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Autore: Enchalott    24/07/2023    3 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a tutti! :)
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Dopo una guerra ventennale, i Salki vengono sottomessi dalla stirpe demoniaca dei Khai. Negli accordi di pace figura una clausola non trattabile: la primogenita del re sconfitto dovrà sposare uno dei principi vincitori. La prescelta è tanto terrorizzata da implorare la morte, ma la sorella minore non ne accetta l'ingiusto destino. Pertanto propone un patto insolito a Rhenn, erede al trono del regno nemico, lanciandosi in un azzardo del quale si pentirà troppo tardi.
"Nessuno stava pensando alle persone. Yozora non sapeva nulla di diplomazia o di trattative militari, le immaginava alla stregua di righe colorate e numeri su una pergamena. Era invece sicura che nessuna firma avrebbe arginato i sentimenti e le speranze di chi veniva coinvolto. Ignorarli o frustrarli non avrebbe garantito alcun equilibrio. Yozora voleva bene a sua sorella e non avrebbe consentito a nessuno di farla soffrire."
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il valore di un uomo

Shaeta riconobbe Aysah mentre planava sull’area dei recinti.
È rientrato.
Si concentrò sugli stivali che stava lustrando, bersagliato da pensieri contrastanti. Non incontrava Valka da quando era stato sorpreso con Dasmi: l’idea di affrontarlo con un equivoco a fare da barriera lo sconfortava. Ma il cruccio di aver perso la sua stima o di essere classificato come ipocrita superava l’impiccio personale e l’assenza di spunti per intavolare il confronto. Arrendersi all’insicurezza sarebbe stato disconoscere i suoi insegnamenti, si sarebbe fatto avanti nonostante il rischio di uno scontro da cui sarebbe uscito malconcio.
Ultimò il lavoro e si diresse al padiglione del suo tutore.
 
Le voci concitate fuoriuscenti dalla tenda non lo incentivarono. Indugiò sotto il diluvio in attesa del placarsi degli animi, inzuppandosi sino al midollo.
Finalmente il drappo dell’ingresso si scostò: il broncio della shitai minkari si sciolse nel vederlo lì impalato.
«Altezza, in che stato! Presto, entrate!»
«Ehm, non sarà inopportuno?»
«Al contrario! Il reikan non ci ascolta, forse vi darà retta e si lascerà medicare!»
«È ferito? Cos’è accaduto?»
«A saperlo! Vorrei strozzarlo per quanto è ostinato… oh, perdonate il linguaggio!»
L’apprensione di Shaeta si ridimensionò al tono burbero. La stizza della ragazza era opposta al disinteresse: si prendeva cura di Valka, riservando dedizione a colui che, pur da nemico, la rispettava. Lo stesso per le altre dorei, che lo incalzavano armate di bende e unguenti.
«Fatela finita! Spalate mota, impiccatevi a un karūgi, giocate a saikoro… lasciatemi in pace!»
Lo sguardo fiammeggiante del cavaliere alato si posò su di lui caricandosi di ulteriore furia, per tornare intimidatorio all’avvenente Khai che capitanava la sedizione.
«Mi domando come siate rimasto in sella!» brontolò quella «A sfiorarvi saltate come una molla, non ho potuto sfilarvi la casacca!»
«Allora non toccarmi!»
«Siate ragionevole» intervenne la bionda che brandiva l’ampolla di vetro «Così non guarirete.»
«Mi paragoni ai tuoi fragili conterranei?! Stai corteggiando la frusta! E tu che vuoi!?» ringhiò all’indirizzo del principe «Avete chiamato rinforzi, per gli dèi! Levategli quei vestiti fradici, prima che la febbre se lo mangi!»
Le tre si guardarono rassegnate, poi sciamarono ai bauli e ravviarono il focolare.
«Non è necessario» balbettò Shaeta «M-mia signora…!?» trasalì quando la minkari che lo aveva accompagnato iniziò a svestirlo.
«Talena, per servirvi» si presentò lei.
«Posso asciugarmi da solo!»
La resistenza divenne inefficace quando la Salki diede man forte alla compagna, avvolgendogli la chioma gocciolante in un telo e lasciandolo a torso nudo. Quando prese ad armeggiare con i lacci dei pantaloni, lui avvampò.
«N-no… non mi ammalerò, giuro!»
«Non fate il bambino! È parte dei nostri doveri, siamo abituate.»
«Io no! E poi sono un ostaggio, non un guerriero! Valka…!?»
«Procedete» sogghignò questi sorseggiando il vino fumante «Iroya, un calice per l’erede dell’Irravin.»
«Vi scalderemo dentro e fuori» obbedì la Khai «Perché tanto pudore in un maschio?»
«Paturnie minkari» mugugnò beffardo il reikan.
«I nostri costumi non sono disinibiti» intervenne Talena «Ma voi, altezza, non avete di che vergognarvi. Siete attraente.»
Ammiccò maliziosa alla compagna, che confermò l’apprezzamento.
«V-vi prego!» implorò Shaeta, opponendosi alle mani femminili che lo toccavano con disinvoltura «Sono più asciutto del deserto!»
«Non direi» sentenziò la Minkari, rimpiazzando i teli e frizionandogli la chioma con vigore «Avvicinatevi al braciere o la nostra premura sarà inutile.»
«Bevete» aggiunse la Salki offrendogli il bicchiere «Non gradite il vino?»
«Lo gradisce eccome» lo stuzzicò Valka, osservandolo mentre rifiutava di scollare le dita dall’inguine «Ha brindato con il Kharnot
Shaeta gli lanciò un’occhiataccia prima di strappare l’asciugamano dalle grinfie della bionda e annodarlo ai fianchi. Agguantò il calice e lo trangugiò per levarsi il problema. L’effluvio dell’alcol gli arrossò ulteriormente le guance. Sobbalzò quando avvertì che gli stavano applicando l’olio aromatico sulle spalle.
«Basta!» scoppiò «Vi ringrazio, sono a posto!»
«Ma altezza…»
«È un ordine!» si difese con l’autorevolezza della disperazione.
«Ah, però…» sogghignò Valka, congedando le shitai con un cenno.
Talena s’inchinò offesa e obbedì, seguita dalle altre e portando via l’uniforme fradicia.
Shaeta fissò frastornato l’uscita, chiedendosi se lo avrebbero mandato via nudo.
«Capisci cosa mi tocca sopportare?» sbuffò il reikan.
«Alla perfezione.»
Il guerriero intuì dal tono che la replica valicava il contesto: squadrò il suo apprendista senza invitarlo a sedere e sorrise amaro.
«Se mi fossero sorti dubbi superflui, si sarebbero diradati appurando quanto ti turba essere guardato da una femmina. Figuriamoci il resto.»
«G-grazie.»
«Non è un elogio. Un sedicenne che va in crisi per le attenzioni di un paio di coetanee è deprimente.»
Shaeta rimase di stucco. Non per l’esame feroce bensì nel realizzare che erano trascorsi otto mesi dalla cattura. Era nato all’inizio della primavera, il compleanno era alle porte e lo avrebbe trascorso da prigioniero.
«Che dire di un demone che finge di non provare risentimento?» restituì deciso.
Valka strinse le palpebre sugli occhi scarlatti, avvalorando l’attendibilità dell’analisi.
«Patetico. Ma non è il mio caso.»
«No? Le tue ancelle non sono tenute a servirmi, hai addirittura concesso loro di usare il mio titolo. Mi hai messo alla prova, altrimenti mi avresti spedito a calci a cambiarmi. Vuoi scoprire se sono schizzinoso con le ragazze o se ho già una predilezione?»
Le dita artigliate del reikan si contrassero nervose sullo stelo del calice.
«Credi m’interessi?»
«E anche tanto. Se fossi al tuo posto…»
«Ti raffronti a me? Non sei un Khai, farnetichi con il tuo bacato cervello minkari!»
«Smettila! Mi hai trovato con la donna che ami! La stavo baciando, ero sopra di lei, ero… tsk! Qualunque uomo uscirebbe dai gangheri!»
«Un Khai non ama! La verità? Sarei rimasto stupito, forse disgustato, se non conoscessi Dasmi! Ha usato il veleno, le erbe allucinogene o le è bastato nominare Amshula? Non aveva che l’imbarazzo della scelta con un irresoluto come te!»
«Quindi se rifiuto una donna sono debole ma se la porto a letto sono debole!?»
Il cavaliere alato spalancò gli occhi.
«Cos’hai detto!?»
Shaeta si rese conto di aver generato un ulteriore malinteso, ma non poté rettificare: il demone gli artigliò la gola, premendo il pollice sulla carotide. Reagì prima di restare senz’aria, sferrandogli un colpo allo stomaco che lo spostò di un fars. Approfittò del suo smarrimento, gli torse il braccio e si liberò. Valka gemette alla contromossa.
Mollò la presa, fissando le scie di sangue sulla sua camicia.
«Scusami! Scusa, io… il veleno!» ansimò «Ha usato il veleno, ho resistito finché ho potuto, poi… ero confuso, forse una parte di me non le ha permesso di umiliarmi.»
Il reikan si rigirò fulmineo e lo atterrò senza pietà.
«Quante volte ho ribadito di non abbassare la guardia!»
«Scusa» ripeté mogio il principe.
Valka lo allontanò, massaggiandosi la spalla indolenzita. Sedette tra i cuscini con la testa tra le mani, la chioma rossa a celare il volto.
«Mi dispiace» esalò «Non so che mi è preso, sulla tua onestà mi giocherei la destra.»
«Tu sei mancino.»
«Questo dimostra che non sono del tutto rimbambito. È un traguardo.»
Nonostante la battuta, lo sguardo luccicò di mestizia e il principe avvertì una stretta.
«Cosa ti è accaduto? Perché non hai consentito alle dorei di medicarti?»
Il reikan indugiò prima di sfilarsi l’indumento.
«Avrebbero visto questi.»
Shaeta fissò sconvolto i solchi profondi e mortificanti della sferza.
«Perché li mostri a me?»
«Ho fasciato i tuoi, siamo pari. Hai affermato che mi capisci, penso sia così.»
«Alludevo ai tuoi sentimenti. Però conta sulla mia discrezione in entrambi i casi.»
«Te ne sono grato. Non assomiglio molto a un Khai, vero?»
«Abbastanza da incutermi paura.»
«Ehn» rise il cavaliere alato «Ho notato come ti sei mosso. Paura un corno.»
Il ragazzo arrossì e allungò le dita sul medicamento rimasto nell’angolo.
«Posso?» domandò garbato.
L’altro alzò le spalle e si voltò alla luce dei caldani.
«Non mi chiedi perché sono passato sotto fuchi
«Saperlo non muterebbe la stima per te. Sei il mio mentore, ma ho la presunzione di considerarti un amico. Non sopporto sospesi tra noi.»
«Lo so.»
«Detesto averti causato un dispiacere.»
«So anche questo.»
«Insegnami a resistere al veleno. Non voglio che succeda di nuovo.»
Il reikan scosse il capo.
«È colpa mia. Non riesco a staccarmi da lei.»
«E come potresti?!»
«Ah, per l’Arco letale di Belker! Come persuaderti che non si tratta di ahaki? Sono solo adirato e terribilmente geloso, è già piuttosto sminuente.»
«Guarda che non sono stupido.»
«Allora non proferire assurdità.»
Valka si piegò, i gomiti sulle ginocchia, sorridendo fra sé malgrado il bruciore delle piaghe e il legittimo brontolio del Minkari. Poter contare su di lui senza vergogna e senza inquietudini era un’oasi di pace nella bufera Si sentì sollevato sebbene avesse identificato il deprecabile segreto che celava nell’animo.
È un uomo di valore. Difronte all’oggettività della virtù i dettagli non contano nulla.
«Oh, hai coperto una cicatrice con i tatuaggi di guerra» constatò l’altro stupito.
«Vecchia storia. Diciamo che il mio saakyo non è stato trionfale. Nessuno ci ha mai fatto caso.»
Il principe comprese i sottintesi: Dasmi lo aveva visto nudo molte volte e non l’aveva notata. O peggio, non le era importato. La triste considerazione fu interrotta.
«Ascolta, Shaeta. Ho interrogato gli stallieri di Mardan e solo un vradak manca da mesi all’appello: Ankŭrsai, l’esemplare di Eskandar.»
Il ragazzo smise di armeggiare con le fasciature.
«Mia madre potrebbe essere con lui?»
«Ehn. Ero venuto a riferirtelo per impedire che Dasmi ti ricattasse.»
«È un bene o un male?» la voce del principe s’incrinò.
«Mh. Il generale è un impeccabile discendente dei daamakha, si attiene alle regole e dal nostro punto di vista la regina non potrebbe trovarsi in mani migliori. Tuttavia…»
«Cosa! Cosa!»
«Tuttavia ha decapitato Namta. Non ho idea di quali fossero i suoi ordini né del perché si aggirasse nel tuo palazzo.»
Shaeta inorridì. Non aveva assistito allo smembramento di suo padre, però i particolari macabri erano transitati di bocca in bocca per deflagrargli nei timpani. I prigionieri bisbigliavano ancora dell’esecuzione, credendo che non li udisse.
«È…» deglutì «È morta. Non c’è più niente da fare.»
«Non è scontato. Eskandar non rientra da tempo, una circostanza singolare.»
«Non indorarmi la pillola! L’ha uccisa! Che se ne farebbe di lei un generale dei cieli!?»
«Non è uno che agisce a caso.»
«L’avrebbe sfruttata a vostro vantaggio! Mia madre è cenere! Lei… lei…»
Lo sconforto ruppe gli argini. Nascose il viso, scosso da singhiozzi silenziosi.
«Dici di comprendermi» pronunciò severo Valka «Bene, io comprendo te. Ma come mentore non tollero la resa. Piangi finché ti pare adesso, le lacrime non varcheranno questa tenda.»
Shaeta pensò che il dolore lo avrebbe annientato, invece i singulti si acquietarono. Si asciugò le guance e respirò con calma. Affrontò la probabile perdita con un coraggio diverso da quello che aveva spremuto a se stesso alla morte del re e a quella di Danyal. Percepiva la medesima afflizione, però la sosteneva senza esserne sepolto e tale forza non era spinta dall’aspettativa che la madre fosse viva.
«Bevi» approvò il reikan «Brindiamo alla resilienza, alla speranza, all’amicizia che appiana le differenze. Non guardarmi stralunato, davanti a me c’è un uomo e un uomo leva il calice quando la vita lo richiede.»
«N-no» farfugliò lui sfregandosi gli occhi «Hai usato il mio nome, citi l’amicizia e non mi tratti da moccioso. Sei già ubriaco, meglio se non esageri.»
«Ehn, non abbastanza! Tu piuttosto, quanto reggi il vino? Hai un intrico di cicatrici sulla schiena, pessimo guadagnarne altre.»
«Meno le cerco, più mi trovano» mugugnò Shaeta «Le ultime per Nusakan.»
«Come?»
«Pensavo lo sapessi.»
Al riscontro negativo riferì della sella sperimentale, del volo e della caduta. Lo sguardo dell’altro transitò dallo spasso alla fierezza all’avvilimento, ricalcando le sue stesse emozioni sino alla nota conclusione.
«Quindi la nuova imbragatura funziona.»
«Sì, anche se mi è passata la voglia di ricollaudarla.»
«La voglia di volare non passa mai, la tua aria risoluta la racconta lunga. In quella tua zucca minkari alberga la malsana idea di montare il vradak per cercare Amshula. Scordatelo, non sei né rodato né libero di compiere ciò che ti pare. Concentrati sull’addestramento, diventa un guerriero e lascia a me il resto.»
Shaeta si strinse nel telo, meditando sul saggio consiglio che anticipava i pensieri in germoglio.

Quando Iroya sollevò i tendaggi con il vassoio del pasto serale, l’erede dell’Irravin dormiva raggomitolato nel telo in cui l’avevano abbandonato. Il vino e il saliscendi dell’adrenalina gli avevano sferrato il colpo di grazia, così il sonno aveva vinto la partita. Abbassò la cortina divisoria e lo coprì con una pelliccia.
«Il ragazzino non è del tutto uomo.»
«Non è conscio del suo valore, ma si è lasciato l’infanzia alle spalle» obiettò Valka mangiando con evidente svogliatezza «Siedi, non mi va di cenare da solo.»
«Ai vostri ordini.»
«Anche tu pensi che Shaeta sia attraente?»
«Sì, reikan. Certo non quanto voi.»
«Risparmia gli elogi di circostanza. Lo ritieni in grado di far girare la testa a una femmina?»
«Talena e Liyse ne sono incantate a prescindere dagli ordini che avete impartito. Se non fosse timido, avrebbe trascorso la notte in compagnia.»
«Minkari e Salki non fanno testo. Potrebbe sedurre una Khai?»
«Assolutamente no.»
Valka finì di masticare la carne arrostita.
«Bugiarda» sogghignò poi.
«Sul mio onore» si difese lei «Prediligo un altro tipo d’uomo.»
«Voi shitai non avete šokai, le tue affermazioni mancano d’appoggio.»
Gli occhi arancio caldo di Iroya furono attraversati da un lampo d’orgoglio. Abbassò le ciglia, occultando ciò che la schiavitù non era riuscita a domare.
«Mancarvi di rispetto è quanto di più distante da me, mio signore. Mi hanno accusata di tradimento, la mia famiglia ha perso il titolo e l’appoggio del clan, mio padre è stato giustiziato con disonore. Non ho scelto la morte e questo mi rende deprecabile al vostro sguardo. Non per paura, non voglio che il retaggio di chi mi era prezioso si esaurisca. Desidero perpetrarne il sangue e preferisco vivere da sottomessa. Ma vi giuro che la fierezza di un demone non sfuma per decisione dei suoi denigratori.»
La mano posata sul seno si ritrasse, lasciando scorrere in obliquo le prime tre dita, poi scese in grembo. Valka osservò il movimento con disinteresse.
«Per quanto ardisco pronunciare punitemi, affidatemi i compiti degradanti, donatemi a un altro» continuò lei «Non serberò rancore, non smetterò di provare per voi…»
«Mi è passata la fame, porta via tutto!»
Iroya abbassò il capo ma non accennò a eseguire.
«Dovete nutrirvi. Non andrò via finché il vostro stomaco non sarà pieno.»
«Stai passando la misura! Obbedisci!»
«Mio signore, ho promesso di prendermi cura di voi. Quando non lo permettete, è il momento in cui ne avete più bisogno. È straziante vedervi soffrire per una donna che non vi merita.»
Il cavaliere alato scattò in piedi, staccò la frusta dal tramezzo e la snodò.
«Scopri il dorso!» ruggì furente «Ti rammenterò il modo corretto di rivolgerti a me!»
Iroya slacciò l’abito: anziché esporre la schiena, rimase nuda. Non ebbe bisogno di sollevare i capelli, la chioma era corta e le ciocche blu, ribelli quanto la proprietaria, restavano sollevate sopra le spalle.
«Usate il fuchi finché non vi ritenete soddisfatto. Non vi farà sentire meglio e allora… prendete il mio corpo, mio signore.»
«Tu sei pazza! Pazza e insolente!»
La sferza schioccò senza toccarla. La shitai attese il colpo, ma esso non giunse. Dietro di lei il reikan era immobile, persino la pioggia aveva smesso di scrosciare.
«Non posso» esalò Valka.
Le fiamme del braciere illuminarono la scia trasparente sulla sua guancia. La frusta cadde sul tappeto insieme alla goccia salata. Iroya lo raggiunse, gli terse le lacrime, lo strinse senza avvertire resistenza. Solo quando accennò a baciargli le labbra lui si scostò, le braccia inerti lungo i fianchi.
«Perché vuoi venire a letto con me? Ti faccio compassione?»
«Siete un maschio khai, ne avete bisogno.»
«Un Khai. Divertente rammentarmelo mentre piango come un idiota.»
«Non ho dubbi sul vostro valore.»
«Rispondi alla domanda.»
Iroya appoggiò la fronte alla sua spalla e seguitò ad abbracciarlo.
«Perché lui è qui.»
«Lui chi?»
«Kayran.»
«Secondo il tuo ragionamento contorto, dovrei sbattermi te per non rimuginare su Dasmi e sul suo altolocato promesso sposo.»
«Sì.»
«Non sono attratto dalle schiave, specie se non sincere.»
«Reikan…»
«Rivestiti.»
Lei lo trattenne senza lasciarsi intimorire dall’espressione contrariata.
«Sì, vi sto risparmiando la verità. Non voglio darvi piacere, voglio fare l’amore.»
Le iridi scarlatte di Valka si dilatarono come incendi aizzati dal vento.
«Sono innamorata di voi, mio signore. Di ogni fibra dell’uomo che siete.»
   
 
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