lontana, nonostante i suoi sforzi.
E tuttavia, una parte di sé la pregava di rallentare, di cambiare la sua
decisione.
La pregava di non
rinunciare a ciò che aveva di più prezioso.
Un singhiozzo
sfuggì dalle sue labbra, unica prova del suo cuore che sembrava lacerarsi.
Come poteva essere
ragionevole, sapendo quanto avrebbe sofferto?
Come poteva cercare
di fingersi forte, senza nessuno al suo fianco a dirle cosa fare?
Strinse più forte
al petto il fagotto immobile, coperto perché non dovesse essere scoperto.
Pregava con tutta sé stessa che le sue aspettative riuscissero ad essere
appagate: almeno lui doveva
sorridere.
Anche senza di lei.
Probabilmente per sempre.
Perché il suo cuore
era ancora intatto, mentre si aspettava che scoppiasse da un momento all’altro?
Sempre più vicina,
sempre più vicina.
Non riusciva a
fermarsi. La sua parte razionale stava vincendo su quella dei sentimenti. Non
riusciva a smettere di correre a perdifiato, con il respiro corto, l’ansia
visibile in ogni tratto del suo viso bianco come un cadavere, il dolore
straziante nei suoi occhi scuri.
Si accasciò solo
quando giunse davanti al portone, inginocchiandosi, incurante, sul duro e nero
asfalto di quella strada tanto frequentata di Tokyo. Serrò gli occhi, cercando
di trovare gioia e speranza nel pensiero della buona riuscita di quell’impresa.
Non sentì altro che
una sofferenza inumana.
Non sapeva per
quanto tempo fosse rimasta lì, immobile, rifiutandosi di affrontare la
freddezza e l’indifferenza di quella notte scura, immobile e distaccata come
sempre. Ma un movimento riuscì a distrarla, facendola sobbalzare violentemente.
Scostò piano una
coperta dal suo fagotto, sentendo un groppo in gola impedirle persino di
sfogare il suo dolore, alla vista di ciò che lo conteneva.
Dormiva.
Il suo piccolo
corpo, protetto accuratamente dal freddo invernale, si alzava e si abbassava
seguendo il normale ritmo della respirazione. I suoi occhi scuri erano chiusi,
nella calma placida del sonno. I suoi capelli viola, corti e scomposti,
coronavano dolcemente quel piccolo viso di bimbo che subito l’aveva colpita,
fin dall’inizio.
Non seppe come, ma
le sue labbra si piegarono in un sorriso straziato.
Accarezzò con un
bacio una guancia paffuta della sua creatura, attenta a non svegliarlo. Non
avrebbe potuto aspettare un istante di più.
“La tua mamma deve
lasciarti qui, piccolo” bisbigliò, con voce rotta da numerosi singhiozzi senza
lacrime. “Starai bene. Ti tratteranno bene. Ho sentito che si prendono cura dei
bambini belli come te. Vivrai senza la tua mamma…”
Non era giusto.
Era l’unica cosa
per cui fosse valsa la pena sbagliare tanto.
E il destino glielo
portava via, senza darle possibilità di scelta.
“Crudele… cosa ti
ho fatto? Cosa ti ho fatto?”
Cullò dolcemente il
suo bambino, opponendosi tenacemente alla sua razionalità, che le imponeva di
fare ciò per cui era venuta.
Piccolo mio… Piccolo mio…
Era tutta colpa
sua. Aveva sbagliato tutto, e ora sarebbe stato lui a pagarne le conseguenze.
Lui, che non
c’entrava nulla, che si era affacciato alla vita da soli due mesi.
Lui, che le aveva
illuminato le giornate per il tempo che lei aveva potuto amarlo e accudirlo.
Lui, che dormiva,
senza sapere cosa gli sarebbe accaduto.
Quale sarebbe stato
il suo destino? Avrebbe vissuto ancora? Avrebbe giocato come tutti i normali
bambini? Avrebbe sentito la mancanza della sua mamma, di un papà?
Avrebbe pianto,
nelle notti di temporale?
Sarebbe cresciuto
splendido e forte, come lo immaginava lei?
Lo avrebbe rivisto?
Si costrinse ad
alzarsi, piantando le unghie nella carne del braccio fino a farle sanguinare. Doveva
essere forte per lui, per garantirgli un futuro.
Era l’unico atto da
mamma che una ragazza stupida e egoista qual era poteva offrirgli.
Guardò per l’ultima
volta quel viso sereno, dicendogli addio con la morte nel cuore. Era la cosa
migliore. Era l’unica soluzione che aveva per le condizioni di vita in cui
aveva costretto a far vivere suo figlio.
Doveva lasciarlo
lì.
Doveva affidarlo ad
altri, che avrebbero badato a lui meglio di quanto avrebbe potuto fare lei.
Meglio, e con molta più esperienza.
Fu la forza della
disperazione a spingerla ad adagiare dolcemente il piccolo che aveva la tra le
braccia. Con lui, un breve messaggio, una breve richiesta d’aiuto.
Gli posò solamente
un ultimo bacio sulla fronte.
“La tua mamma ti
vuole bene. Ricordalo, se puoi.”
Agì in fretta.
Bussò al campanello
insistentemente, correndo poi più veloce che poté.
Si nascose dietro
un grande albero del giardino, trattenendo i singhiozzi per non farsi sentire,
pregando che qualcuno rispondesse, prima che lei potesse ripensarci.
Aprite quella dannata porta… Vi supplico,
apritela…
La porta si aprì,
diffondendo nell’aria il suono di mille chiacchiere serene.
Una ragazza della
sua età si affacciò, incuriosita. Era mediamente alta, magra e aveva i capelli castano scuro, corti e lisci.
Era vestita in maniera semplice, probabilmente non aspettandosi di ricevere
nessuno, e niente in lei sembrava far pensare che fosse qualcuno di non
raccomandabile.
Dai suoi occhi
scesero altre lacrime di speranza. Avrebbe badato lei a suo figlio.
Vide la giovane
sobbalzare, nel momento in cui scorse quella piccola testolina viola spuntare
da quel mucchio di coperte malandate. La vide sporgersi verso di lui e
prenderlo in braccio, sorpresa.
E un urlo muto
risuonò dentro la sua testa.
Ha preso con sé mio figlio!
Ma non poteva fare
altro che restare immobile, a versare tutte le sue lacrime.
“Un altro piccolo
abbandonato” la sentì mormorare, intenerita. La sua voce era dolce: non l’avrebbe
mai dimenticata. “E questa cos’è?”
La ragazza dai
capelli scuri prese la lettera, e lesse il suo contenuto.
Lei si chiese
stupidamente se il messaggio fosse leggibile, scritto con la mano tremante di
chi preferirebbe morire piuttosto che fare una cosa del genere. Ricordava
quanto le era costato scrivere quelle brevi, orribili frasi che le avevano
straziato il cuore.
“E’ nelle vostre mani, adesso.
So che accudite molti senzatetto, e mio figlio non è da meno. Ve lo affido
perché possa crescere e vivere, come non ha potuto fare con me.”
Non aveva firmato.
Da quel momento, il
suo nome doveva essere dimenticato. Era finita.
Ma la sua supplica
non poteva essere ignorata.
La giovane non lo
fece. Sorrise dolcemente al bambino che dormiva, e richiuse la porta dietro di
sé.
La fama di quella
villa aveva un motivo, allora.
Si allontanò a
passo malfermo, non riuscendo più a restare a guardare la sua perdita.
Non aveva più
forze.
Non aveva più
lacrime da versare.
Non aveva più un
cuore.
Nemmeno
un’identità, mentre pensava a ciò che le restava da fare, a ciò che sarebbe
stata lontana dai suoi cari e da tutto ciò che aveva.
Guardò il suo
riflesso su una vetrina spenta.
E mai, mai il suo
viso smagrito, i suoi occhi arrossati dietro un paio di occhiali, la linea
sottile della sua bocca le erano sembrati così vuoti.
Diciotto anni erano
troppo pochi per ciò che le era successo.
Ma sembravano essere abbastanza per fuggire via e costruirsi un nuovo avvenire. Corse, mentre il vento gelido di una notte bigia di dicembre le sferzava violentemente i lunghi capelli viola lasciati scomposti sulle spalle.
Ecco una nuova idea di long-fic che avevo in mente da qualche tempo. Dopo un periodo di riposo durato alcuni mesi, sono di nuovo pronta per dedicarmi ad un'altra delle mie storie... che sono certa sarà più lunga e impegnativa della prima. E sarà anche molto diversa dalla precedente.Gli ingredienti di questa storia sono mistero, azione, e, soprattutto, il bisogno di ritrovare se stessi quando ci si crede perduti, e l'importanza che l'incontro casuale con persone importanti e speciali ha nel destino delle persone. E, naturalmente, amore. Quello vero, incondizionato.
Spero davvero che l'idea possa piacervi: ci tengo molto a conoscere le vostre opinioni a riguardo. Ogni commento, qualunque sia, sarà sicuramente benaccetto!
Padme Undomiel