capitolo I
GIOCHI
DI OMBRE
La
tormenta era oramai propria della notte. Come un canto lontano, aveva iniziato
col suo lento echeggiare tra i rami degli alberi fino a risalire alle pendici
della scogliera.
Al tramonto, il cremisi e l’oro di
spauriti raggi invernali avevano lasciato il posto all’argento e all’avorio di
plumbee nubi che si erano ammassate sotto la volta. Dal cielo minaccioso erano
iniziati a cadere grossi e soffici fiocchi di neve e gli abitanti di Aberdeen
si erano preparati ad una bufera, l’ennesimo consueto stormire di voci che
avrebbe ridondato dalla spiaggia fino alla valle.
Alle dieci di sera, da nord un vento
glaciale aveva cominciato a soffiare con un impeto tale che pareva esser sceso
dai ghiacciai della fredda calotta fischiando, sibilando e spazzando le pendici
boscose. A poco a poco, i fiocchi di neve si erano fatti sempre più piccoli e
copiosi fino a divenire minuti, e come manciate di rena provenienti dalla landa
costeggiante il mar del nord, avevano risuonato sospinti dal vento contro le
finestre del castello.
Dall'alto
di una scogliera a nord della città, il castello pareva troneggiare il
paesaggio come un fiero condottiero a difesa del suo popolo. Le sue torri si
stagliavano al cielo come superbi gendarmi a difesa di un maniero incantato e
dei suoi leggendari segreti.
Un fitto alone di mistero avvolgeva il
castello e giorno per giorno, gli abitanti credevano sempre più che nella torre
più a nord, tra le braccia del vento e del mare, trovava alloggio una mistica e
triste principessa il cui pianto si confondeva con la risacca e il triste
stormire.
Un'antica
leggenda narrava che sul finire del XIII secolo, il castello fosse abitato da
una bellissima dama data in matrimonio di convenienza ad un nobile straniero,
tanto avido quanto spietato. Ma costei era profondamente innamorata di un
impavido pirata che per il solo udire il suo melodioso canto aveva più volte
sfidato gli impeti di quelle onde che inesorabili e implacabili si inseguivano
fin sopra la rena. Allorché il corpo senza vita del promesso sposo fu
misteriosamente ritrovato, i sospetti caddero sul romantico pirata già
apprezzato dagli abitanti del villaggio per la sua storia d’amore con la bella
dama. Così, senza neppure attendere il giudizio di un tribunale, il pirata
cadde in un’imboscata ordita dal padre della dama, venne catturato e
giustiziato in piazza.
Alla dama innamorata non rimase che il
suo corpo privo di vita ed una tomba sulla quale versare fiumi di lacrime e
lasciarsi soffocare dal dolore.
Memori della
leggenda, si sussurrava che nella notte tra la domenica e il lunedì, qualcuno
scendesse dal castello avvolgendo il proprio aspetto nella cupa notte e si
recasse al piccolo cimitero degli Heatrow.
I passi e i sospiri echeggiavano tra
le ordinate croci del piccolo cimitero dietro la chiesa lambita dalla spiaggia,
e qualcuno confessava di aver udito i melanconici lamenti dei due amanti
accompagnati dal brusio del vento e dal profumo della marina.
E
quella notte, nel gelo di un'improvvisa bufera di fine inverno, la leggenda
pareva ripetersi. Qualcuno scese dalla
torre che si affacciava sulla marina ai piedi della rupe percorrendo
silenziosamente il cortile del castello, fino a raggiungere una porta di
servizio di una rimessa attigua al muro di cinta.
L'ombra scura,
velata di un lungo mantello, spostò le iridi a destra e manca con fare
guardingo in cerca di una minima presenza che potesse in qualche modo
ostacolare il suo cammino. Ma udì solo il sibilo del vento frusciare tra gli
alberi del giardino e i torrioni del castello.
Accertatasi di esser sola, l’inconsueta
figura aprì la porta della stanza interna al cortile e la rinchiuse alle spalle
silenziosamente. Con l'acuta vista di un felino, si destreggiò abilmente nel
buio della rimessa avvicinandosi ad una vecchio mobile che spostò con forza,
scoprendo un nudo muro di mattoni: si avvicinò alla parete e allungò le dita su
un mattone sporgente premendolo verso l’interno. Dopo qualche istante di
silenzio, s'udì l'eco stridulo di un vecchio ma efficiente ingranaggio che
apriva un passaggio segreto.
Senza guardarsi alle spalle, si
accovacciò sulle gambe e procedendo a carponi varcò lo stretto tunnel
illuminandolo con una torcia a pile. La fioca luce si distese prima sulle
fredde e umide pareti per poi lambire i gradini di una scala che discendeva
verso il basso. Percorse con sicurezza la lunga scalinata resa viscida
dall'umidità e dalla salsedine e si ritrovò di fronte ad un bivio imboccando la
retta via senza alcuna esitazione. Man mano che la scala si snodava verso il
basso, la temperatura all’interno del tunnel segreto calava sensibilmente
Alla fine della scalinata, si ritrovò di fronte ad un’altra parete priva di cunicoli e uscite, e com’era già avvenuto, premette contro un mattone sporgente che aprì una nuova uscita velata da una fitta vegetazione.
Arrestò il passo rabbrividendo per il freddo pungente. Non
nevicava più ma l'aria era estremamente pungente. Oltre le siepi, maestoso e
scuro s'apriva il mare. Si portò le mani al volto freddo consapevole della rigida
temperatura. Si strinse nel mantello sentendo l'alito gelido della marina
sovrastata dalla tormenta invernale. Qualche lampione lungo la costa
lampeggiava fievolmente la notte fonda. Le nuvole incedevano velocemente in
cielo sospinte dal vento creando tetre ombre sulle onde che si inseguivano tra
spauriti bagliori di una luna argentata.
L'ombra si incamminò verso un cancello
malmesso e visibilmente corroso dalla salsedine. Lo aprì e quel movimento fu
accompagnato da un lento stridulo. Senza arrestare il passo, sicura del suo
incedere giunse dinanzi una lapide e rimase ferma per qualche istante.
Accompagnata dagli echi della notte, si inginocchiò dinanzi la tomba e giunse
le mani in preghiera.
L'iscrizione sulla lastra di marmo
riportava il nome di Alexandra Reynolds Heatrow, contessa di Aberdeen, la sua
data di nascita e quella di morte.
…e come nell’antica leggenda, l'ombra
era scesa nella cupa notte per pregare per la persona cara oramai perduta.
Un
tuono echeggiò nella tormenta ed un lampo illuminò il cielo bianco. Il fragore
fu tale che timorosa d'esser scoperta, l'ombra drizzò in piedi per andar via.
Il vento sibilava sempre più forte tra le fronde degli alberi del cimitero. Le
alte cime degli abeti si piegavano al suo ridondante ululare, avvolte dalle
gelide folate. S'udiva solo l'echeggiare della tormenta e lo strepito dei tuoni
squarciare la volta. Con lo sguardo assorto verso la lapide, sentì
un’improvvisa presa sul braccio e sussultò a quel contatto inatteso. Il sangue
si ghiacciò nelle vene e per un attimo temette che il cuore potesse arrestare
il suo battito all’inatteso contatto.
Con un gesto rapido dettato più dal
timore che dal coraggio, tentò di liberarsi dalla stretta morsa. Anche il
minimo sibilo sembrava esser soffocato in gola. Indietreggiò impaurita cadendo
malamente sul terreno freddo. Il vento nemico sospinse il cappuccio del
mantello sulle spalle rivelando il volto celato dalle ombre della notte.
-
Aspetta! non voglio farti del male. Voglio solo
parlarti! – strepitò la voce cercando di stabilire un primo contatto. Vide
quell’ombra indietreggiare e celermente levarsi in piedi. Senza attendere
oltre, si risistemò il cappuccio sul capo e iniziò la corsa verso il cancello,
verso quella via di fuga tanto agognata.
-
Aspettaaaaaaaaa! Ahhhh – berciò lasciando che il suo
grido di dolore volasse nell’aria. Un ferro malmesso del cancelletto gli lacerò
i pantaloni. Avvertì qualcosa di acuminato fendere in profondità la coscia e un
bruciore imminente accompagnato dall’odore ferroso del sangue che sgorgava.
Il fiato era sempre più corto e il suo ansimare ritmava inseguito dal cuore. Il sangue aveva ripreso a fluire veloce e lo sentiva come un torrente in piena che celermente si snodava sotto pelle. Il vento sferzava la sagoma scura come una frusta, ma nel timore della cattura, continuò a correre incessantemente fino a che non cadde sulla fredda rena ostacolata da rami secchi trascinati dalla tempesta. Si voltò sgomenta e impaurita sentendo la vicinanza dello straniero.
Erano di nuovo uno vicino all’altro.
Avvertiva il suo fiato, il respiro reso affannoso dalla corsa, poteva
distinguerne l’ombra imponente ergersi accanto alla sua.
Un fulmine
cadde in mare illuminando i tratti del dolorante volto dello sconosciuto. Il
frastuono del tuono coprì il suo grido di dolore. Accasciandosi leggermente,
lasciò che le mani lambissero la ferita cercando di attenuare il dolore e
l’emorragia. Il viso era una maschera contrita di timore e sofferenza che ne
offuscavano i tratti gentili e piacevoli.
-
Aiutami! ti prego...- sibilò chinandosi sulla sabbia. Le
forze lo stavano palesemente abbandonando e in pochi attimi, senza il
necessario soccorso, avrebbero dato luogo ad una sicura perdita dei sensi.
L'ombra
avvertì quasi il sudore freddo che imperlava la fronte dello sconosciuto e il
suo dolore profondo. Arrestò il passo come colpita da quella sua evidente
vulnerabilità: erano a pochi passi l'uno dall'altro. Un altro lampo illuminò l'oscurità
e il volto angustiato dello straniero.
Non mentiva. Gli indumenti erano
palesemente lacerati e parve poter avvertire l'odore acre del sangue profondere
dalla lacerazione.
Non poteva fermarsi. Non in quel
momento. Qualcuno avrebbe potuto notare la sua presenza. E poi cosa sarebbe
successo se qualcuno avesse visto la sua ombra aggirarsi sulla spiaggia? Non
quella notte.
E se quell’incontro inatteso fosse
stato un segno del destino? Non era mai accaduta una cosa simile. Qualcuno, in
quel preciso momento, su una landa battuta da una tormenta invernale, implorava
disperato il suo aiuto.
Un tuono squarciò il buio dividendo il
cielo in due. L'ombra parve stagliarsi in tutta la sua autoritaria grandezza
nel buio. Lo sconosciuto lo rimirava con gli occhi annebbiati dalla sabbia e
dal dolore. Ma nell'eco della tormenta parve udire ancora il suo lamento. Si
avvicinò ancora. Lo guardava mentre in preda al dolore si contorceva in
lancinanti fitte. Non era una trappola. Non era lì per un adescamento.
E anche se lo fosse stato? Qualsiasi
cosa avesse fatto quella notte, andar via o prestare soccorso all’insolito
ferito, la sua vita sarebbe cambiata.
Senza pensarci ancora, lasciò che le sue gambe si flettessero e si
inginocchiassero accanto al corpo tormentato dell’uomo. Lo sconosciuto si
accorse della sua presenza e quasi a voler ringraziare l’ombra di quel suo
insperato aiuto, si voltò per delinearne i tratti del volto e ringraziarla con
un sorriso timidamente accennato sulle labbra.
L’ombra
allungò la mano verso il volto dell’uomo e puntò il dito sulle sue labbra
invitandolo al silenzio. Il cappuccio basso del mantello ne copriva il volto al
punto tale da non rendere identificabili i lineamenti del viso ma il ferito
ebbe come l’impressione che quel primo tocco gli avesse donato un benefico
sollievo. Strappò un lembo del suo mantello e strinse la striscia ben sopra la
ferita per arrestarne l'emorragia. Non avrebbe potuto fare di più. Lo guardò
con espressione risoluta. Il cielo si illuminò e lo sconosciuto ne distinse
meglio il volto.
I suoi occhi si sgranarono come se
avesse veduto un fantasma! Sentì il cuore balzargli in gola e la voce morire
sul nascere. Il battito aumentò il suo ritmo vistosamente e accusò delle fitte
in petto tanto dolenti quanto la ferita alla gamba.
Una voce in lontananza li destò.
Ultimata la fasciatura, l'ombra gli tese la mano e lo aiutò ad alzarsi. Senza
attendere alcun commento, lo prese sottobraccio e ansimanti procedettero
pesantemente verso la boscaglia al limite della spiaggia che celava il
passaggio segreto.
Sentiva lo sguardo dello straniero
scrutarla profondamente, ma in quel preciso istante, più di ogni altro, non
poteva permettersi leggerezze di alcun genere. Facendo leva su una forza
sconosciuta e sul desiderio di mettersi al riparo, incedette a passo lesto
sulla rena umida fino a raggiungere i primi alberi alle pendici della scogliera
sulla quale maestoso troneggiava il castello.
Appoggiò il
ferito contro un albero dall’ampio tronco e velocemente aprì il varco dal quale
soleva uscire. Lo riprese sottobraccio e non appena furono all’interno, lo
richiuse alle sue spalle.
Il silenzio
delle gelide mura era paradossalmente assordante. Il gocciolio discontinuo di
acque salmastre sui mattoni echeggiava tetro nelle piccole polle sul pavimento. Lo sconosciuto fu percorso da un brivido di
timore. Udì alcuni passi muoversi sul pavimento sicuri. Il suo compagno di
avventura si stava prodigando per illuminare l’ambiente. Dopo pochi istanti,
accese la torcia badando bene a tenerla
bassa nel tentativo di occultare il proprio volto. Afferrando la torcia
per una mano e il braccio del ferito con l’altra, cominciarono a salire
pesantemente i gradini fino a giungere al ballatoio che conduceva al bivio.
L’ombra saliva
ansimante ogni gradino appesantita dal corpo dello sconosciuto. Il cuore
batteva martellante in petto, ma non poteva soffermarsi a cercare di
comprendere il motivo di quello stato d’animo e non poteva assolutamente
comunicare il suo stato di agitazione al ferito. Non avrebbe dovuto farlo.
Alcune domande
parvero improvvisamente balenare nella sua mente: perché si trovava in quel
luogo e a quell’ ora? Perché pareva conoscere la sua identità nonostante
continuasse a tacere?
Senza
soffermarsi a cercare le risposte a quanto accaduto e a quel che sarebbe
successo, continuò nell’ardua salita. Poteva avvertire l’ansante respiro dello
straniero che faticava visibilmente in quell’incedere. Ad ogni gradino, udiva
un suo lento gemito e sapeva di non poter far nulla per alleviare il dolore rivenente
dalla ferita. Pareva quasi poter lambire con le dita la fronte madida di sudore
o vedere i suoi occhi stringersi in due sottili fessure annebbiate dal dolore.
L’aveva
condotto all’interno del passaggio segreto, spinto dalle voci incalzanti che si
rincorrevano lungo l’arenile, per proteggere la propria identità e quella dello
straniero. Era ferito e non avrebbe potuto lasciarlo in quello stato sulla
landa sabbiosa. La luce del fulmine aveva illuminato il suo volto e ne aveva
letto sofferenza e ardore, ma non ira o efferatezza.
Oramai non
poteva più tirarsi indietro, e soprattutto non poteva lasciarlo nel passaggio
che conduceva all'interno del castello. Non quella notte. Non in quello stato.
Il ferito
arrestò il passo in preda alla stanchezza.
-
Aspetta! Il dolore è troppo forte. Non riesco a
camminare! – sibilò digrignando i denti ad una fitta lancinante. Si appoggiò ad
una parete facendo leva sulla gamba sana. Chinò il capo cercando di recuperare
una parte delle forze e il fiato che oramai scarseggiava. - Aiutami ti
prego...ahh...! – stridulò sempre più rantolante. - Dove mi stai
portando?...non voglio farti del male...ahh...perchè non mi parli...- sussurrò
con la poca voce rimasta.
Lo sconosciuto, celato dallo scuro
mantello, aveva il capo chino sul petto e il cappuccio ne celava qualsiasi
tratto. Per una piccola, insignificante frazione di secondo, un fulmine ne
aveva illuminato il viso e lo straniero aveva sgranato gli occhi a quella
visione. Appiattito contro la parete, continuava a guardarlo nella fievole luce
della torcia che aveva acceso. Vide il suo braccio protendersi in segno
d’aiuto. Il cuore gli saltò in gola. La nebbia parve diradarsi dagli occhi e la
fioca illuminazione sembrò marcare leggermente quei tratti nascosti.
Desiderava sapere cose che non poteva
dirgli, segreti che non poteva svelargli. Senza insistere, nel timore di essere
braccato, le sue dita raggiunsero quelle dell'ombra e gli si fece vicino.
Avrebbe accettato il suo aiuto. In fondo, l'aveva fatto fino a pochi istanti prima.
Sapeva che non gli avrebbe fatto del male. Lo stava proteggendo ed era grato
per questo. I loro corpi si fecero più vicini e lo sconosciuto sentì il braccio
dell’ombra passare sotto il suo braccio e allungarsi sulla schiena. Avvertì il
respiro posato e regolare e ringraziò il cielo di aver trovato in quello strano
incontro un sicuro aiuto per la salvezza.
Ripresero a salire la scalinata
alternando i passi sui gradini fino ad un pianerottolo che conduceva ad un
bivio. L’ombra illuminò la strada da seguire con la torcia e tese nuovamente la mano allo
sconosciuto.
Lo sentiva quasi amico e,
nell'aiutarlo si sentì appagato di un sentimento che da tempo non provava.
Diversamente da quanto accaduto prima, presero a scendere lungo la scalinata
che si snodava in un tornante di gradini. La temperatura sembrava più rigida e
lo sconosciuto comprese soltanto che stavano incedendo in una direzione
differente da quella donde erano provenuti. Alla fine della cordonata
arrivarono su un pianerottolo e sentirono lo scricchioli di foglie secche sotto
le suole delle scarpe. Ebbe la conferma che si trovavano da tutt’altra parte
della marina.
Avvertirono aghi di pini e resina
sotto i calzari e l’eco del vento spirare dalle fessure del passaggio segreto.
Non ebbe neanche il tempo di comprendere come, ma ad un preciso comando
manuale, la parete si mosse e si ritrovarono entrambi immersi in una fitta
boscaglia.
Il vento stormiva tra le fronde
accompagnando fitti fiocchi bianchi che parevan danzare come polline nell’aria
primaverile. Senza perdere altro tempo, ripersero il cammino percorrendo
affannosamente un sentiero che discendeva ripido. L'ombra sembrava conoscere
quei luoghi a menadito. Ogni suo passo si moveva alla perfezione in quel
labirinto di siepi e vegetazione mosse dalle intemperie. Gli alberi parevan
aver assunto forme grottesche e i rami muoversi al ritmare incalzante del
vento.
Alla fine del sentiero, dietro una
pallida nebbia che ancora gli offuscava le iridi, intravide una capanna. Le
luci erano spente, ma il camino fumava ancora. Nel suo silenzio, gelido quanto
l’aria di quella notte, l'ombra salì velocemente i gradini della veranda
esterna e sgombrò una panca da dei rami secchi che qualcuno aveva lasciato
incustoditi.
Quand’ebbe terminato raggiunse lo
sconosciuto e prendendolo nuovamente sottobraccio lo aiutò a salire i pochi
scalini di legno e lo fece sedere sulla panca ghiacciata dalla rigida
temperatura.
-
Hai intenzione di lasciarmi qui? - gli chiese senza ricevere alcuna risposta di
rimando, - aspetta...dobbiamo parlare... io ti ho cerc...ahh...non andare
via...- sibilò con le poche forze che gli erano rimaste. A qualche passo di
distanza da lui, gli puntò la torcia sul volto sofferente. Adesso poteva
guardarlo bene.
La sofferenza pareva aver accentuato
il biancore della sua carnagione che aveva assunto una tonalità quasi eterea.
Non aveva, tuttavia, celato in alcun modo i tratti aristocratici che ne
delineavano il bel viso. Il timbro della voce, dolce e pacato, tradiva un
accento differente dal suo ma il suo inglese era fluente e ben pronunziato. Gli
parve una figura strettamente familiare.
Bussò insistentemente alla porta fin
quando non vide accendersi una luce oltre i vetri della finestra. Lestamente si dileguò nell'oscurità senza
che lo sconosciuto avesse modo di poter ringraziare per l’aiuto.
Di lontano, nascosta dall’ampio tronco
di un albero, vide un anziano uomo protendere un braccio e una lanterna verso
l’esterno. La timida luce della lampada ad olio illuminò l’ombra dello
sconosciuto malamente riverso sulla panca. L’anziano strinse la coperta verso
il petto cercando di proteggersi dal freddo pungente. Avvicinò la lampada a
quella strana sagoma illuminandone il corpo e comprendendo la gravità della
situazione.
-
O mio Dio! – esclamò posando la lanterna sul pavimento
di legno e incedendo a passo lesto verso l’uomo.
-
Mi senti ragazzo? – gli chiese affannato e preoccupato.
-
La…gamba! Sono ferito! – rantolò certo che in quella
voce impastata di dolore, l’anziano aveva compreso le sue effettive condizioni.
Senza nascondere la maschera di stupore, l’anziano allungò le braccia verso il
giovane e lo indusse a farsi aiutare.
-
Forza..entriamo in casa e vediamo cos’è accaduto! –
aggiunse in tono bonario e confortante.
Avvolta nel tetro buio e nel brusio
della notte, l’ombra sapeva che il vecchio frate avrebbe sicuramente aiutato lo
straniero a ritrovare la retta via. Di
più, non avrebbe potuto fare.
Senza indugiare oltre, corse verso il
passaggio e risalì fino al castello in preda ad emozioni che non ricordava aver
mai avvertito prima di allora. Non sapeva quanto tempo fosse trascorso, di
certo più del dovuto. Nel cuore, il timore di non fare in tempo a risalire i
passaggi fino alle sue stanze era tale che il palpito risultava assordante.
Con affanno giunse nella rimessa e
constatando che la scena era immutata: tutto era come l'aveva lasciato. Tirò un
sospiro di sollievo recuperando parte di quella sicurezza che momentaneamente
era venuta meno. Silenziosamente, risalì fino alle sue stanze accertandosi che
occhi indiscreti non fossero presenti sulla medesima scena.
Entrò nella camera richiudendosi la
porta alle spalle senza farla sbattere. Aveva una vista da felino, ma la luce
soffusa del fuoco quasi spento nel camino, consentì di distinguere meglio ogni
linea. Agendo sempre con la massima discrezione, sistemò gli abiti in un baule
indossando quelli più comodi della notte e si avvicinò alla finestra. Dall’alto
della torre, rimirò il mare in tempesta desiderando di potersi immergere in
quelle acque scure per placare la sua vita. Una sconfinata mestizia prese il
sopravvento nell'ombra che, volgendo il suo ultimo pensiero allo sconosciuto,
ravvivò il fuoco nel camino e si infilò sotto le coperte. Guardò il pendolo
sopra il camino e si rese conto di essere perfettamente in orario. Aveva
anticipato la sua uscita per potersi intrattenere qualche attimo in più, ma
l'incontro con lo sconosciuto aveva cambiato tutti i programmi.
Nel silenzio rintronante di quelle
mura, udì dei passi farsi sempre più vicini, fino a giungere oltre la porta.
L'uscio si schiuse e qualcuno entrò. Procedette fino all’alcova entro cui
l’ombra era coricata supina. Scostò leggermente le coperte e controllò che
dormisse.
Soddisfatto dell’esito di quella visita, si tirò indietro e si richiuse la porta alle spalle. L'ombra tremò. Il Aveva davvero rischiato, ma in cuor suo sapeva che ne era valsa la pena. I suoi occhi si chiusero nell'incertezza del presente e nel dubbio del domani.
Salve a tutti…beh,
sebbene non neofita di EFP, sicuramente nuova della sezione originali. Fino ad
ora mi sono cimentata (ad esclusione di una one piece original) in fanfiction
ispirate a CT (Captain Tsubasa), ma qualche giorno fa ho riscoperto un vecchio
floppy con questa storia mai terminata.
Ho pensato quindi, di
rivisitarla e di pubblicarla sul sito.
Non biasimatemi se i particolari non sono ancora stati svelati. Ogni nodo verrà al pettine a tempo debito. Spero che questa mia storia vi sia gradita e vi auguro buona lettura.
Grazie a tutti. Scandros
L’ultimo ballo - L’onda dell’amore – Gocce di Memoria – The power of Love- Amar Haciendo El amor – Sweet Christmas – Tradimento d’amore – Orchidea Selvaggia – Pavel, dolce come la neve