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Autore: Ghostclimber    25/08/2023    1 recensioni
Hanamichi è un Genio.
No, non il Genio del Basket, non questa volta.
Hanamichi è un Djinn.
Disgraziatamente, sarà Rukawa a liberarlo.
Genere: Sentimentale, Slice of life, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Hanamichi era assorto nei propri pensieri e guardava la lavagna senza realmente vederla; non che ci avrebbe capito una ceppa, beninteso, con la matematica era andato d’accordo solo fin quando qualcuno non aveva deciso di metterci delle lettere.

Sussultò, sentendo il suo nome pronunciato da una voce bassa e pacata: “Hanamichi.”

“Oi, Rukawa,” rispose, cercando di girarsi senza togliere la testa dalla mano su cui l’aveva appoggiata; per poco non si ribaltò, ma finse che così non fosse. “Abbiamo il terzo desiderio?” chiese.

“Sì. Ma prima vorrei parlarti,” rispose Rukawa. Esitò, poi aggiunse: “Da soli.”

Qualcosa ebbe un palpito fuori ritmo nel petto di Hanamichi, che tuttavia si alzò e propose: “Dietro alla palestra? Lì non ci va mai nessuno.”

“Nh.” Hanamichi fece strada; dietro di sé poteva sentire i passi leggeri di Rukawa. Arrivati al cul de sac dietro alla palestra, si mise vicino a un albero e si voltò per sentire ciò che aveva da dire Rukawa.

“Se come terzo desiderio io chiedessi la tua liberazione, i tuoi amici mi ammazzano?” chiese Rukawa, e suonò esattamente come ciò che era: una frase preparata a tavolino, e provata più volte, nella mente e ad alta voce.

“Non mi puoi liberare, Rukawa, ma ti ringrazio per il pensiero.”

“Ma Aladdin…”

“Il Genio di Aladdin è nato schiavo, io no. Io sono nato libero, vale a dirmi che l’unico modo per liberarmi è darmi il tuo terzo desiderio.” Hanamichi esitò, poi aggiunse: “E magari non dirlo troppo in giro, se no mi trovo la fila di gente che vuole chiudermi in una gabbietta per gatti, e francamente mi sembra stretta e scomoda.” Rukawa annuì; Hanamichi non sapeva se intendesse che non l’avrebbe detto in giro, e d’altronde non molta gente gli avrebbe creduto, o se volesse dirgli che aveva capito come funzionava.

“Allora…” Rukawa prese un grosso respiro e poi lo esalò: “Quella cosa che mi hai detto domenica. Di non scambiare la gratitudine con amore. Non lo faccio.” disse. Hanamichi sospirò: aveva il vago sospetto che si sarebbe finiti a parlare di quello.

“Questa l’ho già sentita. Ti sembrerà strano, con nessuna orda di arrapate che sviene al mio cospetto, ma l’ho già sentita.”

“Non mi sembra strano,” ribatté Rukawa. Hanamichi sbuffò una mezza risata amara prima di poterselo impedire: “Già, come no.”

“Senti.” disse Rukawa, poi esitò, come se stesse cercando il punto da cui iniziare: “Non è da domenica, okay? Questa… cosa che sento per te.”

“Ah, no? E da quando, allora?”

“Dalla partita contro il Sannoh. Forse da prima, ma non me ne rendevo conto.” Hanamichi si sentì immediatamente fin troppo consapevole della luce del sole che creava gibigianne accecanti tra le foglie dell’albero sotto cui si era piazzato. E mai gli era sembrato che il sole di marzo potesse essere così rovente.

Con cautela, si sedette sul bordo dell’aiuola. Rukawa rimase in piedi, ma Hanamichi lo tirò per la manica e disse: “Siediti, Volpe, che se no finisco a parlare con le tue ginocchia. E non guardare me, guarda il muro, ti assicuro che così è più facile.” Rukawa obbedì, ma per un bel po’ non aprì bocca, anche se ad Hanamichi parve di udire più di una volta un’inspirazione fuori tempo e un lievissimo schiocco di labbra.

“Prometti di non ridere?” chiese infine Rukawa.

“Prometto, croce sul cuore,” rispose Hanamichi; la sua era una promessa vincolante, in quanto temporaneamente schiavo di Rukawa, e ne era del tutto consapevole. E forse Rukawa avvertì qualcosa nel suo tono di voce che lo indusse a fidarsi delle sue parole.

“Mi… mi immaginavo di parlare con te. Fare amicizia. Litigare, ma per gioco. Immaginavo di… di farlo veramente, un giorno. Attaccare bottone e via.”

“E perché non l’hai mai fatto?” chiese Hanamichi, stupito e un po’ incredulo, voltandosi a mezzo verso di lui.

“Ma perché mi vedi o no?” ribatté Rukawa, girandosi a sua volta. Hanamichi rimase attonito nel notare che le sue guance erano chiazzate di rosso, e i suoi occhi pieni di lacrime: “Non so come fa la gente normale, io non so parlare con le persone! Sembro quel cazzo di robot che c’è in Star Trek, e quando non sembro lui sembro l’altro robot, quello che è pure peggio e che c’è in Star Wars!”

“Data e C-3PO. Beh, con l’autoanalisi vai forte.” tentò di scherzare.

Se ne pentì immediatamente.

Rukawa si alzò di scatto, ma non prima che Hanamichi scorgesse le prime lacrime traboccare. Con una sensazione di apocalisse imminente alla vista della Volpe artica che piangeva, si alzò e lo raggiunse; lo prese per la giacca e lo trasse a sé, schiena contro petto.

“Lasciami stare,” rispose Rukawa.

“Primo, sai che non posso…” cominciò Hanamichi, ma Rukawa lo interruppe: “Come terzo desiderio fai quel che ti pare, va bene il camion di mochi alle noccioline, io…”

“Secondo, non mi va di farlo.” concluse Hanamichi, a un soffio dall’orecchio di Rukawa.

“Quello sproloquio di domenica…” proseguì a voce bassa, tenendosi stretto quel fagottino tremante che fino a dieci minuti prima era Rukawa “mestolone” Kaede, “Era una delle cose che ti eri immaginato di dirmi?” Rukawa esitò, poi annuì.

“Rukawa… Kaede.” disse Hanamichi, “Tu mi giuri sul tuo onore che non hai cominciato a pensare a me in quel modo solo dopo l’altro giorno?”

“Te lo giuro su Michael Jordan.”

“Se ti lascio andare, scappi via?” Rukawa non rispose subito, e Hanamichi rincarò la dose: “Perché ti devo raccontare una storia. Credo di capire dove vuoi andare a parare, ma prima che tu mi dica il tuo desiderio ho bisogno che tu ascolti. Con molta attenzione.”

“Nh,” rispose Rukawa. Esplicito come sempre. A titolo di esperimento, Hanamichi allentò la stretta su di lui. Rukawa si voltò, e Hanamichi lo trasse di nuovo a sedersi di fianco a sé sul bordo dell’aiuola. Le sue mani erano gelide e sudaticce, ma Hanamichi non le lasciò andare e fissò le loro dita intrecciate mentre parlava.

“Un Djinn come me è tecnicamente immortale. Possiamo essere uccisi, questo sì, ma siamo immuni a malattia e invecchiamento. Una cosa che può ucciderci, però, è un cuore spezzato. È quello che ha ucciso mio padre quando mia madre se n’è andata, e quello che ha ucciso mio nonno quando la nonna è morta.” Rukawa non rispose, ma le sue mani ebbero finalmente un fremito, e strinsero quelle di Hanamichi in segno di incoraggiamento.

"Se…" Hanamichi si interruppe, poi sospirò: "Non c'è un modo facile di dirlo. Io mi affeziono in fretta. Non ti sto dicendo che se ci mettiamo insieme e poi un giorno ci disamoriamo io muoio di sicuro. Ma se mi tieni con te e poi te ne vai perché hai scoperto che il gioco non vale la candela… Kaede, è la mia vita che hai nelle mani. Non saprei come dirtelo altrimenti. Vale la stessa cosa per i ragazzi, se un giorno mi venissero a dire che non mi sopportano più e che i pezzi del motorino vedranno di trovarli da soli, io…"

"Ma io ti…" Rukawa si interruppe e arrossì, "Tu mi piaci da prima di sapere dei desideri."

"Me l'hai detto, ma…" Hanamichi si morse un labbro, pericolosamente vicino alle lacrime. Il ricordo di Yoko, e di quanto si erano voluti bene fin quando lei non aveva ottenuto il paio di stivali Chanel che aveva sempre sognato in un mercatino dell'usato, gli spezzava ancora il cuore.

Pensò ad Haruko, con la quale aveva lasciato perdere l'idea di avere una storia quando si era reso conto, forse a torto ma forse a ragione, che lei aveva cominciato a vederlo diversamente solo quando lui aveva portato lo Shohoku alla vittoria contro il Sannoh. Aveva avuto paura, ma diciamo pure il terrore paralizzante, che lei scoprisse i suoi poteri e se lo lavorasse per benino per poi lasciarla. Non gli sembrava il tipo da ferire deliberatamente, ma a volte era un po' superficiale… troppo, aveva giudicato Hanamichi, perché lui si potesse permettere di dirle tutto.

"Voglio uscire con te questo weekend," disse Rukawa, interrompendo il flusso sempre più tempestoso dei suoi pensieri, "Questo è il mio terzo desiderio."

Hanamichi alzò lo sguardo verso di lui. Le vene pulsavano sul collo di Rukawa, seguendo un ritmo sfrenato che sicuramente non era del tutto sano.

Rukawa l'aveva posto come desiderio, e Hanamichi sarebbe stato obbligato a esaudirlo, nonostante la mente ancora piena di dubbi.

Tuttavia… un Djinn poteva 'offrire' un desiderio, se era sua volontà che accadesse. Per dirne una, se Hanamichi avesse visto Noma cadere e strapparsi i pantaloni, anche lui avrebbe desiderato, per il bene che gli voleva, di poterli riparare. Avrebbero trovato della colla, o una persona discreta che se la cava col rammendo, e la conta dei desideri di Noma non sarebbe stata intaccata.

Decise di rischiare.

Sorrise e dichiarò: "Quello, offre la casa." Rukawa sgranò gli occhi, ma non ebbe nessun'altra reazione. Forse era già troppo arrossito per peggiorare quella particolare situazione.

"Dai, che diamine, fammene uno facile, uno a caso, voglio giocare a basket!" supplicò Hanamichi, "Giuro che poi se ti viene in mente un'altra cosa ti consegno personalmente le chiavi della cantina di casa mia e mi faccio chiudere dentro!" Hanamichi poteva vedere il criceto nel cervello di Rukawa che cercava di risalire sulla ruotina. Per la verità, lo vedeva ragionare già dall'accenno al basket. A saperlo, che sarebbe bastato quello; ma forse era ovvio dal principio. O forse no. Insomma, se l'avessero chiesto all'Hanamichi di una settimana prima, avrebbe risposto che Rukawa l'avrebbe tenuto apposta fuori dal campionato esitando sull'ultimo desiderio.

"Voglio un pacchetto di mochi alle noccioline!" esclamò Rukawa.

"Oh! Grazie! Desiderio esaudito!" Rukawa abbassò gli occhi.

"Perché hai ancora quei bracciali?" chiese.

"Fin quando non ce l'hai in mano, io mi tengo questi addosso."

"Ci vediamo in palestra," disse Rukawa, poi senza aggiungere altro se ne andò.

Rimasto solo nel cul de sac, Hanamichi disse: "Ma che stronzo!"

 

*****

 

L'allenamento sarebbe iniziato di lì a pochi minuti, ma Rukawa ancora non si vedeva. Hanamichi era in un angolo della palestra, la felpa addosso; aveva millantato un mal di stomaco e si era piazzato lì ad aspettare Rukawa, pronto a dargli dello stronzo in direttissima. Tanto i compagni di squadra non si sarebbero stupiti; forse avrebbero addirittura pensato che Hanamichi era andato in palestra solo perché il giorno prima aveva saltato una sessione di scornamenti con Rukawa, e non sarebbero stati troppo lontani dalla verità.

Finalmente, Rukawa fece il suo ingresso; guardò per prima cosa sugli spalti, poi a bordo campo. Hanamichi rimase immobile, semisdraiato sulla panchina con la schiena contro al muro e le mani in tasca, e attese che Rukawa incrociasse il suo sguardo.

Quando accadde, lo vide sussultare appena appena, un movimento impercettibile a chiunque non lo stesse fissando e non si aspettasse esattamente quello.

Rukawa si diresse con decisione verso Hanamichi, che non mosse un muscolo. Se si fosse mosso, probabilmente l'avrebbe preso a schiaffi. Nemmeno un grazie, un saluto da comune mortale, nulla. Va bene tutto, ma…

"Ho controllato nell'armadietto qui e in quello dei libri, poi anche in quello delle scarpe, ma niente mochi."

"E perché cazzo avrebbero dovuto essere lì?" chiese Sakuragi, allargando le braccia senza togliere le mani dalle tasche.

"Magari… ho pensato… una delle mie fan…" Rukawa chiuse gli occhi, "Sono andato via senza salutare, vero?"

"Già…" rispose Hanamichi, ma ogni traccia di aggressività era svanita. Rukawa se n'era andato in tutta fretta per liberarlo il prima possibile.

Per un istante Hanamichi si chiese se fosse davvero riuscito a scontargli un desiderio; se Rukawa non avesse trovato un pacco di mochi alle noccioline, o se l'avesse fatto e i bracciali di Hanamichi non fossero scomparsi, avrebbe dovuto spiegargli che evidentemente non desiderava uscire con lui tanto quanto pensava. Gli avrebbe spezzato il cuore.

Dallo spogliatoio venne un lamento di sofferenza: "Mamma, per la miseria!" Miyagi fece il suo ingresso in palestra sventolando quello che sembrava un pacchetto di dolci. Hanamichi si portò una mano al petto. Stava funzionando?

"Ragazzi, qualcuno di voi ha gusti orribili e vuole un pacchetto di mochi alle noccioline? Posso pagarvi per prenderlo." si alzò un coro di no. Sembrava che nessuno fosse intenzionato a farsene carico. Qualcuno parlò di dieta, altri semplicemente si mostrarono non interessati, come se Miyagi avesse offerto un pacco di riso crudo.

"Li prendo io," disse Rukawa.

"Rukawa, grazie! Tutti tuoi!" disse Miyagi, arrivando di corsa. Hanamichi, ancora con la mano al petto, rimase ad assistere alla scena a bocca aperta.

Rukawa prese il pacchetto; i polsi di Hanamichi mandarono un breve ma intenso lampo di dolore.

Mentre si girava, Miyagi guardò Hanamichi: "Che c'è? Se lo volevi tu, dovevi parlare, adesso ti attacchi."

"No, no, sono solo… ehm… stupito che questa Volpe rinsecchita mangi dei dolci!" improvvisò.

"Mi servono per addolcire l'esistenza," rispose Rukawa, "Da quando ti conosco è diventata un inferno."

Miyagi si allontanò, bofonchiando una scusa qualsiasi, giusto per evitare di trovarsi sulla linea di tiro dei cazzotti.

"Sapessi la mia!" rispose Hanamichi, agitando una mano come a dissipare del fumo inesistente. La manica della felpa scivolò verso l'alto, mostrando un polso libero da bracciali.

Rukawa, di fronte a lui con il pacchetto di mochi in mano, disse piano: "Vorrà dire che al nostro appuntamento ti offrirò una cioccolata calda."

"Andata," rispose Hanamichi, poi sorrise.



Io: "Sono tre capitoli"
La storia: "LOL nope"
Niente raga, ci rivediamo presto con l'appuntamento, credo... spero... aaaaa

   
 
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