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Autore: Loony_is_in_love    03/10/2023    0 recensioni
[John Doe]
Che Lyssa fosse nel giusto o nel torto, che ciò che era successo in Italia fosse stata effettivamente colpa sua non importava più a molto, e non perché ciò non avesse comportato un cadavere, ma perché Alyssa sarebbe morta lo stesso.
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[John Doe/NotYou!Oc]
Genere: Horror, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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La sveglia strilla, causandoti almeno due arresti cardiaci.
Devi cambiarla, devi farlo da due anni ormai ma i soldi per comprarne una nuova non sembrano mai arrivarti.
Ti saresti svegliata lo stesso anche senza l'ausilio di quell'aggeggio infernale dal momento che appena pochi istanti dopo il rumore del "divertimento speciale" dei tuoi vicini si rende improvvisamente manifesto, come ieri notte, allo stesso esatto orario.
Maledetti conigli.
Il display sul tuo comodino segna le 2:00 di notte, è vero che il tuo turno inizia alle 3:00 e che casa tua dista nemmeno un quarto d'ora di autobus dalla stazione ma ti piace fare le cose con calma.
Attivi la macchina del caffè, la treccia protettiva che ha -per l'appunto- protetto i tuoi capelli dalle tue pessime abitudini notturne giace sulla tua spalla agonizzante, mezza fatta mezza no.
indossi i vestiti della scorsa notte, e l'odore di chiuso è pesante all'interno del monolocale, tirare le finestre non ti farà male, tanto abiti in alto e la scala anti incendio non da direttamente sulla finestra della tua cucina.
La brezza della notte ti scarmiglia i capelli ulteriormente, sottraendo altre ciocche all'ormai rassegnata presa dell'elastico.
È un bel momento di pace, mentre attendi che la macchinetta del caffè spunti la lucina arancione e ti segnali si sia scaldata a sufficienza, è un vecchio rottame quella macchinetta, uno dei regali di nozze dei tuoi genitori, ma sa di casa e antico, una sensazione che nella Uncanny Valley ti manca da morire.

Ti lavi i denti e la faccia, attendendo la tua lentissima macchinetta del anteguerra, e proprio quando finisci di gettarti addosso gli indumenti del giorno, una semplice maglietta nera di una band e un paio di jeans slavati e strappati, la macchinetta del caffè fa Click e l'acqua smette di gorgogliare nel serbatoio, attacchi la cialda e pressi l'ancia al beccuccio, posizionando la tazzina sbeccata sotto l'imbuto in ferro.
Adori quando va tutto per il verso giusto.
È vero, ti piove ancora in casa -giusto devi anche ricordarti di svuotare la bacinella- ma per lo meno il tuo caffè sa di buono e l'aria della Valle quella notte non è poi così inusuale e bizzarra, è fresca è pungente, come a concederti un po' di respiro.
Ti faresti anche una doccia, ma è solo il secondo giorno e non hai voglia di asciugarti i capelli, li tieni legati proprio per non doverli lavare troppo spesso.
Ma sì, sei comunque meglio di You per lo meno -non che ciò ti consoli particolarmente- tu hai la decenza di mettere il deodorante -la maggior parte delle volte, ma questo lei non deve saperlo.-

Sì, va bene così, i sogni ficcati sotto al tappeto iniziano a marcire nella discarica delle tue speranze sepolte ma va bene così, una vita è pur sempre degna di essere vissuta ti ripeti, mentre sorseggi un caffè che sa di una casa ormai lontana, con le lacrime a rigarti le guance scavate.

____

Sono appena le 2:17 quando esci di casa, sigaretta in bocca e occhi gonfi di lacrime, l'aria fredda della Valle ti farà bene, ti asciugherà i sentieri umidi sulle guance e possibilmente ti rischiarerà anche i pensieri; non hai preso nessuna medicina oggi, a volte ti piace provare a saltarle, per vedere se effettivamente ce la puoi fare senza, è un atteggiamento stupido e ormai troppe volte ti sei riprovata che non ce la puoi fare eppure ti piace farlo; cammini nel confortante silenzio di un paio di cuffiette scariche, non ti da fastidio, ti piace la musica ma anche il silenzio ha il suo perché secondo te, il silenzio della Valle ha una musicalità tutta sua, inquieto e rassicurante allo stesso tempo.
Il silenzio della tua patria era denso e sensuale, una cacofonia di dichiarazioni mai dette, di istinti a cui si è ceduto, Alyssa, Lyssa.
Hai anche tu fatto parte di quel silenzio per la gloriosa durata di qualche ora, nella fuga dal tuo paese, istinto braccato e colto.

Le luci in lontananza dell'insegna luminosa sfarfallante della stazione ti accolgono nel loro abbraccio al vapore di mercurio, una sensazione familiare che ti permette di bearti della tua condizione di esistenza; non vola una mosca nell'aria statica, non un suono di macchina in lontananza; è una giornata come tutte le altre.
L'orologio digitale che si alterna lampeggiando al costo della benzina ti informa che sono appena le 2:36 pertanto rallenti il passo, cacciando le mani nella felpa e giocherellando col contenuto delle tue tasche.
Non vuoi avvicinarti troppo, Dio ti salvi se Meg riesce a vederti dalla vetrina, sai ti trascinerebbe dentro e ti staccherebbe le orecchie a suon di discorsi, gossip su gossip a non finire.
Preferisci la tranquillità della notte, il freddo della sera inoltrata.
Il tuo passo è rallentato talmente tanto che ormai sei ferma in mezzo al marciapiede, ponderi le tue opzioni valutando l'idea di tirare fuori il pacchetto di tabacco nuovamente, d'altronde la tua salute non è mai stato null'altro per te che un qualcosa con cui giocare.
Eri pronta a morire prima, lo sei anche ora, lo sei ancora per meglio dire.
Non importa a quanto ammonti il mucchietto di frasi motivazionali strappate giorno per giorno dal calendario "Self love" appeso al muro della tua cucina.
Giusto.
Oggi, come buffamente anche ieri, ti sei dimenticata di strappare la frase del giorno.
Secondo Strike, ti canticchi mentalmente.

L'accendino di John ti pesa nella mano guantata, la plastica è ancora stranamente calda contro le falangi scoperte, sensazione bislacca che inizialmente avevi dimesso con una scrollata di spalle e l'ipotesi che quel bizzarro calore indugiante altro non fosse che il rimanente tepore delle dita del suo ex possessore.
Ora però sono passate ore ed ore dall'ultima volta che lo sconosciuto l'ha toccato, eppure il calore gentile dell'oggetto vi era rimasto, immutato.
Scuoti la testa e ruoti le spalle indurite ed indolenzite dalla tua solita postura storta e sbilenca, inizia ad accusare il colpo delle medicine mancate, è sempre così, i primi a manifestarsi sono i pensieri in disordine, cose a cui non ha senso pensare che ti guizzano alla mente come ranocchie in uno stagno, troppo torbido per vederne il fondale, troppo basso per affondarvici.
Hai bisogno di fumare, ora, odi quando la tua testa inizia a disseminarti nel tuo stesso labirinto di pensieri.
Devi importi un obbiettivo, ripeti come ti ripeteva la tua psicologa, un obbiettivo facile e raggiungerlo, linea retta, no zig zag.
Prendi il tabacco, la cartina -sempre stupidamente ferma al centro del marciapiede- il filtro.
Hai tutto.
Avresti dovuto prendere le medicine, pensi, sarebbe stato tutto più facile se le avessi prese, almeno quelle per la concentrazione, scrolli le spalle, ficchi il filtro tra le labbra secche e cacci la mano in tasca per cercare il burro cacao.
L'inverno ti è arrivato alle spalle cogliendoti di sorpresa e le giornate si sono fatte improvvisamente fredde nella valle, non che lavorare il turno di notte aiuti, passi le prima ore di luce sotto le coperte con le tapparelle serrate e vestiti e calzini sulle lucine luminose delle spie di prese ed elettrodomestici, non hai davvero l'opportunità di goderti il bacio amorevole dei raggi solari sulla pelle.
Soffia un refilo di vento e la cartina che tieni tra le dita della mano sinistra si stropiccia, producendo un suono simpatico alle tue orecchie.
Vero devi rollare.
Questa volta ti spicci a farlo, cacci una quantità indefinita di tabacco nella valle della cartina e inizi a girarla frettolosamente, cercando come una stupida il filtro che tieni tra le labbra per una buona manciata di secondi.
A lavoro completo l'accendi, con lo stesso accendino con cui avevi giocato per tutto il tempo, ancora piacevolmente caldo.
Hai ancora le labbra secche.

Il tempo di accorgertene che alle tua spalle, a pochi centimetri dal marciapiede su cui stai ferma da almeno dieci minuti sfreccia la prima vettura di tutta la notte.
Il 122 sfreccia per la strada creando un vuoto d'aria che ti getta tutti i capelli in faccia, i fanali nella notte traballanti e indistinti.
Ferma alla fermata della stazione del gas, in lontananza riesci a sentire anche il suono degli ingranaggi delle porte che si aprono.
Dalla vettura non scende nessuno, ma in cuor tuo sai quello sia l’autobus che avrebbe dovuto portarti a lavoro.
Alzi pigramente gli occhi cerchiati di nero, e l’insegna verde fluo ti osserva di rimando informandoti amaramente siano già le 2 e 51.

Allunghi il primo passo dopo l'interminabile "pausa di riflessione" che ti sei concessa appena intravista la stazione, scricchiolando i sassolini dell'asfalto sotto le tue converse sporche.
È una giornata fredda, come d’altronde anche ieri, sì, l’inverno era decisamente alle porte e tu troppo presa dal sopravvivere non dovevi nemmeno essertene accorta.
Guardi ancora alla stazione, al suo interno riesci ad intravedere Meg aggirarsi per gli scaffali frettolosa ed indaffarata, ti piace meno di You ma è simpatica anche lei, molto espansiva ma gentile, calda osi dire.

Il mozzicone nelle tue mani protesta mentre aspiri l’ennesimo tiro, si accende e si contorce nelle tue dita; e tu sospiri ed esali, continuando la tua lenta processione al patibolo, hai evitato Meg già ieri, non puoi farlo anche oggi; per lo meno non dovrai fare il giro dal retro, puoi marciare nella stazione a testa alta e dall’entrata principale.

Sotto i tuoi piedi scricchiola l’inconfondibile suono della plastica calpestata, e il tuo proposito di sentire come sta Meg svanisce nel giro di due nanosecondi.
Da sotto la suola consunta ti osserva il viso perfetto di una delle tante donnine nude sulle riviste che vendete.
Le lunghe ciglia languide le coprono la maggior parte degli occhi affusolati, un lussuoso e studiato look che le adombra gli occhi.
Ti chiedi perché nascondere gli occhi, ti chiedi come ciò possa essere attraente.
Il contatto visivo non è sensuale?
Non capisci certe cose tu, non hai mai capito davvero come funziona il sesso e men che meno hai mai capito come funziona la sensualità.

Ti domandi come ci sia finita lì.
Ti chiedi se qualcuno la stia cercando ora, o se l’abbandonarla fosse stato un atto di vergogna.
Ti domandi come mai la valle non l’abbia inghiottita, come mai sia rimasta a riposare in attesa di un nuovo proprietario che non sarebbe mai arrivato.
Ti chini e la raccogli, perché non sai bene che altro fare e lasciarla lì, da sola, nuda, davanti a possibili occhi indiscreti ti sembra qualcosa di crudele.

Provi a gettarla nuovamente, aspettando la valle faccia il suo dovere, ma il giornaletto atterra solo di piatto, con un tonfo di carta e plastica; ti chini di nuovo, questa volta scartando il giornale e stropicciando entrambi a mani separate, getti a terra prima uno poi l’altro.
A questo giro l’asfalto si apre pigramente risucchiando i due oggetti e lasciandoti sola.

Ridi, e ti domandi se sia quello allora il comune denominatore della spazzatura, l’essere stata usata, scartata e stropicciata.
Ridi e tiri un calcio all’asfalto, perché ti va o forse solo perché il senso di rabbia che ti è cresciuto nel petto ha bisogno di uno sfogo e non ti viene in mente null’altro.
Ne tiri un altro ed un altro ancora; non importa perché tu lo stia facendo.
Ti importa solo la sensazione di tristezza che ti dilania l’anima.

Mentre calci l’asfalto, proprio lì, nella periferia del tuo sguardo offuscato dalle lacrime cogli una macchia indistinta muoversi.
Ti fermi e guardi, con le labbra socchiuse e gli occhi gonfi; e il naso rosso e il mascara un disastro, ti fermi e guardi, ti sembra sia sparito qualcuno dietro la macchinetta automatica delle bevande; non ti importa che qualcuno assista al tuo mental break down, non ti interessa nemmeno quello possa essere un futuro cliente ormai perduto.
Non ti importa nulla.
Strusci il viso sulla manica della felpa, tirando su col naso e singhiozzando gli ultimi gemiti addolorati che ti raspano in petto alla ricerca della libertà.

Sei rotta, scartata e stropicciata.
Usata.

E non capisci come mai il pavimento della Uncanny Valley non apra le sue fauci sotto di te inghiottendoti per sempre.
   
 
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