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Autore: Fe_    01/11/2023    4 recensioni
[STORIA INTERATTIVA – ZOMBIE!AU – ISCRIZIONI APERTE, leggere il 2° capitolo]
Gli scherzi di inizio anno sono una consuetudine, un modo per gli studenti di lasciarsi alle spalle in grande stile la libertà estiva e prepararsi ad un percorso di studi che dura svariati mesi. Tuttavia, questa tradizione ad Hogwars- iniziata dai gemelli Weasley anni prima, e conservata viva in Chase Relish- si mischia alla magia, e come spesso accade in questi casi i risultati sono quanto mai... sorprendenti.

«Distillato soporifero ad effetto ritardato!» Esclama, spostandosi ed allargando le braccia per un maggior effetto drammatico. Quando non risponde, Chase continua. «Il primo giorno di lezione, se ho fatto bene i calcoli, tutti gli studenti che hanno mangiato i miei cioccolatini cadranno preda di un terribile sonno e si addormenteranno nel mezzo della spiegazione. Forza, Mills, stavolta ho fatto una genialata… ho iniziato l’ultimo anno col botto. E sono pieno di idee.»
Genere: Azione, Comico, Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Maghi fanfiction interattive
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Esattamente quarantotto ore prima, Camille era sceso per la prima volta dopo anni nella capitale del Regno Unito. Si trovava in quell’infausto paese da oltre una settimana, passata per lo più a vagabondare tra i piccoli anfratti magici e una sola, sudatissima tappa verso il nord del paese per visitare il famoso Alnwick Garden; troppo tardi si era reso conto che l’Inghilterra era sfortunatamente lunga e, arrivando dalla Francia, salire per buona parte della sua altezza non era esattamente agevole. Lo splendido giardino dei veleni, tuttavia, con le sue affascinanti piante tossiche era assolutamente valso il viaggio e la notte passata in un discutibile alloggio di fortuna, il cui proprietario probabilmente consumava regolarmente marijuana mal tagliata.
Quello, ed il mezzo chilo che era riuscito ad acquistare per merito dell’abbondantemente condito e grasso cibo locale, era stato il momento migliore del viaggio; tuttavia, una volta arrivato a Londra, la realtà dei fatti gli si era posata sulle spalle con tutto il suo peso e aveva minacciato di sopraffarlo. Solo l’arrivo di Solomon, che lo avrebbe ospitato per la sua ultima notte priva di tetto sulla testa, e l’abbraccio in cui lo aveva costretto aveva impedito a Camille di salire sul primo treno disponibile. Non era nemmeno la destinazione ad interessargli, quanto il poter rifuggire alla sgradevole sensazione di essere intrappolato.
Avevano preso un caffè insieme in un bar poco distante dalla stazione. La chiacchierata era stata piacevole e si erano persi in aneddoti sugli ultimi sei mesi, tempo in cui non si erano visti e anche le comunicazioni erano state piuttosto scarse; nessuno dei due ne era particolarmente sorpreso o infastidito, ad ogni modo: si erano conosciuti un paio d’anni prima, quando Camille era ancora un povero studente a Parigi e gestiva la magistrale in botanica con discreto successo mentre Sol, quasi all’opposto, bisticciava con la legge magica. L’idea di un mago che si destreggiava in magie babbane era ben piaciuta al più giovane dei due, che vedeva in quella vita in movimento un buon compromesso tra libertà e guadagni, ma aveva dovuto rifiutare la proposta di fargli da “splendida assistente” in favore degli studi che sinceramente lo appassionavano.
La stessa sera Sol si sarebbe esibito quindi, dopo aver pagato, gli aveva dato le chiavi e spiegato la strada che, ad onor del vero, non era particolarmente complessa; si era quindi congedato avvertendolo di non aspettarlo sveglio, e Camille aveva potuto godersi un po’ la città prima di rientrare.

★★★


September-01

La luce bluastra, unita al fastidioso vibrare irregolare, lo sveglia già di umore che vira verso il negativo: Camille prende il telefono a tentoni, per nulla interessato ai messaggi lasciati volontariamente non letti la sera prima; neanche vedere l’ora, più tarda di almeno quaranta minuti rispetto ai programmi, riesce a riscuoterlo dal tepore del sonno appena abbandonato. Lascia il maledetto apparecchio perdersi tra le lenzuola sfatte, blu scuro marmorizzato d’oro e bianco in perfetto stile con la mancanza di gusto e sobrietà del loro proprietario, quindi decide che alzarsi è l’unica cosa che può fare: non ha per niente voglia di partire, ma per qualche infausto motivo hanno deciso di dargli il posto per il quale si era candidato per scherzo, quindi può farci poco ormai. Quel pensiero, se possibile, ingrigisce ancor di più la mattinata che già attraverso gli scorci riconosce come tipicamente londinese e, quindi, uggiosa. Lanciando un’occhiata allo schermo, ancora illuminato e miracolosamente visibile nella stoffa, il numero non salvato del professor Lightwood gli ricorda in anteprima l’orario ed il luogo da dove i maghetti inglesi partono per la scuola. Un piccolo viaggio in treno, uguale per tutti e che porta direttamente a scuola, per nulla simile in organizzazione e comodità a ciò che ricorda dei suoi anni a Beauxbatons.
Sospira sconsolato, quindi si passa le mani tra i capelli lunghi: cercare di districarli con le dita è un’impresa che fallisce in poco tempo, e non può far altro che constatare la sua sconfitta mentre scivola oltre il bordo del letto; lo specchio che Sol tiene al lato del letto gli ha restituito immagini migliori di sé, si volta di lato e osserva con occhio non particolarmente critico il fisico sin troppo magro a cui è abituato, e a cui periodicamente cerca di aggiungere un po’ di salutare peso che il suo metabolismo brucia anche troppo rapidamente; schiocca la lingua con disappunto al solo pensiero del clima scozzese, che gli farà perdere la bella abbronzatura che è riuscito quasi ad uniformare durante l’estate. Lo stacco ancora visibile su spalle e cosce è nascosto dal pigiama.
«Forza, Ramirez, inizia a svegliarti che sennò ti lascio qui.» Borbotta grattandosi il mento, il rumore delle unghie che grattano la barba e l’accenno di baffi lo convince ad una prima, strategica tappa in bagno per rifinire e accorciare il superfluo. I suoi bagagli sono ancora quasi intatti, dato che la sera precedente ha a giusto tirato fuori un pigiama e il necessario per l’igiene personale, perciò si limita ad un colpo secco col polso ed un semplice incantesimo non verbale di appello imparato durante un viaggio in Marocco: la bacchetta schizza da un lato della stanza verso la sua mano aperta, la punta gli si conficca nel palmo e quasi per fortuna il movimento che ne segue lo porta a stringere le dita attorno al legno senza farlo cadere a terra. «Ah, stiamo migliorando.» Si limita a commentare con una nota di sorpresa e piacere nella voce calda, quindi con gesti precisi si raccoglie i capelli in un bun alto tenuto insieme in modo piuttosto precario dalla bacchetta stessa, infilata al suo interno.
Il bagno, come il resto dell’appartamento, è eccessivo: il pavimento gelido gli manda un brivido dalle piante dei piedi sin alla base del collo, costringendolo ad accelerare il passo sino ad un tappetino posizionato davanti alla doccia è due volte più spaziosa di quanto non dovrebbe; il lavandino, invece, è ancora dell’orrida finta pietra che sperava di aver solo immaginato la sera precedente e le piante che lo decorano possono poco per migliorare l’estetica generale, tra cui spiccano le foglie rosse di una begonia e una rigogliosa aloe vera. Camille decide di ignorare il pessimo gusto di Sol, spogliandosi del pigiama leggero e cercando di infilarsi nella doccia ancora fredda per potersi svegliare del tutto; quando apre l’anta, tuttavia, uno zampettare concitato lo distrae dal suo proposito: voltandosi, un piccolo lampo biondo scuro gli si infila tra le caviglie, seguito da una coppia di coniglietti identici che bloccano il loro saltellare allegro non appena vedono un umano che non è il loro.
«Oh, le signorine ti bulleggiano?» Chiede Camille, abbassandosi per prendere il primo arrivato: ora che è fermo, prende la forma di un piccolo topolino dal pelo riccio. «Va tutto bene, Ramirez, sei stato bravo a venire qui. Tra qualche ora saremo in treno, e poi ad Hogwarts dovrai preoccuparti solo di gufi e civette… beh, ti proteggerà papà da loro come dalle conigliette cattive di Sol.»
Il topolino, in quanto tale, ha probabilmente colto poco del discorso ma ugualmente squittisce come volesse rispondere. Camille lo posa sul lavandino anziché sulla propria spalla, dove è solito accucciarsi, poi sorride bonario nel vederlo avvicinarsi senza tante cerimonie ai vasi. Poco male, pensa, l’aloe di Sol può fare a meno di una foglia o due.

16

★★★

Le scale, se fatte da sola, sembrano interminabili: si è quasi uccisa tre volte incespicando tra gli scalini stretti tra che portano fuori dalla torre di Corvonero, due ripide rampe che le tolgono il fiato persino scendendo, e che non riesce a fare di corsa in salita senza ritrovarsi piegata con i polmoni che minacciano di abbandonarle il petto. Gli altri cinque piani e, quindi, il castello nella sua quasi interezza minacciano di farle cedere le gambe quando si ferma al limitare della galleria lunga per permettersi una piccola pausa che non la faccia apparire stravolta: si volta verso una finestra per assicurarsi che il trucco non sia già rovinato, ma l’unica cosa fuori posto sono le guance un filo troppo colorate che le danno un aspetto gioviale, complice anche le rotondità evidenti di un paio di chili di troppo.
Altro che cremosa, sono decisamente fuori forma… che palle. Potrebbero mettere un ascensore si ritrova a pensare, cercando di incastrare una ciocca castana all’interno della crocchia disordinata che le raccoglie con poca convinzione i capelli; dopo un attimo quella torna a solleticarle il volto, completamente incurante dei suoi sforzi per darsi un aspetto ordinato, ed il suo riflesso le restituisce uno sguardo rassegnato. Almeno l’eyeliner è assolutamente on point.
Con un sospiro rassegnato sbuca finalmente al piano terra e volta lo sguardo verso la parte centrale della galleria lunga, l’edificio che compone l’ala più a nord del castello; in giro non ci sono quasi studenti, gli unici che riesce a notare sono un paio di ragazzi più giovani con i colori adorabili di tassorosso. Mi sarebbe piaciuto essere una tassina, sembrano delle piccole api con quei colori! Fanny sa che probabilmente non apprezzerebbero il paragone e, quando li vede con gli occhi bassi e le teste ciondolanti, decide di non aprirsi nemmeno al suo solito, allegro saluto in favore di un più quieto cenno con la mano. I poveretti sono tanto stanchi da non rispondere nemmeno, ammesso e non concesso che l’abbiano vista trovandosi a camminare sul lato opposto dell’ambiente, almeno venti metri davanti a lei e con l’illuminazione magica che non può certo competere con delle lampadine vere. La corvonero, ad ogni modo, decide di ignorare momentaneamente il problema della luce e nel momento stesso in cui cerca di correre verso la Sala Grande, dalla parte opposta rispetto ai tassini diretti probabilmente verso le serre, nel suo campo visivo compare una figura familiare. Istintivamente porta le mani ai fianchi, perché il ragazzo sta cercando di svicolare alle sue spalle tenendosi più vicino possibile alla fila di finestre che danno sul cortile più a nord del castello, brullo anche in quello che è uno dei periodi più caldi e floridi, e con come unica attrazione la pianta che di sicuro sta andando a visitare.
«Tyson George Crawford, non starai cercando di farti spedire di nuovo in infermeria dal Platano Picchiatore, vero? Sarebbe quantomeno sconveniente, il primo giorno!» Dice a voce alta, senza nemmeno voltarsi verso di lui; sente ugualmente i suoi passi quieti fermarsi un attimo e poi scattare nella sua direzione. Non c’è alcuna sorpresa quando un paio di braccia le si allacciano attorno alla vita con uno slancio che fa quasi finire entrambi a terra. D’istinto Fanny si porta le mani al viso, finendo per schiantarle contro la faccia quando non trova gli occhiali che è solita indossare e che, per un attimo, aveva temuto le scivolassero lungo il naso per frantumarsi poi a terra.
«Non sapevo il mio secondo nome fosse George, nonnina, però mi piace.»
«Stai evitando la domanda.»
«E tu conosci la risposta, quindi non ha senso neghi. Sembri un panda, hai il mascara tutto sbavato ora.» Le fa notare dopo aver sciolto l’abbraccio rocambolesco. Fanny si guarda sconsolata i palmi, ora tinti di una sfumatura nerastra che probabilmente le decora anche il contorno occhi, e si lascia andare ad un teatrale sospiro prima di prendere dalla borsa il necessario per sistemarsi il trucco. «Però che brava, sei scesa quasi giusta stavolta! Io ho appena finito la colazione. Se vai in fretta magari qualcosa trovi, prima che sparisca tutto… forse. Ma secondo te cosa ne fanno con gli avanzi? Magari alcune cose le mangiano gli elfi, e le altre le danno agli animaletti della foresta. Questo spiegherebbe perché tanti sono amichevoli nei nostri confronti, Alex mi ha detto che gli uccellini ti volano incontro quando ti vedono.»
Il fiume di parole viene interrotto da Fanny che, con tutta la calma del mondo, dalla borsa ha preso anche un involto con dei muffin e gliene ha infilato uno in bocca, impedendogli fisicamente di produrre altri suoni. Tyson la guarda con gli occhi spalancati, espressione che più che mai lo fa sembrare un cerbiatto innocente in totale contrasto col comportamento tenuto fino a quel momento; dopo aver masticato l’abbondante porzione di dolce che gli è finita pur contro la sua volontà in bocca fa una smorfia e borbotta un “mirtilli, almeno quelli di Cass sono buoni…” come fosse il peggiore degli insulti.
«Alex ti ha preso in giro… ha preso in giro me, a dire il vero. Per la storia della principessa Disney, no?» La corvonero ignora accuratamente lo sguardo disapprovante riservato ai suoi deliziosi e salutari muffin, quindi inizia a ritoccare il trucco rovinato in modo tutt’altro che irrimediabile umettando con dello struccante la punta di un cotton fioc e portandosi lo specchietto ad un palmo dal naso. «Questo fondotinta è fantastico,» aggiunge, «ma non tanto magico da distrarmi abbastanza così che tu possa scappare. Ehi! Ty, lascia stare l’albero!» L’ultima parte è urlata, perché dal riflesso può notare l’ombra dell’amico intento ad ignorare i suoi saggi consigli e dirigersi a passo spedito verso la biblioteca, nella quale una porticina minore gli darà accesso all’inutilizzato cortile nord, accanto ai campi d’allenamento ancora vuoti in quei giorni e perfetti per compiere quella che ha sempre più o meno gentilmente definito “la cazzata che ti farà espellere”. Fanny guarda solo per un secondo il suo riflesso, che la ricambia abbattuto come solo la mancata realizzazione del suo più grande desiderio del momento- una buona colazione- potrebbe renderlo, poi chiude di scatto lo specchietto e si avvia dietro il più giovane. Deve essere buffo vederla trotterellare e incespicare dietro la figura del ragazzo, alto quanto lei e non certo conosciuto per la sua grazia, ma con una mano posata sulla borsa gonfia di materiali più o meno utili e l’altra a stringersi il mantello in previsione dell’aria gelida riesce a raggiungerlo senza fatica né incidenti di sorta.
«Tyson, davvero, non è il caso di giocare al piccolo fiammiferaio la prima mattina!» Le porte ampie della biblioteca, luogo che le ha sempre trasmesso una grande serenità, questa volta possono poco per calmare l’apprensione che inizia a sentire attorno alla bocca dello stomaco: ha sempre considerato il grifondoro come un fratellino un po’ imbranato, cosa che si riflette molto molto bene sul loro rapporto, ma l’idea che il prossimo anno non potrà fare nulla per impedirgli di farsi del male inizia a concretizzarsi e la spinge ad usare il tempo rimasto per infilare, anche a forza se serve, del buonsenso in quella testolina castana. Fanny gli posa una mano sulla spalla, dato che le sue parole non paiono avere il potere di farlo nemmeno rallentare.
«Sono seria. Dai, Ty, possiamo decisamente…» L’inizio di ramanzina viene stavolta interrotto da Tyson, non in perfetto stile Cassandra con un muffin ma con una poco elegante mano che si posa di malagrazia sulla bocca della povera Fanny e soffoca ogni altra protesta. L’indice dell’altra se lo porta alle labbra, intimandole in modo più gentile ma decisamente inutile il silenzio, quindi con aria guardinga indica gli stessi tassorosso che la ragazza ha visto qualche minuto prima: hanno ancora un’aria estremamente assonnata, ora abbastanza vicini da notare occhiaie scure e occhi socchiusi, velati; c’è anche una traccia di sangue attorno alle loro labbra, rossa e lucida, ma Fanny non riesce né a proferire parola né tantomeno ad avvicinarsi perché Tyson le afferra la vita e la porta dietro uno scaffale in modo che siano nascosti alla vista. Il gesto la fa finire contro una delle lunghe scale che aiutano a raggiungere i piani superiori del mobilio alto quanto il soffitto e, con un cigolio sinistro, quella scivola nei binari invisibili che le permettono di muoversi: la ragazza sente i più corti capelli della nuca rizzarsi, forse per colpa del suono. Maledizione, abbiamo gli incantesimi di appello, questa robaccia è inutile ormai! pensa, ma probabilmente il fastidio comparso sul suo viso viene mal interpretato dal grifondoro che ancora non le permette di proferire parola.
«Sei impazzita?» Il tono è contemporaneamente concitato e quieto, appena sussurrato eppure riesce ad esprimere una certa angoscia; la corvonero aggrotta le sopracciglia, per nulla colpita da quello che è certa essere il suo ma gli fa cenno di continuare dato che non riesce ad afferrare il senso della sua preoccupazione. La successiva spiegazione, tuttavia, minaccia di farla esplodere in una sonora risata: «Sono zombie!» Con gentilezza Fanny gli prende il polso e se lo allontana dal viso; quando il ragazzo, pur guardingo, le permette il gesto può finalmente rispondere a quelle sue follie.
«Non ci sono zombie in Inghilterra! Lo hai studiato lo scorso anno, no? Stanno in Sudamerica, Haiti, quelle zone lì. E poi sono tassorosso, mica grigiastri nonmorti che puzzano di decomposizione!» La sua logica e ferrea spiegazione pare non convincerlo particolarmente, tanto che Tyson le fa nuovamente cenno di abbassare la voce e si guarda intorno con aria, se possibile, ancor più agitata; la biblioteca, tuttavia, ha sempre lo stesso aspetto quieto che ogni studente associa al luogo, con il soffitto alto il doppio di una normale stanza e mobili proporzionati più allo spazio che alle dimensioni di una persona. «Forse sono malati, dobbiamo portarli in infermeria. E, per l’amor di Flamel, la parola zombie è bandita! L’hai tirata fuori anche lo scorso anno ed era solo un molliccio scappato che aveva preso l’aspetto della paura di Lilith, e poi quando Chase ti ha fatto quello scherzo per halloween, e ancora...»
«Ho capito!» Sbotta Tyson, le guance lentigginose ora tinte di un vivo rosso imbarazzo, poi continua indicando oltre l’angolo in cui i due tassorosso hanno fatto crollare una delle tante cataste precarie di libri abbandonati sui tavoli, almeno a giudicare dal casino assolutamente inadatto alla biblioteca. «Ma converrai che non sono normali. Cos’altro potrebbe essere?»
«Uhm… magari hanno un brutto raffreddore?» La proposta non lo soddisfa, almeno a giudicare dall’occhiata scettica e carica di rimprovero per un’ipotesi tanto blanda che il ragazzo le rifila, quindi Fanny spalanca gli occhi castani e continua: «Okay, magari è sonnambulismo? Oppure, se quel sangue non è loro… mamma mia!» L’esclamazione improvvisa fa sussultare vistosamente Tayler, che con una spallata colpisce lo scaffale e fa cadere un paio di voluminosi tomi con un rumore sordo che riecheggia tra le pareti. «Magari hanno la rabbia! È, tipo, super grave!»
Il grifondoro apre la bocca per ribattere ma alle sue spalle, dopo il momento di silenzio che aveva seguito la caduta dei libri, i ragazzini si sono agitati e in quel momento sbucano da oltre lo scaffale con le fauci spalancate; solo la prontezza di riflessi della mora, un’agilità che nemmeno lei ha mai saputo di possedere, impedisce al ragazzo di essere morso: gli afferra la spalla, forse infilzando con eccessiva forza le unghie color lavanda nel maglione pesante e troppo babbano che indossa, e lo tira verso di sé con uno strattone che gli fa quasi perdere l’equilibrio. Tyson incespica nella sua direzione per un paio di passi, finendole addosso e minacciando di far crollare entrambi, ma la solida libreria li sorregge e permette ad entrambi di riacquistare un minimo di equilibrio.
«Vuoi ancora dirmi che non sono zombie?! Vogliono mangiarci!» Urla il ragazzo, ma Fanny gli afferra il polso e scatta con sorprendente rapidità verso la porta della biblioteca: per una che afferma orgogliosamente di “non essere in grado di correre” riesce piuttosto bene a mettere velocemente i piedi l’uno davanti all’altro, e anche a portarsi dietro un ben sorpreso Tyson.
«Ah-ah!» Lo ammonisce girando a destra, in direzione del cortile di trasfigurazione. «Quella parola è bandita dal vocabolario!»

15

★★★

Iniziare l’anno in ritardo è esattamente l’ultima voce della lista di desideri di Cassandra, specie se la prima lezione riguarda una materia come Incantesimi in cui già sa non avrà alcun desiderio di impegnarsi; eppure eccola lì, un trotto veloce che somiglia quasi ad una corsa svogliata e che le fa saltellare ad ogni passo i capelli sulle spalle, rivelando una sfumatura rosa acceso che compare da sotto la massa cioccolato scuro. Dietro di lei una borsa levita placidamente, nessun pensiero al mondo, nemmeno quello di aver provocato un fastidio non indifferente nella sua proprietaria: sperava di averla riempita a dovere la sera prima ma, per qualche motivo, il libro di Erbologia- corso che seguirà più tardi quella stessa mattinata, e che le è immensamente più gradito- non si trovava al suo interno. Questo l’aveva costretta a tornare nei sotterranei di tassorosso, dalla parte opposta rispetto alla torre dei campi d’allenamento in cui aveva sede il dipartimento di incantesimi e, di conseguenza, l’aula che è il suo obbiettivo.
Dal suo dormitorio sale sino al quarto piano per imboccare il corridoio aperto con vista sul cortile pavimentato, una scorciatoia che le allunga un poco la strada ma le evita anche la fiumana di studenti che passa ai piani inferiori lungo percorsi più diretti: infatti, per quanto la ragazza si definisca “in ritardo”, si trova in realtà perfettamente allineata con le tempistiche dettate dagli orologi; preferisce tuttavia arrivare in classe un po’ prima, in modo da potersi scegliere il posto con attenzione- o, come in quel caso, compensare contrattempi. Il fiato le si condensa davanti al viso, costringendo Cassandra a stringersi nel bavero del mantello che ha foderato in pellicciotto sintetico, quindi decide che per i pochi metri che la separano dalla porta della torre di astronomia può anche correre davvero: deve tenere la porta aperta qualche istante, perché la sua borsa non ha reagito con prontezza allo scatto, ma il tepore dell’interno sulle guance le dà un certo sollievo. Flette le dita intirizzite dal freddo, belle mani affusolate da pianista che hanno tuttavia il difetto di disperdere molto in fretta il calore, quindi torna di buona lena al suo percorso: scende, di nuovo fuori lungo il ponte sospeso, dentro alla torre di astronomia, il tutto senza incrociare anima viva.
«Sono più in ritardo del previsto?» Si chiede, quindi scosta la manica per rivelare un orologio dal cinturino di cuoio con un vecchio quadrante analogico; le lancette indicano che mancano esattamente sette minuti alle otto, quindi scuote il capo decisamente rassicurata. «Mah, magari sono solo fortunata…» Non che la compagnia le dispiaccia, ma trova quei momenti di solitudine preziosi, specie dovendo convivere con un branco di cuccioli di golden come i suoi compagni di casa: li adora, e sa quanto la loro genuina apertura e candida gentilezza siano preziose qualità, ma preferisce potersi ritagliare del tempo in pace.
Una volta arrivata alla fine della galleria lunga, davanti la maestosa porta della biblioteca, gira a destra in direzione di quella ben più modesta che conduce ad una scalinata a chioccola: tre rampe di scale tonde e il suo obbiettivo sarà raggiunto; non potrà certo accomodarsi al suo posto prediletto, quello in fondo all’aula dalla parte opposta alle finestre che negli anni ha individuato come migliore per distrarsi in quella lunga e noiosa ora, ma almeno eviterà la vergogna di entrare a lezione iniziata, sotto lo sguardo di tutti. O almeno questo è quello chela sua mente ha già immaginato, ma una furia scura le taglia la strada.
«Cassandra! Cassandra! Meno male, avete incantesimi nell’aula I-7A, giusto? Yue è già lì?» La frase, ben lungi dall’essere urlata, ha ugualmente un tono carico di apprensione; voltandosi l’interpellata riconosce Gilly, una serpeverde che spesso si infila nel loro dormitorio per pigiama parti improvvisati. Non è per nulla sorpresa di notare due graziosi bun alti a legarle i capelli, anche se hanno un’aria ben più disordinata del solito a causa probabilmente della corsa disperata che si interrompe solo quando le arriva ad un palmo dal naso; per un attimo la ragazza ha temuto di essere investita, tanto che si ritrova con le gambe rigide e la schiena leggermente volta indietro per evitare che i loro visi siano a pochi centimetri l’uno dall’altro. Gilly, tuttavia, pare ben poco turbata dalla vicinanza e riprende il suo assurdo monologo. «Dobbiamo scappare, è un casino, credo siano impazziti o abbiano la licantropia… o magari sono wendigo! Aspe’, esistono i wendigo? Non importa, prima prendiamo Yue e poi scappiamo con… dov’è la mia scopa?»
«Non hai lezione adesso?»
«Ma mi hai sentito?» Dopo aver constatato che tra le sue mani non c’è alcuna scopa, la serpeverde si volta di nuovo verso di lei e inclina leggermente il viso tondo alzando le sopracciglia in un’espressione piena di biasimo- tuttavia, in quanto lei stessa proprietaria di una frangia, Cassandra può solo notare come quella della compagna sia irregolare come l’avesse tagliata da sola.
«Licantropi di giorno o forse wendigo, che però non mi risulta esistano… specie in questo continente. Comunque Yuemi deve essere già in classe, se vuoi sto andando lì.» Aggiunge, indicando con un dito sottile la direzione della scala davanti a lei. Gilly segue con gli occhi scuri il suo gesto, quindi scuote con forza la testa e riprende a camminare a passo sostenuto: Cassandra si ritrova a correre per starle dietro, un po’ per la falcata decisa ed un po’ per i cinque centimetri che le separano, e che non aveva mai pensato potessero influire tanto. «Non puoi infilarti nelle nostre lezioni come nel nostro dormitorio! Gilbe--»
Non fa a tempo a finire di chiamare la ragazza col nome completo, modo certo di ottenere la sua attenzione- anche se forse nel peggiore dei modi, ma se ne sarebbe preoccupata in un secondo momento- che quella gli afferra il polso e la trascina di colpo all’interno della scalinata, intrappolandola tra la pietra gelida e il suo corpo mentre le fa cenno di non fiatare: per qualche motivo, nonostante la temperatura generale e la scomodità della posizione, la tassorosso sente le guance calde e il desiderio di non divincolarsi dall’inusuale situazione. Solo quando riprende a parlare si rende conto di non aver distolto gli occhi verde-nocciola dal nodo mal fatto della sua cravatta, incapace di guardarle il viso per una timidezza improvvisa che le è estranea. «Okay, se ne sono andati. Per fortuna non ci hanno visto, sono gli stessi che ho visto al campo d’allenamento, hanno raggiunto una ragazza e l’hanno aggredita… ora stava cacciando con loro.»
«Sì, certo, cacciando.» Ripete meccanicamente, poi finalmente l’illuminazione. È così semplice, così ovvio, da sfuggirle fino a quel momento: non può trattarsi altro che di uno dei suoi vividi, apocalittici sogni! In quale altro mondo una scuola di magia come Hogwarts potrebbe ritrovarsi invasa di creature pericolose? Gilly, poi, non le pare il tipo da fare certi scherzi… non così stupidi, per lo meno, anche se negli anni la sua indole le si è chiarita in modo abbastanza lampante. Il sollievo per aver sbrogliato la matassa le scioglie le spalle, permettendole una posizione meno rigida e consentendole di allontanare con gentilezza la compagna. «Va bene, ho capito tutto. Quindi, per svegliarmi devo portarti da Yuemi? Fattibile!» Esclama con una nota allegra, l’ombra di un vago sorriso a macchiarle le labbra.
La serpeverde pare confusa ma, senza troppe remore, decide di assecondare il bizzarro comportamento della mora. Nel momento in cui questa si incammina, tuttavia, il neonato equilibrio già minaccia di incrinarsi: Cassandra si volta esattamente dopo tre scalini per trovare Gilly leggermente china che si massaggia il capo, le unghie color verde acqua unica nota di perfetto ordine eppure in qualche modo comunque bizzarre nei colori spenti e seppiati dei dintorni; la pesante borsa incantata per seguirla non tiene conto degli ostacoli, sfortunatamente, e si limita a seguirla un metro circa ad altezza spalle, incurante dell’eventuale presenza di altri oggetti o, in questo caso, persone.
«Ma cosa ci tieni dentro? Pare marmo!»
«Solo lo stretto necessario, come libri e snack d’emergenza… aspetta, ti appello del ghiaccio istantaneo.» Ribatte, prendendo la bacchetta dalla tasca del mantello.
«Il ghiaccio istantaneo non è stretto necessario…» Borbotta la serpeverde posando per un solo istante il palmo sulla parete, e ritirandola immediatamente quando si rende conto di quanto sia umida la roccia, quindi le fa un rapido cenno di proseguire. «Sto bene, dai! È più importante salire. Terzo piano, giusto?» Alla risposta affermativa Gilly la supera, in parte per evitare discussioni ed in parte per non rischiare più che la borsa le finisca nuovamente addosso; Cassandra non può certo biasimarla, lei stessa fatica a portare quel peso sulle sue gracili spalle ed è per questo che preferisce lasciarla svolazzare dietro di sé in modo talvolta meno pratico ma anche decisamente meno faticoso.
Nonostante la fretta di trovare l’amica, tuttavia, questa volta la tassorosso non fatica troppo a tenere il passo: la scala a chioccola non permette di vedere molto bene eventuali altri studenti o, cosa che probabilmente l’altra teme di più, creature di quell’incubo; ogni pochi passi Gilly si ferma e tende l’orecchio, cosa che permette a Cassandra di seguirla agevolmente e raggiungere il terzo piano senza il minimo sforzo. L’aula che è il loro obbiettivo dovrebbe essere la prima porta alla loro destra, che tuttavia risulta aperta: all’interno non c’è nessuno, se non qualche appena accennata traccia di sangue fresco, cosa che fa scattare la serpeverde.
«Okay, adesso seguiamo le tracce, e se nel frattempo troviamo anche il responsabile di questo casino, beh… spero per lui che non lo troviamo.»

17

School-Leavers-8

★★★

Le serre sono, senza alcun dubbio, il luogo più piacevole dell’intero castello: la sera precedente Camille è stato presentato all’intero corpo studentesco, un’esperienza che qualcuno avrebbe potuto considerare imbarazzante o disagevole ma che per lui, tutto sommato, è stata divertente; è quasi più vicino di età agli studenti che a certi professori, cosa che gli ha permesso di non assumere un comportamento eccessivamente formale durante la cena- nonostante si sia sforzato di essere più educato possibile, certe insulse regole non hanno mai fatto parte del suo essere.
Poi le stanze, che per i professori di erbologia sono ammassate nella stessa torre accanto alle serre e gli ricordano molto certi campus universitari, ma peggio organizzati perché per la colazione è dovuto scendere e farsi mezzo castello per poi tornare al punto di partenza per le lezioni del mattino; chiunque avesse deciso quelle disposizioni, decisamente non aveva il senso della praticità- idea che in parte si era formata nel momento in cui aveva capito di non avere il wii-fii disponibile. L’unica fortuna è stata segnare il primo giorno sul calendario, depennandone uno e avvicinandosi un poco alle vacanze di natale in cui il suo supplizio sarebbe finito.
Camille sistema con cura i suoi strumenti, pronto ad almeno una prima lezione interessante con i mocciosi del terzo anno: piccoli mazzetti essiccati e graziose piantine di valeriana dai piccoli fiori bianchi sono posate con cura lungo un bancone, pronte ad essere curate dai maghetti capaci di produrre la luce che le piante bramano. Oltre a quello, gli appunti riguardo le proprietà magiche e non sono già a portata di mano, come non le conoscesse a menadito. Andrà benissimo, oggi, ne sono certo si dice e, quasi a conferma, Ramirez spunta dai suoi capelli e si accomoda sulla spalla ossuta, emettendo dei piccoli squittii che ricordano in modo buffo dei colpi di singhiozzo. L’uomo gli passa con affetto un dito sul capolino e quello chiude gli occhietti neri, calmandosi immediatamente e arrotolando la coda attorno al corpo.
«Già, questo freddo non piace nemmeno a me.» Commenta nonostante l’umidità e la temperatura siano controllate magicamente per permettere alle piante di prosperare e, come conseguenza involontaria, il luogo sia piacevolmente tiepido; quel tanto che basta da non dover indossare maglione e sciarpa, se non altro.
Ora non ci resta che aspettarli… non dovevo andare a prenderli io, no? Si chiede, poi guarda con aria distratta lo schermo del cellulare: in alto a destra il campo è segnato assente, riducendo l’apparecchio ad un costoso orologio; l’unica sorpresa positiva è stata trovare delle prese di corrente nella propria stanza, anche se ha elegantemente soprasseduto sui metodi con cui l’energia elettrica venga giustificata o anche solo pagata. Ad ogni scoperta fatta riguardo la scuola di magia inglese Camille è un poco più in dubbio riguardo la praticità dei loro metodi.
E tuttavia nulla, assolutamente nulla, può rovinare quella prima giornata che promette tante interessanti prime volte: si sente in pace, può quasi pensare di fare il professore per sempre. L’idillio viene distrutto da un lampo in oro e rosso, colori che gli è stato insegnato subito ad associare ai guai anche non ricorda il nome della casa- qualcosa relativo ad un leone.
«Prof! Professor Vanden Brock! Chiuda la porta, gli… cazzo, Fanny non vuole, i mostri mi stanno inseguendo!» Esclama un ragazzo alto con il fisico secco ed una faccia d’angioletto che però decisamente non è uno degli studenti quattordicenni che sta aspettando. Si chiude la porta alle spalle, nonostante attraverso i vetri sia ancora possibile vedere un ragazzetto malandato corrergli dietro; si schianta contro lla porta come non si fosse reso conto dell’impedimento e, nonostante la superficie sempre meno trasparente, continua a far schioccare i denti nel tentativo di mordere.
«… questa scuola è un assoluto disastro.»


Angolo-Autrice-2
Eccoci col primo capitolo!
È un capitolo mascherato da selezione, dato che le cose iniziano già a muoversi un po’ nonostante abbia cercato di presentare come si deve i primi bimbi.
Spero che si vedano i primi accenni di personalità, per ora il professore è quello che ha avuto più spazio mentre altri sono stati introdotti solo da PoV non loro: è stata semplicemente una scelta pratica per me, dato che molto spesso mi è più facile far brillare certe personalità dall’esterno piuttosto che utilizzando il loro punto di vista, oltre che permettermi di prendere confidenza in modo più graduale. Insomma, se ho sbagliato con il povero Tyson possiamo dare la colpa al fatto che fosse filtrato da Fanny, mentre se la sua autrice mi dà il via libera grande gioia.
Volevo anche mostrare che il modus operandi della scrittura non sarà uguale per tutti, Mills ha avuto un sacco di dialoghi interni mentre qui ne abbiamo visti molti meno; dipenderà molto dall’OC.
Inoltre, come potete vedere, le iscrizioni resteranno aperte fino al 3° capitolo- contando questo come primo- e siccome cercherò di mantenermi con uno al mese e pubblicare l’ultima settimana circa, impegni permettendo, direi che il 22 dicembre mi sembra adatto come termine per la creazione del gruppo.
Come vedete sopra, si tratta per ora di singoli o coppie, e si uniranno gli uni agli altri lentamente- cosa che mi permetterà di aggiungere OC più avanti. Sarò comunque reperibile e per domande o comunicazioni potete trovarmi su instagram cliccando la precedente scritta blu.
Inizio con la prima domanda! Chiedo gentilmente di rispondermi in privato, mi serve per i titoli (che verranno mano a mano scritti dal primo pov)

Qual è la calligrafia del vostro oc? Elegante, in corsivo, rapida, spigolosa? Descrivetemela!

Bacini,
Fe_
  
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