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Autore: shilyss    12/08/2023    6 recensioni
“Ho ricevuto entrambe le tue lettere, ma nell’ordine sbagliato. Questo ha creato un increscioso contrattempo.”
“Un lungo contrattempo,” mormorò lei. Il suo abito era color avorio, stretto in vita da una cintura di seta di un verde chiarissimo, che a Loki ricordò certi laghi di montagna. Lo stesso verde era stato usato per ricamare i bordi dell’abito con eleganti figure di foglie e di fiori.

Ci sono discorsi che possono essere sussurrati solo in una notte di primavera, una di quelle in cui i profumi inebriano e l'aria è dolce.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Loki, Sigyn
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2

“Quanto ti fermerai?” domandò Sigyn, stringendosi nel proprio mantello, lo sguardo puntato verso l’oscurità. Erano usciti sulla terrazza. Di fronte a loro si stendeva una notte primaverile pungente e ricca di profumi. La luce flebile di una candela ricordava a entrambi il neonato che dormiva a pochi passi di distanza, ma era troppo lontana perché rischiarasse del tutto i loro volti tesi.
“Partirò domani.” Se Sigyn si fosse voltata verso Loki e lo avesse guardato con attenzione, avrebbe visto una smorfia di disappunto attraversargli il viso stanco e affilato. Ma non lo fece, perché desiderava mostrarsi forte e decisa: aveva atteso a lungo quell’incontro, figurandoselo nella propria mente in molti modi diversi. Da quella conversazione, immaginata in ogni sua variabile, non usciva mai né vincitrice, né soddisfatta, ma adesso Sigyn era davvero di fronte a Loki, e tutto quello che aveva pensato le sembrò svanire, come fa l’acqua quando viene versata sulla terra. Lui era finalmente a pochi passi da lei, ma nel giro di poche ore sarebbe ripartito per tornare chissà quando. Non c’era abbastanza tempo per discutere di loro e di Vali.
“Avrei preferito anch’io restare di più,” ammise il dio dell’inganno, leggendo il suo disappunto con quell’acume che gli era proprio.
Lei lo ammirava, per questo. Lo aveva sempre fatto. Non le era mai capitato di conoscere un uomo come lui, così sagace e brillante. Adorava ascoltarlo e discorrere insieme di ogni cosa, ma questo non significava che non le fossero noti i suoi difetti, anzi. Loki spesso era malvagio. Si trattava di una perfidia voluta e ragionata, quasi sempre tesa al raggiungimento di uno scopo preciso, che talvolta assumeva contorni gratuiti e meschini, come se lui non fosse il nobile e fiero principe di Asgard, ma nient’altro che uno gnomo crudele. E tutto ciò strideva con la sua spiccata abilità nell’interpretare correttamente le più sottili sfumature dell’anima altrui, con la sua capacità di comprendere e leggere la realtà. Ricordò lo sgomento provato quando si era accorta di aspettare un figlio loro.

Nell’oscurità, Loki le si avvicinò fino a rendersi completamente visibile. A Sigyn sembrò che emergesse dalla notte, dalle ombre. Un effetto che i suoi abiti scuri e impolverati accentuavano.
“Prima ti ho detto che ho ricevuto le tue lettere nell’ordine sbagliato. L’impressione che ne ho avuto è che non foste sopravvissuti. Né tu, né lui,” esordì, sicuro e deciso e controllato. Aveva un progetto di cui desiderava metterla a parte nonostante l’ora tarda e la stanchezza. Una volta di più, Sigyn non poté fare a meno di ammirarlo per la lucidità e l’energia che dimostrava. Doveva essere esausto, eppure nei suoi occhi chiari scintillava una luce vivida e brillante, un’energia che l’attirava e la faceva fremere. Ancora.
“Ricordo quali erano i nostri accordi prima che il bambino nascesse, ma quell’errore mi ha dato modo di riflettere.”
“Di cambiare idea,” l’accusò lei con un brivido. Si avvolse ancora più strettamente nel mantello, come se con quel gesto potesse proteggersi non solo dal freddo, ma anche da Loki, che si era avvicinato per scrutarla con quei suoi occhi furbi e indagatori. Lo vide inumidirsi le labbra sottili, in cerca delle parole giuste: quelle che l’avrebbero calmata e ingannata.
“Di capire qual è la cosa giusta da fare,” sibilò Loki.
Sigyn scosse la testa e rise di una risata senza gioia. “La cosa giusta per chi? Per Odino? Per Vali?” Stavolta fu lei ad avvicinarsi, fin quasi a sentire il suo odore di cuoio, polvere e sudore, virile e non sgradevole.
“Per noi!?”
“Potrebbe esserci un noi, Sigyn. Prima di partire ho chiesto la tua mano. Tu, se non sbaglio, mi hai rifiutato,” le ricordò senza nessuna intonazione particolare nella voce, segno evidente che l’essere stato respinto gli bruciava ancora.
“Prima di partire ti sei sentito in dovere di chiedermi di sposarti.” Loki serrò la mascella. Nei suoi occhi balenò una scintilla d’ira.
“Odino lo voleva, non tu,” proseguì lei, severa. “E tu faresti ogni cosa per compiacere tuo padre, per essere degno. Anche cacciarti in una missione lunga e pericolosa mentre la donna che aspetta tuo figlio sta per entrare in travaglio.”
“Cosa ti fa più male, Sigyn? Che abbia rischiato la mia vita o che non fossi lì accanto a te?” Allargò le braccia e le rivolse il sorriso laterale e furbo che lei amava. “Quale che sia il motivo del tuo risentimento, la causa è sempre la stessa: provi qualcosa per me.”
“Non l’ho mai negato.” Sigyn lo disse sostenendo il suo sguardo e con una certa fierezza nella voce, ma i suoi occhi erano liquidi e dolci e lo fissavano in maniera ben diversa da quando lo aveva visto parlare con Freya: come se fosse qualcosa di perduto molto tempo prima, con rimpianto. “Sono perdutamente, disperatamente innamorata di te. Non sarei mai entrata nel tuo letto, altrimenti.
” “Eppure…” proseguì l’ingannatore per lei.
“Eppure ci abbandonerai.” La voce le tremò. “È nella tua natura, farlo.”
Loki accolse quell’accusa senza battere ciglio, ma se qualcuno l’avesse osservato con attenzione, avrebbe notato la sua schiena sempre dritta tendersi ulteriormente, accentuando quella posa fiera e regale che sfoggiava con tanta eleganza.
“È la paura a farti parlare,” rispose dopo una lunga pausa.
“Una paura ragionevole,” ribatté Sigyn, voltandosi verso la finestra aperta e le tende bianche e svolazzanti, in direzione della penombra in cui Vali, figlio di Loki, dormiva placido. Il dio dell’inganno, però, la trattenne, posando le sue agili dita di mago sulle spalle sottili. Sigyn sussultò – era il primo contatto fisico che si scambiavano da molti mesi e le sembrò che anche Loki non fosse del tutto indifferente all’averla così vicina, perché le sue dita indugiarono su di lei, accarezzandola lievemente.
“Lascia che ti racconti cosa mi ha spinto a cambiare idea,” le sussurrò con voce roca all’orecchio, senza lasciarla andare.
Un brivido basso, un languore improvviso l’avvolsero. La bocca di Loki e le sue labbra sottili e beffarde si erano avvicinate troppo alla pelle sensibile del collo di Sigyn. Le tornarono in mente i pomeriggi delle primavera e dell’estate precedenti, quando nessun vento di guerra soffiava sui fiordi di Asgard e sembrava che nemmeno qualche nuvola potesse oscurare il suo – il loro – futuro. Un giorno, in particolare, si erano rotolati nell’erba alta, finendo per annullare ogni distanza. Sigyn aveva smesso di ridere quando la bocca di Loki era a un soffio dalla sua e i loro nasi stavano per toccarsi. Era intrappolata sotto di lui, sotto il suo corpo agile e scattante e forte, di guerriero. Nemmeno Loki rideva più. La fissava con attenzione, invece, quasi volesse ammirare da vicino ogni dettaglio di lei – i capelli ribelli e scarmigliati, le guance rosse, il respiro affannato. Poi, finalmente, osava annullare ogni distanza per sfiorarle le labbra, per ghermirle un bacio lento e profondo, dato come se il mondo, oltre quel prato, non esistesse più, e così il tempo. Ma era passato più di un anno, da allora, e il tempo e il mondo esistevano ancora: Asgard era in guerra, la ricca Vanheim, che pareva incurante di ogni problema a parte sé stessa, forse a breve l’avrebbe seguita, Vali dormiva sereno nel suo letto, ignorando che sua madre e suo padre stavano cercando di trovare un modo per discorrere del suo futuro. Al pensiero del figlio, Sigyn si riscosse. Voltandosi, si liberò dalla presa di Loki per guardare i suoi occhi vigili e attenti, come quelli di un lupo. Lo esaminò da capo a piedi, rendendosi conto, pur nella penombra che rischiarava a stento la terrazza, delle effettive condizioni del principe degli Æsir. Veniva direttamente da un campo di battaglia e ne portava ancora addosso i segni. Loki sosteneva il suo sguardo, dritto e altero come sempre, ma necessitava di cure e di molto riposo.
“Me lo racconterai davanti a qualcosa da mangiare, dopo un bel bagno.” Esitò. “Non sono stata una buona ospite, con te. Siamo in piena notte e tu devi essere esausto.”

L’acqua della vasca era stata aromatizzata con dei petali di rosa ed era calda al punto giusto. Immergendosi, il dio dell’inganno si concesse un sospiro soddisfatto e il lusso di socchiudere le palpebre, rilassando finalmente i muscoli. Vedere Sigyn e il bambino, ritrovarseli davanti dopo mesi di riflessioni e lettere brevi ricevute a intervalli irregolari, non era stato semplice – non lo era ancora, perché la parte più amara del motivo per cui lui era lì era stata appena sfiorata. Incontrarli ti darà una nuova prospettiva sulle cose, gli aveva preconizzato Padre Tutto, fissandolo con quel suo unico occhio rapace, la voce ridotta a un roco sussurro.
Come tutte le profezie di Odino, anche quella si era puntualmente avverata, ma per quanto Loki si fosse preparato all’incontro con Sigyn e il bambino, non avrebbe mai potuto prevedere l’effetto sul proprio animo selvaggio e inquieto, corroso dall’ambizione, dell’avere una famiglia propria di cui essere responsabile. Che Sigyn non fosse sua moglie e che, quasi certamente, non lo sarebbe diventata mai, non cambiava lo stato delle cose.
La porta si socchiuse, distogliendolo dai propri pensieri. Loki si voltò appena, per indicare all’ancella che pochi minuti prima gli aveva preparato il bagno dove poggiare il vassoio contenente la sua agognata cena. Ecco una cosa che lei avrebbe dovuto capire. Il dio dell’inganno non si sarebbe dovuto voltare verso una figura opaca come un’ancella, il cui ruolo era servirlo e farsi notare il meno possibile, rasentando l’invisibilità. I re e i nobili delle altre schiatte non facevano caso alla moltitudine di persone che li accudivano, ed era per questo banale motivo che poi crepavano, pugnalati a morte nelle vasche da bagno e nei loro letti, oppure avvelenati ai banchetti. Vittime della loro stupidità e tracotanza, ignoravano il pericolo rappresentato da una massa indistinta di servitori che, invece, Loki aveva l’abitudine di osservare con molta attenzione, sia ad Asgard che quand’era un ospite di riguardo, come in quel caso. Il figlio suo e di Sigyn doveva crescere adottando le sue stesse, meticolose, accortezze, perché il nome che portava era ingombrante e pericoloso e Loki figlio di Odino sapeva quanto un padre potente e volitivo determinasse, nel bene e nel male, la vita della propria progenie. Quando si voltò verso l’ancella, il principe di Asgard tuttavia trasalì, perché a portargli la cena non era la donna silenziosa di poco prima, ma Sigyn in persona.
“Sono andata a controllare Vali e l’ho lasciato con la balia e la mia nutrice. Ci chiameranno, se avranno bisogno di qualcosa,” esordì avvicinandosi alla vasca e poggiando su un tavolo poco lontano un vassoio colmo di cibo. Esitò un momento, poi, vincendo l’imbarazzo, si sedette sul bordo della vasca.
Loki, immobile, la osservava, cercando di ritrovare nella donna che gli si era accostata incerta la ragazza che era stata la sua amante le primavere passate. La sua figura snella si era addolcita appena, le lunghe ciocche dorate erano intrappolate in una serie di trecce complicate, ma negli occhi sfavillava la stessa voglia di vivere che l’aveva incuriosito prima, attirato poi. Attese che fosse lei a parlare per prima, rivelandogli le proprie intenzioni e concedendogli un buon vantaggio. Quando certe abitudini si radicano in noi, è difficile estirparle a comando; il dio dell’inganno era solito considerare ogni discussione come un duello: il suo scopo era cercare con qualunque mezzo di ammaliare il suo interlocutore, convincendolo ad abbracciare le proprie tesi. Era una cosa che con Sigyn non avrebbe dovuto né voluto fare, ne era cosciente, ma che, suo malgrado, fece – la spontaneità, forse, non apparteneva alla sua natura complicata, semplicemente.

Eppure, Sigyn non sembrava voler rompere il silenzio che pesava tra loro. Prese la spugna poggiata sul bordo della vasca e la frizionò sulle spalle tese di Loki, contratte dalla lunga cavalcata. I suoi gesti erano dolci e attenti e l’Ase si accorse che, in qualche modo, riempivano la mancanza di parole. Lei si stava prendendo cura di lui – lo amava e gli era mancato, lo aveva aspettato, sognando il suo ritorno, immaginandosi quel preciso momento – temendolo anche, a volte. La spugna passava delicatamente sul collo di Loki, sul petto ampio e largo, sui capelli scuri. Avevano stabilito un contatto intimo, che li avvicinava, cancellando i lunghi mesi in cui erano stati distanti. La loro corrispondenza era stata altalenante, fatta di messaggi brevi e di cose non dette, taciute per mille ragioni.
“Sei ancora dell’idea di raccontarmi la tua storia?” mormorò Sigyn a un tratto.
“La notte è appena iniziata.”
Lei sorrise. “Io penso spesso che la notte sia più viva e più riccamente colorata del giorno.” Era un verso che apparteneva a un poema antico, che amavano entrambi. Così, nella stanza rischiarata solamente dalle luci soffuse e tremolanti delle candele, Loki cominciò a raccontare la propria storia con la sua voce leggermente arrochita, capace d’incantare. Disse che le sue iniziali intenzioni vennero meno quando gli fu recapitata la lettera sbagliata, quella che lasciava supporre fosse successa una disgrazia a Sigyn e al bambino. Loki la ricevette nella sua tenda, sul campo di battaglia. Era appena rientrato da una missione. Le descrisse la scena di lui che varcava la soglia della propria tenda a notte fonda, stanco e scarmigliato, dopo aver discusso a lungo con Thor e gli altri generali dei piani da attuare la giornata seguente. Ancora in piedi, osservava le missive accatastate sul tavolo pieghevole dove era spiegata la mappa del campo di battaglia e spezzava il sigillo che chiudeva quella che veniva da Vanheim, scorrendola rapidamente, come faceva sempre con ogni lettera. Si era fermato poco prima della metà, per ricominciare daccapo, leggendo ogni parola con tutta l’attenzione che gli era rimasta. Nella tenda regnava un silenzio irreale, rotto solo dal respiro di Loki.
La sua immaginazione galoppava veloce, colmando i vuoti che le frasi lasciavano supporre. Il primo pensiero fu che se fosse stato presente, con loro, avrebbe trovato un modo per salvarli. Il secondo fu che era un principe di Asgard, un condottiero. Era nella natura delle cose che fosse lontano durante un parto – un’amara coincidenza. Lì, in quella tenda umida, piena zeppa di mappe e dispacci, stava facendo il proprio dovere, si stava mostrando degno di Odino. Eppure, non riusciva a posare quella lettera. Continuava a leggerla e a rileggerla e le dita di mago, sporche di sangue e di fango, tremavano, mentre le eventualità più spaventose gli si dipanavano davanti, confondendosi con le frasi vergate in fretta. Disse che sentì il bisogno di agire, di lanciarsi in un’impresa abbastanza folle da tenergli occupata la mente.
Poi tacque e guardò Sigyn. Non avrebbe potuto condividere altro, di quella notte lontana nel tempo e nello spazio. C’erano parole che Loki non sarebbe mai stato in grado di pronunciare ad alta voce, nemmeno se fosse stato stritolato tra le spire di un enorme drago o dilaniato da mille lame.

Il modo brusco con cui aveva interrotto il proprio racconto, tuttavia, non poteva soddisfare Sigyn. Forse lei intuiva, sapeva ciò che le stava nascondendo. La fredda luce lunare penetrava dalle finestre socchiuse, rischiarandole appena il viso: le sue sopracciglia erano aggrottate e sulle sue belle labbra non c’era nemmeno l’ombra di un sorriso. Sigyn stava riflettendo sulle parole appena ascoltate, cercando di estrapolare il senso recondito del discorso che le aveva fatto, di riempire i vuoti che Loki non avrebbe mai potuto colmare. Lui l’ammirava, per questo. Perché non si arrendeva ed era tenace e costante – e leale e coraggiosa e testarda. La guardò negli occhi e seppe che, dentro di sé, aveva pronunciato tutte quelle parole che lui le aveva accuratamente nascosto.
Infine, la vide mordersi le labbra, posare la spugna. “Ci credevi morti e hai messo a repentaglio la tua vita per non pensare a noi.”
Loki sollevò il mento, in una posa che era quasi di sfida. “Un guerriero agisce, quando non può fare altro.”
Afferrò uno dei teli bianchi e uscì dalla vasca, legandoselo attorno ai fianchi stretti, consapevole del fatto che Sigyn lo stava guardando – ammirando – e non aveva nemmeno tentato di volgere lo sguardo altrove, di fingere di abbassare le palpebre. Quella sua sfacciata sincerità gli piacque. Gocce d’acqua gli scorrevano dai capelli sulle spalle e sul corpo bagnato. Il giorno dopo i muscoli avrebbero accusato lo sforzo a cui li aveva sottoposti, ma per ora erano lo spettacolo che Loki aveva deciso di offrire alla sua graziosa ospite – o era stata Sigyn a prenderselo?
Il dio dell’inganno si avvicinò al tavolinetto dove, pochi minuti prima, lei aveva poggiato il vassoio, constatando che era stata tanto accorta da riempirlo con alcuni tra i suoi cibi preferiti. Addentò una focaccia ripiena, si riempì un boccale d’idromele – a Vanheim, con suo sommo dispetto, non si usava bere nei corni e, mentre si rifocillava, pensò che Odino avrebbe definito Sigyn non accorta, ma premurosa. Di nuovo, le parole gli si incastrarono in gola. Non volevano formarsi, perché se lo avessero fatto, se Loki si fosse azzardato anche solo a pensarle, avrebbero assunto realtà e consistenza – e, allora, ignorarle si sarebbe rivelato uno sforzo impossibile.
Sigyn, in silenzio, lo osservava, ma vedendo che spiluccava in piedi gli si avvicinò e, così come lo aveva aiutato a lavarsi, lo invitò a sedersi e a rifocillarsi con la dovuta calma – a rilassarsi. Una cosa che Loki non faceva da settimane, da mesi, sempre pronto com’era a scattare e a combattere. Lei continuava a guardarlo come se volesse riempirsi gli occhi di lui, della sua figura, della sua presenza, ma non gli fece nessun’altra domanda sul futuro che li attendeva. Era come se il breve racconto di Loki avesse sancito una sorta di tregua, tra loro. Dovevano discorrere di questioni urgenti e serie, vero, ma era bene che lo facessero dopo una notte di riposo, non con le prime impressioni di quella serata ancora addosso. Eppure, il silenzio, rotto, di tanto in tanto, solo da qualche frase di circostanza sulla lunga campagna militare degli Æsir e le abitudini del piccolo Vali, non era imbarazzante o pesante. Sigyn s’illuminava, quando parlava del loro bambino, e, talvolta, allungava le sue mani affusolate dal polso di fata per assaggiare qualcuna delle prelibatezze che lei stessa aveva scelto per Loki. Un gesto intimo e familiare che l’ingannatore osservò quasi meravigliato. Quand’ebbero finito di mangiare, Sigyn sospirò, spostando rapida una ciocca ribelle dietro l’orecchio.
“È stata una lunga giornata.”
Loki rilassò le spalle e socchiuse gli occhi, massaggiandosi la base del collo, sotto la nuca. “È stato un lungo viaggio,” ammise.
“Allora dovremmo dormire, adesso.” Sigyn si alzò e tolse di mezzo i resti della loro cena fredda, per poi sistemare i cuscini e le coperte dell’ampio letto a qualche passo da loro. I suoi movimenti erano sicuri e precisi, e lo rimasero anche quando iniziò a slacciare i nastri che le chiudevano sul seno il corsetto, sotto lo sguardo penetrante e acuto del dio dell’inganno.
“Dormire insieme?” le suggerì, osservando la pelle bianca e morbida del seno che si intravedeva dalla sempre più generosa scollatura.
Sigyn continuò ad allentare i nastri di seta. “Non voglio rimanere da sola. Fa ancora freddo, per essere una notte di primavera.”

Continua...

L’angolo di Shilyss:
Care Lettrici e cari Lettori del mio cuore ♥ ♥!
Qualcosa mi è evidentemente sfuggito di mano, perché sono riuscita ad aggiornare solamente oggi, sebbene il capitolo 2 di questa storia fosse praticamente concluso: credo che ci saranno altri due capitoli oltre a questo, ma non temete: in questi due mesi di assenza ho pensato a Loki e a Sigyn ogni giorno, inventando nuove storie e cercando di proseguire le vecchie. Poi, il trailer della seconda stagione ha aiutato moltissimo!
Il fatto è che per me scrivere è essenziale e scrivere di questi due mi rende felice. Non ci posso fare niente! Per sapere che fine ho fatto c’è fb. Cercatemi anche lì, è l’unico social che riesco a gestire. Spero che la lettura ti sia gradita, o Lettore ♥!
Qualche dettaglio sulla storia: la frase “Io penso spesso che la notte sia più viva e più riccamente colorata del giorno” faceva parte del pacchetto della challenge per cui questa storia è nata. La focaccia ripiena che mangia Loki nasce dalla considerazione che l’idea di imbottire il pane o fare pasticci e torte salate è comune a molte popolazioni. Insomma, secondo me ci sta.
Ringrazio con tutto il cuore chi listerà, recensirà o semplicemente leggerà questa storia: sono piccole cose, ne convengo, ma danno più di quanto crediate e so’ pure gratis XD. A parte gli scherzi (lokini) siete importanti e sappiate che leggo tutti i vostri commenti e non vi mangio. Spesso non rispondo pubblicamente, ma se vi palesate lo faccio e sono molto alla mano, ecco.
Ricordo che il personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce “Sigyn” su Wikipedia, è una mia personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura. Non vi autorizzo a ispirarvi o peggio a questa versione o alle altre storie da me postate né qui né altrove (peggio mi sento con le fiabe, come questa) e lo stesso vale per gli headcanon su Vanheim, su Loki o su Asgard stessa. Creare un mondo con usi e costumi non è uno scherzo.
A presto e grazie per tutto l’affetto/sostegno/cose, vi si lovva sempre!
Sempre vostra,
Shilyss

   
 
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