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Autore: Europa91    03/10/2023    1 recensioni
[Gojo x Sukuna]
[Yuji x Megumi]
[past Michizane x Sukuna][past Gojo x Geto]
“Forse potrà sembrarti una specie di favola, ma non lo sarà. Questa notte ti narrerò dello stregone più potente della storia e di come il suo destino abbia finito con l’intersecarsi con quello dello stregone più forte della nostra epoca”
Sei anni dopo la battaglia avvenuta a Shinjuku, Yuta Okkotsu ripercorre gli eventi del passato, convertendo una tragedia in storia della buonanotte.
[Spoiler per chi segue solo l’anime]
Questa storia partecipa al Writober 2023 di Fanwriter.it
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, Geto Suguru, Gojo Satoru, Okkotsu Yuta, Ryōmen Sukuna
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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III notte - The Ancestor







prompt: Vecchio
 
“Anche gli dei e i geni a volte perdono la strada”
proverbio cinese






Giappone
- Periodo Heian -




Sugawara no Michizane visse in un’epoca in cui stregoni erano venerati e rispettati al pari di divinità. Ebbe la fortuna di nascere in una delle numerose famiglie affiliate al Clan Gojo che in quegli anni stava acquistando, insieme ai Kamo e agli Zenin, sempre maggior influenza e potere.

Sin dall’infanzia venne istruito all’uso delle arti occulte e il suo talento non faticò ad emergere. A soli sei anni, il piccolo Michizane era in grado di esorcizzare maledizioni di secondo livello. Era da oltre un secolo che non nasceva un simile talento e ciò contribuì ad attirare l’attenzione della famiglia Gojo. A sette anni, venne promesso alla figlia del capo Clan, che avrebbe incontrato e sposato una volta raggiunta la maggiore età.

Ad un'occhiata esterna la vita di Michizane poteva sembrare perfetta, aveva tutto ciò che si potesse desiderare e nessuna preoccupazione. Gli dei lo avevano benedetto con molti doni, doveva solo che esserne grato.

In realtà quello che Michizane segretamente anelava era scappare, fuggire il più lontano possibile da quel mondo così falso, costruito e opportunista. Si sentiva come un prigioniero nella sua stessa pelle, obbligato a recitare un copione già scritto, a vivere un’esistenza che qualcuno aveva già stabilito per lui.

Quando per la prima volta udì del proprio fidanzamento si arrabbiò molto, perché nessuno aveva avuto l’ardire di chiedere la sua opinione. Ricordò di come suo padre lo avesse guardato e forse per la prima volta sorriso,

“Ѐ un grande onore” erano state le sole parole che gli aveva rivolto in quell’occasione, soffocando così qualsiasi protesta che avrebbe potuto nascere sulle sue labbra. Più di una volta il giovane Michizane si era scontrato con l’autorità paterna ma su quella questione capì che non sarebbe servito. La decisione era già stata presa.

Era un onore. Doveva ritenersi fortunato. Sarebbe entrato a far parte del ramo principale della famiglia Gojo. Comprese in quel momento di come quella libertà che tanto aveva bramato fosse destinata a rimanere un'utopia irrealizzabile.

In realtà, Michizane non era nemmeno certo di voler diventare uno stregone, semplicemente non aveva avuto modo di conoscere altro. Ogni suo passo era già stato deciso, così come ogni suo battito o respiro. Avrebbe sposato una sconosciuta e si sarebbe trasferito con lei nella nuova capitale. Avrebbe lavorato al servizio dell’imperatore ed esorcizzato qualsiasi maledizione avesse incontrato sulla propria strada. Doveva solo limitarsi a percorrere un sentiero luminoso, il cui solco era già stato tracciato.

Vista l’impossibilità di cambiare il proprio destino, Michizane decise di dedicarsi completamente allo studio delle arti occulte, arrivando in poco tempo a padroneggiare una delle tecniche segrete della famiglia Gojo che lui stesso aveva rinominato del minimo infinito. Grazie ad essa, Sugawara riusciva a rallentare la velocità degli oggetti in modo che non potessero mai arrivare a toccarlo. Più avanti, nel corso dei secoli successivi, qualcuno avrebbe spiegato di come questa tecnica agisse a livello atomico ma a quel tempo veniva semplicemente vista come un’abilità di livello superiore così come il suo utilizzatore.

Era divertente ma anche stancante e l’uso prolungato richiedeva un grande dispendio di energie. Ancora una volta gli dei avevano benedetto Michizane con una quantità pressoché illimitata di energia malefica. Per questo motivo il ragazzo poteva mantenere la propria tecnica attiva per giorni interi senza subirne gli effetti. 

Iniziò ad essere riconosciuto come uno dei più grandi stregoni di quell’epoca. L’ennesimo titolo che Michizane non aveva richiesto e che fu percepito come un ulteriore ostacolo alla propria libertà.

Qualche tempo dopo, nella primavera dei suoi quattordici anni venne celebrato il suo matrimonio.

Nobukiko aveva un paio di anni in meno di lui. La prima volta che Michizane la vide si trovava sotto un pruno intenta ad osservarne i colori. Le foglie di quell’albero erano rosse come un cielo al tramonto e creavano dei bellissimi giochi di ombre sul suo viso. Gli ricordò una bambola, tanto era piccola e perfetta. La salutò con un cenno della mano a cui lei non rispose abbassando il capo ed arrossendo. Michizane avrebbe scoperto solo molti anni dopo di come lei fosse rimasta colpita dal suo aspetto e si fosse innamorata all’istante del futuro marito.

La cerimonia fu lunga e sontuosa, d’altra parte Nobukiko era l’amata primogenita del Capo Clan. Vi parteciparono molti aristocratici e membri delle famiglie più importanti che prima di allora Sugawara non aveva mai incontrato.

“Ti stai annoiando?” domandò il giovane stregone alla moglie non appena furono al riparo da occhi ed orecchie indiscreti. Lei scosse il capo imbarazzata. Michizane lo prese come un invito a continuare. Era la loro prima, vera conversazione. Pensò che fosse importante andare d’accordo visto che avrebbero trascorso insieme il resto delle proprie vite.

“Beh io si, non vedo l’ora che questa pagliacciata finisca”

“Sugawara-san vi prego” era la prima volta che udiva il suono della sua voce. Non se ne stupì. Era dolce come se l’era immaginata.

“Noi non ci conosciamo nemmeno eppure da oggi siamo sposati” iniziò con fare ovvio

“Per me è un grande onore avere come marito uno stregone potente come Sugawara-san”

“Michizane”

“Come?”

“Ѐ il mio nome. Puoi chiamarmi Michizane, non lo fa mai nessuno, penso che almeno a mia moglie questo diritto sia concesso no?” lei gli sorrise divertita,

“E io posso chiamarti Nobu?” continuò facendosi più vicino. La ragazza avvampò presa in contropiede da tutta quell’intraprendenza. Annuì per l’ennesima volta, prima di prendersi il viso con entrambe le mani per nascondere il rossore che aveva preso a tingerle le guance.

“Se lo desideri” aggiunse con un filo di voce.

Michizane la trovò incantevole.


***


Quegli anni trascorsi con Nobu sarebbero per sempre rimasti un bellissimo e dolce ricordo. Quasi un sogno dal quale troppo presto si sarebbe dovuto risvegliare.

Takami il loro primogenito nacque in una mattina d’estate, un anno dopo fu il turno di Yasuko una bellissima bambina che aveva ereditato il colore dei suoi occhi. Gli dei del destino però come invidiosi di quella felicità trovarono presto un modo per distruggerla. La terza gravidanza di Nobu fu difficile e diversa dalle precedenti. Il bambino nacque prematuro di diverse settimane e lei morì di febbre senza mai aver ripreso conoscenza.

Quella tragedia portò Michizane ad un passo dalla follia. Lo stregone più potente del Clan Gojo rispose al dolore a modo suo, iniziando a condurre una vita dissoluta, trascorrendo le proprie giornate spostandosi da una sala del piacere all’altra. I suoi figli vennero sottratti alla sua custodia per essere allevati dal suocero che ben presto, stanco di questi comportamenti arrivò a diseredarlo ed allontanarlo dal Clan.

Per un pò Michizane si convinse che quella fosse la giusta punizione per i propri peccati. Non aveva saputo apprezzare la propria fortuna ed aveva finito col perdere ogni cosa. Ripensò alla povera Nobu e si domandò se mai l’avesse mai resa in qualche modo felice. Aveva ottenuto quella libertà che aveva sempre inseguito ma l’aveva pagata a caro prezzo. 

Trascorse più di dieci anni vivendo in quel modo. Senza morale, guidato solo dai propri più bassi istinti. Grazie alle proprie abilità unite ad un sapiente uso della tecnica dell’inversione, lo scorrere del tempo sembrò non intaccare i lineamenti del suo viso, arrivando, nonostante avesse ormai superato i quarant’anni a dimostrarne la metà.

Fu in questo periodo che incontrò Hina. Era una giovane prostituta molto più giovane di lui. Trascorsero insieme solo un paio di stagioni che tuttavia portarono alla nascita di un bambino a cui venne dato il nome di Yamato, come il Paese tanto amato e odiato da Michizane.

Quando il leader del Clan Gojo lo venne a sapere obbligò Sugawara a presenziare al suo cospetto. Aveva sempre chiuso un occhio sugli atteggiamenti assunti del genero ma questa volta Sugawara si era spinto decisamente troppo oltre.

“Hai infangato la memoria di mia figlia” furono le parole con le quali lo accolse,

“Nobukiko è morta da più di dieci anni”

“E non pensi ai tuoi figli? Questo tuo comportamento reca onta anche a loro” Fu allora che Michizane si accorse per la prima volta di un terzo ragazzino, nascosto dietro il kimono di un servitore. La cosa che maggiormente lo colpì fu il suo sguardo.

“Atsuhige, vieni” lo chiamò il Capo Clan. Il bambino fece un paio di passi in avanti.

“Sugawara ti presento tuo figlio” Michizane era senza parole, aveva sempre pensato che il terzogenito fosse morto insieme alla moglie. Fu tuttavia un particolare a catalizzare la sua attenzione,

“Ma quello…”

“Possiede il sesto occhio, d’altronde è una capacità innata della famiglia Gojo. Atsuhige è destinato a diventare un grande stregone”

“E tu vuoi diventarlo?” Michizane si rivolse direttamente al figlio, facendolo spaventare e provocando nei presenti forti bisbigli di disappunto. Era l’ennesima mancanza di rispetto verso quella famiglia. Discorrere con un bambino di fronte al capo del Clan era contro le regole.

“Sarebbe un onore servire questa famiglia” Sugawara sorrise. Rivide per qualche istante sé stesso e la propria incapacità di opporsi a quella volontà che aveva finito per controllare tutta la sua vita. 

“Posso trascorrere del tempo con i miei figli? Poi me ne andrò. Non recherò più alcun disonore a questo Clan. Nutrirò sempre un profondo rispetto verso di voi. Sarò sempre grato alla famiglia Gojo per avermi accolto” L’anziano si trovò ad annuire di fronte a quell’insolita richiesta, facendosi da parte in modo che lo stregone potesse confrontarsi con i propri figli.

Nonostante tutto aveva sempre rispettato Sugawara, era stato un buon marito per sua figlia oltre che uno stregone eccezionale.

“Takami sei quasi un uomo” mormorò in direzione del primogenito che tuttavia non rispose. Michizane se lo era aspettato, in fondo per quei ragazzi lui non era altro che un estraneo, un fantasma del loro passato venuto a disturbare il loro presente.

“Yasuko somigli molto a tua madre” la figlia gli regalò un sorriso incerto, simile ma allo stesso tempo diverso da quello di Nobu.

“Mi dicono spesso il contrario” gli rispose divertita.

“Hai i miei occhi ma spero tu abbia ereditato solo quello” ammise grattandosi la testa,

“Abbiamo tutti una grande quantità di energia malefica” intervenne il giovane Atsuhige, 

“Allora diventerete dei grandi stregoni”

"Perché te ne sei andato?” Takami finalmente si era deciso a rivolgergli la parola. La rabbia che Michizane lesse nel suo sguardo e in quel tono di voce era giustificata. Erano solo dei bambini quando li aveva abbandonati. Non avrebbe giocato a fare il bravo genitore, ne aveva perso ogni diritto.

“Non sono stato in grado di occuparmi di voi, anzi forse è più corretto dire che a quel tempo non ero nemmeno capace di badare a me stesso. La morte di Nobu è stata difficile da accettare”

“È vero che hai avuto un figlio da una prostituta?” Takami non lo lasciò finire, vomitando quelle parole intrise di rabbia e risentimento verso un uomo del quale aveva così tanto sentito parlare ma che in fondo non conosceva

“Si, ma non sono tenuto a giustificarmi con voi. Quel bambino non avrà nulla a che fare con la famiglia Gojo o con la vostra eredità”

“Eri lo stregone più grande” mormorò con una punta di tristezza. Gli avevano sempre narrato di suo padre, esaltandone le doti. L’uomo che Takami aveva di fronte sembrava solo un’immagine sbiadita di quei racconti. Non vi era nulla di degno nel suo comportamento. Sugawara Michizane non era un Dio ma un semplice essere umano.

“Lo sono ancora”

"Perché allora hai smesso di servire l’imperatore? Hai voltato le spalle al tuo stesso Clan” lo accusò 

“Ho semplicemente deciso quali battaglie valesse la pena combattere, sei ancora così giovane Takami”

“Sei solo un codardo” 

Michizane non rispose, salutò i figli e lasciò quella dimora che per lungo tempo non era stata altro che una prigione. Takami aveva ragione, forse stava semplicemente scappando ma con la morte di Nobu non era rimasto più nulla a tenerlo ancorato a quella vita. Era uno stregone molto potente e grazie a questo aveva acquisito quella libertà che gli permetteva di poter decidere cosa fare della propria vita. 

I Gojo avrebbero lasciato correre, aveva dato loro tre figli che avrebbero portato avanti il nome del Clan. Tutto ciò che Michizane desiderava era condurre il resto della propria esistenza in pace.

Trascorse diversi anni vagabondando di città in città, quando all’improvviso la sua strada andò ad incrociarsi con quella di un curioso ragazzino dai capelli candidi come la neve. 

La prima cosa che attirò l’attenzione di Michizane fu il suo sguardo, non aveva mai visto occhi di quel colore. Quelle iridi possedevano delle sfumature incredibili che per un istante gli riportarono alla mente le foglie di un pruno, lo stesso albero sotto il quale si trovava Nobu in quella mattina di primavera.

Hai degli occhi bellissimi. Mi ricordano un cielo al tramonto” fu la sola cosa che riuscì a dire incantato da quello sguardo deciso che non sembrava volergli dare tregua.

Michizane si stupì di sé stesso e del proprio desiderio di aiutare quel ragazzino sventurato che dimostrava ad occhio e croce la stessa età del suo ultimogenito. Era da tempo che non capitava di incontrare qualcuno in grado di tenergli testa o che non fosse intimorito dal suo rango o posizione. 

Quella piccola calamità naturale era entrata con forza nella sua vita, portando una ventata di novità che da tempo mancava. Fu come tornare a respirare dopo un lungo periodo trascorso in apnea.

Un’idea iniziò a farsi largo nella mente di Michizane una volta appreso di come anche quel ragazzino potesse vedere le maledizioni. Lo avrebbe testato, messo alla prova e poi obbligato a diventare suo allievo.

Sarebbe stato divertente tramandare le proprie tecniche. Aveva appreso da alcuni servitori di come Takami e Atsuhige fossero ormai diventati abili stregoni. Michizane non aveva potuto insegnare nulla ai propri figli, quello sarebbe rimasto uno dei suoi più grandi rimpianti, anche se forse era meglio così. Non sarebbe mai potuto essere un buon padre né per loro né per il figlio di Hina che aveva abbandonato ancora in fasce insieme alla madre. Esorcizzare maledizioni sembrava il suo unico talento e al tempo stesso una condanna. 

Si ricordò di un vecchio proverbio cinese che aveva udito durante uno dei suoi numerosi viaggi: 

Anche gli dei e i geni a volte perdono la strada”

Era quello che era successo a lui. Le proprie abilità lo avevano reso in qualche modo cieco, arrogante, portandolo a sfidare il proprio Clan nella convinzione di essere nel giusto. Come se il dolore bastasse a giustificare le proprie decisioni. Michizane si era comportato da egoista, pensando solo a sé stesso e concentrandosi sulla propria sofferenza. Non era il solo ad aver perso una moglie. Nobu era anche una figlia, una madre, ma lui non era stato in grado di vederlo.

Si era comportato come un ragazzino immaturo e viziato finendo con il perdere ogni cosa. Dalla propria posizione, al rispetto dei suoi stessi figli per i quali non era altro che un estraneo. Prendere le distanze da quella vita e dal proprio Clan gli era sembrata la decisione migliore. Un modo per ricominciare. 

Nelle settimane successive, quegli occhi scarlatti tornarono a tormentarlo. Così come il ricordo di Nobu e di quella stagione, la più felice della propria esistenza.

Tra le varie abilità di Michizane vi era anche la preveggenza. Capitava spesso che nei propri sogni, lo stregone vedesse dei piccoli spiragli di futuro e ultimamente tutte quelle visioni avevano un solo protagonista, il giovane Ryoma. Forse era stato il destino a mettere quel ragazzino sulla sua strada.

“Vieni con me disgraziato-kun, ti farò diventare uno stregone”


***


“Quello fu l’inizio di tutto. Fu il leggendario Michizane Sugawara ad introdurre Sukuna nel mondo delle arti occulte” 

Yuta fece una pausa, osservando il volto addormentato di Sayuri e concedendosi un lungo respiro di sollievo. L’idea di partire dal principio a narrare quella storia gli aveva evitato, almeno per quella notte, di rispondere a domande più pericolose. 

Era incredibile come la storia dipingesse a proprio piacimento certi avvenimenti arrivando con il plasmarli a seconda i propri desideri. Il ritratto che aveva lasciato di Michizane era quello di un grande stregone ma nessuno era a conoscenza di quel suo lato più fragile e umano che lo aveva spinto, dopo la morte della moglie, ad un passo dall’abisso. Allo stesso modo, Sukuna veniva descritto come una calamità priva di sentimenti. In realtà anche Re delle maledizioni sapeva amare e sarebbe stata proprio quell’emozione a determinare il fato di entrambi. 







  
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