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Autore: Zikiki98    28/09/2023    1 recensioni
[Vi consiglio di leggere la prima parte: “The World Of Demons – Il Portale Dei Demoni”, che potete trovare sul mio profilo]
La missione di salvataggio mirata a recuperare Edward si è trasformata in un totale fallimento. Isabella e i Cullen sono ufficialmente prigionieri del Conclave, rinchiusi nelle più profonde e invalicabili segrete di Alicante. La vita della Cacciatrice comincia a riempirsi di ossimori, perdendosi nel limbo di chi non riesce più a riconoscersi: verità e bugie, amore e odio, vita e morte.
Come se non bastasse, eventi inspiegabili e terrificanti sono in continuo aumento. Diversi Nascosti e Cacciatori spariscono, improvvisamente e senza lasciare tracce, fino a che non vengono ritrovati morti ai piedi di qualche albero lungo i sentieri delle foreste o nei cassonetti delle grandi città, in tutto il mondo. Queste morti e queste sparizioni sono causate dai demoni, più forti che mai e pilotati da qualcuno di molto furbo e intelligente, ma chi? E soprattutto, perché?
Davanti a questa emergenza globale, shadowhunters, vampiri, stregoni, licantropi e fate, riusciranno a collaborare, uniti, superando le loro divergenze, per il bene e la sopravvivenza di tutti?
(Per leggere l'introduzione completa, aprite la storia, perché la descrizione intera non mi stava, grazie)
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Clan Cullen, Edward Cullen, Emmett Cullen, Isabella Swan, Nuovo personaggio | Coppie: Alice/Jasper, Bella/Edward, Carlisle/Esme, Emmett/Rosalie
Note: Cross-over, OOC, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo, Violenza | Contesto: Più libri/film, Contesto generale/vago
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THE WOLRD OF DEMONS
L'EREDE DELLE TENEBRE


5. Savior
 
Probabilmente, in tutta la mia vita, non avevo mai provato un dolore fisico così forte come questo. E il fatto che io stessi ricominciando a sentire consciamente questa sofferenza, poteva significare solo una cosa: mi stavo riprendendo. Immediatamente, quel pensiero, mi fece deprimere.
Dopo tutta la violenza subita, l’ultima cosa che volevo era di uscirne nuovamente viva, per poi comunque dover morire fra meno di ventiquattro ore. Ero stanca, stremata e avevo definitivamente esaurito le energie per lottare. Ormai la mia mente, in fase di esaurimento, aspettava solamente che arrivasse il grande giorno dell’esecuzione per riposare in pace, per sempre.
Sentii una mano tiepida passarmi delicatamente tra i capelli folti e annodati, inducendomi ad aprire gli occhi.
Quando finalmente li aprii, lentamente, fui sorpresa di trovarmi davanti il viso preoccupato di Clary. Aveva posizionato la mia testa sulle sue gambe, per far sì che potessi riposare più comodamente. Rispetto ai giorni precedenti, dove mi ero appisolata sul pavimento di pietra freddo e duro della cella, questo era un gran cambiamento.
Clary mi sorrise – Come stai? – dopodiché mi posizionò la stessa mano che era fra i miei capelli, sulla fronte – Non mi sembri più così febbricitante. Finalmente la febbre deve essere scesa di qualche linea -.
Cercai di tirarmi su seduta, ma la ragazza mi ammonì immediatamente, con un’espressione in viso che non ammetteva repliche – Fai con calma, ci sono andati giù pesante questa volta… -.
Sicuramente si stava riferendo alle mie ferite e al fatto che avessero quasi rischiato di ammazzarmi talmente era la forza che avevano usato per frustarmi. Comunque, ero talmente dolorante, che neanche volendo mi sarei potuta muovere troppo velocemente. La verità era che anche soltanto per mettermi seduta avevo avuto bisogno dell’aiuto di Clary: ogni singolo movimento mi toglieva direttamente l’aria dai polmoni, come una stilettata.
- Avrebbero fatto meglio ad uccidermi subito – mormorai, con una voce talmente bassa e roca da non sembrare la mia, senza alcuna esitazione mentre, grazie alla rossa, riuscivo ad appoggiare la schiena contro il muro.
Lei, in cambio, mi restò vicina e mi passò un suo braccio intorno alle spalle per far sì che potessi appoggiare la mia testa, che sembrava pesare una tonnellata, su qualcosa di più morbido e avvolgente di un muro.
- Non dirlo neanche per scherzo – rispose Emmett, nervoso, mentre mi guardava dall’altra parte delle sbarre, ma sempre abbastanza vicino per tenermi d’occhio, per quanto potesse.
Sbuffai. Come ogni volta che mi portavano in cella, gli sguardi dei Cullen erano puntati su di me, come se da un momento all’altro potessi perdere la vita o scoppiare in una crisi nervosa.
Apprezzavo le loro preoccupazioni, ma odiavo il fatto che in queste ultime settimane si sentissero in dovere di prendersi cura di me e allo stesso tempo in colpa perché, fisicamente, non lo potevano fare. Lo leggevo nei loro sguardi: non mi potevano curare, non mi potevano proteggere. Potevano solo guardarmi, aspettare e sperare, con le mani in mano.
Se mi sentivo impotente io, chissà come potevano sentirsi loro, dei forti vampiri chiusi in una gabbia con il dono dell’eternità, che avevano sconfitto la morte già una volta.
- Non lo dico per scherzare – gracchiai stizzita, ammutolendo tutti – Lo dico perché lo penso davvero. Sono stanca… - ammisi con lacrime amare e il sapore del sangue ancora in bocca, mentre le ferite del mio povero corpo torturato bruciavano ad ogni piccolo respiro che facevo – di tutto questo! A sto punto, che mi lascino morire e basta… -.
- Bella – la voce di Edward era straziata, mentre si inginocchiava davanti a me, stremato – Non dire così, Clary e Fratello Geremia sono riusciti a salvarti, non è ancora finita… -.
- Cosa devo dire? La mia gente mi vuole morta, ma questo va persino oltre! – mormorai agitandomi, mentre Clary mi stringeva a sé, per confortarmi – Sono una Cacciatrice, mi hanno insegnato cos’è la violenza. Io stessa l’ho esercitata in diverse occasioni e mi ha dato soddisfazione. Ma una brutalità del genere… è anche peggio della morte. Anche se sopravvivessi, non mi fiderei più della mia gente. In quella sala c’erano vicini di casa, vecchi amici di famiglia, persone che mi hanno vista crescere e hanno comunque esultato davanti a quel verdetto. Se sono davvero così odiata, che senso ha? Nessuno piangerà la mia morte quando mi taglieranno la gola davanti a tutte quelle persone -.
Nessuno sapeva cosa rispondere. D’altro canto, cosa avrebbero mai potuto dirmi? Il mio cuore era irrimediabilmente spezzato e nessuno avrebbe potuto aggiustarlo dopo un’esperienza del genere, anche se si fosse trovata una misteriosa soluzione per salvarmi la vita.
Rigettata come spazzatura dalla mia stessa famiglia e dal mio stesso popolo, maltrattata e picchiata senza sosta e senza pietà, in uno scontro svantaggioso solo per me. Mai ad armi pari.
- Ma tu hai anche un’altra famiglia – disse Carlisle guardando Emmett e poi tutti gli altri membri del suo Clan – Sappiamo che sei figlia di Emmett, ma anche se non lo fossi stata, anche se tra te e Edward non fosse scoccato l’amore, ci siamo noi. Non sei da sola e anche se non possiamo piangere, il fatto che qualcuno possa spezzare la tua vita, ci addolora terribilmente -.
Guardai Carlisle senza sapere che cosa dire. Ero commossa, perché finalmente qualcuno aveva compreso l’entità del mio tormento, aprendosi con me invece di negare quello che stava succedendo. Il Dottore aveva capito e accolto il mio patimento, che non si basava sulla pena di morte, ma sul non essere ricordata, o peggio, sull’essere ricordata, ma con odio.
Tirai su con il naso mentre, con la coda dell’occhio, guardai Clary che, in tutto ciò, non aveva ancora smesso di accarezzarmi le punte, ormai rovinate, dei capelli.
- Cosa ci fai ancora qui, tu? – le chiesi allarmata – Ti nascondi troppo da queste parti, se non ti fai più furba, ti metterai nei guai -.
Mi sorrise teneramente, ma non si mosse di un centimetro – Io non vado da nessuna parte, ho già fatto la mia scelta -.
- Non ce n’è bisogno, Clary – risposi apprensiva – Hai già fatto abbastanza per me, so bene da che parte stai. Vai e prenditi cura di te. Non hai bisogno di farti ammazzare per questo -.
- Te lo ripeto, non vado da nessuna parte Bella – sussurrò, con un tono di voce talmente calmo, ma convincente, da lasciarmi spiazzata – Starò qui finché lo riterrò necessario -.
Sapevo che era un modo come un altro per farmi capire, fra le righe, che nonostante tutto, si era affezionata a me. Come potevo biasimarla? Non sapevo quanto effettivamente si potesse sentire sola a lavorare in quelle prigioni, mentre scontava la sua pena. Probabilmente, non le era nemmeno mai capitato di trovare qualcuno a cui fosse successa più o meno la vicenda, tanto da immedesimarcisi. Sentivo davvero molta gratitudine nei suoi confronti e avrei voluto sapere come ricambiare tutta quella bontà un giorno, se solo avessi avuto più tempo a disposizione su questa terra.
Inevitabilmente, mi voltai verso Emmett, quel vampiro muscoloso, giocherellone e arrogante che avevo scoperto di recente essere mio padre, anche se ancora non riuscivo a visualizzarlo come tale. Forse, per la prima volta dopo diversi giorni da quando ero a conoscenza di questo fatto, riuscivo a vedere qualche somiglianza fra di noi. I capelli, sia nella tipologia che nel colore, il taglio degli occhi, le labbra carnose. Riguardo il carattere, avevo notato che l’arroganza, la testardaggine e l’iperprotettività verso le persone amate era una cosa che ci accomunava parecchio. Mi sarebbe piaciuto vederlo combattere come un Cacciatore… magari gli somigliavo anche nelle movenze.
Continuai a fissarlo mentre, con fare triste, teneva gli occhi puntati sul pavimento e le mani nelle tasche dei pantaloni, finché finalmente non li rivolse verso di me. Rimase sorpreso nel notare che lo stavo osservando e soprattutto, che non avevo distolto lo sguardo in seguito. Cercai di giustificare quel momento, ponendogli una domanda, la prima che mi venne in mente.
– Quindi hai sentito? Adesso sai la verità? – chiesi a fatica, con rammarico.
Annuì, emettendo un lungo sospiro che sicuramente nascondeva parecchie emozioni controverse – Sì, ma avrei preferito averne la conferma in modo diverso -.
- Mi dispiace -.
Rise con amarezza, mentre l’attenzione di tutti era rivolta su di noi – Penso che tu sia l’ultima persona in questa storia a doversi scusare di qualcosa -.
- Ti devo delle scuse per aver negato con assolutezza quel giorno, senza neanche darti il beneficio del dubbio, quando me ne hai parlato – mi spiegai meglio e presi fiato – Mi sono pentita di averlo fatto, successivamente, ma ero stata talmente colta alla sprovvista che non riuscivo a crederci – mormorai dolorante, facendo una piccola pausa – Sono stata cresciuta da delle persone di cui mi fidavo ciecamente, per le quali avrei dato la vita e, per molto tempo, ho creduto che avrebbero fatto lo stesso per me, sentendo sempre e solo un’unica versione della stessa storia, la loro. In realtà, anche tutt’ora, mi risulta difficile pensare che quello che mi hai confessato sia la verità… - e la sua espressione tornò sofferente, preparandosi ad incassare il colpo, ma quello che avrei detto da lì a poco non se lo aspettava – Dai, riflettici bene, sono troppo bassa e minuta per essere davvero tua figlia! -.
Quando capì che stavo scherzando, scoppiò a ridere fragorosamente, come non faceva da giorni, seguito dagli altri vampiri e da Clary. Edward mi guardò dolcemente, rincuorato per aver regalato alla sua famiglia questo piccolo attimo di ilarità, anche se quest’ultima era destinata a durare non più del tempo di un battito di ciglia.
__
 
Passò qualche ora e si fece buio. Clary aveva deciso di andarsene per evitare che facessero troppe domande sulla sua assenza prolungata. Sicuramente, l’avrei rivista la mattina successiva.
Ero sdraiata a terra, con gli occhi chiusi e davo le spalle ai Cullen. Il mio era un tentativo disperato di riuscire ad addormentarmi, ma ora ero ufficialmente una condannata a morte e poco dopo l’alba del giorno seguente, sarei dovuta salire sul patibolo. Sarebbe stato difficile per chiunque riuscire a riposare con un tale fardello sullo stomaco da gestire. Inoltre, le ferite mi facevano ancora soffrire parecchio e, ogni respiro che facevo, era una coltellata diretta ai polmoni.
Cercavo comunque di muovermi il meno possibile, non volevo che i Cullen pensassero che fossi sveglia. Non volevo dargli il tempo di prepararmi discorsi strappalacrime. Sinceramente, non volevo pensare che quella sarebbe stata l’ultima notte che trascorrevo con loro. Preferivo sforzarmi e negare l’evidenza, non volevo pensare a niente, ma per loro ovviamente era differente. Non potevano chiudere gli occhi e provare ad addormentarsi: uno degli svantaggi di poter vivere in eterno.
- Come ho fatto a non riconoscerla… - sentii dire da Rosalie ad un certo punto.
Emmett trattenne una risata – Tranquilla Rose, non è stato facile neanche per me -.
- Lo so – rispose lei, con frustrazione – È inaccettabile averla appena ritrovata e doverci già preparare all’idea di perderla, senza che possiamo fare nulla per intervenire, di nuovo -.
- Sono due tipologie di dolore totalmente differenti – controbatté lui – La prima volta fu un dolore inaspettato e sconvolgente: non riuscivo ad immaginare che la mia piccola bambina, di soli sei anni, indifesa… - si fermò per diversi secondi prima di procedere - Non riesco a parlarne neanche adesso! – continuò, con voce sommessa – Ora, invece, da una parte sono estremamente grato che sia ancora viva e sia sopravvissuta a quel dannato giorno dell’Invasione. Dall’altra parte, sono furioso, con me stesso e con il destino, a cui probabilmente piace prendersi gioco di me, che me l’ha fatta ritrovare solo per vederla morire, solo per perderla, di nuovo – le parole gli morirono in gola, piene di rabbia e delusione – Mi sento come se non avessi fatto abbastanza -.
Avrei voluto uscire allo scoperto e dirgli che non aveva colpe. Ero sicura che lui avesse tentato di fare del suo meglio all’epoca. Non lo potevo sapere, ovviamente, ero troppo piccola per poterlo ricordare, ma dentro di me, ne ero certa. Si capiva dai suoi occhi, dal modo in cui mi aveva parlato quella sera a casa sua e da come era felice di avermi ritrovata cinque giorni dopo la mia fuga nei boschi. Avevo una forte sensazione dentro di me, una verità nascosta, secondo la quale lui aveva fatto tutto quello che era in potere di fare considerando le difficoltà che aveva all’epoca.
- Non è vero, figlio mio – intervenne Esme, dolcemente – Io ancora non ti conoscevo bene in quel periodo, ma sono sicura che hai fatto tutto quello che potevi fare e, questa emozione che provi, non fa altro che confermare quello che penso – la immaginai avvicinarsi alle sue figlie adottive, Rosalie e Alice, per abbracciarle – Un genitore che ama alla follia i propri figli non smetterà mai di chiedersi se avrebbe potuto fare di più in determinate situazioni, è totalmente naturale, anzi, sarebbe insolito il contrario -.
L’aria, a causa di quell’argomento spiacevole, si percepiva più pesante, ma Alice ebbe una buona idea per stemperare la tensione.
- Raccontaci com’era da piccola, Emmett – consigliò lei, con una punta di entusiasmo, anche se palesemente forzata.
Lui ci mise qualche secondo per rispondere – Non saprei… -.
- Può essere una buona idea, invece – disse Edward, incoraggiando il fratello.
- Siamo tutti curiosi di sapere se c’è qualche aneddoto divertente che la rende più simile a te – continuò Carlisle, strappando una leggera risata a tutti.
- Va bene, fatemi pensare – acconsentì Emmett – Una volta, quando aveva cinque anni, Renée l’aveva lasciata a me e a Rosalie per la giornata. Ormai ero già un vampiro da due anni e, con la supervisione attenta di quella che ora è mia moglie, la mamma di Bella si fidava molto a lasciarcela. Adesso, non starò qui a spiegare in che modo riuscivamo a creare un varco nelle protezioni di Idris, non mi sembra il luogo adatto, fatto sta che sapevamo bene come fare per riuscire ad aprire il confine, d’altro canto, ce lo aveva insegnato il Conclave per eseguire i suoi “lavori sporchi”. Quindi, eravamo nei boschi, vicini ai confini del paese, e le stavamo leggendo un libro sulle donne Cacciatrici più forti della storia e, ogni volta che facevo un nome, lei con la sua vocina piccola e acuta, mi rispondeva sempre che nessuna eroina avrebbe mai potuto battere la sua mamma e Rosalie -.
- Me lo ricordo – intervenne sua moglie, dolcemente.
Emmett ridacchiò, per poi continuare – Oppure, mi ricordo perfettamente il giorno in cui ha imparato a correre prima ancora di saper camminare… Probabilmente pensava che più velocemente si fosse mossa, prendendo un bello slancio, meno possibilità aveva di cadere in terra -.
- Sembra proprio da lei – intervenne Edward, divertito.
Mi sentivo imbarazzata, ma allo stesso tempo anche intenerita da quei racconti. Emmett possedeva uno scrigno prezioso di ricordi, molti dei quali io non ero a conoscenza, o perché ero troppo piccola o perché rimossi con il tempo. Era strano ritrovarsi davanti una persona che, teoricamente, conoscevi da una vita intera, ma non riuscire a ricordarsi di averla mai incontrata. Lui conosceva cose di me che non sapeva nessun altro. Io non potevo dire lo stesso e questo mi aveva fatto venire un’irrefrenabile voglia di conoscere di più Emmett. Allo stesso tempo, mentre ascoltavo i loro discorsi, l’idea di non avere la possibilità di farlo, fece sprofondare le mie emozioni nel baratro.
__
 
Per l’ennesima volta in quei giorni di prigionia, sentimmo chiaramente il cancello dei sotterranei aprirsi, segnando la conferma dell’alba di un nuovo giorno, che per me sarebbe stato pure l’ultimo. L’ultima alba, gli ultimi respiri che potevo esalare, gli ultimi saluti. Il mio ultimo giorno sulla terra.
Sentendo le guardie avvicinarsi, non mi alzai, non ci riuscivo. Le ferite me lo impedivano. Perciò, restai a terra, sdraiata ed immobile, con lo sguardo rivolto verso i Cullen e stavolta li guardai davvero, come per imprimere i loro volti nella mia memoria, in modo tale che, una volta arrivato il momento di chiudere gli occhi, non avrei pensato alla folla davanti a me, mentre osservava il boia con la spada in mano pronto a decapitarmi, ma avrei visualizzato loro e, così, sarebbero stati le ultime persone che avrei visto prima di morire. Edward, angosciato, seduto davanti a me, il più vicino possibile alle sbarre, ma senza sfiorarle. Emmett, pensieroso, in piedi esattamente dietro al primo, con le spalle appoggiate al muro. Carlisle, preoccupato, accanto al corpo di Jasper che ancora non si era svegliato e, da una parte, era meglio così: probabilmente l’assenza di nutrimento lo rendeva troppo debole per riuscire a riprendersi. Esme che, nonostante fosse completamente distrutta dalla situazione, cercava lo stesso di consolare la piccola Alice. E infine Rosalie che, nonostante tutto quello che stava succedendo, riusciva comunque a mantenere un controllo emotivo non indifferente.
- Mi dispiace di avervi trascinato in questa situazione – mormorai colpevole, mentre i passi delle guardie si avvicinavano sempre di più – Non mi resta molto tempo, ma volevo solamente dirvi che non avrei mai voluto che finisse così -.
- Bella… - sussurrò Edward, distrutto, senza sapere più cosa dire – Io… -.
- Isabella – intervenne Carlisle con voce sicura – Tu non hai alcuna colpa -.
- Se avessi fatto scelte diverse non sareste qui adesso – continuai, con un forte rimorso che mi chiudeva la gola.
- Non cominciamo a fare questo “giochetto” – disse risoluto Emmett – Perché potremmo parteciparvi tutti qui dentro e non si riuscirebbe comunque a proclamare un vincitore. Anche io, se avessi preso scelte diverse, probabilmente sarei riuscito ad essere presente nella tua vita. Eppure, non è stato così -.
Mi sentii ghiacciare a quelle parole. Avrei tanto voluto sapere tutta la sua versione della storia, cos’era successo. Perché mia madre aveva tradito quell’uomo che avevo sempre conosciuto come mio padre, con Emmett? Mi avevano desiderata? Perché era stato trasformato in un vampiro? Com’era successo? In quanti conoscevano la mia storia, anzi, la nostra storia? E se, in qualche modo, questa storia segreta venisse allo scoperto, che ripercussioni ci sarebbero state da parte del Conclave?
La verità era che non avrei mai potuto scoprirlo e, purtroppo, adesso non c’era più tempo. Le guardie erano esattamente davanti alla mia cella, pronte a prelevarmi con la forza. Inserirono le chiavi nella serratura e in pochi secondi furono dentro.
- Alzati in piedi – ordinò duramente una di loro.
Sapevo che ero troppo debole per riuscire ad alzarmi da sola, ma non volevo dargli altri pretesti per essere violenti nei miei confronti, così decisi almeno di dimostrargli che ci stavo provando.
Con estrema difficoltà, cercai di aiutarmi con le braccia e il muro alle mie spalle, nel tentativo disperato di riuscire a tirarmi su, ma il mio corpo fu preso da dei violenti spasmi, la pelle delle ferite si tese, facendomi soffrire e tremare come una foglia. Così fui di nuovo a terra, senza forze e con il fiato corto. Le guardie si spazientirono e decisero di non perdere ulteriore tempo.
Si avvicinarono velocemente a me e, senza neanche sforzarsi di essere delicati, mi presero sotto le braccia e mi tirarono su di colpo, costringendomi a trattenere un gridolino di dolore, che si trasformò in un gemito represso.
- Dì pure i tuoi addii – mi disse l’altro, posizionato alla mia sinistra, sorprendendomi.
Non mi aspettavo che mi lasciassero la possibilità di fare i miei ultimi saluti a quelle splendide persone che avevo davanti, ma non sprecai questa possibilità.
Li guardai tutti, di nuovo, per l’ennesima in pochi minuti, pronta a dargli il saluto per eccellenza, quello definitivo. Stavolta sarebbe stata davvero l’ultima. Non potei fare a meno di pensare quante cose mi ero persa e quante avrei potuto recuperarne, quante cose ancora avrei dovuto scoprire, se solo non avessero avuto in programma di uccidermi. Se solo il tempo fosse stato dalla mia parte.
Cercai di trovare la voce per parlare più volte, senza sapere come cominciare esattamente, finché, con gli occhi lucidi e la gola seccai, riuscii a elaborare una frase tanto semplice quanto inutile – Allora, questo è un addio -.
- No, non lo è, mia cara – rispose subito Esme, con sicurezza nello sguardo.
- È solo un arrivederci – cercò di sorridermi con malinconia Carlisle – Ci rivedremo -.
E quell’arrivederci fu il più dolce e amaro, il più intenso e importante, che io avessi mai sentito. Avevo studiato innumerevoli culture, soprattutto concentrandomi sulle loro leggende e religioni, ma nessun credo mi aveva mai convinta a pensare che ci fosse qualcosa dopo la morte. Eppure, un uomo come Carlisle, saggio e sapiente, con secoli di vita alle spalle, ci credeva o, forse, ci sperava e basta.
Detto questo, Rosalie si alzò in piedi e mi disse – Credevo che molti anni fa il nostro fosse stato un addio, che non ti avrei più potuta riabbracciare, coccolare o sentire il tuo profumo. E invece, era solo un arrivederci – fece una piccola pausa – Confido che anche questa volta possa essere così -.
Quasi mi emozionai. Naturalmente, io ero troppo piccola per avere dei ricordi a riguardo, ma percepivo da parte sua un cambiamento nei miei confronti da quando era uscita allo scoperto la verità, in questi ultimi giorni.                                                                                                                                                     
- Arrivederci Bella – mi salutò Alice, sforzando un sorriso e dando man forte alla sorella.
- Arrivederci Alice -.
Mi voltai verso Emmett, con un dolore tremendo alla gola per quanto stavo cercando di trattenere le mie emozioni, riuscendo solamente a sussurrare un lieve – Stai attento -.
Non mi guardò, probabilmente non ci riusciva. Era immobile, con lo sguardo ancorato al pavimento, indecifrabile: sembrava una statua.
- Qualsiasi cosa succeda, non ti arrendere – mormorò, in lotta con sé stesso.
Dopodiché passai oltre e il mio sguardo si posò sul ragazzo, su quel vampiro, per il quale tutto quel casino era cominciato. Quando il mio sguardo incrociò il suo, che era amareggiato e sofferente, con quelle iridi nere come la pece, non riuscii più a trattenere le lacrime. Immaginavo una storia diversa tra noi e non riuscivo ad accettare che stesse davvero finendo in quel modo, nonostante dentro di me, la parte più razionale, sapeva che non avevamo mai avuto una vera e propria possibilità.
- Edward… – singhiozzai.
- Ti amo – disse di punto in bianco, disperatamente, lasciandomi totalmente spiazzata – Non so se avrò altre occasioni per dirtelo, ma volevo che tu lo sapessi -.
Il mio cuore esplose, esplose di gioia, ma allo stesso tempo, lo sentii scavarsi una voragine per sprofondarcisi dentro. Quello che poteva essere considerato un gesto romantico, era diventato un ultimo tentativo disperato, per non lasciarmi mai andare totalmente.
Avrei potuto dargli tante, tantissime, innumerevoli risposte, ma la verità era che ero troppo sopraffatta dagli eventi e in quel momento non riuscii a dire o fare nulla. Ero incapace ad elaborare un pensiero di senso compiuto. Come poteva Edward provare questo sentimento per me, dopo la pena di morte che incombeva sulle nostre teste, aver scoperto che Emmett era biologicamente mio padre e nel nostro mondo, una relazione fra noi era illegale. Come poteva avermi scelta, nonostante stessi per morire. Come poteva avermi scelta dopo aver commesso così tanti errori ed avergli mentito. Come poteva aver scelto di amare me, quando poteva avere una vita più semplice con una persona diversa, magari con una donna della sua stessa specie.
- Io… -.
- Non c’è bisogno che tu dica nulla – continuò intensamente, con una sicurezza ritrovata che in quei ultimi giorni aveva un po’ perso – Avevo bisogno di dirtelo. Volevo che tu lo sapessi. Qualsiasi cosa accada, questo non cambierà -.
Sempre più angosciata, innamorata e disperata, cercai di trattenere i singhiozzi mentre le lacrime mi inondavano incontrollatamente le guance. Il mio cuore non poteva sopportare altro. Decisi di non aggiungere ulteriore carne al fuoco. Se per caso fossero sopravvissuti a tutto questo, anche se non lo credevo possibile, non volevo che Edward rimanesse con il rimorso di sapere che, nonostante anche io lo amassi, non era riuscito a salvarmi. Anzi, non eravamo riusciti a salvarci, a salvare il nostro amore.
Avevo già causato abbastanza danni.
- È ora di andare – mi informò, asettico, la guardia alla mia sinistra e, senza aspettare un mio qualsiasi cenno d’assenso, cominciarono ad incamminarsi all’esterno della cella, trascinandomi con loro.
Lasciai i Cullen alle mie spalle, con i loro occhi puntati sulla mia schiena, e nonostante stessi per abbracciare la mia fine, non riuscivo a smettere di pensare al fatto che Emmett e Edward non meritavano di vedere la rispettiva figlia e ragazza amata essere portata via di peso, per essere giustiziata. E forse, tutto sommato, nemmeno i meritavo questa condanna a morte.
__
 
Mentre le guardie mi conducevano in mezzo alla folla, la gente era in delirio. C’erano urla, esaltati che non vedevano l’ora che venisse sparso un po’ di sangue e sete di giustizia. Una giustizia che ormai mi stava stretta e non riuscivo più a comprendere.
Ci trovavamo nella piazza principale di Alicante e per l’occasione, esattamente al suo centro, avevano allestito un palchetto, con tanto di boia in nero, con il viso coperto, pronto ad attendermi con la spada in mano. Accanto a lui, in abiti altrettanto scuri, l’inquisitrice Imogene Herondale era pronta a eseguire e dare il via alla sentenza. Rabbrividii a quella vista.  
Quando mi portarono sul patibolo, le guardie mi posizionarono tra l’Inquisitrice e il boia, ma senza lasciarmi andare. Ero ammanettata e debole, ferita sia fisicamente che nell’orgoglio, non avevo più le forze di difendermi o reagire. Chissà cosa pensavano che potessi combinare.
Quando diedi uno sguardo al pubblico esaltato davanti a me, intimorita, scorsi dei volti familiari che mi fecero pregare che tutto finisse in fretta. Marie, William, George e Stefan erano presenti, con il viso contrito dai senti di colpa e dall’impotenza. Dall’esperienza di quei giorni di reclusione, ne sapevo qualcosa.
A gran voce, l’Inquisitrice Herondale, spense l’entusiasmo della folla – Silenzio! – disse, per poi annunciare - Siamo tutti qui, riuniti oggi, per giustiziare Isabella Mary Durwood Swan, condannata per Alto Tradimento e per aver tentato di fuggire, senza consegnarsi subito al Conclave – fece una pausa d’effetto per poi aggiungere, rivolta verso il boia e le sue guardie – Procediamo -.
Senza ulteriori indugi, le guardie mi fecero inginocchiare con forza davanti a quello che sembrava un piccolo altare scavato nella pietra. Senza aspettare che mi venisse ordinato, abbassai la testa e appoggiai una guancia sulla superfice gelida della roccia, pensando inevitabilmente che a breve sarei diventata anche io fredda e avrei assunto un colore molto simile al grigio, ma cercai di convincermi silenziosamente che sarebbe tutto finito in poco, pochissimo tempo.
Vidi l’ombra del boia avvicinarsi con una lentezza disarmante alla mia esile e debole figura. I giochi di luce che creava la spada al sole mentre veniva sferzata in alto, mi fece mancare la salivazione. Sudavo freddo e il cuore mi martellava nelle orecchie. Improvvisamente, il panico prese il sopravvento, totalmente in balia di quello che sarebbe successo da lì a pochi secondi. Secondi che sembravano durare un’eternità. Secondi che mi facevano soffrire più dell’idea della morte stessa.
Chiusi gli occhi e, anche se il mio istinto di sopravvivenza stava gridando per farmi reagire, decisi di concentrarmi sui volti delle persone che amavo e mi erano state vicine, come mi ero ripromessa: Sebastian, Stefan, William, George, Edward, Emmett, Esme, Alice…
Un lieve spostamento d’aria sopra il mio capo mi deconcentrò, riportandomi alla realtà, con il cuore in gola. Immaginai che lo avesse causato la spada nella discesa sempre più veloce e repentina verso il mio collo, ma mi sbagliavo. Un urlo, che non proveniva da me, mi fece sobbalzare, insieme al suono della spada che cadeva a terra inerme, senza più alcun padrone pronto a colpire la sua vittima.
Alzai di colpo la testa e, nello sgomento generale, notai che era stato il boia ad urlare, dopo essere stato ferito poco sotto la spalla, quasi vicino al cuore, da una freccia.
Una tipologia di freccia che avevo già visto e utilizzato diverse volte.
Una freccia che aveva un proprietario.
Un proprietario che siglava, una ad una, tutte le sue armi con le iniziali del suo nome: SS.
- Provate a farle ancora del male e siete tutti morti -.
Abbandonai l’immagine del boia ferito e mi volta, alla ricerca della voce, quella di cui avevo sentito più la mancanza in quei giorni di abbandono, degrado e reclusione.
Un piccolo esercito composto da uno stregone e una ventina di Cacciatori armati fino ai denti erano pronti ad intervenire, con poteri e armi mai viste prima, per salvarmi.
E a dirigere quelle persone c’era proprio lui, il ragazzo che aveva promesso nel giuramento Parabatai di proteggermi e dare la sua vita per la mia: mio fratello, Sebastian Durwood Swan in persona.
 
 

 
Salve! Come state? Spero bene.
Eccoci qua con questo nuovo capitolo.
Scusate per l’ennesimo ritardo!
Non voglio che diventi un’abitudine aggiornare così di rado, ma allo stesso tempo, il lavoro prosciuga tutte le mie energie.
Se vi è piaciuto, lasciate una stellina e un commento.
Mi interessa tantissimo avere i vostri pareri.
Besos :-*
 
Zikiki98
 
Instagram: _.sunnyellow._
  
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