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Autore: Guntxr    09/11/2023    0 recensioni
Uno scrittore sofferente e un ragazzino, senza casa e costretto a rubare, si incontrano, cosa può insegnare l'uno all'altro? Due mondi completamente opposti che si incontrano e si scontrano. Può Moira portare il ragazzo sulla buona strada? Qual è la buona strada? Tante domande e poche risposte, ma questo solo se non si legge quanto segue, se si inizia questa avventura, le risposte arriveranno.
Genere: Fantasy, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Arrivò a casa, sentendosi più nostalgico del solito. Senza volerlo aveva rivissuto quegli ultimi giorni con i suoi veri genitori. All’entrata si tolse le scarpe e camminando verso il soggiorno, cominciò a lasciare un po’ in giro le sue cose, dapprima la borsa, poi gli occhiali e infine il corpo stesso, che lasciò adagiare sul comodo divano. Iniziò a fissare quindi il soffitto in silenzio, quasi come se qualcosa potesse cadere dall’alto e rivelargli la risposta delle risposte, quella alla domanda che si poneva da tutto il tempo. “Perché?”, lo ripeté anche ad alta voce e mentre continuava a ricordare quel terribile giorno di ottobre.
 
Erano passate all’incirca cinque o sei ore da quando i genitori se n’erano andati via e Moira, nonostante fosse già tarda sera -quasi notte-, non voleva saperne di scollarsi dalla porta di ingresso dell’orfanotrofio. Una ragazza dai lunghissimi capelli castani si avvicinò a lui, aveva sulla trentina di anni ed era lì come volontaria e animatrice dellз bambinз, che al tempo erano anche più di quanti sarebbero statз nel futuro in cui Moira ne avrebbe visti di nuovз.
 
«Ehi, Moira, giusto? Perché non vieni con noi? Andiamo a leggere un libro insieme e poi guardiamo un film. Il signor Luciano sta preparando la cioccolata calda per tutti, non ne vorresti anche tu un po’?», il bambino si limitò a scuotere il capo, non concedendole nemmeno uno sguardo. Ogni tanto tirava su con il naso e s’asciugava le lacrime dal viso, ma nulla sembrava toglierlo da lì. «Va bene, va bene. Posso sapere cosa stai facendo, almeno?»
 
Il bambino si voltò verso di lei, aveva gli occhi lucidi e il labbro che gli tremava quasi come se stesse sentendo freddo. Disse soltanto due parole, che alle orecchie della ragazza sembrarono essere parecchio pesanti. «Li appetto.», in un anno che lavorava lì ne aveva viste di cotte e di crude, ma mai aveva visto una cosa del genere. Lei, inoltre, conosceva anche perfettamente la situazione del bambino e della sua famiglia, avendone letto il fascicolo che il signor Luciano aveva stilato. I suoi genitori avevano entrambi perso il lavoro da un po’ di tempo e inoltre s’erano resi conto con il passare degli anni che la situazione in cui si trovavano non permetteva loro di poter continuare a tenere un figlio, quest’ultimo, infatti, nell’ultimo periodo aveva dato segni dati dall’effetto di quello che i genitori stavano vivendo come persone a sé e anche come coppia. La ragazza si rimise quindi in piedi, dato che s’era chinata per parlare meglio con il bambino e dopo aver fatto segno lui di aspettare, andò via, dandosi uno slancio verso l’ufficio del capo responsabile, proprietario, nonché fondatore dell’orfanotrofio: Luciano, il padre di Fabrizio, che era a detta di tuttз decisamente meglio del figlio.
 
Lei si fermò dietro di lui, bussando prima di entrare in ufficio e quando ebbe catturato la sua attenzione fece un passo in avanti, chiedendo se la cioccolata calda fosse pronta per tuttз, lui rispose che ne mancava solo una tazza.
 
«Posso averne due? Io e il piccoletto la mangiamo insieme, il nuovo arrivato intendo.», quest’ultimo annuì sorridendo e subito la ragazza prese le due tazze calde. «Eccomi scimmietta, perché non aspettiamo insieme? Questa l’ho presa per te.», gli porse così la cioccolata calda e quando lui la afferrò tra le sue piccole mani iniziò a sentirsi un po’ più al sicuro di prima. «Vedi, Moira, questa ora sarà la tua nuova casa, quindi se vuoi, dopo, possiamo esplorare di più di questa semplice porta.», il bambino però non ne voleva sapere, continuava ad aspettare davanti alla porta, anche con la cioccolata in mano. «Perché non mi parli un po’ di te?», cominciò la ragazza dagli spessi scuri. «Magari se facciamo un po’ di conoscenza io e te, la porta diventa meno noiosa. O no?»
 
Il bambino, che capì di non avere altra scelta, continuando a sorseggiare la calda bevanda, iniziò a parlare anche lui. «Io…io…», non riusciva però a dire parola alcuna, era come pietrificato sul posto, immobilizzato dalle proprie emozioni e dal sovraccarico di pensieri che nemmeno lui riusciva a decifrare.
 
La ragazza se ne accorse, appoggiò la mano sulla spalla del bambino, tentando di rassicurarlo. «Non fa niente, Moira, va bene così.», gli carezzò la testa e dopo qualche ora in cui lз due erano rimastз lì ad aspettare, lei notò Luciano che passava di lì, si fece portare due cuscini e due coperte, questo perché il bambino s’era addormentato con la testa appoggiata alla ragazza, a sua volta anche lei parecchio stanca. Lз due dormirono l’unǝ al fianco dell’altrǝ.
 
Il mattino dopo, quando si svegliò, Moira si ritrovò in un letto comodo, in una stanza piena di bambinз che riposavano beati, nessunǝ di loro s’era ancora destatǝ. Lui, allora, capendo che i genitori molto probabilmente non sarebbero mai più tornati, rinunciò subito nell’aspettarli davanti alla porta. Volle però cercare per tutto l’orfanotrofio la ragazza che la notte prima lo aveva trattato più che bene, desiderava ringraziarla. Il primo che incontrò fu un uomo sui quarant’anni, forse di più, che gli sorrise in modo gentile, per poi porgergli la mano e con la sua voce bassa e calda lo accolse. «Tu devi essere Moira. Piacere, sono Luciano, ma puoi chiamarmi signor Lucio, se vuoi.», il bambino, che era intimidito dalla presenza dell’uomo dalla testa calva, era l’unica cosa che riuscì a notare di lui, non disse alcuna parola. «Sei il primo a essere sveglio, perché non torni a dormire? È ancora molto presto.», il piccolo Moira scosse quindi il capo, facendo cenno allo stomaco, come per dire che aveva già fame. «Capito, ti va un po’ di latte caldo e dei biscotti?», a questa domanda, invece, annuì senza pensarci due volte. I due si presero quindi per mano e andando verso la cucina dell’orfanotrofio, dove Luciano iniziò a preparare la colazione per entrambi, consapevole del fatto che dopo avrebbe dovuto fare la cosa per almeno una ventina di bambini e per le altre persone che lavoravano lì con lui. «Ieri hai conosciuto Rossella, hai visto com’è gentile?»
 
Anche qui il bambino annuì, senza dire nessuna parola e aspettandosi che l’uomo lo potesse comunque capire alla perfezione, e, infatti, era proprio così. Luciano aveva ormai una tale esperienza con lз bambinз che gli bastava vedere i loro gesti per capire a fondo ciò che volevano dire lui.
 
Appena pronta la colazione, l’uomo portò la tazza del bambino, la propria tazzina di caffè e il pacco di biscotti al cioccolato nella mensa, in cui c’erano in pratica soltanto loro due. «Tra poco dovrebbe essere qui anche lei, sarà così felice di vederti.», i due si sedettero uno di fronte all’altro e mentre Luciano insegnava al piccolo come bere dalla tazza, il sole fuori cominciava sempre di più a salire e lз bambinз unǝ ad unǝ si sarebbero presto svegliatз.
 
«Pecché io tono qui?»
 
Lo chiese con un tono innocente, che quasi spezzò il cuore al signor Lucio. Quest’ultimo posò la propria tazza. «Fidati, a volte è meglio aspettare per sapere, diciamo che la tua mamma e il tuo papà sono come dei giardinieri e tu sei un bellissimo fiore, il loro giardino è diventato sempre più piccolo e rovinato, perciò per non far rovinare anche il bellissimo fiore che avevano, hanno scelto di darlo a noi, così che tu venga dato a un altro giardino, ancora più bello. Lo hanno fatto per te. Ora sicuramente non lo capirai, ma quando sarai più grande e magari avrai anche tu un figlio o una figlia, beh, lì sarai sicuramente più consapevole di tutto ciò.», sospirò lievemente, poi guardò il bambino che sembrava essere ancora più triste e confuso di prima. «Lo so, non è molto bello da sentire, ma ehi, ora siamo noi il tuo nuovo giardino, siamo noi la tua nuova famiglia. Sii felice.», la risposta del bambino non tardò affatto.
 
«Io tono felite con loro! Io vollio loro!»
 
«Qui sarai ancora più felice, sarai trattato come un bellissimo fiore, te lo prometto.», strizzò poi l’occhio sinistro sorridendo e contro ogni mal aspettativa riuscì a mantenere la promessa. Per tutto il tempo in cui si trovò lì, infatti, nonostante aspettasse ogni giorno i suoi vecchi genitori, venne trattato benissimo e con cura. Non gli mancò niente e in men che non si dica trovò una nuova famiglia, nonostante le prime quattro che lo presero con sé lo riportarono tutte indietro dopo qualche mese. Questo fino a quando non trovò quella definitiva, dal quale però si allontanò lui stesso, sia perché in lui s’era creato un trauma legato all’abbandono, sia perché quella, in realtà, era poco accogliente e buona come nuova famiglia.
 
Una volta cresciuto iniziò a cercare ovunque i propri genitori biologici e quando riuscì a trovarli, si fece accompagnare da Thomas a casa loro. Ricordava persino la conversazione che i due ebbero nell’auto prima di arrivare. Iniziò prima lo stesso Moira. «E se non mi volessero vedere? E se non mi riconoscessero? Voglio dire, sono passati più di vent’anni, io ormai ne ho ventiquattro, non credi sia il caso di lasciare stare?», il ragazzo scosse il capo sorridendo. Prima di partire lo stesso Moira gli aveva specificatamente chiesto di non fermarsi o tornare indietro se glielo avesse chiesto, ormai da troppo tempo stava rimandando quel giorno e ora che ne aveva trovato il coraggio, non poteva finire per auto sabotarsi di nuovo. «Hai ragione, non devo farlo.»
 
Arrivarono dopo almeno altri cinque minuti, in realtà la loro casa era soltanto dall’altra parte della città, i genitori non s’erano mai mossi da lì.
 
Moira aveva però bisogno di un supporto morale nel caso la cosa sarebbe andata male, ma anche se fosse andata bene aveva bisogno dell’appoggio dell’amico che era sempre stato presente nella sua vita, nella buona e nella cattiva sorte. Ormai i due erano inseparabili e la cosa faceva sentire il ragazzo più forte di quello che era, proprio per questo quando Thomas venne a mancare Moira si svuotò di ogni briciolo di energia e forza che aveva in corpo.
 
Erano ormai davanti alla porta, bastava premere il tasto del campanello e tutto si sarebbe risolto, le ansie e le paure dentro la giovane mente di Moira sarebbero svanite, la probabilità però che potessero diventare realtà, però, erano in lui più alte di quello che s’aspettava. Agì d’impulso e bussò, senza nemmeno il bisogno di suonare al citofono. «Bravissimo», sussurrò Thomas.
 
Dall’interno si sentirono dei passi avvicinarsi alla porta e quando quest’ultima si aprì si affacciò una donna, aveva gli occhiali anche lei e come il figlio aveva due occhi azzurri e gelidi. Si fermò immediatamente da quello che stava per dire quando realizzò chi aveva di fronte, subito chiamò il marito. «Tesoro…», disse con la voce tremolante. «…vieni a vedere.», gli occhi di entrambз si riempirono di gioia, ma anche di lacrime. Il tutto mentre Moira era bloccato, pietrificato da quello che sarebbe potuto succedere, come se per lui la porta non si fosse ancora aperta.
 
Thomas, che teneva la mano all’amico, si sentì in dovere di fare da tramite per la conversazione che non aveva intenzione di iniziare. «Moira ha insistito molto sul vedervi, non potevo non portarvelo.», in quel momento il ragazzo si avvicinò ai genitori, che fecero lo stesso e che saltarono su di lui in un abbraccio collettivo. Tanto che, l’amico, rimasto escluso, strinse le braccia attorno a sé stesso, quasi come se stesse abbracciando l’aria e quando Moira e i genitori avevano finito e anche Thomas aveva smesso di ironizzare sulla cosa, tra un sorriso e una lacrima i due riuscirono a entrare in casa.
 
La madre li fece accomodare nel soggiorno, che identico a come Moira lo ricordava anni prima. «Devo dire che sei cresciuto abbastanza, raccontaci di te.», il padre tornò dalla cucina con un pacco di biscotti, sedendosi di fronte ai due e al fianco della moglie. «Abbiamo cercato di informarci tramite la tua nuova famiglia, ma loro continuavano a dirci che avete tagliato i rapporti.»
 
Moira sembrò quasi star andando su un suo tasto dolente, non parlava mai dei suoi genitori adottivi, mai quanto parlasse dei suoi genitori biologici o della famiglia che aveva trovato nell’orfanotrofio dove avrebbe in futuro lavorato come volontario. «Frequento l’università, ora. Punto alla laurea magistrale e poi ad una probabile cattedra come insegnante di letteratura nelle scuole superiori.», mentre Moira continuava a spiegare tutto ai propri genitori, che a loro volta pendevano dalle sue labbra, Thomas aveva cominciato a strafogarsi di biscotti e quando si sentì interpellato dallo stesso ragazzo, si voltò verso di lui con lo sguardo di uno che era appena caduto dalle nubi. «…e così ho incontrato Thomas, da quando ho lui nella mia vita, tutto ha cominciato a migliorare. È sempre stato al mio fianco e ora lui e la fidanzata progettano grandi cose.»
 
La madre, che tolse i biscotti dalle grinfie di Thomas, sorrise immensamente al figlio. «Moira, noi dobbiamo dirti una cosa, che non avevamo il diritto di riferirti, ma che ora, avendone la possibilità, faremo comunque.», ci fu un attimo di silenzio, che aiutò purtroppo ad aumentare l’ansia e la tensione nel ragazzo che in quel momento stava aspettandosi di tutto e di più. «Noi, ogni quattro mesi tornavamo di nascosto all’orfanotrofio e controllavamo se stavi bene, se qualcuno ti aveva preso con sé, ma non potevamo farci assolutamente vedere, per questo venivamo la mattina all’alba, quando era sveglio soltanto il signor Luciano. Qualche anno dopo abbiamo avuto l’opportunità della vita, tuo padre era stato riammesso al lavoro e io ho avuto una promozione, ma tu non eri più lì. Pensavamo fosse la nostra punizione, perché nel momento in cui noi avevamo bisogno di sapere di te, tu c’eri, ma noi non ci siamo stati per te quando eri tu ad averne bisogno. Pensavamo ci avresti odiato a morte, che non ci saremmo mai più rivisti e invece, ora eccoti qua.», la madre si alzò di colpo, andando ad abbracciare subito Moira, che ricambiò il gesto.
 
«Io non vi ho mai odiati. Per quanto all’orfanotrofio mi credessero stupido, nella loro beata ignoranza, io avevo capito tutto. Anzi, all’inizio pensavo foste voi a odiarmi, “chi ti lascia a qualcuno di peggiore non ti ama”, pensai alcune volte, credendo che voi sapeste in che famiglia ero capitato. E a dirla lunga, sono tornato molte volte all’orfanotrofio, nessuno mi voleva davvero e quelli che mi hanno tenuto più a lungo, nemmeno loro mi sopportavano. Ero troppo esuberante e vivace, perciò la mia personalità è cambiata, ora sono molto più chiuso, sono come un riccio.», in quel momento anche Thomas stava ascoltando qualcosa di nuovo, questo lato della storia lui non l’aveva mai raccontato ad anima viva. «Prima di venire qui ci ho riflettuto molto, ormai ho una casa tutta mia, vivo da solo, sono adulto e mi pago il cibo che metto in tavola, posso finalmente andare a trovarli, mi sono detto. Ho chiesto al mio unico e migliore amico di accompagnarmi, perché? Perché avevo paura…», in quel momento le mani gli tremavano e gli occhi gli stavano diventando piano a piano sempre più lucidi. «…avevo paura che anche voi, come gli altri, vi foste in realtà stancati di me.», si alzò poi in piedi. «Scusatemi, devo andare, ci rivedremo sicuramente presto, ve lo prometto.», la madre insistette sul farlo rimanere di più, ma lui corse fuori dalla casa e si diresse subito in auto con l’amico. «Andiamo, per favore.», disse a Thomas mentre quest’ultimo entrava al posto del conducente. Non riuscì a dire niente e probabilmente anche se Moira non l’avesse bloccato non avrebbe avuto le forze di aggiungere altro. Anche lui era rimasto devastato dal discorso che il ragazzo aveva tenuto davanti ai genitori.
 
Poté dire qualcosa soltanto quando si trovarono sulla strada. «Non immaginavo una cosa del genere, perché non me ne hai mai parlato?», fu il silenzio di Moira a rispondere per lui e quando ce ne fu abbastanza, Thomas riprese a parlare. «Andiamo a bere qualcosa, ti va? Faccio venire anche Rebecca, così ci distraiamo per bene.»
 
Sospirò e dopo essersi asciugato le lacrime ed essersi calmato, sorrise.
 
Afferrò il proprio cellulare in mano e guardando l’amico si decise a parlare, sbloccandosi da quello stato di pietrificazione in cui si trovava. «La chiamo io, anche se sicuramente non servirà a nulla. Distrarmi ora come ora è pressoché impossibile, ma vale la pena provarci, no?» Thomas subito ridacchiò, dicendo che era tutto perfetto. «Che cosa intendi?», lui spiegò di trovarsi già sulla strada per andare al bar e che Rebecca li stava già aspettando lì da una decina di minuti circa. «Sei un idiota.», rispose lui ridendo.
 
Sarebbero arrivati alla destinazione dopo almeno una decina di minuti, il traffico non giocava a loro favore; perciò, dovettero rallentare un sacco di volte prima che la strada fosse completamente sgomberata. Thomas decise di prendere quindi la palla al balzo e chiedergli del perché non gli avesse mai raccontato quella parte così toccante della sua vita. «Senti, Moira, non è perché io voglia farmi gli affaracci tuoi, sai quanto io infilare il naso nelle tue cose, ma non è questo il caso. Vuoi parlarne?», lo stesso Moira, che stava fissando lo scorrere della strada silenziosamente, rimase ancora una volta zitto. E Thomas sapeva benissimo perché non ne volesse parlare, non solo si fermò a rifletterci su, ma riuscì persino ad azzeccarne la motivazione. In realtà non voleva parlargliene perché aveva paura che anche Thomas, come le altre persone prima di lui, potesse abbandonarlo e dimenticarsene. «No, Moira, io non ti abbandonerò.», il ragazzo si voltò di colpo verso l’amico. «Mi dispiace tanto tu abbia avuto delle esperienze del cazzo, ma ciò che hanno fatto altre persone non mi farà riflettere su quanto io possa sostituirti o meno. Ora tu starai sicuramente pensando che posso avere di meglio, che sei facilmente sostituibile e che per quante poche persone si chiamino Moira al giorno d’oggi, uno o l’altro lo troverei.», sembrava quasi gli stesse leggendo nel pensiero in tempo reale. «Ma io non voglio né di meglio né sostituti. Lo sai, io sono sincero e diretto, e fidati che se avessi voluto sostituirti, l’avrei già fatto. Ma io non sono quel tipo di persona e anche lo fossi, con te non sento la necessità di avere di meglio o di peggio, con te sento la necessità di avere te. Nessun’altro. Siamo chiari?»
 
L’amico posò leggermente la testa sulla spalla di Thomas. «Anche io voglio te e nessun’altro. Quindi ci intendiamo a vicenda. Grazie Thomas.» Mentre parcheggiava, il ragazzo diede un piccolo bacio sulla testa dell’amico, ringraziandolo anche lui, per tutto quello che riusciva a migliorare nella sua vita.
 
Una volta fermi al fianco del marciapiede, il ragazzo tolse la cintura e dopo averlo guardato negli occhi disse una cosa che mai e poi mai sarebbe stata dimenticata. «Non esiste Thomas senza Moira.»
 
«Non esiste Moira senza Thomas.», ribatté l’amico sorridendo.
 
Entrambi scesero dall’auto e insieme si diressero verso il bar, dove Rebecca stava attendendo il loro arrivo da un po’ di tempo. Tanto che appena arrivarono nel suo campo visivo, lei s’alzò di scatto e guardandoli sorridendo esordì ad alta voce. «Finalmente! Ragazzi pensavo foste morti.», poi, continuando a ridacchiare concluse con: «Lì per lì stavo per chiamare gli sbirri, pensavo vi foste persi.», i due si guardarono quasi istintivamente.
 
Era novembre del 2008, Rebecca e Thomas stavano insieme almeno da tre mesi, essendosi fidanzati alla fine di agosto dello stesso anno. Lз due si salutarono scambiandosi un velocissimo bacio, mentre con Moira la cosa si limitò a un abbraccio stretto e affettuoso. Tuttз e tre si sedettero al tavolo e quando arrivò il cameriere del bar, sapevano già cosa prendere. Fu Thomas a ordinare per loro, andando a colpo sicuro su cosa volessero. «Allora…», cominciò schiarendosi la gola con un leggero colpo di tosse, «…per me un whiskey, per la ragazza un caffè macchiato e per il mio amico, invece, un po’ di latte e menta. Con ghiaccio, per favore. E porti anche, sempre per favore, due cornetti alla nocciola e per me un pasticciotto leccese, grazie.», il ragazzo si allontanò da loro, tornando al bancone e iniziando a preparare quanto appena segnato.
 
«Beh?», cominciò Rebecca guardandoli, «Com’è andata? Siete riusciti a incontrarli? Che hanno detto? Com’è andata?», talmente era sulle spine che nemmeno si accorse di aver ripetuto la stessa domanda due volte. «Parlate.» Thomas e Moira si scambiarono uno sguardo quasi triste e quando condivisero suddetta occhiata anche con Rebecca, lei capì subito che la cosa non era andata per il meglio. Moira spiegò quindi che sì, erano riusciti a incontrare i suoi genitori, ma che lui era scappato via prima che loro potessero dire qualsiasi cosa. Non era riuscito a reggere il colpo e, in realtà, nemmeno la madre e il padre sembravano stare una favola per lo stesso ovvio motivo. «Sicuramente…», osservò la ragazza, che era la più razionale tra di loro, «…avrai un’altra chance e senza che tu te ne accorga, quando le acque si saranno calmate, vi reincontrerete e lì sarete liberi di dirvi tutto ciò che fino ad ora è rimasto solo nelle vostre teste.», mentre Thomas si accese una sigaretta, di soppiatto Moira ne prese una dal suo pacchetto, dicendo che era per alleviare lo stress che stava sentendo in quel momento. «Dovreste smettere entrambi di fumare, ragazzi. Non vi fa affatto bene e questa scusa dello stress ormai è una vecchia storia che vi sta rovinando.», dopo qualche secondo arrivarono le cose ordinate e senza che Moira o Rebecca se ne rendessero conto, Thomas aveva già pagato per tuttз e tre. Entrambз ringraziarono sorridendo.
 
Moira sospirò con un velo di malinconia, tutta quella situazione lo stava davvero appesantendo e stressando. Voi sicuramente lo conoscete come un eterno silenzioso, che sta sempre per le sue e che non accenna mai ad un sorriso, ma dovete sapere che quando Thomas era in vita era raro vederlo in quelle condizioni. Sempre sorridente e solare, tranne ovviamente in situazioni come queste che lo stremavano. Era raro persino che piangesse, non perché non ne avesse il coraggio, ma bensì perché fortunatamente non ne sentiva il bisogno. Si voltò verso Rebecca e Thomas, guardando negli occhi prima una e poi l’altro, per il quale nutriva un grande amore platonico. «Grazie ragazzi, voi siete la mia salvezza. Riuscite in qualche modo a rendere le mie giornate…meno noiose e più piene. Senza di voi sarei perso, come un pesce fuor d’acqua.»
 
Tornando nel futuro, Moira, ancora steso sul divano, s’era addormentato da poco e tra le braccia comode dei cuscini stava viaggiando con la mente in interminabili sogni. Questo era uno di quelli che non aveva senso, dato che ciò che vedeva era un qualcosa di bizzarro, a tratti inquietante e che in realtà mostrava molto di più sulla sua mente di quanto si possa pensare.
 
Il sogno cominciò con un risveglio e quando aprì gli occhi si ritrovò tutte le persone a lui care attorno, mentre lui era steso in una bara, vestito elegante e con un mazzo di fiordalisi in mano. «Addio.», ripeteva la folla in coro, che lo fissava e nel mentre qualcuno continuava a gettare terra sulla bara ancora aperta con lui all’interno. «Addio.», ripeteva la folla in coro, che lo fissava e non versava una singola lacrima in sua memoria, guardandolo perdere la sua anima senza dire una sola parola dolce. «Addio.», ripeteva la folla in coro, che lo fissava e giudicava con il solo sguardo le sue azioni passate, per quanto giuste o sbagliate possano essere state. «Addio.», ripetevano in coro tutti i genitori che aveva avuto nella sua vita, che lo fissavano e senza che loro muovessero un muscolo o dicessero anche una sola cosa in suo nome lui continuava a sparire da quel mondo. «Addio.», ripetevano in coro Max e Victoria, che lo fissavano e che continuavano a pensare a quanto fastidiosa fosse la sua presenza nelle loro vite, per quanto breve possa essere stato. «Addio.», ripetevano in coro Rossella e il signor Lucio, che lo fissavano e pensavano a quanto deludente potesse essere in quel momento e quanto sprecato fosse stato il loro tempo in cui erano statз appresso a lui. «Addio.», ripeteva Rossella fissandolo e considerandolo il peggior amico che mai si potesse avere, un peso inutile del quale era felice di essersi liberata, la causa della perdita del proprio fidanzato.
 
«Addio.», ripeteva Thomas fissandolo e continuando a ricoprirlo di terra, aveva il sangue che gli usciva dalla testa e i lividi in tutto il corpo. Lui che continuava a pensare che il suo posto era nella tomba e meritava di essere lì.
 
Ma in fondo quello era soltanto un incubo, un riflesso delle sue paure e la traduzione di come lui vedeva il mondo che ancora non capiva del tutto. Lui era solo una piccola macchietta nell’insieme di un quadro impressionista e come tale si sentiva inutile, giudicato e di troppo. Non sapeva che, in verità, la sua presenza era più che essenziale in quell’insieme di cose che formavano la realtà dei fatti. Non era ancora pronto a capire quel mondo e mai lo sarebbe stato, ma ciò lo spingerà a cercare di esserlo e cercare di capirlo, ‘sto mondo.
 
Si svegliò con le lacrime agli occhi, ripensando a quello che aveva appena sognato, era consapevole che quella non era la realtà dei fatti e che le persone continuavano a ripetergli “addio” soltanto nella sua testa paranoica e malinconica. Questo però era più difficile da ammettere che da notare. Se solo lui avesse avuto le forze di poter dire che non era colpa sua, se solo si fosse reso conto che il suo posto nel mondo c’era, beh, forse il mondo lo avrebbe capito.
 
Aveva solo bisogno di una mano e quell’aiuto era pronto ad arrivare.
 
Passò una settimana circa e Moira era tornato a casa dall’orfanotrofio molto più tardi del solito. Il sole era già tramontato da più di un’ora, erano le ventuno e l’uomo aveva poca voglia di tornare dentro le grinfie del proprio divano. Sapeva che sarebbe rimasto tutto il giorno a crogiolarsi nei pensieri più oscuri e a vivere di sogni in cui Thomas era vivo e in cui il loro trio era riunito. Quella non era la realtà e lui lo sapeva benissimo e per quanto potesse fargli bene al cuore, quello non era altro che un autolesionismo mentale nel quale ricadeva ogni volta che s’addormentava.
 
Tirò un sospiro e guardandosi nell’animo rifletté. «Devo trovarmi dei nuovi amici.», si ripeté almeno due volte. «Devo trovarmi assolutamente dei nuovi amici.», non capendo che in realtà non era affatto pronto per un passo del genere. Era però armato di buona volontà, perciò raccolse dalla propria borsa color caffè il manifesto che gli avevano dato quella mattina in strada e leggendolo notò che era stata organizzata una serata al bar letterario. Questa puntava a riunire più persone possibili e farle conoscere. «Al caso mio.», pensò tra sé e sé, non notando che stava parlando di nuovo da solo e che quello lo avrebbe portato a una sola cosa: avere una delle sue visioni di Thoma, che non diede nemmeno il tempo al ragazzo di pronunciare nella propria testa il suo nome. Già era lì, sulla sua spalla destra. «Buonasera, Thom.», disse Moira salutandolo con gentilezza e sorridendogli. Poi avvicinò il manifesto alla sua spalla, come per farlo leggere meglio al suo amico, non rendendosi conto che in realtà lì seduto non c’era nessuno e che stava piano piano diventando pazzo.
 
«Sembra un’idea carina. Perché non ci vai? Sarà la tua occasione per liberarti di me, non trovi?», in quel momento tutto si fermò attorno a Moira e sull’altra spalla apparve anche l’omino della sua coscienza, che iniziò a muovere il capo contrariato e quasi anche deluso dal tutto. «Che ci fa lui qui?»
 
Subito l’altro rispose. «Non ti sembra chiaro? Ha appena realizzato che per andare avanti deve liberarsi di te, non lo vuole, non si staccherà mai da te.»
 
Nacque una conversazione tra le due visioni in cui Moira se ne stava zitto ad ascoltare. «Ovvio che non ce la farà mai se tu continui a sottovalutarlo così, se continui a tormentarlo e appesantirlo in questo modo. Non è una bestia, cazzo, merita anche lui un po’ di compassione, no?», la situazione sembrò accendersi abbastanza, tanto che Moira bastò urlare un semplice “basta” per far sì che entrambi sparissero. Rimise il volantino nella borsa e dopo essersi pettinato al volo uscì di casa senza pensarci due volte. Arrivò davanti al bar, pieno di gente, in almeno dieci o quindici minuti di camminata. Lui non aveva l’auto, ma non perché non fosse capace di guidare, ma perché dopo un incidente che aveva avuto anni prima non ne aveva mai più toccata una. Si muoveva a piedi o con i mezzi pubblici, sentendosi così più al sicuro. Era più scomodo, ma non aveva altre vie per potersi muovere. Entrò quindi nel locale, immergendosi in un bagno di folla che lo faceva sentire poco a suo agio.
 

 
 
Uscì correndo fuori dopo almeno dieci minuti, non fece nemmeno in tempo a ordinare qualcosa da bere. «Un’idea pessima», pensò tra sé e sé, il bagno di folla non faceva per lui e quel gran vociare e parlare lo faceva andare in uno stato di sovraccarico che non riusciva a gestire. Capì però che quella era sì una motivazione valida, ma era anche una scusante per mollare tutto troppo presto.
 
Arrivò davanti al bancone del bar, dove un uomo barbuto continuava a muoversi a destra e a sinistra alla velocità della luce, preparando cocktail su cocktail. Quando arrivò il suo turno lui chiese un semplice latte e menta. Tutto attorno sembrò zittirsi, tanto che anche il barman, confuso, chiese conferma ridacchiando. «Un whiskey, prendo un whiskey.», dopo di che, Moira non ebbe nemmeno il tempo di tirare fuori i soldi, il bicchiere era già pronto davanti a lui. Conosceva già il prezzo a memoria, in verità, lui e Thomas vi erano già stati in quel bar, quando aveva aperto. Non contenti però tornarono al loro solito locale, che tra l’altro non sopportavano nemmeno.
 
«Prima volta in un cocktail bar?», chiese una donna che si avvicinò a lui.
 
«No.», rispose lui timidamente. «Semplicemente non bevo.», lei guardò poi il suo bicchiere sorridendo. «Non avevo scelta a quanto pare, fosse per me avrei preso sempre il solito, ma qui non sono abituati ai miei gusti.», ridacchiò forzatamente per dare più atmosfera a quello che stava dicendo. «Tu cos’hai preso?», lei iniziò a parlare del proprio cocktail, dicendo che era il suo preferito, che lo ordinava sempre e senza che lui se ne rese conto, iniziò a parlare di sé stessa, ma secondo quello che la sua mente traduceva lei stava dicendo che era laureata in bla bla bla, con un corso in bla bla bla, aveva due bla bla bla e altri bla bla bla alla quale non s’interessò minimamente. Non lo faceva con cattiveria, semplicemente il chiasso attorno a lui non lo faceva concentrare abbastanza da poter prestare attenzione a quello che lei stava dicendo.
 
Arrivò poi la sentenza fatale. «Sai, io devo andare ma tu sembri molto carino, ti va di vederci una seconda volta? Ti lascio il mio numero, se vuoi.»
 
In quel momento tutta la stanza sembrò zittirsi di colpo, lui rispose una semplice cosa che venne ascoltata da almeno una ventina di persone che subito dopo si voltarono verso di loro. «Anche tu sei carina, ma vedi…io sono gay», lз due si separarono e dopo che Moira, ignaro di essere stato sentito anche da una persona di sua conoscenza lì presente, bevette il suo whiskey, lo pagò e se ne andò, puntando direttamente a casa sua. La serata era stata deludente e ancor peggio quel briciolo di interazione sociale che aveva avuto gli aveva lasciato l’amaro in bocca. Immediatamente apparve Thoma sulla sua spalla. «So già perfettamente cosa vuoi dirmi, risparmiatelo. Sono consapevole di essere uscito per fare amicizia, ma quella tizia non mi andava a genio e poi già era cotta di me, io voglio un qualcosa di disinteressato.»
 
«Ti innamorerai anche tu, prima o poi. Com’è successo con me.»
 
«Con te era diverso, eravamo già amici prima che mi innamorassi di te, in più ti ho esplicitamente chiesto di non parlarne più, la usi sempre come carta quando non hai più da argomentare e ciò non è giusto.», Thoma si zittì.
 
Arrivò davanti al cancello di casa sua, qui trovò un ragazzino dai capelli corvini, i vestiti bruciacchiati e sgualciti, che si avvicinò a lui e con un coltello in mano lo minacciò. «Dammi tutti i tuoi soldi, vecchiaccio.», Moira però continuava a sentire ancora il grosso vociare del bar nella sua testa ed era talmente stanco che lo ignorò ed entrò in casa senza badarci troppo.
 
Il ragazzino rimase di stucco davanti a quella reazione, tanto che dovette andare via a mani vuote, deluso anche lui dal resoconto della serata.
 
 
   
 
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