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Autore: Loony_is_in_love    03/10/2023    0 recensioni
[John Doe]
Che Lyssa fosse nel giusto o nel torto, che ciò che era successo in Italia fosse stata effettivamente colpa sua non importava più a molto, e non perché ciò non avesse comportato un cadavere, ma perché Alyssa sarebbe morta lo stesso.
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[John Doe/NotYou!Oc]
Genere: Horror, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Act 1 “Initial Injury”

Eccole lì, che ti guardano dai loro occhi di carta su copertine di ristampe che avranno fatto il giro del mondo, perfettamente perfette, visibilmente almeno due spanne più alte di te anche quando costrette in fogli A4.
Lì, che ti fissano, e chissà quanti altri rifiuti della società stanno fissando dai loro piedistalli nelle edicole di tutto il mondo, con le labbra a cuoricino e i seni prosperosi.
Sembrano fissarti come a sfida, come a dirti che il loro sguardo di inchiostro -convenevolmente- plastificato si è posato su più parti del mondo di quante i tuoi sogni indotti dall’olanzapina potranno mai sperare di visitare.
Loro sono lì e tu sei dietro un bancone di merda in una stazione del gas in mezzo al cazzo di nulla, il cervello ad un movimento sbagliato dallo scoppiarti nella scatola cranica.

Chiudi gli occhi, forse per la prima volta in tutta la giornata, le cornee ti bruciano così tanto che potrebbe davvero essere la verità; le modelle sui giornaletti pornografici finalmente lontani dalla tua vista, lontano dagli occhi, lontano dal cuore, non era forse così che ti diceva tua madre quando spostava la giara di dolciumi racimolati ad Halloween sulla credenza più alta della cucinetta nella casa di campagna?
Era tutto più facile quando la tua unica preoccupazione era trovare una sedia alta abbastanza da permetterti di ficcarci una mano e scappare con quante più caramelle le tue dita potessero tenere strette.

Avranno visto anche più cazzi di te probabilmente.

È decisamente l’ora di una sigaretta, ti dici in fine, arraffando la giacca di Jeans che riposa sullo sgabello accanto alla cassa, sei ferma a mettere le radici dietro il bancone dalle tre di notte, te la meriti.

L’aria innaturalmente statica e immota della Valle ti ingloba come una fontana di acqua demineralizzata, gelatinosa e opprimente attorno alla tua figura che spicca in contrasto ai tuoi dintorni sgargianti come una macchia di inchiostro dentro un enorme bricco di latte, accendi una sigaretta, spiegazzata e danneggiata dall’acqua che negli ultimi tre giorni non ha fatto altro che gocciolarti dal soffitto del monolocale in cui vivi, senza fermarsi nonostante le innumerevoli volte in cui sei andata a bussare all’appartamento di sopra, senza mai ricevere risposta.

In un angolo becero della tua mente speri l’affittuario vi stia morendo lì dentro, che sia agonizzante a terra in una pozza del suo stesso sangue; è l’unica scusa che saresti disposta ad accettare a questo punto.
L’acciarino sfrigola nell’aria immota della periferia dell’Uncanny Valley, il pensiero di fondo agli antipodi del cervello che esulta alla vaga speranza qualcuno possa aver lasciato una pompa di gas staccata dalla sua asta da qualche parte in quella merdosissima stazione dimenticata da Dio.
Ma l'accendino smette di sfavillare e la cartina tra le tue labbra prende dolcemente fuoco mentre il tuo cervello ha già dismesso l'idea di uccidersi in favore di quella di licenziarsi.
Quel supplizio non ne vale la candela -buffo modo di metterla a parole- e per di più non ti pagano abbastanza.
Fumi con calma, assaporando le boccate di quell’aria malsana che aleggia lì.
Con gli occhi stanchi dalla nottata passata in bianco cogli pigramente l’arrivo del bus.
Le 11 e 35 segna il tuo Casio scassato, l’orario di attacco della tua collega.
You se ne esce dalla vettura trafficando con la sacca di yuta che la contrassegna, cacciandoci dentro il braccio, fino al gomito, arrancando come un cerbiatto ai primi passi.
Quella visione non fallisce mai al portarti un sorriso alle labbra, You è una brava persona, un po’ ingenua, poco attenta all’igiene personale -cavolo l’hai visto che metteva da parte una gomma da masticare iniziata per tenerla “per dopo”- ma non di meno un’anima buona.
Alzi un braccio, tutto sforacchiato e livido degli errori della tua adolescenza, un saluto rassicurante alla collega che ti approccia.
«Ehi ciao scusa il ritardo.» comincia, senza mai davvero smettere di ribaltare come un calzino il povero indumento che subisce i suoi abusi.
«Nessun ritardo Mentina, mi hai beccato in pausa paglia.» You ti affianca, finalmente tirando fuori dalla borsa un pacchetto di sigarette senza marca, almeno non una di quelle che conosci, la Uncanny Valley è un posto bizzarro -una iperbole se la metti così- e perfino i brand del suo tabacco paiono rispecchiare questi standard, è per questo che le tue sono di “importazione” se così possiamo definire il fuggire di tanto in tanto fuori dalla Valle solo per fare rifornimento di tabacco No Name.
«Dai però!» La tua attenzione viene improvvisamente ricatapultata alla persona accanto a te, mentre curiosa guardi oltre le sue spalle, dentro il pacchetto che fissa entrambe completamente vuoto.
Ridacchi, quasi sarcastica, come se la tua risata non potesse trasmettere altra emozione mentre già pentendotene porgi quel tuo piccolo tesoro di “mondo esterno” alla persona alla tua destra.
«Grazie, davvero, è una giornataccia…» Da quello che puoi percepire non pensavi lo fosse, You profuma, non terribilmente, effetto profumo, ma di pulito, il che vuol dire che deve essere riuscita a farsi una doccia, una rarità per i ritardatari.
«Come mai?» chiedi, più per ingannare la noia che per cortesia, per quanto lapalissiano nella Uncanny Valley non succedono mai cose davvero eclatanti, almeno non a te, piccole stranezze terribilmente inquietanti -come il gatto con la bombetta che aveva cercato di pagare il biglietto per l’autobus appena qualche giorno fa- ma mai avvenimenti davvero significativi.
«Cazzo sei pure docciata.» You sospira, si stringe nelle spalle e accende la stecca di tabacco rollata a mano.
«Non lo so ho incontrato un tipo inquietante sul bus, era davvero… Terrificante.»
«Wow, perché è così starno non trovare gente per bene e perfettamente normale qui, che evento fuori dall’ordinario.» È più forte di te, il sarcasmo ti ristagna in bocca come una seconda lingua, denso e a volte anche acido.
«Stronza -Bofonchia You- dai smettila, credo mi abbia seguito fino a qui…» conclude guardandosi attorno snervata.
Non hai visto nessun’altro scendere ma non puoi esserne cento per cento sicura, la tua mente è ancora annebbiata e parecchio confusa dalle ore piccole e dagli psicofarmaci a stomaco vuoto.
«Non mi sembra di aver visto nessuno scendere con te.» Fai presente, consumando avidamente l’ultimo tiro della sigaretta morente.
«Davvero? oddio meglio.» Un po’ ti dispiace, per tutti e due, per You e per il poveretto che probabilmente tanto strano manco era ma che nel cervellino paranoico della tua collega doveva sicuramente essere apparso altamente disturbante.
«Eddai poveretto, magari era innocuo.» La sgridi infatti, gettando il mozzicone a terra e calpestandolo con la suola delle tue sneakers, osservando il cadavere della tua salute venire lentamente inglobato dall’asfalto, finendo nel loop indefinito di chissà quale realtà.
Ah le gioie della Uncanny Valley, almeno l’inquinamento qui non è un problema, strade deformi ma certamente pulite.
«Avresti dovuto vederlo, aveva gli occhi enormi e gialli, non li ha battuti nemmeno una volta da quando sono salita! e mi fissava, e oddio aveva così tanti denti in bocca.» You rabbrividisce visibilmente, attaccandosi alla sigaretta come se fosse un ciuccio per confortarsi.
A dirla tutta lo sconosciuto non sembrava nulla di inusuale per la Valle, magari un po’ destabilizzante ma nulla di preoccupante, insomma, non l’aveva ne approcciata ne molestata, tanto male non doveva essere.
«You non essere ipocrita, se ti sei accorta che non batteva le palpebre vuol dire che lo hai fissato pure tu per tutto il viaggio, magari lo hai addirittura spaventato.»
«Non capisci! S O R R I D E V A.» You scandisce le lettere una per una, come per far andare a segno il suo messaggio.
«Ancora peggio! poverino l’avrai messo in imbarazzo, sempre credere alle vittime ma ammettiamolo hai forti tendenze paranoiche, ti ricordi quella volta che mi hi chiamato piangendo perché credevi che i ladri volessero entrarti in casa?»
La tua interlocutrice avvampa e abbassa lo sguardo, gettandoti addosso una espressione imbarazzata che non fa altro che farti ridere.
«Avevi detto non ne avremmo più parlato…»
«Era un procione nella spazzatura, hai confuso dei ladri con un procione.»
You si sgonfia come un palloncino bucato, accasciandosi al muro della stazione di servizio.
«Si bhe se si ripresenta lo mando da te!»
Ridi, sempre con quella tua strana risatina brutta tanto simile a chiodi scossati.
«Il procione o il tipo del bus?» You ti tira uno schiaffo alla spalla, scuotendo il capo e gettando il mozzicone a sua volta.
«Dai su, sto con te per un’altra oretta, prendo il bus delle 13, giusto in caso qualche procione voglia attaccare bottone con te.»

E così effettivamente era stato, il procione/stramboide che ti aveva descritto You era venuto fuori chiamarsi John Doe, un ragazzino tra i venti e i trent’anni, non particolarmente alto ma -effettivamente- alquanto… destabilizzante, non sapevi aggrappare bene le mani sulla sensazione che ti aveva trasmesso quando con gli occhi a cuoricino ci aveva palesemente provato con la tua collega, solo per essere -gentilmente ma sicuramente in maniera definitiva- rifiutato.
Non sembrava malvagio però, magari non canonicamente appagante alla vista ma comunque un essere umano non da meno.
Non era nemmeno stato particolarmente insistente, se ne era semplicemente andato con la coda -o con tutta quella enorme matassa di capelli sarebbe stato meglio dire- tra le gambe, come un cucciolo bastonato, ed in un angolo gelido del tuo freddo cuoricino un po’ ti era dispiaciuto.
Ma un no è pur sempre un no, e l’altra parte dell’organo congelato che ti alberga nel petto era stata immensamente fiera di You che era stata in grado di parlare per se stessa e farsi valere.

In fine le tredici erano arrivate in fretta e con loro presto sarebbe giunto anche il tuo autobus, tempo di smantellare baracca e burattini, girarti un altro drum e salutare la tua collega.
Meglio così, ti sembra ti faccia tutto male, gli occhi ti bruciano e la testa ha incominciato a pulsarti, il caffe in circolo piano piano sempre meno efficace contro la crescente stanchezza che ti sta mangiando le ossa, non vedi l’ora di tornare a casa, nonostante la bacinella al centro della cucina e lo snervante Plip che produce di tanto in tanto. 
Hai giusto il tempo di uscire e raggiungere la fermata, i capelli crespi per l’aria della Valle, prima di notare una figura familiare appoggiata alla fermata.
John -se non ricordi male- se ne sta ricurvo seduto sulla panchina in metallo sotto la tettoia, lo sguardo perso ed un po’ triste.
Non hai una gran voglia di approcciarlo, consolarlo sembra un’idea compassionevole ma il tuo mal di testa e il tuo generale cattivo umore crescente sembrano frenarti.
Siedi nella panchina opposta lo stesso, troppo stanca per reggerti ulteriormente in piedi, il tipo del bus non sembra farci caso, ancora immerso in chissà quale pensiero, non sai come riesca a farlo ma quel sorriso inquietante ti sembra sempre più triste.
Accendi il tuo drum, portando l’accendino alla bocca e sfregando la rotella, premendo il regolatore del gas.
Lo sconosciuto grida, un urletto effemminato di almeno due ottave troppo alto per non essere doloroso alle tue orecchie, si ritrae sulla panca e ti fissa ad occhi sgranati, visibilmente terrorizzato.
Dire che il tuo cuore ti salta in gola è un eufemismo, le tue mani scattano prese da uno spasmo di paura lasciando cadere l’accendino a terra e bruciandoti il pollice in concomitanza.
«Cazzo!» gridi, portandoti il dito leso alle labbra, urtando la sigaretta nel processo e destinandola allo stesso destino dell’accendino ai tuoi piedi, l’asfalto sotto di te si apre in un istante, inghiottendo entrambi gli oggetti.
«Scusi non volevo spaventarla, ah… maledizione la mia paglia; davvero mi spiace.» te ne esci con una frase un po’ sconnessa, mezza scusa mezza imprecazione.
Ma non importa, mentre contempli l’asfalto china alla ricerca degli oggetti ormai perduti lo sconosciuto continua a fissarti, oddio non davvero sconosciuto, ma comunque.
«Non importa, solo, non l’aspettavo.» bofonchia, atono, senza che tu possa guardarlo in faccia intenta come sei.
«Sarebbe inquietante il contrario.» scherzi, forse un po’ troppo scortese.
«No! non in quel senso!» Si affretta infatti a precisare John, la solita espressione snervante sul viso in qualche modo ancora più inquieta.
«Ehi ehi tigre, tranquillo, era una battuta -lo rassicuri- Anzi, scusi, era un po’ cattiva.»
John tace, annuisce e abbassa il capo.
Sembra triste, molto.
«Mi spiace per la sigaretta -asserisce improvvisamente, di punto in bianco dopo un silenzio che sembra essere durato ore, uno di quelli che ti aspettavi sarebbe continuato per sempre, la chiusura di una conversazione di passaggio- non fumo non posso riparare al danno.» conclude, ancora intento a fissarti.
Adorabile, strano che ti fissi, ma comunque adorabile.
«Ah non si preoccupi, me ne posso fare un altra, ah no mannaggia l’accendino…» il tuo cervello fa la matematica della situazione per un attimo, contemplando l’idea di correre dentro alla stazione alle tue spalle ed arraffarne uno a caso prima che passi il bus, non è furto se poi te lo detraggono dalla paga no?
«Quello ce l’ho.» ti precede l’estraneo.
«Non fuma ma ha un accendino? Bizzarro.» ridacchi, il sorriso sulle labbra troppo dolce per dare davvero un peso alle tue parole.
John arrossisce e si tocca una ciocca ribelle di capelli nerissimi, avvinghiandola nervoso ad una delle… quattro dita? Weird…
«Era- Era per una amica, non…» sorridi, socchiudendo gli occhi falsamente inquisitori che gli hai lanciato.
«Battuta, di nuovo, grazie sarebbe molto gentile.» John si affretta a ficcare una mano nella tasca della felpa nera che indossa come un scialle e ne produce un accendino bizzarro, rosso sangue ricoperto di macchie più scure, sembra che si muovano nel tuo palmo aperto che gli hai offerto e su cui ha poggiato l’oggetto.
«Figo -complimenti- peccato si chiami Pietro suppongo.» scherzi, estraendo dal pacchetto di tabacco una delle sigarette “Da baratto” che ti eri già preparata.
John inclina la testa e ti guarda -sorridente- ma confuso.
«Gli accendini vanno nominati?» domanda, genuinamente stupito.
Non puoi fare a meno che ridacchiare, «No stella, Pietro torna in dietro, è una battuta, per le cose che vuoi non ti vengano fregate.» spieghi dolcemente, riporgendogli l’oggetto una volta adempiuto il suo dovere.
John lo guarda, prima l’oggetto poi la mano che glielo sta porgendo, risalendo lungo tutto il braccio con quel suo sguardo ridotto a spillo, pensoso.
«Veramente no… non si chiama Pietro» John alza lo sguardo un po’ imbarazzato, piantandolo nei tuoi occhi per solo qualche istante «Si chiama Carlo -inizia incerto- Carlo puoi tenerlo.» bofonchia pianissimo, come se incerto su ciò che sta dicendo.
La tua risposta sembra spaventarlo nuovamente, poi rassicurarlo mentre ad occhi più morbidi ti osserva ridere come una stupida, una di quelle risate brutte e sceme che ti vengono fuori solo se genuine, con qualche grugnito di tanto in tanto.
«Mi chiamo Alyssa comunque, Alyssa Rorschach, ma mi basta Lyssa.» ti presenti, porgendogli la mano libera dal drum.
Lo sconosciuto si affretta a stringerla, la mano innaturalmente bollente.
All’improvviso un suono statico ti penetra il cranio facendoti storcere leggermente il naso.
«Ma puoi chiamarmi John Doe.» termina, stringendo bizzarramente la tua mano nella sua.
«Piacere…» Mormori, il dolore dell’allucinazione uditiva appena avuta snervante e persistente, l’accendino ancora pesante nella tua mano.
In lontananza appare il tuo bus, appena dietro una collinetta alta abbastanza da nasconderlo quasi completamente.
«Prende questo?» Domandi, John ancora intento a fissarti, è starna come cosa ma non ti lascia addosso una sensazione spiacevole, è sorprendentemente sorpassabile come abitudine inquietante.
«Io- ah io non lo so…» Ti risponde, preso in contropiede, voltandosi verso la stazione di gas e fissando qualcosa di indefinito al suo interno.
«Bhe temo debba decidere in fretta, l’autista non è una donna molto paziente.»
Tu ti alzi per precauzione, giusto in caso la nerboruta che guida il 122 decida di tirare dritto solo perché non l’hai fermata, il mozzicone ormai consunto della tua sigaretta ancora tra le labbra, ne trai l’ultimo tiro possibile, percependo il sapore distinto della plastica bruciata del filtro, gettandolo a terra subito dopo, la faccia un po’ disgustata.
John è ancora seduto, di nuovo triste.
«No io… io credo resterò…» mormora, come un bambino piccolo molto triste per qualcosa che non puoi sapere.
«Okay Doe, come preferisce, è stato un piacere, grazie ancora per l’accendino.» inizi a congedarti, l’autobus nuovamente in vista rispuntato dietro l’asfalto bollente della Valle.
«AH! aspetta, tu- lei, lavora qui?» ti chiede di punto in bianco John, quasi afferrandoti un braccio ma ripensandoci e bloccandosi appena in tempo, la mano artigliata sospesa in aria.
«Si, il turno di notte, passi a trovarmi se vuole chiacchierare, si muore di noia lì dentro.» e detto ciò, lanciatogli un ultimo sorriso gentile ed un cenno con la mano mentre già stai salendo sul bus te ne vai.

«Lo farò…» mormora John dopo molti minuti, ormai distante dalle tue orecchie.



NdA: Precedentemente pubblicato sul mio vecchio profilo (Runaway tina o May non ricordo più) non mi aspetto qualcuno conosca questo strano fandom, io mi sono semplicemente innamorata di Doe e della sua stranezza.
Per quanto riguarda la storia invece non vi saranno particolari descrizioni della protagonista (Es: colore dei capelli/occhi, etnia, colore della pelle -a parte alcuni casi in cui ci si riferisce alla sua salute e viene descritta come “pallida” ma ovviamente non mi sto riferendo alla sua etnia e al colore della sua carnagione.- tuttavia Lyssa è un personaggio a se stante, con un suo vissuto e una sua storia alle spalle, Lyssa è una ex tossicodipendente, ai fini della storia è necessario tenere in mente che il suo fisico RISPECCHIA TALE STILE DI VITA.
Ultimo avvertimento bimb* bell*: NON abusate di sostanze stupefacenti, non è divertente, ti distrugge la vita, e se addirittura Alyssa è stata intelligente abbastanza da rendersene conto credo possano capirlo tutti.
<3 baci e abbracci 
Loony
   
 
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