Come da istruzioni rigidamente impartite per la quasi totalità della mia vita, quella sera mi ero lasciata condurre (o, meglio, trascinare) in tutto ciò che accadeva. Saluti, conversazioni, brevi interazioni coreutiche proposte da gentiluomini di ogni età conoscenti (se non proprio amici) dei miei genitori, ai quali non volevo disubbidire in presenza di Sua Maestà. Mi sentivo come trasportata dalla corrente e, ripensandoci oggi dopo molti anni, la sensazione non mi dispiaceva affatto. Era bello poter evitare anche solo il pensiero più fugace, le preoccupazioni erano sparite e anche l'inquietudine che, devo ammettere, l'occasione e i suoi preparativi avevano generato nella mia giovane persona sembravano un recente ricordo di cui sorridere. Per l'intera serata una sensazione di appagamento mi aveva investita facendomi comprendere perché mia madre ci tenesse così tanto ad occasioni del genere. Una serena euforia alla quale non ero abituata e che mi pareva essere condivisa da ogni singola persona presente nella Galerie, tolta la necessaria formalità che regolava rigidamente le interazioni fra gli invitati e ancora di più tra essi e i padroni di casa. Proprio l'iniziale (e mio primo) incontro con quest'ultimi aveva dato il via alle danze della gioia effimera che avrebbe segnato per sempre la mia esistenza.
La lunga fila di nobili, dignitari ed ecclesiastici accorsi in gran numero alla chiamata di Sua Maestà aveva proceduto salutando il Re e i delfini con un rapido scambio di poche frasi di cortesia. Più si avvicinava il nostro turno, più sentivo mia mia madre borbottare a voce bassa le ultime veloci raccomandazioni senza mai perdere il sorriso di circostanza. "Aspetta di ricevere la parola. Non intervenire. Non metterci in imbarazzo. Inchinati a dovere." Da parte mia riceveva soltanto dei brevi cenni con il capo, pettinato e infiocchettato al meglio per essere impossibile muoverlo più di così. Il duca mio padre seguiva lo scorrere delle persone senza aprire bocca con il capello in mano. Per la prima volta quella sera lo stavo vedendo serio, concentrato, del tutto estraneo alla proverbiale nonchalance che mi auguravo potesse recuperare il prima possibile. Intorno a noi chiunque il mio sguardo riuscisse a raggiungere si comportava nello stesso modo. Dopo il silenzio imposto dal breve discorso di benvenuto tenuto dal Bien-aimé, un leggero brusio era ripreso nella stanza. Commenti, aspettative, auguri di essere abbastanza eleganti, perfetti per l'evento del secolo (a fine serata ne avrei contati altri sette ascoltando le conversazioni altrui e ricordo di essermi dispiaciuta per averli persi, ma in fin dei conti ero pur sempre contenta di essere abbastanza giovane da potere prendere parte ai futuri dieci almeno). Le persone si muovevano con lentezza, ma di passo in passo quei tre volti si avvicinavano un po' di più manifestandosi in tutta la loro regalità. Ad essere sincera, quando finalmente la distanza si era ridotta quasi al minimo, avevo avuto l'impressione che nessuno di loro si adattasse al ruolo che ricopriva. Il sovrano condivideva davvero una certa somiglianza con uno zio italiano di mio padre, forse erano gli occhi grandi e il naso imponente a ricordarmelo. Dispensava sorrisi bonari a chiunque si inchinasse al suo cospetto e gli si rivolgesse con deferenza, di tanto in tanto lasciando che una donna con i capelli biondi e un sontuoso abito ceruleo - entrata nella Galerie alcuni secondi dopo il Re - si avvicinasse fino a toccargli un braccio. Mi chiedevo chi fosse e come fosse possibile che qualcuno avesse tanta confidenza con l'uomo più potente di Francia, ma una signora poco dietro di noi aveva prontamente sciolto i miei dubbi farfugliando una sottile invettiva alla "cortigiana per cui avevano inventato tale termine". Pur ignorandone ancora l'identità, mi erano bastate quelle poche parole che si trattava della favorita di Sua Maestà e che, in virtù del proprio ruolo, avrebbe potuto permettersi un atteggiamento simile. Era una signora molto elegante, dallo sguardo sveglio e altezzoso che di tanto in tanto rivolgeva alla coppia reale con un certo disgusto. Il delfino, Louis Auguste, ringraziava gli ospiti che gli si fermavano davanti con la gentile cortesia di chi preferirebbe essere altrove. Nonostante fosse soltanto un anno più vecchio di me, il suo viso tondo dava l'impressione che ogni singolo minuti gli fosse pesato e ancora gli pesasse il doppio rispetto agli altri. Era impacciato, ma sapeva di dover mostrarsi al meglio e lo sforzo che gli costava farlo dava comunque i suoi frutti. Alla sua sinistra, invece, una ragazza magra, con gli occhi grandi e azzurri e i capelli biondo cenere sollevava leggermente il braccio per ricevere degli educati baciamano dagli uomini che le si rivolgevano per un saluto. "Vi ringraziamo molto, la vostra presenza è un dono prezioso" mi era parso che avesse detto alla coppia di diplomatici spagnoli davanti di noi con un sorriso che le illuminava il volto. All'improvviso mi ero sentita seriamente inadeguata. Per quanto mi sforzassi e mi avessero sistemata a dovere, non mi sembrava di avere nulla di ciò che invece in lei pareva essere naturale e spontaneo. Era aggraziata, gentile, perfettamente a proprio agio in quella situazione al punto tale da non notare neanche le insistenti occhiate che provenivano dalla favorita del Re. Arrossii, vergognandomi perfino di essere nata nel modo in cui ero nata, mentre i due ambasciatori dall'accento iberico si defilavano per lasciare a noi tre l'onore di essere ricevuti dallo Stato in persona.
"Buonasera, duchi De Cigale, è un vero piacere vedervi qui stasera." aveva esordito Sua Maestà, spigliato e cordiale, mentre ci inchinavamo davanti a lui (con una certa difficoltà da parte mia a causa dell'abito troppo stretto e del pouf troppo ingombrante sul mio capo). "Questa bella fanciulla dev'essere vostra figlia, immagino." Mio padre aveva annuito mentre mia madre si era prodigata a spiegargli quanto fosse importante per me il gran ballo, essendo coinciso con il mio debutto a corte. "Come vi chiamate?" Il sovrano mi guardava negli occhi con l'espressione benevola di un anziano che aveva già visto la stessa scena ripetersi altre infinite volte, mentre io tentavo di calmare l'agitazione che mi scuoteva perfino il sangue nelle vene. "Mademoiselle Aphrodite Marie Augustine Léopoldine, Vostra Maestà..." Malauguratamente avevo avuto la brillante idea di rivolgere il mio sguardo prima alla favorita, che mi squadrava da capo a piedi con espressione sarcastica e giudicante, e subito dopo alla principessa, radiosa nel suo sorriso distratto forse da qualcuno alle nostre spalle. In quel preciso istante la mia mente si era spenta come la luce di una candela al soffio del vento: non ricordavo cos'altro dovessi dire o fare e, per un lungo insostenibile istante, la mia bocca aveva smesso di pronunciare verbo. Senza dare troppo nell'occhio, Madame mia madre mi aveva colpito il braccio con un gomito per risvegliarmi dall'improvviso torpore. "È un onore potervi conoscere." avevo concluso e una goccia di sudore freddo era scesa veloce lungo il collo procurandomi un leggero ma fastidioso solletico. Quando il sovrano ci aveva congedati dandoci il permesso di conversare con la coppia reale, mi era parso di sentir crescere l'ansia dentro di me. Cosa avrebbe pensato di me la delfina? Le sarei piaciuta? Avremmo avuto modo di scambiare anche solo un paio di parole o i miei genitori ce lo avrebbero impedito? Sarebbe stato il nostro unico incontro oppure avremmo potuto ripeterlo in futuro? Che cosa avrei potuto dirle, poi, io che avevo passato i miei giorni da sola oppure con persone molto più grandi di me, mentre lei aveva già viaggiato, avuto esperienze anche soltanto in virtù del fatto di essere figlia dell'Imperatrice d'Austria? Chissà se aveva un accento particolare, da lontano non ero riuscita a sentire bene la sua voce... Tutti questi pensieri mi ronzavano in testa veloci, si scontravano uno sull'altro rendendo pesanti i pochi metri che ci distanziavano. "Buonasera, duchi, grazie per essere qui..." aveva detto Louis Auguste con fare un po' sbrigativo ma cordiale, seguito dalla moglie che seguiva con lo sguardo il baciamano offertole da mio padre. "Abbiamo sentito che è il primo ballo di vostra figlia, è un vero piacere che abbiate scelto un'occasione come questa per presentarla alla corte." Marie Antoinette, a dispetto delle voci che mi era capitato di sentire nel tragitto tra la carrozza e la Galerie, era un'abile e precisa conversatrice nella nostra lingua, oltre che di atteggiamento estremamente delicato e nobile. Credevo che l'avessero dipinta davanti ai nostri occhi, o che si fosse palesata dal cielo per graziarci della sua magnifica presenza. Nonostante quelle qualità innate e naturali per la figlia di un'Imperatrice e la futura Regina di Francia, però, la sua voce tradiva la spensieratezza tipica della sua (o, meglio, della nostra) giovane età, un'entusiasmo pacato ma vivo che si irradiava su tutta la sua persona. "I nostri più sentiti ringraziamenti sono riservati a voi, Madame, per averci onorato di un invito tanto gradito come il vostro!" si era prodigata ad affermare la duchesse, sottolineando quel madame in un tono che solo io potevo conoscere: Son Altesse Royale, addirittura più giovane di me di alcuni mesi, era già sposata a differenza mia. "Ci auguriamo che il ballo sia di vostro gradimento, au revoir!" ci aveva congedati lei, ricevendo da mio padre un deferito ringraziamento mentre ci allontanavamo per ritornare in mezzo alla Galerie.
Una volta lontani a sufficienza dalla famiglia reale per non essere sentiti, mi ero lasciata andare ad un profondo sospiro liberatorio: forse ora poteva iniziare il divertimento anche per me, l'ostacolo maggiore era stato superato e qualsiasi cosa avessi combinato non sarebbe stata più grave di importunare o imbarazzare il Re e i delfini. Mio padre mi guardava soddisfatto mentre ci riunivamo alla marchesa D'Archambeau e suo marito. Era sicuro che tutto sarebbe andato come pianificato e che non avrei messo in ridicolo nessuno, men che meno me stessa. Quanto a mia madre, le sue altissime aspettative in fatto di etichetta, protocollo e società erano naturalmente impossibili da raggiungere, ma almeno avevo avuto l'accortezza di limitare a uno i momenti di imbarazzo. "Adesso torna a trattenere il respiro che quel corsetto sta scoppiando e non voglio altre brutte figure" aveva sentenziato Madame e, sventolandosi il ventaglio davanti al volto, aveva salutato con eccessiva cordialità il variegato gruppo con cui i marchesi stavano chiacchierando.
Fuori dalla finestra Parigi si stagliava buia sullo sfondo, presumibilmente già addormentata. Non erano mondi che si sarebbero incontrati con facilità, il mio e quello di una grande città lontana e ignota che, forse, si chiedeva anch'essa che cosa stesse succedendo qui da noi. L'atmosfera nella Galerie des glaces si era rasserenata quasi immediatamente dopo l'accoglienza dell'ultimo invitato, quando l'orchestra aveva ripreso a suonare e i camerieri erano di nuovo in giro tra gli ospiti con i loro vassoi d'argento e coppe di champagne. Il vociare allegro si confondeva con la musica, ci si divertiva dalle note che chiamavano alla danza e dalle chiacchiere inebrianti di persone venute da ogni parte del Paese e d'Europa per vedere i delfini, futuri sovrani di Francia, e augurarsi che quella notte, finalmente, il loro matrimonio potesse trovare una soluzione ai propri problemi.