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Autore: Marcuc    29/10/2023    1 recensioni
*Sono tornata*
-Dal primo capitolo-
Lei in quel momento, con gli occhi umidi, col panico e i suoi nervi suscettibili, era diventata la nuova Mirtilla Malcontenta in carne ed ossa. Tutti evitavano quel bagno per colpa sua, la nuova infestatrice insopportabile e piagnucolona. «Fantastico!» le scappò detto ironicamente.
....
Dal 4° capitolo:
« No che non va bene... » singhiozzò « sono rimasta sola! » chiuse gli occhi e si lasciò andare ad una vera e incontenibile disperazione, alle lacrime genuine di chi tira fuori le sue angosce e i suoi guai tutti interi.
La guardò impotente senza cercare alcun altro contatto, temendo ciò che una mano su quel volto deformato dal pianto, un abbraccio di consolazione, un pollice che asciugava le lacrime brucianti, avrebbe cambiato tutto troppo in fretta. « Non sei sola, Granger. » le sussurrò stringendo ancora l'unico pezzo di loro che si mischiava.
La scopro anche io con voi, man mano che scrivo. Con la speranza che non siate stanchi delle Dramione!
Genere: Commedia, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo
Capitoli:
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Il brusio della stanza irruppe nei suoi sogni come un tuono.

Hermione aprì gli occhi lentamente ed una luce accecante la costrinse a richiuderli. Non capiva che cosa stesse succedendo, si sentiva costretta a stare sdraiata su qualcosa di morbido e dall’odore acre come quello di un detersivo. Man mano che si riappropriava del suo corpo sentiva solo dolore senza riuscire a capire da dove arrivasse. Era insopportabile.

Quando si decise a riprovare ad aprire gli occhi sembrava che tutto attorno a lei si fosse improvvisamente ammutolito, la stanza era sfuocata e immersa in un’innocua penombra rilassante

« Hermione…» sussurrò una donna accanto a lei.

Alla ragazza sembrava di riconoscere quel tono delicato, di conoscerlo anche in altre declinazioni. Provò a voltarsi, a muovere qualcosa, ma non riusciva. Il dolore si era attenuato ma qualcosa la paralizzava ancora. Ebbe ancora paura.

La donna si mise all’altezza del suo sguardo. Era una giovane ragazza dai capelli rossi, gli occhi castani e un sorriso che voleva essere rassicurante ma infondeva solo grande preoccupazione. Hermione fece fatica a ripescare il nome Ginny dalla sua memoria, c’era una voragine al posto della sua mente, ogni cosa sembrava essere stata messa al contrario o in disordine o nascosta in un punto che lei non vedeva o non riusciva a raggiungere, la coscienza che procedeva a rallentatore.

Quando capì che davanti a lei vi era la sua migliore amica volle chiamarla e scoprì di non riuscire a parlare, qualcosa attorno a lei allertò i presenti che il suo cuore cominciò a battere come le ali di un colibrì. Sconvolta voleva fare qualcosa ma riuscì solo a far andare più forte il suo cuore.

«Tranquilla.» Disse l’amica «Non sforzarti a parlare, ti hanno fatto un incantesimo per tenerti a riposo le corde vocali, ma fra dieci giorni riprenderai con cautela l’uso della voce.»

Hermione sapeva di avere una espressione terrorizzata.

Un’altra donna, accanto all’amica, si palesò nella traiettoria del suo sguardo. Hermione era sicura di non conoscerla e che la sua mente stesse riacquistando lucidità. Colei che aveva tutta l’aria di un medico portava i capelli, di un profondo castano, acconciati in una rubiconda treccia, gli occhi verdi smeraldo, molto simili a quelli di Harry Potter, la stavano scrutando analitici per valutare le sue reazioni, il suo camice candido con ricamato il nome “Guaritrice Morgana Suring - UMSP- LI - San Mungo” era perfettamente in ordine.

Con tanta fatica Hermione riuscì a capire che si trovava nell’Unità di Magia e Somministrazione Pozioni Livello Intensivo dell’Ospedale dei Maghi. Doveva essere in una situazione tragica per essere spostata lì, nel mondo dei maghi non ci veniva ricoverato mai nessuno che non fosse in fin di vita. Il suo cuore registrò l’informazione molto più velocemente della sua testa e se possibile accelerò ancora quasi sul punto di scoppiare.

La dottoressa le sorrise e apparve molto più rassicurante della sua amica, le si affiancò e la guardò intensamente negli occhi: «Signorina Granger, non si spaventi di trovarsi qui, non è così grave come sembra.» Sorrise intuendo che avesse notato il reparto ricamato nel camice e proseguì « Come ho spiegato ai suoi amici lei ha avuto una perforazione di un’ulcera già in stato avanzato. Il suo stomaco si è aperto e i succhi gastrici sono risaliti e hanno lesionato la gola, le corde vocali erano già in affaticamento ed in uno stato di salute a malapena accettabile che è stato compromesso. Abbiamo quindi scagliato incantesimi che la aiutino a guarire in fretta ma con qualche sacrificio, primo fra i quali l’astenersi dal parlare. L’emorragia interna era molto estesa ma fortunatamente l’hanno portata qui immediatamente e siamo riusciti ad intervenire per far in modo che lei si rimetta completamente uscita da qui. Non possiamo però correre rischi sulle corde vocali. Dovrà pazientare ancora un po’ prima di parlare.» Ora era incoraggiante. «Il cuore ha retto bene, e anche il suo corpo nonostante fosse pesantemente debilitato dai digiuni che, mi hanno informata, era solita fare. Sono sicura che si rimetterà velocemente se accetterà di sottoporsi alla terapia di Pozioni, alla terapia psicologica ed ad una dieta.»

Terapia psicologica. Era ormai ovvio a tutti che era impazzita, che la sua vita fosse un disastro talmente enorme che stava per ucciderla. La montagna insormontabile di chiacchiere che avrebbe dovuto affrontare con la psichiatra era totalmente inutile, ne era convinta, tutte le pozioni che le avrebbero fatto ingurgitare non avrebbero aggiustato niente. Niente poteva sistemare le cose nella sua testa.

Una piccola parte di sé stessa era convinta di essere infuriata con chiunque l’avesse trasportata fin lì. Ricordava vagamente cosa fosse successo al momento del malore, ma immagini nitide su ciò che aveva vissuto fino a qualche minuto prima la convinsero che lasciarla morire sarebbe stata forse la scelta migliore per sé stessa, i suoi collaboratori e anche per lui. Tutto ciò per cui aveva lavorato sarebbe stato distrutto da quelle foto e da tutto ciò che ne avrebbero scritto a riguardo.

Poteva vincere il processo ma non poteva convincere l’opinione pubblica a perdonarla. Bloccata lì, senza voce, dolorante, pensò che era molto stanca di annaspare alla ricerca di migliaia di giustificazioni su come conduceva la sua vita. Doveva morire e biasimava chi l’aveva salvata dal suo destino.

« Passeremo a farle prendere tre pozioni al giorno due volte al giorno, per i prossimi quattordici giorni, uscirà da qui come nuova. » aveva continuato la dottoressa « Ora le toglierò l’incantesimo che l’immobilizza, in questi quattro giorni di coma ha avuto convulsioni molto violente, abbiamo dovuto intervenire.» Disse e con la bacchetta le toccò il petto tranquillamente.

Ma qualcosa evidentemente non funzionò come doveva.

Hermione si sentì attraversare da un’ondata di calore e benessere che durò molto poco. Il dolore la prese violentemente allo stomaco e la piegò in due, dalla bocca spalancata usciva il nulla nonostante lei sapesse di star urlando a pieni polmoni, che stesse soffrendo di dolori atroci era sotto gli occhi di tutti. Che non fosse previsto si vide dall’espressione attonita della Guaritrice che agì prontamente dopo la sorpresa iniziale: non le ci volle neanche un secondo per comandare ad una siringa apparsa dal nulla di infilzarsi nell’addome di Hermione ed iniettarle un liquido ambrato che agì immediatamente calmandole i dolori. Il tempo dilatato della sofferenza ad Hermione parvero cent’anni di atrocità, era stato un dolore di poco meno intenso a quello della Cruciatus di Bellatrix Lestrange.

La guaritrice appena fu sicura che il dolore fosse cessato, desolata si rivolse la paziente: «Mi dispiace signorina Granger, nella sua cartella non era segnato che l’incantesimo immobilizzante era quello totale e fungesse anche da antidolorifico, da protocollo non lo facciamo mai proprio per evitare questi casi. Provvederò a farlo presente, le faccio le mie più sentite scuse.» Nel suo sguardo passò un lampo di furia mentre guardava verso il corridoio vuoto sperando nel passaggio del responsabile.

Dal canto suo Hermione era così sollevata che tutto fosse finito che con un gesto della mano verso la donna le fece capire che non portava rancore. Acciaccata, ansimante e con i muscoli infiammati per lo sforzo di resistere al dolore, lentamente si lasciò andare verso la testiera reclinata del letto ad occhi chiusi.

La guaritrice annuì e dopo altre sentite scuse continuò a spiegarle come pensavano di procedere per guarirla. Lei ascoltava senza farlo davvero. Non sapeva se volesse guarire. Quel flusso di termini medici e spiegazioni terminò molto in fretta con la promessa che nei giorni successivi sarebbe tornata a spiegarle altro e a controllare le sue condizioni. Ogni tanto annuiva per illuderla che stesse ascoltando.

Aveva avuto quattro giorni di coma e le mancavano. Le mancava stare sospesa tra la vita e la morte circondata da ombre che parlavano, le mancava stare seduta su uno strapiombo con la sola urgenza di decidere se buttarsi o no… tuffarsi in quell’oceano oscuro sotto i suoi piedi che aveva tutta l’aria di volerla trattenere per sempre.

Invece si era fatta trascinare via dal baratro e non sapeva perché. Sapeva solo di aver seguito un sussurro diverso degli altri. Ricordava che ad un certo punto aveva riconosciuto il tipico suono della voce di Ginny che insultava il fratello e il fidanzato, la voce degli altri due che rispondevano alla ragazza, la voce di tutti e tre che parlavano con i medici. Non aveva capito chiaramente cosa si stessero dicendo. Ma nel silenzio di quella che aveva subito imparato a riconoscere come “notte”, qualcuno aveva parlato solo a lei. Non ricordava le parole sussurrate all’orecchio, erano un flebile sussurro ritmato, come una poesia che aveva qualcosa di famigliare. Una poesia che in quelle notti era stata ripetuta centinaia di volte con delicatezza, ma anche urgenza e un filo di rabbia. Quella voce che sapeva di conoscere non aveva pronunciato altro, non aveva parlato con le altre voci.

« Deve cercare di non fare sforzi e andrà tutto bene. » disse la Guaritrice riscuotendola dai suoi pensieri. «Lascio ai suoi amici il compito di aggiornarla con cautela, su ciò che si è persa questi giorni.» Disse rivolta a Ginny « Siate prudenti, mi raccomando.» Salutò i presenti e ben presto si eclissò dietro alla porta della stanza diretta ad altri pazienti.

Finalmente riuscì a trovare il coraggio e la voglia di vedere chi fossero questi amici che ancora non si erano fatti né sentire né scorgere chiaramente, se non Ginny. Sapeva solo che ci fossero altre persone nella stanza, le aveva intraviste con la coda dell’occhio nel momento di quel dolore atroce.

Guadandosi attorno con calma riconobbe nitidamente Harry e Ron profondamente addormentati, le sue urla silenziose non li avevano ridestati dal sonno, come avrebbero potuto farlo? Stavano seduti su due poltrone dall’aria scomoda, erano nell’angolo più lontano da lei quasi fusi con il muro. Da quanto tempo quei due vegliavano insieme a Ginny? L’amica aveva l’aria stanca ma i vestiti erano puliti, volto e capelli sembravano essere stati sistemati di recente.

In quel minuto di silenzio per prendere familiarità con la stanza cercò i suoi effetti personali per capire cosa fosse arrivato a San Mungo insieme a lei. Nel voltarsi verso il suo comodino lo vide. Era sveglio, seduto anche lui nell’angolo a fissare il vuoto in modo ostinato, due scure occhiaie sotto gli occhi azzurri, i capelli biondi scompigliati e la barba non curata di almeno tre giorni.

Draco Malfoy sembrava l’unico ad aver effettivamente vegliato su di lei notte e giorno. Se il risveglio di eroine fosse stato un evento degno di nota lui non lo mostrava.

Non poteva parlare, Hermione, attese soltanto che lui si voltasse a guardarla ma non lo fece, sembrava una statua di sale. Si arrese e guardò la sua amica pronta a capire che cosa gli fosse successo. Non ricordava nulla.

Anche Ginny stava guardando Malfoy, anche lei sembrava implorarlo di parlare, di spiegare al posto suo. Anche lei presto si arrese.

«Hermione » disse sospirando sedendosi sul bordo del letto e prendendole la mano. « Venerdì scorso sei svenuta spu… hai perso tanto sangue, Malfoy ti ha trovata nel Bagno del Ministero. Hanno scelto di addormentarti per dare modo al tuo corpo di guarire più in fretta e…niente. » le ci volle molto per continuare «Hanno detto che la causa della tua ulcera è psicologica più che fisica… questa perforazione è stata una conseguenza di ciò che ti ha portata a non mangiare e a bere litri di caffè.» Quasi la rimproverò « Non puoi permettere che si formi un’altra ulcera e si perfori, potrebbe succederti quando sei da sola e dobbiamo reagire subito cominciando con il riposo.» Si vedeva chiaramente che temeva di pronunciare le parole che seguirono « Kingsley ha disposto per te un anno sabbatico per la convalescenza e la terapia. Tornerai solo quando due medici attesteranno la tua completa guarigione davanti ad un giudice.»

Aveva optato per una notizia secca e aveva confidato nella pozione che le aveva iniettato la Guaritrice non le desse forze sufficienti per provare a picchiarla e che la salvaguardasse da una nuova ulcera. Non era prudente informarla che l’avevano privata del lavoro in quelle condizioni, Ginny lo pensò troppo tardi. Aveva già letto negli occhi di lei la domanda su quando potesse tornare al lavoro, non voleva tardare la catastrofe.

La sensazione che c’era qualcosa che dovesse concludere l’aveva pervasa quando aveva visto Malfoy; tutto ciò che l’aveva spinta a provare parecchio rancore nei suoi confronti, visto che era stato lui a salvarla, era stato sostituito da quella promessa che gli aveva fatto di vincere la causa, per lui.

Alla notizia che non avrebbe potuto risedere al banco dell’accusa, che le stavano togliendo l’ultimo barlume di voglia di rimanere in vita, che le stavano strappando le sue promesse, non ci vide più dalla rabbia. Hermione protestò, s’infuriò ma dalle sue labbra non poteva uscire niente, i tranquillanti l’intontivano e rallentavano i suoi movimenti. Riuscì solo a voltarsi verso il comodino, prendere la caraffa dell’acqua e scagliarla a terra, mentre gesticolava  indicando Malfoy e cercando di spiegare a gesti che aveva un lavoro da finire. Il fragore di vetri rotti svegliò Harry e Ron che scattarono in piedi con la bacchetta in mano. In qualche minuto capirono che cosa fosse successo.

Draco continuava a fissare il vuoto immobile come se non sentisse ciò che gli accadeva attorno. Due infermiere accorsero al fracasso ma furono subito tranquillizzate da Ginny e rimandate alle loro faccende appena si affacciarono dalla porta.

Quando tutto fu più calmo e una fitta allo stomaco ricordò ad Hermione dove fosse e perché ci fosse, anche gli altri tre si rilassarono.

Harry e Ron erano più disposti a scherzare sull’argomento: «Ginny ti avevo raccomandato di dirle che non può lavorare quando era sotto incantesimo immobilizzante» disse Ron ridacchiando mentre si stiracchiava e si avvicinava per salutarla assieme all’amico.

«Non ho fatto in tempo Ron, la dottoressa lo ha tolto senza preavviso. » disse lei complice.

Dopo che i ragazzi l’ebbero abbracciata a turno, Ginny le consegnò una lavagna formato portatile e dei gessi per poter comunicare. Non aveva facoltà di usare la bacchetta finché fosse stata muta, era la persona più testarda del mondo e voleva parlare, rischiava un collasso della gola. Quando glielo spiegarono si arrabbiò ancora. Parlarono piano con lei, Ron continuava a sfornare battute, qualche volta rise ma l’angoscia deformava i suoi sorrisi. La rassicurarono sul fatto che i suoi genitori erano costantemente informati sul suo stato di salute come se potessero accedere al San Mungo. Harry e Ron mandavano loro quattro gufi al giorno con un bollettino scritto e firmato dai Guaritori e redatto meglio di come Hermione stessa potesse fare.

Rimasero un po’ con lei, cercarono di tranquillizzarla ma presto si accorsero che il suo sguardo era attirato in quell’angolo buio dove Draco ancora immobile sembrava si stesse accartocciando su se stesso.

Dopo che si furono scambiati uno sguardo complice la salutarono, l’abbracciarono consapevoli che i due si dovessero chiarire, poi se ne andarono con la promessa di tornare il giorno dopo. Fuori era già buio quando rimasero soli.

Nel silenzio della sua stanza, dopo che anche l’infermiera delle medicine abbe finito, finalmente lui si voltò a guardarla. Aveva gli stessi occhi terrorizzati che aveva Hermione.

La ragazza prese la lavagna e il gessetto che le aveva lasciato l’amica e scrisse: “Mi dispiace”

Lui lesse e la guadò intensamente negli occhi. Così intensamente che fu una delle poche volte che le fece paura. Solo a Malfoy Manor incrociare lo sguardo con lui le aveva fatto più paura.

Lentamente Draco si alzò e le arrivò accanto. Con delicatezza le tolse la lavagna dalle mani e l’appoggiò lontano dalla sua portata. Voleva essere sicuro che non lo interrompesse anche in quel modo, voleva essere sicuro che non gli frantumasse la lavagna in testa.

La vide accigliarsi e togliendo ancora lo sguardo da lei prese la mano di quella strana amica e la strinse.

« Non devi preoccuparti per me, Granger. Sono sicuro che andrà tutto bene con il processo.» Ne era certo, ma sapeva anche che cosa doveva fare.

«Per la prima volta non mi interromperai e non mi travolgerai di parole, quindi solo adesso posso trovare il coraggio per farlo. Non voglio che mi convinci che mi sto sbagliando. » Finalmente la guardò e vide negli occhi di lei confusione e timore alternarsi « Non so cosa sia successo fra noi in questi anni, Granger, ma ora non ha più importanza. Questa cosa sta distruggendo entrambi, soprattutto te. Non credo che sia tu dei due a meritarti di essere distrutta. Penso di avertelo detto più volte. E so che se potessi parlare mi diresti con tono petulante che non me lo merito neanche io…. Che ho scontato la mia pena… e tante altre belle bugie.» Sospirò gravemente «Io rimango convinto di meritarmi buona parte di ciò che sta succedendo.» La vide in un’espressione severa e allo stesso tempo interrogativa, sapeva benissimo che ciò che stava dicendo per lei non aveva nessun senso, si era persa tantissimo e gli amici l’avrebbero protetta dallo scoprire cosa si era persa finché fosse stata fragile.

«Capirai solo quando ti farà meno male.» Disse e lei sembrò magicamente tranquillizzarsi « Hai rischiato ancora la vita per salvarmi da scelte che ho compiuto. Sono così furioso con te per talmente tante cose che…» quasi ringhiò nel provare a dirlo, ma non ci riuscì. «…che non voglio più permetterti di farti questo.»

« Continui a darmi tutte queste possibilità, Granger. Ti ringrazio. Vorrei sfruttarle, ma non ci riesco. Fin quando la società magica non mi vedrà nello stesso modo in cui mi vedi tu, non riuscirò a tenere a freno il sospetto che prima o poi mi dirai che hai fatto tutto questo solo perché è il tuo lavoro. E va bene. Perché è così che deve essere, in realtà. Ma potrebbe distruggermi. » ammise imbarazzato e per mascherarlo si alzò e andò verso il mantello, ne tirò fuori una pergamena ben ripiegata su se stessa. « Ho tentato di farti del male così tante volte che a malapena mi fido di me stesso e di quello che provo. Quindi l’ho scritto, da sobrio. Ma prima di dartelo devo importi qualcosa e farti una promessa.» Si risedette accanto a lei e le riprese la mano, l’accarezzò a lungo, deglutì rumorosamente prima di tornare a guardarla negli occhi.

« In questo anno di tue “ferie forzate” dovrò starti lontano. » il polso di Hermione accelerò di botto, lo sentiva sotto i polpastrelli « La Weasley ha già parlato con i tuoi genitori, tornerai a vivere con loro. Mi sono offerto di occuparmi io di casa tua, se non sei d’accordo puoi scrivere ai tuoi amici e troveremo qualcuno più adatto, se sei d’accordo invece ti pagherò un affitto.» Quel perché negli occhi di lei era talmente enorme che le sue iridi avrebbero presto urlato se lui non avesse spiegato.

« Calmati Granger. Ti spiegherò tutto. Abbiamo bisogno che ci prometti che non tornerai nel Mondo Magico fino al processo che ti farà tornare al lavoro, sarà il 25 luglio del prossimo anno, devi resistere, sono sicuro che ce la potrai fare. Devi fidarti di noi. I tuoi amici ti verranno a trovare spesso, ti terranno aggiornata sul processo di Stoev e su qualunque cosa vorrai essere aggiornata. Ma io non potrò venire. E ti devi accontentare di fidarti di me. So quanto sia fastidioso che ti venga imposto qualcosa, capirai quasi tutto quando leggerai la lettera, il resto ti verrà raccontato più avanti. » sospirò e deglutì ancora rumorosamente «Ho aspettato che ti svegliassi per salutarti. Starai bene, sei la donna più coraggiosa e forte che conosco. » le sorrise e non c’era aria di presa in giro o di menzogna negli occhi di lui.

Hermione cominciò a lacrimare, per la tristezza, la frustrazione, la confusione. Si asciugò le gote velocemente ma lui l’aveva vista la sua prima lacrima. Si sporse su di lei e la tirò a sé con decisione ma con estrema delicatezza, avvolgendola in un abbraccio strettissimo. Lei scoppiò a piangere, singhiozzò e lo stomaco protestò con decisione a quello stress. Ma voleva ignorarlo. Si aggrappò stretta, alla sua camicia e a lui, affondando il volto sotto il suo, scossa. Non capiva, voleva farlo, ma era così stanca di capire che voleva anche fidarsi.

« Andrà tutto bene. Sia per me che per te. » la strinse ancora più forte a sé, quasi a farla entrare nel suo costato e portarsela ovunque dovesse andare.

Quando i singhiozzi si calmarono i due decisero di allontanarsi un po’. Draco in quegli occhi castani vide tutto il peso di quel temporaneo addio e di tutti gli adii precedenti. Quello strazio era così irresistibile che dovette farsi violenza per non scombinare i piani fatti con il trio.

Fu Hermione a scombinare i piani. Lasciò la presa sulla schiena di Draco, le mani sembrarono protestarle mentre le portava sulla testa di lui e lo tirava a sé, le loro labbra si incontrarono. E tutto ciò che pensavano e volevano fare non era più valido in quel momento. Anche Draco non riuscì ad impedire a lei e a sé stesso di far iniziare quella lontananza come uno strazio.

In apnea, avvinghiati in un bacio urgente ed irruento fecero quello che non avevano neanche osato pensare, o pensare che gli fosse concesso.

Ed era così giusto, perfetto, emozionante, che non volevano interrompere quei corpi che finalmente esultavano nel trovarsi in quel punto nevralgico che erano le loro labbra.

Fu Draco che portando le sue mani troppo vicine agli estremi della camicia da notte di lei usò l’ultimo brandello di volontà per fermarla delicatamente. Posò altri baci leggeri sulle labbra schiuse di lei per non farle temere le sue mani maledette che allontanavano i loro volti. Non la stava rifiutando e voleva che lei lo capisse.

Hermione aprì gli occhi umidi, le labbra ancora rosse come fragole. Con dolore capì.

«Rendi tutto sempre così difficile, Granger.» sussurrò Draco facendo toccare le loro fronti. « Ora come posso andarmene?»   

 

***

 

Si erano salutati quando un’infermiera era entrata nella stanza di Hermione per somministrarle altre medicine prima della notte. Aveva fulminato entrambi con un odio che Hermione non comprese. Senza dire nulla si era posta tra loro che si guardavano intensamente, aveva strappato in due quell’atmosfera di addio in modo repentino ed ingiusto, giudicando le gote infiammate di lei, le loro labbra lucide di un bacio appena scambiato.

Draco non aveva detto più niente se non un saluto spezzato dalla tristezza e dal dolore. Per poi andarsene. L’urlo di un no usciva come lava dagli occhi di Hermione e da quella mano morbida che provò a trattenere la sua.

L’infermiera aveva passato le pozioni ad Hermione con una certa furia repressa, ma Hermione non poteva chiederle che problema avesse. Non aveva proferito parola neanche per spiegarle che cosa le stesse somministrando, all’ennesima ampolla che le passò in malo modo Hermione perse la pazienza. Posò la pozione sul comodino e si rifiutò di continuare ad assumerle.

L’infermiera la guardò con ancora più odio, ma senza tentare o spiegare, lasciò la stanza e poco dopo una collega la sostituì per finire il lavoro, con delicatezza e gentilezza, spiegando gli effetti di tutto ciò che le stavano facendo ingurgitare.

 

***

Novantacinque giorni dopo Hermione era stesa sul suo vecchio letto, a casa dei suoi genitori. Essere lì le faceva uno strano effetto, sapere di doverlo fare per un anno la rendeva nervosa ed angosciata. Aspettava un infermiere che le visitasse le ferite della gola a tre mesi dalle dimissioni. Si sarebbe occupato di portarle altre pozioni e spiegarle la posologia. Il giorno successivo sarebbe toccato allo psichiatra, ancora, per la 48esima volta. Quattro sedute a settimana dal giorno del suo risveglio.

Hermione aveva tentato di scappare dall’iper controllo dei genitori almeno una dozzina di volte, per vedere Draco, per tornare al Ministero o per andare a casa, per tornare alla sua vecchia vita.

Sempre le era stato impedito da una serie potentissima di incantesimi, dal fatto che avessero depotenziato la sua bacchetta e limitato i suoi gufi, dalla quantità industriale di ansiolitici e antidepressivi che la intontivano la maggior parte del tempo e dal fatto che anche i suoi amici stessero sempre a controllarla. Quando non c’erano i suoi amici l’ingiunzione del giudice - recapitata in ospedale scritta, firmata e timbrata- e il suo atteggiamento ribelle aveva fatto in modo che due Auror piantonassero a vista casa sua . Voleva solo rendersi conto di ciò che si stava perdendo nel mondo che aveva scelto e non glielo permettevano. Era prigioniera nella casa in cui era cresciuta come se fosse lei la criminale.

Non sapeva niente del destino della Skeeter, di ciò che era successo alle foto che il Giudice aveva impedito di pubblicare, anche se sospettava di averlo intuito. Non sapeva cosa stesse accadendo e la sua ansia a volte superava il muro degli effetti delle medicine, esplodeva e rischiava ancora il collasso di uno dei suoi organi interni, che fosse cuore o stomaco.

Draco, come aveva promesso, non era mai andato a trovarla, né le aveva scritto. Sapeva solo poche cose di come stesse procedendo la vita a metà che viveva nel suo nell’appartamento, di cui le arrivava l’affitto in galeoni ogni due settimane precise. Harry le aveva detto che era impazzito almeno sette volte nel tentare di far funzionare la bacchetta nella parte non magica, in cui comunque cercava di non vivere mai, come se fosse il sito di una malattia contagiosa e letale.

Non poterlo vedere, parlare di quel bacio, ora che poteva farlo, era diventato per la ragazza un dolore sordo e costante. Aveva provato a scrivergli qualche lettera, ma la sua Sandy si era rifiutata di recapitarle. Non aveva spiegazione per quell’atteggiamento indisponente, ma dopo pochi tentativi si era decisa ad arrendersi.

Non aveva ancora trovato il coraggio di aprire la lettera che lui le aveva lasciato in ospedale. Era combattuta tra timori e curiosità. Era stata una paziente difficile per molti giorni. Poi la sua frenesia si era affievolita, piano piano, e aveva accettato l’apatia e la spossatezza dei farmaci e quella autoimposta per un’attesa che non aveva scelto.

Attendeva anche quel giorno, ma mancavano parecchie ore all’arrivo dell’infermiere.

Data la sua remissione recente aveva ottenuto, da Harry, di fare brevi passeggiate nel quartiere residenziale dei suoi genitori piantonata a vista dagli Auror. Aveva anche il permesso di andare nella libreria Babbana a pochi chilometri, o richiedere qualcosa da casa sua attraverso Ginny. A volte le arrivavano le sue cose in grossi pacchi con su scritto Granger con l’inconfondibile grafia di Draco Malfoy, era l’unico modo in cui lo rivedeva e in cui si entusiasmava.

Ricordandosi di quel finto sprazzo di libertà che rappresentava la passeggiata, si vestì in abiti comodi, comunicò ai suoi genitori e a due Auror che avrebbe passeggiato su e giù per il quartiere, e poi sarebbe tornata a casa per la visita.

Pensò tanto mentre camminava, mentre l’aria d’autunno le arrossiva le gote e le gelava le orecchie. Pensò a tutto quel tempo passato da sola a parlare del nulla, a quei giorni non vissuti, ai suoi rapporti lavorativi e umani del Mondo della Magia che si stavano sfaldando e che non lo poteva impedire. Come era successo con Alex e i loro amici babbani.

Come se avesse il potere di far comparire persone con il pensiero, appena pensò ad Alex si sentì chiamata con entusiasmo: «Hermione!» Precisamente come lo aveva fatto lui per anni.

Si voltò sbalordita. Alex, il suo ex promesso sposo, la stava salutando da lontano sventolando il braccio, il sorriso sincero come se tutto ciò che le aveva fatto non fosse mai accaduto, come se la loro storia non stesse per sfociare in un matrimonio e che lui l’avesse tradita a pochi mesi dal sì.

Stava facendo jogging, era accaldato e sudato, ma sembrava stare fisicamente benissimo. Il primo istinto di Hermione fu quello di fuggire, il secondo quello di lanciargli una maledizione, il terzo quello di aspettarlo per rifilargli un pugno.

Ma erano oramai tre mesi che non parlava con nessuno che non fossero sempre le stesse dieci persone e la curiosità vinse contro il rancore. Il pensiero che la sua bacchetta fosse in stanza e che non funzionasse la frustrò un po’. Si sorprese ad aspettarlo con un sorriso.

«Alex!» Disse quando fu a portata d’orecchio.

Lui fece quasi il gesto di abbassarsi a salutarla con due baci ma si frenò istantaneamente. Optò per convertire il gesto in stretching sul posto mentre la guardava con quello sguardo innamorato del loro primo anno insieme. Si scambiarono un po’ di convenevoli, tra loro si era instaurato quel gelido imbarazzo che scende tra chi si è amato tanto e poi si era quasi odiato.

Dopo parecchi monosillabi scese tra loro un silenzio così pesante che Hermione si sentì costretta a chiedere: « Allora… come mai questo spirito sportivo?» mentre riprendeva a camminare e lui l’affiancava adattandosi al suo passo.

« Mi ero lasciato un po’ andare in questi mesi… sai… » lasciò in sospeso il discorso della loro separazione degli annullamenti, dell’incomprensibilità di trovarsi lì ancora insieme. Deviò l’argomento perché non voleva ripercorrere quella strada, nessuno dei due era ancora pronto.

«Ora abito poco lontano da qui nel quartiere Lilibeth, due strade oltre questa, divido l’appartamento con un amico. Ti ricordi Nick? È lui che mi ha convinto a mettere insieme un po’ di massa muscolare… » spiegò come a giustificare la sua presenza quotidiana dalle sue parti dopo la separazione.

«Oh, sì, Nick! Chi meglio di un Personal Trainer per capire come allenarsi?! Come sta? »

« Bene… si è comprato uno stabile e sta investendo su una palestra tutta sua, è per questo che gli serve un coinquilino, è a corto di liquidi con un mutuo sulle spalle. » si giustificò ancora.

« Che bello! » lasciò morire lì il discorso, non aveva tanta voglia di parlare di quell’amico che non le era mai andato a genio, l’unico del gruppo di amici babbani che era stata contenta di non dover più rivedere.

Alex non era intenzionato a lasciarla andare e riprese parola «Tutto bene? Sono settimane che sei a casa dai tuoi. Non penso di averti mai vista così a lungo nel mondo norm… nel Mondo dei tuoi genitori.»  Non confessò che il giro che faceva correndo passava davanti a casa Granger ed era un suo appuntamento fisso da tre mesi, scelto e portato avanti tutti i giorni. Non disse che dopo averla intravista in veranda la prima volta, tre settimane prima, aveva raddoppiato i passaggi ripetendo a ritroso la strada per tornare al suo appartamento invece di fare il giro completo dei quartieri. Aveva tentato di incrociarla per parlare o trovare il coraggio di fermarsi quando la vedeva in veranda con una tazza di tè in mano che fissava il vuoto. Vederla passeggiare sola, quella sera, era stato un segnale importante per lui.

Hermione sospirò: « Sono in malattia… per un anno.»

« Tu in malattia? Ti credevo indistruttibile.»

Lei ridacchiò a disagio e si strinse nel cardigan: « Lo credevo anche io, ma un’ulcera mi ha quasi uccisa due mesi fa e ho dovuto ricredermi e accettare una sorta di arresti domiciliari finché un giudice e due medici decreteranno che sono guarita, a luglio del prossimo anno.»

«Oh… mi dispiace! » disse con contrizione « Credevo che con la Magia fosse tutto più facile e veloce… intendo la guarigione. Voi non vivete per tipo centinaia di anni?»

Non sapeva se sentirsi offesa da quell’osservazione, ma era stanca di porre tutto sullo scontro, voleva raccontarsi e con Alex era sempre stato tutto molto facile finché non aveva cominciato ad odiare tutti quegli argomenti. « Diciamo per semplicità che la teoria è quella che dici tu, infatti sono alla fine del ciclo di pozioni per guarire l’ulcera, ho ancora una settimana di farmaci per guarire la gola…. E non sono morta. » ribadì l’ovvio della sua esistenza salva con un tono quasi sconsolato « Per Natale dovrei essere fisicamente tornata come prima in tutto e per tutto.» E anche quella prospettiva che avrebbe reso felici la maggior parte dei sopravvissuti a tale evento medico, non sembrava entusiasmarla.

«Ma…» la sollecitò a continuare.

«Ma mi hanno imposto il riposo per motivi psicologici.» Sospirò gravemente « Sono stati mesi molto complicati…» confessò a disagio.

« Per via di quel processo per il tuo amico in Bulgaria? » ipotizzò.

« Sì.» tagliò corto con la voce spezzata ma anche un po’ stupita per il fatto che si ricordasse di uno dei suoi impegni.« Diciamo che lo stress del lavoro, i giornali che mi tampinavano e… e il fatto che molto spesso mi dimenticavo di mangiare e abusavo di caffè… hanno completato il quadro. Mancava solo che mi dessi al tabagismo e sarei sicuramente morta. Poco male…» Rise per schermare la verità che si celava dietro quella battuta.

« Mi dispiace… » disse ancora lui, di punto in bianco ma con un tono diverso, lei capì che non fosse solo una dimostrazione di empatia ma che si sentiva responsabile del suo stato di salute anche se lei lo aveva taciuto. Forse in parte lo era, ma non era il momento di fargliene una colpa. Lo guardò perché sapeva che lui la stesse guardando. Gli sorrise rassicurante per fargli capire che lo stava perdonando. Lui le sorrise a sua volta e le porse una mano che lei non si sentì di abbandonare sola. La strinse forte, non la lasciò mentre insieme riprendevano a camminare in silenzio.

Alla fine di quella passeggiata non avevano aggiunto altro, erano stati semplicemente in silenzio a camminare a respirare aria autunnale, sopra di loro il cielo rosso fuoco che volgeva al tramonto. Tornarono a casa dei Granger che stava facendo buio. Il padre di Hermione l’attendeva nella veranda, seduto sugli scalini con sguardo attento alla strada, quando vide che era accompagnata da Alex scattò in piedi. Prima che potesse dire e fare qualcosa Hermione scosse la testa e con una mano gli fece segno di tornare in casa. Alex invece lo salutò con imbarazzo. Il signor Granger scelse di fidarsi di sua figlia ma non ricambiò al saluto del suo “ex quasi genero” e varcò la porta d’ingresso dopo averlo fulminato. Hermione sapeva benissimo che lui e la madre li avrebbero spiati dalle tende chiuse e le avrebbero chiesto conto una volta che fosse entrata in casa.

« Ti perdoneranno. » disse lei volgendosi verso Alex ancora visibilmente a disagio.

« Non ne sono così sicuro… » disse mesto.

« Fidati.» Ridacchiò « “Tu vieni tutti i giorni… per esempio alle quattro, dalle tre loro cominceranno ad essere felici…”» disse per poi scoppiare a ridere assieme a lui.

« Te l’ho sempre detto che è un libro molto educativo.»

« Ed io ti ho sempre detto che ne esistono anche altri di libri educativi.» Lo ammonì.

« E io li ho letti i tuoi… » protestò ridendo.

« E come hai sentito io ho letto il tuo… » gli fece l’occhiolino.

« Uuuu… hai usato il singolare, che colpo basso.» E risero ancora insieme, come due vecchi amici.

Alla fine di quel lungo saluto lei disse: «Davvero, se ti capita di passare ancora da queste parti sono felice se mi aspetti per una passeggiata… mi piacevano le nostre passeggiate. Ed è l’unica cosa che mi permettono di fare. » gli sorrise « Magari avremo occasione di… parlare…» gli propose.

Gli occhi di Alex si erano illuminati di qualcosa che assomigliava sia al trionfo che all’amore: « Non potrei chiedere di meglio, Hermione. » spalancò le braccia per accoglierla e stringerla forte.

Lei accettò di farsi stringere, di sentirsi ancora al sicuro con lui, di riparare con il perdono quel suo cuore stanco.

« Bene! » disse « Allora a domani se vuoi.»

« A domani Hermione.»

Lei percorse il vialetto di casa dei suoi genitori e per un momento sembrò che lui la volesse seguire.

Hermione non si era accorta che l’infermiere che doveva occuparsi della sua gola era già arrivato, era in anticipo sull’appuntamento che avevano preso la settimana prima. Hermione era cosciente che non le servissero tutte quelle visite e che mandare quell’infermiere era solo uno dei mille modi per tenerla sotto controllo. Ma almeno aveva ritardato l’interrogatorio dei suoi genitori per la presenza di Alex nella sua ora d’aria.

« Ciao Jake! Oh…bentrovato Paul, sono contenta che tu sia tornato a trovarmi. » Hermione notò che dietro al solito infermiere vi era un apprendista giovanissimo che aveva visto molto di rado. Di solito quando accompagnava Jake da lei guardava o passava qualche strumento senza dire molto, ma sempre con il sorriso, una sola volta aveva agito: quando Hermione aveva tentato di fuggire l’aveva placcata come il più esperto dei rugbisti. Quella era stata l’ultima volta che lo aveva visto.

« Granger…» disse Paul con freddezza ed Hermione sobbalzò voltandosi a guardarlo di scatto.

« Draco…» disse senza volerlo. L’intonazione, il velato disprezzo verso quel nome babbano, addirittura alcune lettere su ci aveva marcato la voce erano identiche, anche se la voce era oggettivamente diversa. Lo guardò attentamente ma non sembrava per niente la persona che bramava lì con lei.

Paul si aprì in un sorriso così amichevole che non sapeva neanche se Draco lo sapesse immaginare, la corresse con delicatezza e per il resto della visita rimase affabile e amichevole come era sempre stato con lei, le rare volte che osava parlare. Hermione lo tenne discretamente d’occhio tutto il tempo per tentare di coglierlo in fallo ma lui non fece niente che la portasse a pensare ancora che davanti avesse Draco sotto Pozione Polisucco.

La Pozione Polisucco…

« Signorina Granger noi ci vediamo la prossima settimana per l’ultima visita e all’inizio di dicembre per vedere se tutto sia effettivamente a posto. Rispetti la posologia delle pozioni, non si sottoponga a stress, faccia le sue sedute e arriverà a luglio decisamente rimessa a nuovo. » le disse Jake salutandola.

« Certo, si fidi di me… » rispose Hermione con affabilità.

« Vedo con piacere che ha abbandonato ogni suo tentativo di protestare e fuggire. » disse Paul e fece ridere anche il suo collega.

Hermione lo guardò con intensità ancora intimamente convinta che stesse parlando con Draco Malfoy: « Ho deciso che non posso scappare da me stessa e che se non faccio ciò che mi imponete non potrò mai più tornare al lavoro e dalle altre persone a cui tengo.» Disse lentamente «Quindi aspetterò con pazienza e lavorerò su me stessa… la compagnia non mi manca.»

Ancora quel lampo omicida, ancora quell’irrigidirsi della mascella… un millesimo di secondo, un battito di ciglia e se lo sarebbe perso, avrebbe visto solo quel sorriso che sembrava così sincero.

« Ci vediamo martedì prossimo! Io vado a riportare al Ministero il suo stato di salute ai suoi superiori e ai suoi amici, saranno felici che si sia rassegnata a prendersi cura di sé stessa. » disse Jake.

Hermione si riabbottonò la camicetta e si alzò per accompagnare i due in salotto, al camino. Mentre scendevano le scale: « Potrei chiedervi un favore? » disse Hermione.

« Non le firmeremo nessun certificato di avvenuta guarigione in anticipo, né un lasciapassare per il Mondo della Magia. » disse il ragazzo con rimprovero.

Hermione ridacchiò: « No, niente del genere, Jake. » disse con sicurezza entrando con loro nel salotto dove li attendevano i signori Granger. « Andrete insieme a fare rapporto?»

« Sì, certo.» Disse Paul mentre Jake riportava ai genitori di Hermione lo stato di salute della figlia e i passi successivi della riabilitazione.

« E di solito fate rapporto anche a Draco Malfoy?» La ragazza si avvicinò al giovane apprendista.

« Molto spesso è presente, sì, Hermione. » confermò con sicurezza.

Lei annuì e lo guardò intensamente cercandolo i quegli occhi sconosciuti. Solo quando gli parve di averlo intravisto per un brevissimo istante continuò: « Gli potresti dire che non deve preoccuparsi di nulla e… » si avvicinò a lui e lo strinse in un abbraccio.  Quel gesto stupì tutti nella stanza, Hermione non si era mai concessa quelle effusioni con degli estranei, anche se estremamente simpatici. Paul non ricambiò subito l’abbraccio, pietrificato dalla sorpresa com’era. Ma quell’aggancio fu così lungo che, se non fosse stato corrisposto al più presto, lei si sarebbe probabilmente trascinata aggrappata alle sue spalle ovunque.

«…e digli che il 25 luglio ci vediamo a casa.» Concluse in un sussurro all’orecchio del ragazzo per poi staccarsi sorridente. Senza aspettare risposta e senza salutarli Hermione si diresse al piano di sopra pacificamente.

 

****

 

« Vedi Alex, il Quidditch non è proprio così… »

«Dimmi cosa della mia spiegazione non ti convince: avete una bacchetta che vi permette di far arrivare oggetti direttamente nelle vostre mani ma dovete inseguire una pallina d’oro rischiando sia di perdervi nel cielo che ne… »

Hermione si infervorò attaccandosi al suo braccio, sentendosi ridicola per usare tanto entusiasmo nel difendere uno sport che a malapena tollerava e lo faceva solo per la sua amica: « Ci sono delle leggi e degli incantesimi che impediscono altri incantesimi su quelle palline o palle… sennò che gioco sarebbe se funzionassero le bacchette? » disse sfidandolo a distruggere la sua logica « E poi senti, tu esperto e appassionato di calcio, come fai a non capirlo? » Lo strattonò per farlo fermare e far valere ancora di più le sue parole. « Potrei semplicemente obiettare al tuo sport preferito che i giocatori potrebbero prendere la palla in mano e portarla alle porte, usare i piedi è decisamente scomodo.»

«Ma esiste un gioco del genere e si chiama rugby. Hanno regole di gioco completamente diverse. Il calcio usa i piedi e il rugby le mani…» ribatté lui.

«E il Quidditch usa le scope e le palle incantate. Mondi diversi, giochi diversi, regole diverse.»

Alex si arrese: «Mi ero quasi dimenticato quanto fosse difficile discutere con te. » disse fintamente esasperato.

« Sono un avvocato nel mio mondo…» gli ricordò soddisfatta.

« Tendo a scordarmelo…troppo spesso. » disse riprendendo a camminare con lei.

Avevano preso quell’abitudine ormai da più di sei mesi, che fuori piovesse, nevicasse o la luna fosse alta nel cielo senza nuvole, Alex si faceva trovare davanti casa Granger alle cinque e dieci di ogni sera, dopo il suo turno di lavoro, per una lunga passeggiata con Hermione. Erano arrivati ad aprile così in fretta, scavalcando senza drammi l’anniversario della loro rottura ed avevano deciso, senza dirselo, anche di ignorare il fatto che si stessero avvicinando a quello che avrebbe dovuto essere il loro primo anniversario di nozze. L'anno prima Hermione era così occupata in quella data che se ne era accorta solo una settimana dopo.

In poco più di un anno avevano smesso di essere quelle persone che erano state. Parlavano come non avevano mai fatto, ridevano come non erano più riusciti a fare. Si aggiornavano sulle loro vite o commentavano il notiziario, i pettegolezzi di quartiere e qualche volta avevano ricordato anche i momenti belli vissuti insieme.

Ogni giorno.

Come due adolescenti si trattenevano di più nel fine settimana, non era difficile che finissero su una panchina del parco stretti nei loro abiti ad ascoltare la musica a decibel altissimi di qualche locale più avanti. Parlavano di tutto e guarivano, ritrovavano quella familiarità andata perduta con il tradimento di lui e la rabbia che ne era conseguita.

Hermione aveva superato brillantemente la visita prima di Natale, Jake era venuto da solo, ma aveva portato i saluti di Paul, a detta sua occupato con gli esami di fine semestre. Il rapporto di quell’ultima seduta era stato quasi decantato dall’infermiere come se in parte fosse opera sua. Hermione lo aveva salutato calorosamente con la sicurezza che lo avrebbe rivisto assieme ad un medico dopo Pasqua.

I signori Granger avevano cercato di capire perché la loro unica figlia si era messa a frequentare ancora colui che le aveva fatto così male, ma dopo che Hermione li ebbe rassicurati che fra loro ci fosse solo una bella amicizia ,e dopo essersi consultati con la psichiatra di lei su come agire, decisero di farselo andare bene, ma non lo avevano mai invitato in casa come non gli avevano rivolto più di un freddo e formale saluto.

Anche sulle sedute psichiatriche quella nuova e vecchia amicizia con Alex aveva sortito effetto, tanto che erano scese ad una a settimana nei gironi dopo Natale. Le dosi di Ansiolitici e Antidepressivi erano state dimezzate, le passeggiate con Alex erano una cura giudicata efficace dalla dottoressa.

Non le serviva più una dieta rigida, imposta e controllata, Hermione aveva ripreso a mangiare in modo ordinato e abbondante, le sue curve si erano ripresentate, il viso si era riempito e i colori rosei della sua pelle si facevano scorgere quotidianamente. Le cose stavano ritornando finalmente al loro posto. Hermione era orgogliosa di sé stessa per essersi permessa di darsi una nuova possibilità, per essersi permessa di attendere, di ritornare alla sua vita lentamente, senza obblighi e lasciando la presa su ciò che pensava di dover controllare.

Ad Hermione piaceva la nuova sé stessa finalmente libera dal controllo, spensierata, leggera. I suoi amici magici continuavano ad andarla a trovare, molte volete solo nel weekend o dopo cena, sapevano di Alex ma non ne avevano mai parlato. Davanti a loro c’era una nuova Hermione, più serena, concreta e pragmatica.

Molte volte Hermione covava segretamente nel cuore il pensiero che non voleva tornare nel mondo della magia, che la sua nuova quotidianità le piaceva troppo, che andare lenta l’aveva cambiata, le aveva fatto godere delle giornate, delle memorie e dell’attimo che si svolgeva mentre lo viveva. Lo pensava spesso quando c’era Alex.

Quel sabato sera, dopo una frugale cena in un pub di cui erano affezionati clienti, stavano ritornando a piedi verso casa dei Granger, l’argomento era il Quidditch ma Hermione non si spiegava come ci fossero finiti.

« Però ho una curiosità sul vostro campionato sportivo…» aveva continuato Alex « … una curiosità da gossip: avete un omologo del nostro Beckham nel vostro modo? Uno bravo, famoso e bello?»

« Bhe…» Hermione arrossì di botto senza preavviso e lui se ne accorse.

« Perché è arrossita Signorina Granger? » disse fingendo di essere esageratamente sconvolto.

« Non sono arrossita! » protestò lei toccandosi le guance bollenti.

« Vuole negare l’evidenza avvocato?»

« Non è rilevante perché sono arrossita, vostro onore.»

« Sì che lo è avvocato, è una prova che hai più di una cotta da adolescente da confessare o… che quest’uomo famoso, ricco e bello lo è più del nostro Beckham nazionale e, francamente, stento a crederlo. » la provocò stuzzicandole un fianco.

Hermione sbuffò: « è più plausibile che lui sia molto più bello di Beckham e che abbia una cotta platonica per lui… o è più plausibile che tra me con lui ci siano stati dei trascorsi? Con il giocatore più famoso del Mondo della Magia? Io una secchiona insopportabile che ha dei trascorsi con…» disse con enfasi trascinando ed esagerando tutte le parole, per poi concludere in fretta « Sì, c’è stato qualcosa.» Disse infine ridendo senza vergognarsene.

Alex si fermò di botto sul marciapiede « Che cosa? Quando? E me lo dici così?» Hermione fece qualche passo avanti e poi si voltò a guardarlo valutando fin dove spingersi a raccontargli. Non sembrava infuriato solo sconvolto.

«Eravamo ragazzini… e poi adulti. » disse « è una storia un po’ complicata e per nulla interessante. » cercò di tagliare corto ma la divertiva condividere quella piccola scappatella. Con Draco aveva scatenato una lite furiosa che aveva rischiato di distruggere non solo il loro rapporto ma tutto il processo, le loro foto erano finite sui giornali ed era stata giudicata da tutti per quel bacio primaverile che si erano concessi. Quindi si era chiusa quel piccolo piacere in un punto dimenticato del cuore come se essere donna, una donna che un ragazzo bello e famoso desiderava, fosse una colpa così grave da vergognarsene.

Ad Alex poteva raccontarlo, ad Alex poteva confessare quel bacio che non significava nulla e che era stato puro istinto e puro piacere, senza altre implicazioni.

« Ma come? Hai dei trascorsi sentimentali con una celebrità e non lo trovi interessante?»

« Dimentichi che lo sono più o meno anche io nel mio mondo…» disse con modestia.

« Giusto… Ed hai vinto una guerra…»

« Harry l’ha vinta, io ho solo dato una mano come potevo. »

« Immagino “ la sola mano” che hai dato al tuo amico. Se ti conosco almeno un po’ hai fatto molto di più di ciò che ti attribuisci. » disse avvolgendole audacemente le spalle con un braccio mentre riprendevano la strada che li avrebbe portati alla casa dei genitori di lei. Hermione non si scostò, in quel tipo di abbraccio c’era sempre stata comoda e al sicuro.

«Allora mi racconti o no questa storia d’amore tra vip? » Chiese divertito.

« In realtà c’è molto poco da raccontare. Ci siamo incontrati quando nel mio quarto anno a scuola lui ha fatto una sorta di gemellaggio con la nostra per il Torneo Tre Maghi. Era uno dei campioni con Harry… ricordi? Te lo avevo raccontato. »

« Certo… ma questo gossip no.» precisò.

« Cambiava qualcosa?» chiese retoricamente.

« Bhe… Forse…» ironizzò lui frenandosi sul continuo . « Dai vai avanti… » disse disposto all’ascolto curioso.

Hermione sbuffò « Ma davvero non c’è molto da dire… a lui ho dato il mio primo bacio, lui mi ha chiesto di accompagnarlo al mio primo Ballo… ma quando è tornato in Bulgaria ci siamo inviati qualche lettera e ben presto abbiamo capito che non era una storia da portare avanti.» Sospirò « Non mi ha spezzato il cuore o altro, sapevo che non lo avrei rivisto neanche per sbaglio e mi sarebbe passata subito. » chiarì immediatamente « Ci siamo incrociati al matrimonio di uno dei fratelli di Ron, prima della latitanza, ed infine ad aprile di quest’anno. Lui è sempre in viaggio per le sue partite…»

« Sei arrossita ancora… » disse stringendola a sé con affetto e sorridendo malinconico.

Hermione gli diede un buffetto affettuoso fingendo di essere offesa dalla sua precisazione: « Ok, c’è scappato il bacio ad aprile… ma non siamo andati oltre. La sua è una vita che non posso e non voglio reggere ma ho sempre saputo che avesse una cotta per me. Io non la ricambio era solo… quel non so ché di piacevole… Ma abbiamo chiuso in modo definitivo!»

« Non ti hanno mai spaventato le difficoltà anche di una storia complicata… noi siamo stati insieme sei anni e tu sei una strega, divisa in due mondi… » disse stavolta seriamente, senza freni, come se non aspettasse altro per farlo venire fuori.

Voleva mantenerla sullo scherzo ma le uscì un malinconico: « E guarda come siamo andati a finire… »

Lui volse la testa imbarazzato verso le case al di là della strada per trovare coraggio e parole: « Ma ho mollato io in quel caso. Mi dispiace…»

« Non parliamone più, per favore. » guardò i suoi piedi che acceleravano improvvisamente.

« Io ne voglio parlare invece, Hermione.» Disse con intensità. Si fermò ancora, erano poco lontani dalla casa dei genitori di lei. Sciolse la presa sulle spalle ed indicò un parco avvolto nel semi buio, solo qualche lampione illuminava porzioni di erba e qualche panchina solitaria.

Senza dire niente Hermione acconsentì a seguirlo stringendosi nel suo giubbotto primaverile, tremando ma non per il freddo. Si aspettava che prima o poi quella conversazione dovesse essere affrontata. Avevano tardato il momento per mesi, parlando di tutto, spingendosi al limite di un passato che stava per ripetersi identico. Era ora di farla finita ma Hermione non si sentiva pronta. Sapeva che ciò che gli avrebbe detto quella sera, in quel parco, avrebbe messo fine a quella bolla di normalità che le piaceva così tanto.

Non poteva mentire a sé stessa, ci aveva pensato a tornare con lui, sapeva che sarebbe stata riaccolta in quella relazione senza difficoltà. Ma sapeva altrettanto bene che scegliendo ancora Alex avrebbe tradito metà di ciò che era e tutto ciò che sentiva. Sapeva anche che lui, con quel senso di colpa mai assopito nel petto, l’avrebbe trattata come una dea scesa in terra, avrebbe acconsentito a tutto senza lottare per sé stesso e lo avrebbe perso nella sua finzione.

E poi c’era…

Si sedettero sulla prima panchina che incontrarono. Lui le prese la mano quando si sedettero.

« Cosa stiamo facendo, Herm? » chiese Alex implorante.

Lei coraggiosamente lo guardò negli occhi, Draco Malfoy si era fatto la stessa identica domanda davanti a lei, nove mesi prima al San Mungo.

Questa volta poteva parlare e ci provò: « Ti ho amato tantissimo, Alex. Credo che io me ne sia ricordata in questi mesi. Non volevo che finisse come è finita, stiamo rimediando a quella fine, scegliendone una meno dolorosa, più amichevole. Davvero vedevo un futuro con te..»

« Ma… » provò lui.

« Ma tu no.» Interruppe la sua rimostranza.

« Non è … io volevo sposarti. » disse implorante.

« No, non volevi.» disse rassegnata « Almeno non sul finire. Ma questo discorso lo abbiamo già affrontato. » disse alludendo a quell’ultimo giorno al bar doveva era finito tutto la prima volta.

« Non è vero! Certo che volevo! » Disse con fervore.

« Forse non consapevolmente, ma volevi che finisse in qualche modo. » sapeva che dovevano riparlarne anche se non ne aveva tanta voglia

« No. » disse con ancor più sicurezza.

« Sì, in quel momento era così. Non avevamo chiarito troppe cose prima di impegnarci, avevamo tollerato le intolleranze dell’altro senza discuterne, spiegarci e provare a cambiare le cose. Comprendo che se qualcuno non può condividere una parte importante della vita dell’altro si possa sentire sopraffatto, in gabbia e che voglia uscirne. C’erano modi molto migliori per farlo… questo permettimi di dirlo, ma così è successo. E va bene… »

« Ma questi mesi…?» chiese senza continuare quasi come un’accusa, una cosa indecente da giustificare.

« Ti ho ritrovato e ti ho perdonato ma non possiamo riaffrontare il discorso di una relazione. Servivano questi mesi a dare la giusta importanza a ciò che siamo stati e ti ringrazio per avermelo concesso.» disse lei con lo stesso fervore.

« Hermione, hai detto di avermi perdonato, perché non possiamo riprovarci?»

« Per due motivi principalmente. Perché a luglio ritornerà tutto come prima, tornerò nel mio mondo…» e ora che finalmente lo affermava ad alta voce sentiva di volerlo fare davvero. Voleva tornare alla vita che aveva scelto, non a quella che un giudice e il suo stesso corpo malandato le avevano imposto come unica alternativa. Quella che stava vivendo lì era una vita provvisoria, adagiata su batuffoli di parole misurate, comodità esagerate, sussurri e cautela; era una vita protetta dal dolore perché non poteva ancora affrontarlo, ma presto avrebbe potuto farlo e non voleva perdere quel treno. Era una vita che doveva finire, che era finta.

« Sapremo affrontarlo ora. Lo affronteremo. Lo affronterò e ti amerò più di prima perché ho capito, perché amo quella parte di te anche se non mi coinvolge. » disse Alex e sembrava davvero sincero, sicuro delle sue parole. Hermione non dubitava del suo amore, dubitava dei motivi che lo tenevano ancora vivo quell’amore già vecchio e stantio.

Gli sorrise delicatamente e lo abbracciò forte per imprimersi dentro la sua promessa, un giuramento appassionato che ad alta voce non aveva mai sentito nessuno pronunciare.

« Ti ringrazio. » disse delicatamente staccandosi da lui. « È importante per me sentirti dire questo.»

« Ma…» intuì lui.

« Ma c’è un secondo motivo, Alex. Sono innamorata di un’altra persona.» Lo sputò fuori con più sicurezza di quando lo aveva fatto ammettendolo con Krum un anno prima.

« Del giocatore di Quidditch? Ma hai appena detto che…»

« Non di lui. » scosse la testa quasi sorridendo a quell’ipotesi.

Alex sciolse la presa, scostò lo sguardo da lei per non farle vedere le chiazze rosse che gli avevano imbrunito il volto, strinse le sue stesse mani guardandole: « E lui ti ricambia? »

« Non lo so. » disse mesta.

« Ti rende felice?» Gli tremò la voce.

« Non lo so. »

« Non state insieme? » tornò a guardarla con un po’ di speranza.

« No, non credo nemmeno che staremo mai insieme. È complicato.»

Hermione era convinta che Alex avesse capito perfettamente di chi fosse innamorata. Ma se gliel’avesse detto nessuno l’avrebbe fermato dall’accusarla di averlo tradito e di averlo ingannato in passato. Le fu silenziosamente grata per non aver fatto degenerare la discussione in ripicche e recriminazioni, di aver parlato solo di loro due, come adulti che volevano il bene l’uno dell’altra.

Alex lasciò che passasse un lungo minuto prima di dire: « Con me sarebbe semplice.» Ma sembrava una bugia. Sembrava anche una frase ripiego.

« Non è vero. Non è semplice vivere con una persona presente a metà. Ciò che ti posso dare non sarebbe sincero e completo. Ti accontenteresti di qualcuno che non ti ama completamente? Ti accontenteresti che la persona con cui stai è innamorata di un altro? »

Si stava illudendo, sapeva che la bella ed intelligente Hermione non avrebbe mai accettato quel compromesso: « Sì, se quella persona sei tu. Potresti tornare ad amarmi completamente con il tempo. Potremmo essere felici. » mentiva senza più credere alle sue bugie.

« Devi avere più rispetto per te e per i tuoi sentimenti. Non puoi chiedermi di farti questo. » gli prese delicatamente il volto tra le mani in una carezza « Non puoi condannarti a questo. Adesso puoi dire che ti basterà ma non è così, non te lo meriti. Hai fatto qualcosa di sbagliato un anno fa, Alex, perdonati, ma per espiare quella colpa una penitenza del genere non è giusta. Non condannare te stesso all’infelicità. Non te lo meriti. »

« Perché non posso decidere io ciò che è giusto per me, ciò che mi merito? »

«Perché pensi che essendo infelice puoi convincermi a stare con te, ma la tua infelicità mi convince del contrario. Alex…» si rannicchiò sulla panchina e se lo trascinò a sé. Lui fece un po’ di resistenza ma poi si arrese al suo abbraccio « Alex… sei una persona meravigliosa, interessante, intelligente, divertente… sei tanto altro di meraviglioso… e non puoi sprecare ciò che sei con me. Io voglio che tu sia felice. Tu non sei il tuo errore.»

«Tu mi fai felice. » disse lui con voce spezzata.

Ignorò quell’ennesima bugia: « Puoi scegliere: restare attaccato al ricordo di noi due, struggerti per me, sperare di convincermi un giorno a riprovarci oppure lasciarmi andare, trovare la persona giusta per te, amarla come si merita e farti amare come ti meriti. Perché ti meriti di essere amato. » lo strinse forte.

« Anche dopo ciò che ti ho fatto? » chiese titubante.

Sospirò forte, rivangare il passato le pizzicava ancora il fegato ma non era più doloroso come un tempo: « Non era niente di così grave, sto bene! » disse in una leggera risata.

« Benissimo… così bene che hai un buco nello stomaco! » ironizzò lui.

« Ehi, quello me lo hanno rattoppato! » Replicò fintamente indignata e anche lui si arrese ad un sorriso. « Il punto è questo, Alex: accetteresti di passare la tua giovane, meravigliosa vita, con una persona a metà pronta ad andarsene da un momento all’altro con la persona che ama? Con una persona con un piede già fuori dalla porta?» Disse tornando seria spezzando l’abbraccio per guardarlo negli occhi. Quelli erano discorsi importanti, da fare occhi negli occhi, senza scudi.

« No… » ammise lui.

Hermione apprezzò che non chiedesse cosa fosse disposta a fare lei di loro due. Aspettava Draco, è vero, ma era molto tentata da quella normalità che gli stava offrendo Alex, da quell’amore insufficiente che potevano darsi a vicenda, ma comunque sicuro e piacevole più del nulla che poteva ricevere dall’ex Serpeverde.

Non si meritavano la comodità di un amore flebile come la fiamma di una candela, si meritavano molto di più. Alex sapeva che lei era fragile, malleabile, attratta dalla vita con lui. Sapeva che il parlare di ciò che si meritava lui era solo uno schermo per impedire di parlare di ciò che meritava lei. Ma non si approfittò della volontà fragile di Hermione per insistere oltre.

« Allora è ora di dirci addio. » disse Hermione mesta.

Sospirò e la guardò dritto negli occhi: « Davvero mi hai amato?»

« Profondamente! » disse con sincerità.

Lui le credette: « Davvero ora stai bene?»

« Sì.» Sorrise contagiandolo ancora « Grazie!»

« Per cosa?»

« Per avermi regalato questo momento di chiarezza e questi mesi. Sei stato una persona importante nella mia vita, nella mia convalescenza, abbiamo vissuto momenti bellissimi insieme, come è finita non era degna di noi, di ciò che siamo stati. Grazie per aver rimediato. Grazie per questa vita lenta e normale, per avermi fatto compagnia, per aver rispettato me e le mie fragilità, grazie per non averne approfittato.» Disse accorata trafiggendolo con lo sguardo.

« Sembro aver fatto miracoli… ma non è così. Sei tu che mi hai permesso di rimediare e di starti accanto, grazie.»

Hermione decise di permettersi un bacio di addio sulle labbra, uno delicato, che lui ricambiò con malinconia e pace. Perché un po’ si amavano ancora e quell’addio meritava un gesto per ricordarlo, per chiuderlo.

Tornò a casa dei suoi genitori leggera come un usignolo, controllò sotto il letto, tra le sue cose, che fosse tutto in ordine. Rialzatasi aprì il cassetto del comodino e ne tirò fuori una lettera, la lettera di Draco. Aspettava lì da mesi di essere letta. Aspettava che Hermione fosse pronta per riprendere in mano la vita che l’attendeva, per affrontare le cose difficili.

Si stese sul letto, sfogliò le pieghe con lentezza e cominciò:

Cara Granger,

se ti conosco almeno un po’ non leggerai subito questa lettera, ciò che ti dirò quando ti sveglierai ti sarà sufficiente finché non sarai pronta ad affrontarla. Poi succederà qualcosa che ti convincerà, sono moderatamente curioso di sapere cosa sarà a convincerti…

Non so cosa ti sia passato per la testa affamandoti per me e sono così arrabbiato che, se non fossi in pericolo di vita, ti lancerei una maledizione.

Punto due: sono stanco anche io della mia vita, tanto stanco, ma mi hai dato una ragione valida per non arrendermi in questi anni. Anche quando non lo sapevo mi stavi aspettando, mi hai lasciato libero di scegliere quanto intensamente dovessi provare a tornare da te. Solo quando il mio grido è arrivato molto più forte, solo quando ho avuto bisogno davvero di essere salvato, sei venuta a prendermi. Discuto i metodi per riuscire nella tua folle impresa ma ti devo dare atto che non hai mollato mai, neanche quando io ho rischiato di farlo.

Avrei voluto rispondere a tutte quelle lettere che mi hai inviato e che che non mi sono mai arrivate se non quando eri troppo arrabbiata per accogliere la risposta. Avrei voluto passare le serate a stuzzicarti, magari rischiare qualche tua Strillettera indignata, ma come detto sopra non ero pronto a sostenere la verità che in quelle tue parole e in me era già chiara.

Ci siamo trovati in quel bagno come dei reietti e, nonostante tutto il male che ci siamo fatti in passato e in quel presente, abbiamo lottato per difendere il nostro spazio da reietti. Mi hai salvato la vita tante volte ma non è per questo che ti amo.

Sì, ti amo.

È brutale scriverlo così, in mezzo al discorso, a sorpresa, ma doveva venire fuori.

Quella vita non avevo voglia di viverla, tu l’hai salvata e mi hai dato delle ragioni valide per viverla.

Ed io ti amo.

Voglio stare a litigare con te per l’eternità, indignarmi per il Mondo da cui vieni, convincerti che in quello in cui ti abbiamo adottata si stia meglio mentre in realtà, lo sappiamo entrambi, che la tua bellezza è proprio il tuo essere a metà e allo stesso tempo così intera.

Vorrei scuoterti dal tuo coma ma la dottoressa ha detto che non posso. Vorrei riportarti qui e urlarti contro la mia rabbia per come hai trattato te stessa, ovvero la persona che amo. Vorrei sentire le tue repliche. Ti voglio qui per tanti motivi che non si scrivono di solito… vorrei tante cose ma devo aspettare.

Ci sono molte cose che devono risolversi prima che torni da noi. Faremo di tutto per tenertene all’oscuro finché non sarai pronta ad affrontarle. Ti prego di non provarci a scoprirle prima del prossimo anno.

Il processo andrà bene, ti terranno aggiornati a grandi linee i tuoi amici.

Attendi, ancora una volta. Attendi di ritrovarmi. Aggiustati. Abbi la sicurezza che io non vado da nessuna parte, che sono io ad aspettare questa volta, che sarò io a combattere anche per te. Poi potremo viverla al meglio se tu vorrai.

Ti amo, ed è assurdo quante volte io lo abbia scritto davvero.

Non so neanche se ho letto bene nei tuoi occhi che ricambi. Ma non m’importa, devo dirlo io, ora, devo fare il coraggioso come tu mi hai insegnato a fare.

Ho sempre pensato che ci fosse qualcosa di più dietro il tuo impegno per me. Quando sei venuta in Bulgaria l’ultima volta e non lo hai ammesso mi sono spaventato, lo sono ancora in realtà, ma non m’importa.

Ho scritto di getto questa lettera. 
Mi mancherai,

Malfoy                     

  
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