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Autore: Enchalott    11/08/2023    3 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a tutti! :)
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Dopo una guerra ventennale, i Salki vengono sottomessi dalla stirpe demoniaca dei Khai. Negli accordi di pace figura una clausola non trattabile: la primogenita del re sconfitto dovrà sposare uno dei principi vincitori. La prescelta è tanto terrorizzata da implorare la morte, ma la sorella minore non ne accetta l'ingiusto destino. Pertanto propone un patto insolito a Rhenn, erede al trono del regno nemico, lanciandosi in un azzardo del quale si pentirà troppo tardi.
"Nessuno stava pensando alle persone. Yozora non sapeva nulla di diplomazia o di trattative militari, le immaginava alla stregua di righe colorate e numeri su una pergamena. Era invece sicura che nessuna firma avrebbe arginato i sentimenti e le speranze di chi veniva coinvolto. Ignorarli o frustrarli non avrebbe garantito alcun equilibrio. Yozora voleva bene a sua sorella e non avrebbe consentito a nessuno di farla soffrire."
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il cuore di un demone
 
La pioggia scendeva in aghi opalescenti, disfaceva la neve e la sostituiva con il grigio viscido del pantano. Sebbene la foresta non cedesse alla monotonia della tinta, era presto per scorgerla ammantata del rigoglio smeraldino dell’erba.
Accoccolata sotto il portico di legno, Amshula districava i folti riccioli: privi delle cure cui erano avvezzi, si erano allungati oltre la vita e con l’umidità erano ingestibili. Le movenze erano assorte, l’attenzione focalizzata su Eskandar, che brandiva la lama in una serie di figure che avrebbero ipnotizzato gli spiriti erranti della Selva.
Era riuscito a fabbricarla modificando gli attrezzi da lavoro: si era detto scontento del risultato, mentre a lei pareva esiziale tra le sue mani di guerriero. Mani capaci di uccidere senza pietà e di rubarle l’anima.
 
Si era svegliata sola tra le coltri, un’insolita scia di stanchezza nonostante il mattino inoltrato. La consapevolezza di avergli confessato amore le era piombata addosso come un maglio. Non era impulsiva, pesava le parole per difesa, calibrava le possibili reazioni e prendeva la via meno incerta; ma quella notte il cuore era impazzito per un uomo. Era stata invasa da uno struggente senso di conforto: Namta aveva sepolto la sua femminilità sotto anni di abiezioni, che però non erano valse ad annientarla. Era riaffiorata nell’attimo in cui si era concessa di sognare.
Un nemico. Amo il mio nemico.
Lui non c’era: aveva pensato che l’avesse abbandonata, disgustato dai sentimenti di cui era oggetto. Invece era rientrato, una lepre in spalla e l’espressione illeggibile di sempre.
Mentre scuoiava la preda, Amshula aveva rovistato nel proprio scompiglio interiore per preservare quanto restava della dignità: il fatto il demone non avesse restituito la dichiarazione aveva chiarito che, dal suo punto di vista, la fisicità non comportava il coinvolgimento emotivo.
«Mi dispiace, non so che mi è preso» aveva mormorato «Ero ammaliata da te, non ho mai fatto l’amore a quel modo e ho pensato…»
«Rimangiarti la verità non ti fa onore.»
Il rimprovero l’aveva abbattuta, annodando i rovi in cui era avviluppata.
«Vedi sincerità in un’ammissione scaturita dal piacere? Io stessa sono confusa.»
«Avverto la tua paura. Una sensazione passeggera non ti spaventerebbe.»
Lo aveva fissato turbata, poi era stata costretta a dargli ragione.
«Sei rimasto indifferente.»
«Cosa avrei dovuto fare?»
La domanda era apparsa priva di sarcasmo. Un tentativo di relazionarsi con un modo di sentire diverso, mai affrontato nelle battaglie per cui era nato.
«Esprimere ciò che provi, rifiutarmi senza timore.»
«Un Khai non teme nulla.»
Udito il solito mantra e tempestata da emozioni discordanti, aveva perso la pazienza. Aveva inalato il fiato per ribattere, ma lui l’aveva anticipata.
«Non avrei remore a respingerti. Non ho risposto perché non lo so.»
«C-come?»
Eskandar aveva alzato le spalle, infilando la lepre sullo spiedo.
«Ahaki per noi è un morbo incurabile, un danno all’anima. Ad oggi non mi sento male, godo di te come tu di me e ammetto che mi piace. Come lo interpreti?»
«È impossibile giudicare il profondo altrui. Arrogarsene il diritto è da presuntuosi.»
«Dunque continuerò a non sapere in che consista questo tuo amore. Per me non è un problema, se aneli la sentenza non ti resta che insegnarmi a riconoscerlo.»
Non gli aveva domandato se la richiesta fosse volta a tutelarsi o a capire. Avevano riempito lo stomaco con la carne arrostita, poi erano usciti al pallido sole. Lo aveva osservato nel tenue controluce, attraente e inaccessibile.
«Se me ne andassi, ti mancherei?» gli aveva chiesto a bruciapelo.
«Mh. Lasciami soppesare la tua orrenda cucina e la tua appagante sensualità. Le incessanti chiacchiere e le gradevoli premure.»
«Smettila! Hai capito cosa intendo!»
Lo sguardo penetrante di Eskandar l’aveva trapassata in un misto di ironia e malìa. Aveva scosso il capo, la treccia blu oscillante sulla spalla.
«Provare un’intensa nostalgia è segnale di implicazione affettiva?»
«Una delle tante. L’hai mai avvertita?»
«Certo, per il combattimento» aveva asserito provocatorio «Non a caso sono votato al sommo Belker, la tua allegoria non fa una grinza.»
I termini sprezzanti l’avevano ferita. Si era sentita accostare con sfavore al sangue versato e alla guerra, che erano agli antipodi dell’amore.
«Davvero?!» il dispiacere era virato in collera.
Era rientrata nel capanno, aveva staccato l’arco dal tramezzo, indossato la cappa, poi aveva oltrepassato il ponticello senza degnarlo di un saluto. Si era inoltrata tra i tronchi, tentando di non farsi sopraffare dal soffocante disagio. L’ignoto era spaventoso, ma la voglia di non dargliela vinta era imbattibile.
Aveva camminato per una ventina di minuti, scrutando il cielo umorale del confine di stagione: nubi sovraccariche avevano fagocitato la luce e si erano accavallate in un sordo brontolio di minaccia.
Non mi farò fermare da un po’ d’acqua!
Sebbene la razionalità avesse suggerito di tornare indietro, a imporsi era stato un orgoglio dalla voce stentorea: al ticchettio delle prime gocce, aveva proseguito in direzione delle grotte che si aprivano sul margine del pendio. Non era riuscita a raggiungerle. Il buio era piombato come un predatore, cassando ogni punto di riferimento. La pioggia torrenziale l’aveva infradiciata in un secondo, il terreno madido si era trasformato in una mota che risucchiava le caviglie.
La Selva era divenuta un nulla dalle mille fauci, tutte pronte a inghiottirla. Non aveva avuto tempo di pentirsi: un fruscio tra gli arbusti, una stonatura nel vento, le aveva congelato il cuore.
Predatori!
Aveva cercato di arrampicarsi su un karūgi, ma era sdrucciolata sulla corteccia viscida e si era scorticata le mani. Quando gli Spiriti avevano emesso il loro lamento, le si era accapponata la pelle e ripetersi a raffica che era un banale trucco non era stato di conforto. Poi qualcosa le era volato addosso, serrandola in una morsa. Aveva urlato e graffiato alla cieca, provando invano a eludere la costrizione.
«Di idiozie ne ho viste in trecento anni, mai come quelle che intenti tu! Ringrazia la tua dea che l’oscurità per me sia giorno.»
Il predatore era quello di cui era innamorata.
Al bagliore ramificato di un fulmine, Amshula aveva constatato che la quercia sacra pendeva su un crepaccio: un passo falso e sarebbe caduta. Si era stretta al suo collo, nascondendo il viso in una mescolanza di vergogna, sollievo e paura che le aveva estorto lacrime indesiderate.
«Che diamine ci rovescia in testa la tua Azalee!» aveva ringhiato lui al crescendo del picchiettio «Delle dannate pietre?»
«Grandine! Non è periodo, è rischioso!»
«Non mi dire! Reggiti a me e spera che quella caverna non sia popolata!»
Gli aveva obbedito. Nella rapida corsa verso il rifugio, tra le sue braccia, aveva realizzato che sarebbe stato impossibile relegarlo nell’oblio e che l’irragionevolezza della pretesa la faceva soffrire, poiché era consapevole che la convivenza non sarebbe durata in eterno. Si era rimangiata il “ti amo” per non alimentare il rogo, ma lui aveva saputo leggere oltre quella banale barriera difensiva.
«Mettimi giù» il finimondo esterno contrastava con la quiete della grotta «Dobbiamo accendere il fuoco.»
«Ne faremo a meno.»
«La temperatura precipiterà e le belve ci troveranno!»
«Staranno all’asciutto, sono più scaltre di te. Tieniti la pelliccia.»
«Sinceramente non capisco il tuo impuntarti… ah!»
Eskandar l’aveva addossata alla parete. Le mani erano scivolate sotto le sue anche e si era incuneato tra le sue gambe, i muscoli tesi a sostenerla.
«La pietra è scabra, ti taglierebbe.»
«C-cosa stai…?»
«Ho inteso il tuo rozzo tentativo e sto reagendo. Vuoi che smetta?»
Lei gli aveva stretto le ginocchia ai fianchi e l’aveva fissato nella semi oscurità.
«Mi hai seguita perché hai capito che ti sarei mancata?»
«Sarebbe stato seccante trovarti spappolata a valle.»
«Quindi l’hai fatto per interesse?»
«Sì» le aveva posto l’indice sulle labbra schiuse in un principio di contestazione «E perché nel pensarti altrove, ho avvertito un vuoto simile a quello causato dall’idea che forse Mahati sia morto.»
Lei aveva deglutito a scacciare il senso di colpa. Avergli mentito era divenuto un onere, ma non avrebbe permesso ai sentimenti di interferire con la libertà di Shaeta.
«Allora comprendi l’amicizia.»
«Mai sostenuto il contrario.»
«È una sfumatura dell’amore. Prova a moltiplicarla e…»
«Non sono agile con i conti quando ho voglia di infilarmi in una donna.»
«Pensi di risolvere tutto con il sesso?»
 
Il ricordo dell’amplesso consumato al ritmo assordante della grandine le fece fluire il calore alle guance. Non le aveva risposto, ma era certa che percepirsi dentro di lei fosse l’antidoto volto a scongiurare la preoccupazione o la nostalgia.
In qualche modo gli trasmetterò cosa significa amare. Somma Valarde, rifugio dei cuori disperati, ispiratemi.
 
Eskandar terminò l’allenamento, il corpo schizzato di fango. Si esercitava senza vestiti per non inzaccherarli, ma la malizia delle occhiate enunciava l’esistenza di uno scopo secondario. La resina degli aghifogli gli era gocciolata sulla pelle: emanava un aroma balsamico che, mischiato all’essenza maschile, era una miscela irresistibile.
«Il tepore non esiste in questo maledetto posto?»
«Ti presento la pigra primavera dell’Irravin! È il primo mese della prima stagione, i torrenti sono in piena, le giornate si allungano. In casa ho preparato un bagno caldo. Altre lagnanze?»
Il guerriero inarcò un sopracciglio alla parola “casa”. Quello era un fatiscente ricovero da caccia, lei non era sua moglie, lui era lì per conquistare ogni centimetro del pantano minkari e per preservare i Khai dal kori. Tenne per sé la precisazione.
In fondo più diluvia più rimpolperemo le scorte d’acqua.
Si infilò nel mastello di legno, sognando le comode piscine di Mardan. Amshula rimboccò le maniche e iniziò a sfregargli la schiena. Poi passò ai capelli e il tocco si fece delicato, rilassante. Lui socchiuse gli occhi e prese a riflettere.
Andarsene non è stato il colpo di testa di un’isterica. Ha voluto farmi sperimentare la solitudine, accertata l’inefficacia delle parole.
Le era corso dietro quando aveva percepito il suo odore disperdersi oltre la boscaglia,
certo che si sarebbe giocata il collo. La pioggia aveva spazzato via le tracce olfattive, per fortuna si era lasciata dietro arbusti spezzati e vestigia che un principiante avrebbe seguito a occhi chiusi.
Non aveva avuto tempo di verificare il concetto di mancanza, ma un sintomo legato a Mahati e all’impossibilità di creare un antidoto senza di lei. Affermare che la sua morte gli sarebbe pesata non era che quell’algida logica ed era servita allo scopo. Sentire che gli cedeva fisicamente e mentalmente lo aveva compiaciuto, rinsaldando le attese, convincendolo della prossimità del traguardo. Presto si sarebbe lasciato alle spalle i mesi di confino forzato, li avrebbe relegati alla parte sgradevole proprio come farsi catturare e torturare.
Ma a ben considerare, portarsi a letto quella donna era appagante, vederla sotto di lui in preda all’eros stuzzicava la vanità e sentirsi dire “ti amo” era meno ributtante del previsto. Mentre la possedeva nella grotta, lo aveva ripetuto tra i gemiti, forse per estorcergli la medesima ammissione. Si era limitato a chiuderle la bocca con la propria: un’eccezione accordata per rendersi credibile, altrimenti non avrebbe baciato una Minkari imbottita di ansie e superstizioni.
«Stai pensando al tuo mondo?» domandò lei.
«No. Che è ora di lasciare l’albergo.»
«Cosa?» l’esclamazione aveva una nota d’angoscia.
«Vuoi marcire qui per sempre?»
«Ecco… non avevo pensato di andare via adesso.»
Una risposta frettolosa, volta a mascherare la tensione e molto altro. Amshula ritirò le mani e fece per alzarsi. Eskandar la trattenne, costringendola a guardarlo.
«Nuove lacrime?»
«Non sto piangendo.»
«Ne sento l’odore, non mentirmi.»
«Lasciami! Ho bisogno di un bagno, esci se hai finito.»
«Per gli dei, prosciugheresti la pazienza a un asceta! Abbandonare quattro assi sconnesse ti manda in panico! Non sai se torneremo a combatterci, se ci rivedremo, se i miei ti terranno in vita come schiava, se io lo consentirò! Sei un groviglio di domande e paure!!»
«Come osi ridurre a piccolezze i miei sentimenti!?»
«Se non è così, contestami anziché singhiozzare come un infante!»
La regina si svincolò con uno strattone, la collera divampante negli occhi scuri.
«Senti il mio cuore, vero!?»
«Sì. Il battito fuori controllo e il calore che emani.»
«E il vuoto allo stomaco, la percezione di scendere a picco nel naarak all’eventualità di perderti… li senti?! Il sogno irrazionale di stare con te persino come dorei, mentre vorrei essere la tua donna, l’unica, e uccidere con le mie mani quella che ti porterà via da me! Non ho mai nutrito emozioni del genere, non avresti dovuto risvegliare il mio sangue! Mi condanni a non sapere cosa provi, non trovo il modo di comunicarti che l’amore fa male come credono i Khai, ma che senza non si può vivere! È colpa tua se ne sono colma ed è fuoco! Un essere dal sangue rovente non lo capisce?!»
«Colpa mia!?»
«Ammettilo! Ammetti che sei un bastardo dall’animo di ghiaccio, che non sono nulla per te, nient’altro che un diversivo, una merce di scambio!»
«Non erano questi i patti!? Tu li hai stabiliti!»
«Sì! Sì, lo erano! Ma ciò che abbiamo condiviso ha alterato le carte, le ha sconvolte! Io ti amo, Eskandar! Non posso tornare indietro anche se lo bramo quanto ossigeno sott’acqua! Voglio sapere se la sorte che mi spetta è degradare me stessa, persino da innamorata! E se non hai risposte, tu che parli d’onore, uccidimi! Non permettere che l’essermi data a te generi vergogna!»
Le pupille del demone si ridussero a tagli picei.
«Preferiresti morire?»
«Mille volte!» gli afferrò la destra e se la portò alla gola «Usa i tuoi artigli, il tuo corpo sensuale per privarmi della luce che mi hai restituito!»
Il reikan non fece in tempo a ritrarsi: la pressione indotta produsse un taglio profondo sul collo scoperto, un rivolo scarlatto le ruscellò sul petto.
«Sei fuori di testa!»
Le bloccò i polsi e se la trascinò in grembo, ignorando gli insulti e schizzando acqua sull’assito. Succhiò e sputò, il sapore metallico del sangue attenuato da quello della tossina: la ribellione decrementò in pochi secondi, le urla mutarono in sussurri.
«Basta… lasciami alle braccia del Custode…»
Eskandar le lanciò un’occhiata torva, si leccò le labbra e riprese la manovra.
«È perché non va come speri, vero?» esalò Amshula «Non per amore o compassione o qualsiasi insignificante favilla di umanità… perderesti la prerogativa, sfigureresti con il tuo Kharnot, il tuo onore si macchierebbe… non è così?»
«Sta’ zitta!»
«È più di quanto sperassi… morire tra le tue braccia, con la tua bocca sulla pelle. Non è un bacio ma va bene così.»
«Non stai morendo! Falla finita!»
«Il tuo veleno non crea dolore, non è come la tua indifferenza.»
«Se ne avessi assorbito di più saresti in un’agonia che ti risparmio!»
«Ti preoccupi per il bottino, Eskandar?»
Lui fece scorrere lo sguardo irato sul suo pallore, sui sudori freddi che le imperlavano la fronte, sul petto ansante, sugli abiti fradici.
Dannazione!
Uscì dal mastello, portandola accanto al fuoco. Le strappò via i vestiti e l’avvolse nella pelliccia, pelle contro pelle per trasmetterle calore come aveva fatto centinaia di volte in quell’inverno interminabile. La tenne ferma per impedirle ulteriori colpi di testa, ma le consentì di stringerlo a sé. In quelle condizioni avrebbe potuto chiederle qualunque cosa, la volontà era azzerata dal massiccio quantitativo di veleno.
Un’occasione insperata.
Eppure tacque, la slealtà dell’intenzione a lungo ponderata fu arrestata da una primordiale forma di rispetto. Lambì il sangue che le tingeva il seno e la sentì gemere di piacere per l’effetto collaterale. Continuò a ripulirla finché il gusto familiare non gli accese imprevedibilmente i sensi.
L’azione di mero soccorso si trasformò in feroce desiderio, in baci famelici, in un intrecciarsi sensuale di mani e carezze. Si ritrovò dentro di lei, spinto da una lussuria che solo quella femmina avrebbe placato, accettato, restituito con la medesima intensità. Ne ebbe certezza quando Amshula si mosse allo stesso ritmo, senza parlare, come se lo conoscesse da sempre e non volesse altri che lui.
È per l’ahaki che mi porta?
La issò tra le braccia per guardarla negli occhi, concedendole una parità che nessuna aveva mai ottenuto. Non parlava durante l’amplesso, escluse le richieste volte a incrementare la soddisfazione fisica, e quella fu la seconda eccezione.
«Non è risolvere i sospesi con il sesso bensì obbedire a un istinto che mi acceca, che devo incanalare per non soccombere. A quanto pare sei l’unica via. Dimmi cos’è, poiché non l’ho mai sperimentato.»
La regina spalancò gli occhi, avvinghiata all’uomo che la riempiva con il corpo e con l’anima. Emise il fiato, toccandolo nel modo in cui lo avrebbe eccitato all’estremo, spingendolo a scardinare i freni che s’imponeva per non spaventarla.
«Non lo so… non so come un Khai ama, se ne è capace, se quando perde il controllo è in grado di percepire una corrente diversa dalla pura carnalità. Avverto un legame e ho paura che sia un’illusione. Non voglio costringerti a tradire i dettami del tuo credo per scandagliare le profondità del tuo cuore.»
«Fallo. È ciò vuoi appurare, così io. Devo sapere se in me esiste un’anomalia.»
«No, la elimineresti, tenteresti di guarirla a tuo discapito.»
«Sull’Arco letale di Belker, non avverrà.»
«Un demone che chiama il suo dio a testimone non lascia scelta. Dimmi come.»
«Lo sai già» ansimò il reikan «Non ti fermerò, non mi fermerò a costo di scatenare la mia natura.»
«Amo anch’essa.»
«Commetti un errore.»
«Prendimi, generale dei Khai.»
Si lasciarono andare, ogni blocco cadde in quell’unirsi infuocato ove l’universo si concentrava in un capanno nel fitto della Selva degli Spiriti e i pensieri disancoravano dal passato, dalla guerra, dalla sopravvivenza.
Lei gli teneva il palmo aperto sul cuore e lo baciava, lo stimolava, a sua volta si offriva senza timore di essere giudicata o ingannata.
«Lo avverto… un coltello rovente nello stomaco» mormorò Eskandar premendole il ventre con le labbra «È stranamente leggero, non voglio che smetta, è… follia?»
«Sì, lo è. Amare te è da pazzi, forse vale il contrario. Quella lama come ti fa sentire?»
«Male» alitò sensuale «Bene» aggiunse intrecciando le dita alle sue.
Amshula si perse nel ciclamino delle sue iridi, le ciglia abbassate ad ammirare il colore inumano che pareva sprigionare un calore ineffabile.
«Ti amo» articolò Eskandar.
 
L’ha pronunciato davvero? Non l’ho immaginato per via del piacere soverchiante?
Riposava supino. Non dormiva, le dita della destra seguivano la linea della sua spina dorsale in una carezza leggera.
«I tuoi artigli non sono retrattili» considerò.
«No. So quando usarli e quando no.»
«È stato il veleno a spingermi a osare?»
«Ha fatto sì che ti deliziassi parecchio.»
«Mi avresti deliziata anche senza.»
Eskandar aprì gli occhi a fissare il soffitto e aggrottò le sopracciglia.
«Che c’è?» domandò lei.
«Un dubbio stupido, conosco la risposta ma torna talora a seccarmi.»
«Quale?»
«Questioni che un guerriero non dovrebbe porsi.»
«Quale?» lo sollecitò con una nota d’allarme.
Eskandar voltò il capo e sospirò come se esaudirla lo affaticasse.
«Se venissi colpito dal kori, come ti comporteresti?»
Amshula si appoggiò al suo torace e lo fissò inquieta.
«Una sciocchezza, vedi» ripeté lui «So bene che mi abbandoneresti al destino. Io non rivelerei i segreti di un’arma vincente neppure alla donna che amo.»
«Non sono te.»
«Significa che forniresti al nemico la formula per l’antidoto?»
«Non la conosco, ma ti salverei a costo di rubarla.»
«Tsk, parole di una femmina fisicamente appagata. Di fatto non agiresti mai così.»
«La regina dell’Irravin ti darebbe ragione, ma non c’è lei nel tuo letto.»
«In quel momento non saresti nuda tra le mie braccia.»
«Ciò che hai provato prima è scomparso con l’ultima scia di piacere?»
«No.»
«Così per me. L’amore esiste anche fuori dalle coperte, il sesso non è l’unico modo per dimostrarlo. Quando mi hai disintossicata stavamo litigando, tuttavia ti sei mosso all’istante.»
Il demone la scrutò in silenzio, un’espressione seria a comporre i tratti affascinanti.
«Ho capito» assentì.
«E tu? Accorrerai in mio aiuto, quando comanderai lo stormo contro la mia città? Mi strapperai alle fiamme o alle spade dei tuoi guerrieri?»
«Non ti permetterò di rientrare alla capitale.»
«Cosa!? Perché!?»
«Perché Eskandar ama Amshula, mentre il reikan è nemico della regina.»
«Dei misericordiosi, come faremo? Che ne sarà di noi?»
La mano di lui salì ad accarezzarle i capelli, le labbra indugiarono sulla sua fronte poi scesero sulla spalla e sul petto. Appoggiò il capo al suo omero e sorrise.
   
 
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