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Autore: alga francoise14    23/07/2023    5 recensioni
Perché ogni anima, anche la più nobile, nasconde un lato oscuro...
Genere: Avventura, Drammatico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Victor Clemente Girodelle
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Disincanto
 
L’orologio a pendolo batté le due. Aurore chiuse di scatto il libro che stava leggendo e lanciò uno sguardo inquieto verso le slanciate finestre della cabina, che si affacciavano sulla Garonna.  Non pioveva più da qualche ora, ma le acque del fiume erano ancora agitate e poteva udire distintamente, all’esterno, il lugubre muggito del vento…  proprio come il giorno in cui, carica di sogni e di speranze, aveva lasciato la Francia alla volta di Port au Prince. Erano passati appena due anni da quel suo primo viaggio, eppure nulla era rimasto dell’ingenua ragazzina che era stata e che mai più sarebbe potuta essere. Non dopo gli ultimi mesi… non dopo Jean.
Lo specchio dorato che sormontava lo scrittoio, le restituì l’immagine del suo volto pallido, dei suoi occhi spenti ancora gonfi di pianto.
Non voleva tornare a Saint Domingue.
Non voleva lasciare di nuovo la Francia e ritrovarsi sola, in quella terra così selvaggia e ostile, alla completa mercé di un uomo che non aveva più nulla, se non qualche sprazzo, del giovane gentile e passionale che per la prima volta le aveva fatto battere forte il cuore.
In preda allo sconforto si alzò in piedi, facendo qualche passo nell’elegante salottino, tappezzato di seta azzurra e preziosi tappeti d’Oriente, che soltanto pochi mesi addietro suo marito aveva voluto ricavare per lei in occasione del loro rientro in Europa, arrivando a sacrificare parte dei propri alloggi pur di donarle un luogo appartato dove poter dipingere o leggere in tranquillità, senza la seccatura di essere disturbata dal viavai degli ufficiali di bordo nella cabina del Comandante. Erano i primi tempi del loro matrimonio, giorni felici in cui le bastava uno sguardo di Jean o un suo sorriso per incendiarle i sensi e farle desiderare soltanto di essere tra le sue braccia. Ma poi…
Soffocò un singulto. Talvolta si chiedeva se quello che stava vivendo non fosse altro che un incubo, uno stupido, insensato prodotto della sua mente, da cui prima o poi si sarebbe svegliata, perché c’erano dei giorni in cui non riusciva a credere che l’uomo che l’aveva salvata da morte certa e giurato di amarla per tutta la vita, si fosse improvvisamente trasformato in uno spietato aguzzino.
A onor del vero, la prima volta che Jean le aveva dato uno schiaffo si era sentita mortificata, ma non aveva ritenuto quel gesto qualcosa di deprecabile o inconsueto: in convento le avevano insegnato che il primo dovere di una sposa fosse quello di essere obbediente e sottomessa e che un marito avesse tutto il diritto di ricorrere a una punizione, anche corporale, qualora ne ravvisasse la necessità… e la necessità, quel giorno, era stata l’eccessiva confidenza che, evidentemente, aveva concesso a monsieur d’Avrieux, il primo ufficiale, intrattenendosi con lui sul ponte più del dovuto.
Aurore, pertanto, aveva fatto ammenda tra le lacrime per la propria civetteria e Jean l’aveva prontamente perdonata, relegando quell’episodio a un semplice incidente di percorso e adoperandosi piuttosto a rendere indimenticabile, con i suoi baci ardenti e le sue premure, il resto della traversata.
A Parigi, tuttavia, l’incidente di percorso non era rimasto un fatto isolato, ripetendosi nel tempo fino a diventare quasi una consuetudine: una sera per l’arrosto bruciato dalla cuoca, conseguenza della sua incapacità nello scegliere la servitù, il mattino dopo per una parola di troppo…  e nonostante Aurore trovasse nella propria inadeguatezza un valido motivo a quegli scatti d’ira, a quell’aggressività che rapida esplodeva nei suoi confronti per placarsi subito dopo con altrettanta velocità, aveva iniziato ad avere paura. Paura di vedere lo sguardo di suo marito farsi di ghiaccio, paura delle sue mani capaci di stringerla fino a farle male o di colpirla senza pietà; una sensazione che le successive premure di lui o i suoi doni sontuosi riuscivano appena a mitigare e che si era trasformata in puro terrore la sera in cui Jean, in preda a uno dei suoi ennesimi accessi, dopo averla afferrata per i capelli e trascinata in camera, l’aveva posseduta con brutalità.
“Guardate cosa mi avete fatto fare…” aveva poi borbottato scuotendo la testa, mentre si sollevava da lei, e come se nulla fosse le aveva abbassato le gonne ed era uscito dalla stanza, lasciandola scossa e tremante sul pavimento.
A quel ricordo, calde lacrime tornarono a inumidire gli occhi di Aurore: quella violenza l’aveva spezzata. Da allora, nessun bacio di Jean, nessuna carezza erano riusciti a evocare in lei qualcosa di diverso dal timore e dal disgusto; il suo corpo non aveva più vibrato di passione tra le sue braccia… anzi, aveva provato quasi un senso di sollievo, avvertendo una sera il profumo di un’altra donna sulla sua giacca.
In verità, si era sentita a lungo in colpa per questo. Nonostante le umiliazioni e le percosse, Jean la amava, ne era sicura: lo percepiva nei suoi rari slanci di affetto, dalle piccole attenzioni che talvolta le riservava…  e lei, come sua sposa, aveva il dovere di ricambiarlo ed essergli devota. Aveva pertanto continuato a giustificarne il comportamento, a ripetersi che quei segni violacei impressi sulla pelle, che tentava di celare agli sguardi estranei in un afflato di pudore e vergogna, altro non fossero che la prova impietosa delle proprie mancanze… finché il volto sgomento di Victor de Girodelle sul Pont Neuf non l’aveva costretta ad ammettere ciò che la ragione si ostinava a negare.
Non era amore, quello.
L’amore non colpisce, non offende, non umilia.
L’amore non è violenza.
L’amore non può essere possesso.
Si era ritrovata su quel ponte in preda alla disperazione, pronta a farla finita per cercare un po’ di pace e non subire più le feroci conseguenze della propria inadeguatezza, ma quella desolante verità, paradossalmente, l’aveva resa libera. Di colpo aveva capito, infatti, che non era lei a essere sbagliata, che non c’era colpa alcuna nelle sue azioni né c’era mai stata, e nei giorni successivi, seppur lentamente, aveva iniziato a maturare la convinzione di meritare un uomo diverso.
Un uomo forte e gentile che la rispettasse e la facesse sentire al sicuro.
Un uomo affettuoso e fedele, che la amasse con dolcezza.
Un uomo che non poteva essere Jean de Grammont.
Aurore sospirò. Forse suo marito non era stato così, un tempo, ma lasciandosi risucchiare dai fantasmi del passato, aveva permesso all’odio e al rancore di prendere il sopravvento fino ad abbandonarsi alla violenza e alla prevaricazione, persino nei confronti delle persone che più lo avevano amato... a cominciare dal Generale Jarjayes.
 
“L’ho ucciso” le aveva annunciato con freddezza al suo rientro dal duello, piombandole in camera con le mani ancora lorde del sangue di suo padre.
Il cuore di Aurore aveva mancato un battito. Bianca come un cencio si era alzata di scatto dal piccolo canapè cremisi su cui era rimasta seduta per ore, nell’angosciosa attesa di notizie.
“Dunque il visconte Girodelle… è morto?” aveva domandato tremante, cercando di reprimere il singhiozzo che le era salito alla gola. Non conosceva le motivazioni che avevano portato suo marito e il visconte a scontrarsi a duello – del resto Jean l’aveva informata di quanto sarebbe accaduto al Bois de Boulogne soltanto la sera prima – ma il sospetto che quell’uomo così buono e gentile potesse aver pagato a caro prezzo l’amicizia che le aveva mostrato, l’aveva gettata nella costernazione.
“Oh no, state tranquilla, il vostro protetto gode ancora di buona salute… purtroppo” aveva risposto in tono sprezzante suo marito, gettando a terra la camicia che si era appena tolto di dosso, per indossarne una pulita “Se non altro, ho finalmente avuto la soddisfazione di vendicare mia madre…”
“Che cosa intendete dire…” aveva mormorato interdetta Aurore. Subito dopo, tuttavia, aveva sgranato gli occhi con orrore e si era portata le mani alla bocca, quasi a soffocare un grido “Mio Dio, Jean, ditemi che non è vero… ditemi che non state parlando di vostro padre!”
“Il generale Jarjayes non era mio padre” aveva ribattuto gelido lui “Non basta disonorare una donna per esserlo”.
Aurore era impietrita. Conosceva la verità da qualche tempo – era stato proprio Jean a confidarsi con lei, annunciandole con soddisfazione l’imminente ingresso ufficiale nella famiglia Jarjayes – e mai si sarebbe immaginata un simile epilogo.
“Era comunque sangue del vostro sangue, Jean… perché? Perché incrociare la vostra spada con la sua?”
“E’ stato lui a volerlo ed io non mi sono certo tirato indietro. Poi vi spiegherò con calma… in ogni caso ha avuto quel che si meritava” aveva ribattuto suo marito alzando le spalle.
Tanto erano stati lo sgomento e l'incredulità provati che Aurore per un attimo aveva dimenticato la paura di suo marito e avvicinandosi a lui, gli aveva preso una mano tra le sue e lo aveva guardato negli occhi con intensità.
“Non ci credo che voi pensiate davvero una cosa del genere… Lui… lui vi amava! Sì, ha commesso degli errori, ma non sapeva nemmeno della vostra esistenza… e ciò nonostante, non appena ha scoperto il legame che vi univa, non ha esitato ad accogliervi a braccia aperte, con tutto l’affetto che solo un padre può dare!”
“Mi ha accolto a braccia aperte solo perché aveva finalmente uno stallone da riproduzione con cui perpetrare il suo nome” aveva sibilato con rabbia Jean, liberandosi dalla presa di lei con uno strattone “Ha sempre contato soltanto questo per lui: io ero semplicemente l’agognato erede maschio che mia sorella non potrà mai essere”.
“Vi sbagliate, ne sono sicura!” insisté la giovane “E dovete essere uscito di senno, per macchiarvi di un delitto che grida vendetta presso Dio!” aveva esclamato con voce vibrante di emozione.
“Dio?!”
Grammont aveva inarcato un sopracciglio per poi erompere in una sonora risata.
“Siete proprio una piccola ingenua, mia dolce, tenera Aurore… quante idiozie vi devono aver inculcato in quella vostra adorabile testolina! Credete davvero che a Dio, sempre che esista, importi quello che ho fatto? Davvero pensate che gli interessi qualcosa, di ciò che accade a noi o agli altri su questo mondo?”
“Ecco, io… io credo di sì” aveva ribattuto lei in un soffio.
“E dov’era, allora, il vostro Dio, quando mia madre è caduta dalle scale per morirmi tra le braccia? Dov’era quando il mio patrigno sfogava su di me tutta la sua rabbia?”
Per un istante Aurore era rimasta in silenzio, profondamente turbata da quelle parole. In fondo, lei per prima aveva dubitato quando aveva pensato al suicidio, ma poi il Padreterno o chi per Lui aveva messo sulla sua strada Victor de Girodelle…
“La Sua Volontà è spesso imperscrutabile, ma Lui è sempre accanto a noi, soprattutto nella sofferenza” aveva dichiarato pertanto con convinzione.
“E allora siete voi a essere uscita di senno, mia cara, se credete in queste baggianate! Quanto al sottoscritto, vi assicuro di essere perfettamente in me: come vi ho detto poc’anzi, si è trattato di un regolare duello e Jarjayes ha pagato per le sue colpe. Questo però è solo l’inizio: pagheranno, pagheranno tutti!  Marguerite, Amelie de Girodelle… e anche quella cagna di mia sorella con il vostro cavalier servente, statene certa. Voglio vederli soffrire uno a uno come quel bastardo del mio patrigno il giorno in cui finalmente ha tirato le cuoia!”
Aurore lo aveva guardato attonita.
“Mi avevate detto che non eravate con lui quando è venuto a mancare…”
“E invece ho avuto la fortuna di essere presente” le aveva rivelato Jean, scrollando le spalle con noncuranza.
“…e che era morto per un malore…” aveva aggiunto lei, cercando disperatamente una conferma in quegli occhi di ghiaccio.
Per un momento Jean era rimasto a guardarla senza proferire parola, poi aveva reclinato la testa all’indietro ed era scoppiato di nuovo a ridere.
“Oh sì, state tranquilla, mia cara, così è stato… del resto ero soltanto un ragazzino e lui un uomo fatto e, come vi ho confidato, non mi ha mai lesinato il tocco della sua cinghia… come avrei mai potuto fargli del male, se a malapena ero in grado di difendermi? Quel giorno è stato il destino a liberarmi di lui…” aveva aggiunto subito dopo, mentre un lampo feroce gli aveva illuminato lo sguardo “ma vi assicuro che ho goduto di ogni suo singolo rantolo, di ogni suo gemito strozzato… non potete immaginare il piacere che ho provato, leggendo nei suoi occhi il terrore per essere giunto alla fine. Ecco, oggi avverto quelle medesime sensazioni: godo per la morte di un uomo che ha reso la vita di mia madre un inferno”.
 
Al solo ricordo dell’espressione con cui Jean aveva pronunciato quelle parole, Aurore rabbrividì. Quel mattino, per la prima volta aveva compreso di essere nelle mani di un uomo che aveva ormai varcato la linea sottile che separa la luce dall’ombra, la ragione dalla follia… un uomo che, anche se lei avesse voluto, non avrebbe potuto più salvare.
D’altronde, era Jean per primo a non voler essere salvato.
Nonostante quella nuova consapevolezza, tuttavia, Aurore non aveva potuto far altro che preparare i bagagli come lui le aveva ordinato e abbandonare Parigi in fretta e furia, senza neanche aver modo di avvisare suo zio.
“Gli scriverai durante il viaggio” aveva tagliato corto il marito dinanzi alle sue deboli rimostranze, ma così non era stato e ora, da quella nave, come avrebbe mai potuto farlo? 
Alcune voci concitate dal ponte la riscossero bruscamente da quei cupi pensieri. Probabilmente Jean e Simon erano rientrati… la partenza era vicina.
Rassegnata, Aurore si asciugò in fretta le lacrime e tornò a sedersi, afferrando un libro a caso dallo scrittoio per darsi un contegno e fingere una tranquillità che era ben lungi dal provare. Proprio in quel momento la porta della cabina si aprì e Jean, accompagnato da un uomo biondo avvolto in una cappa scura, entrò nella stanza.
“Jean, siete tornato finalmente…” esordì lei. Subito dopo, tuttavia, non riuscì a trattenere un moto di stupore. “Oscar?!” esclamò incredula, riconoscendo in quel giovane alto e slanciato il comandante delle Guardie Reali.
“Felice di rivedervi, madame de Grammont” rispose la donna con un sorriso.
“Jean mi ha raccontato… vi credevo ormai lontana!”
“Purtroppo la salute di mio marito è ancora malferma e abbiamo dovuto rimandare la partenza…” le spiegò brevemente Oscar.
Mio marito? Dunque voi e il vostro… attendente…”
“Perdonate mia moglie, sorella, di solito la discrezione è tra le sue virtù… ma non oggi, a quanto sembra” la interruppe brusco Grammont, inarcando un sopracciglio a voler sottolineare la sua disapprovazione.
“Oh, non vi preoccupate, la curiosità di Madame de Grammont è più che legittima” minimizzò sorridendo Oscar “Purtroppo monsieur Grandier ed io non siamo ancora sposati secondo la legge, ma lo sono i nostri cuori dinanzi a Dio”.
“E il vostro André dov’è, adesso?” domandò Aurore guardando oltre la soglia, quasi aspettandosi di veder arrivare il giovane attendente dei Jarjayes.
“In una locanda vicino a Port Cailhu… manderò d’Avrieux a recuperarlo” intervenne Jean.
“Dunque… partirete con noi?” domandò la fanciulla a Oscar, sentendo il cuore battere come impazzito. Il solo pensiero di avere a bordo con lei due persone che avrebbero potuto aiutarla, aveva di colpo riacceso le sue speranze.
“Ebbene sì…” le confermò Jean prima che Oscar potesse rispondere “A questo proposito, Aurore, prima di partire non dovevate passare per il vostro vestito in rue de… ”
Un’espressione di sconcerto si dipinse sul volto della ragazza.
“Quale vestito? Io non capisco…” mormorò interrompendolo.
“Ah, avete ragione, non ve l’ho detto!” esclamò Grammont portandosi la mano alla fronte come se si fosse improvvisamente ricordato di qualcosa “Dal momento che avete dovuto lasciare la maggior parte dei vostri abiti a Parigi, al nostro arrivo qui ho commissionato la confezione di un abito da sera per il nostro rientro a Port au Prince. Sapete come tengo che voi possiate sfoggiare le ultime creazioni della moda francese, mia cara… Doveva essere una sorpresa, ma purtroppo la sarta vuole una conferma delle vostre misure”.
“Ma… non dovremmo partire tra poche ore?”
“Non dovete preoccuparvi, sarà una cosa rapida”.
“Non credo, se ha bisogno delle mie misure, vuol dire che non è finito” obiettò sempre più attonita la ragazza.
“In realtà l’abito era già stato confezionato, non so dirvi se per essere esposto in vetrina oppure per un’altra gentildonna che non l’ha più ritirato… ma in fondo che importa? Il tempo a disposizione era poco ed io volevo assolutamente farvi dono di un nuovo abito da sera! E visto che il suo colore si addiceva perfettamente allo splendido verde dei vostri occhi…” ribatté Jean con un sorriso tirato “ La brava sarta ha solo bisogno di prendere alcune misure per essere certa che ben si adatti alla vostra figura”.
“Io… non so che dire…” mormorò Aurore.
“Non dovete dire nulla, ma solo andare. Avrete modo di ringraziarmi, non temete…” la rassicurò lui con un sorriso malizioso, quindi girandosi verso Oscar, mentre con il braccio cingeva la vita di Aurore, aggiunse “Se potete scusarmi un istante, sorella, accompagno la mia sposa alla scialuppa e sono da voi… intanto, mettetevi comoda”.
“Grazie mille, Jean”
“Di nulla” replicò Grammont e con un sorriso affettato uscì dalla cabina insieme a sua moglie. Solo quando furono sul ponte, la sua stretta si trasformò in una morsa costringendo Aurore a girarsi verso di lui.
“Siete una sciocca!" proruppe adirato "Per poco non mandavate tutto in malora!”
Aurore lo guardò con un misto di spavento e stupore.
“Io… io non capisco. Che cosa… che cosa avrei fatto di male?”
Per tutta risposta, Jean le afferrò il volto affondando le dita nelle guance.
“Dovevate assecondarmi, non certo contestare quanto vi stavo dicendo!” le sibilò sulla faccia.
“Jean… vi prego… mi state facendo male…”
Jean la fissò con disgusto. “Siete solo una civetta! Andatevene ora, mi avete stancato!" sbottò allontanandola con una spinta.
Aurore rovinò a terra con un tonfo sordo e per un momento rimase accasciata sulla plancia, la mano destra portata istintivamente a tenere il volto offeso.
Vedendola così inerme, con il viso pallido, contratto dal dolore e dall'umiliazione, Jean sbiancò, come innanzi a uno spettro. Un impeto di tenerezza lo avvolse e con uno slancio degno della più sensibile delle anime si affrettò a chinarsi su di lei.
“Amor mio perdonatemi, non volevo… state bene?” domandò preoccupato “ Vi prego, sorreggetevi a me…”
“Non c’è bisogno, posso fare da sola” replicò lei in un afflato d’orgoglio, ignorando il braccio steso dell’uomo mentre si rialzava in piedi. Subito dopo, si rassettò la gonna e sollevò lo sguardo verso di lui, senza una lacrima, senza un lamento… ma per la prima volta, il verde dei suoi occhi era gelido e asciutto come una mattina d’inizio primavera.
“Dunque, che cosa volete che io faccia?”
 
 
 
   
 
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