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Autore: quenya    21/11/2023    2 recensioni
Una bufera di neve fuori stagione sta per abbattersi su Nerima quando Ukyo trova, nel suo cortile, un maialino nero letteralmente piovuto dal cielo. Sarà l’inizio di una bizzarra convivenza tra due anime solitarie che piano piano usciranno dal torpore della rassegnazione in cui erano cadute…per scoprire, in modo inaspettato, di non essere più sole.
Una storia interamente dedicata alla coppia Ryoga e Ukyo, che ho amato per tutta la vita.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ryoga Hibiki, Ukyo Kuonji
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 4

 

 

Nota dell’autrice:

Ciao a tutti, approfitto di questo spazio per fare innanzitutto dei ringraziamenti ai miei fantastici recensori TigerEyes, FedeGinRic e Andy Grim. Leggere le vostre recensioni mi riempie di goia e mi ritengo davvero onorata per aver risosso la vostra approvazione ed avervi come ‘compagni di viaggio’ nella mia prima avventura in questo fandom.

In particolare vorrei ringraziare TigerEyes, oltre che per le sue super dettagliate recensioni, soprattutto per il suo immenso aiuto ed infinita pazienza nel risolvere i miei litigi con la punteggiatura, dare la caccia alle odiose ripetizioni e, in generale, offrirmi consigli stilistici sempre molto apprezzati.

E ora, mettetevi comodi… perché questo capitolo sarà bello lungo! ^__^

 

 

 

Dopo un paio di tentativi, Ryoga arrivò davanti alla porta del bagno e tirò un sospiro di sollievo. Dopo il risveglio al cardiopalma di quella mattina le cose sembravano andare finalmente per il verso giusto, nonostante avesse dovuto improvvisare molte più volte di quanto non fosse saggio fare, considerata la sua totale incapacità di mentire.

Si era svegliato di soprassalto, di nuovo, con una intensa sensazione che stesse accadendo qualcosa di anomalo e quando aveva aperto gli occhi, l’anomalia si era manifestata in tutta la sua interezza nella forma della ragazza che dormiva beatamente tra le sue braccia. Una visione che forse, in un altro momento, avrebbe potuto anche apprezzare sotto vari punti di vista, se non fosse stato per i primi segni di un suo imminente risveglio. Preso dal panico si era guardato intorno e aveva trovato il bicchiere d’acqua ancora mezzo pieno accanto al futon, che gli aveva permesso di trasformarsi giusto qualche istante prima che Ukyo aprisse gli occhi.

Inutile dire quanto fosse stato nervoso quando lo aveva guardato e gli aveva chiesto se era stato lui a scaldarla… trovandosi mezzo bagnato in una pozza d’acqua e con la parte del materasso accanto a lei ancora tiepida per il suo residuo calore corporeo, era stato assolutamente convinto che Ukyo avesse capito ogni cosa. Ma, di nuovo, era stato graziato e dopo essersi sbarazzato dell’asciugamano rimasto nascosto sotto le coperte mentre la ragazza era in bagno a vestirsi (altra cosa di cui era immensamente grato, assistere alla svestizione della sera prima era stato più che sufficiente) aveva solennemente deciso che in qualche modo avrebbe ripagato quell’insolita buona stella aiutandola a rimettere in sesto la caldaia.

Era il minimo che potesse fare per contraccambiare l’ospitalità ricevuta, considerate le circostanze, anche se con tutta probabilità avrebbe dovuto attendere un’intera giornata per poter tornare umano di notte e ripararla mentre lei dormiva.

Alla fine, però, non ce n’era stato bisogno: Kasumi, nella sua infinita pazienza e amorevole predisposizione, subito dopo averlo prelevato, aveva girato un angolo, lo aveva trasformato con un thermos di acqua calda, gli aveva dato i suoi vestiti e lo aveva gentilmente messo a due passi dalla soglia del ristorante. Poi lo aveva salutato con un dolce sorriso e gli aveva detto semplicemente: “Prenditi cura di lei, ok?”.

Molte volte si era chiesto come avesse fatto a meritarsi quell’angelo custode che era Kasumi, che aveva evidentemente scoperto il suo più grande segreto e non ne aveva fatto parola con nessuno. Al contrario, aveva preso ad aiutarlo silenziosamente facendogli trovare thermos di acqua calda e vestiti puliti in punti strategici. Era però probabile che quelle piccole attenzioni non fossero dirette solo a lui: nella baraonda di casa Tendo, dove quasi la metà delle persone che la frequentavano era afflitta da una maledizione, mettere a disposizione un modo per tornare normale e qualcosa con cui coprirsi doveva essere stata una necessaria priorità per poter mantenere un minimo di decenza.

Ritrovarsi di nuovo in forma umana, per quanto sempre gradita, gli aveva però posto il problema di come fare a fornirle il suo aiuto. Non poteva di certo entrare nel ristorante e chiedere con nonchalance di ripararle la caldaia senza suscitare un vespaio di domande, sospetti e orgogliosi rifiuti in nome della sua bellicosa indipendenza femminile.

Così era rimasto sulla soglia del ristorante a riflettere su come fare fino a quando, all’improvviso, della neve caduta dalla tettoia aveva fatto vibrare la porta, questa si era aperta e lui si era ritrovato davanti Ukyo.

Trovarsi faccia a faccia con la stessa ragazza che aveva visto sorridere, spogliarsi, strusciarsi contro di lui e che infine aveva tenuto una notte intera tra le braccia, gli aveva mandato per un attimo in tilt il cervello e un’ondata di bruciante imbarazzo gli aveva incollato la lingua al palato. Soltanto dopo un supremo sforzo di concentrazione era riuscito a rispondere alla sua legittima domanda di spiegazioni per quella inaspettata apparizione sulla soglia del suo ristorante.

Per fortuna era riuscito a riprendersi dal turbamento iniziale, ma aveva dovuto improvvisare e, come al solito, i risultati iniziali erano stati pessimi: come avesse fatto Ukyo a non sbattergli la porta in faccia davanti ad una scusa così vecchia, banale e pietosa come quella del bicchiere d’acqua era rimasto un vero mistero.

Stranamente, però, il destino sembrava proprio averci messo lo zampino quel giorno, perché era stato il suo stomaco a toglierlo dai guai e a risolvere la situazione, anche se aveva dovuto comunque mentire sul fatto di non poter pagare. Un’altra scusa pessima ma funzionale, perché almeno gli aveva dato modo di giustificare il suo intervento. Quando alla fine era riuscito a convincerla e finalmente lei gli aveva dato accesso al locale tecnico, aveva tirato mentalmente un sospiro di sollievo: da quel momento la strada era stata in discesa, visto che aveva già sospettato quale fosse il problema dalla sera prima e gli era bastato poco per risolverlo.

Adesso non gli restava che assicurarsi della effettiva funzionalità dell’impianto ed avrebbe potuto finalmente avere la coscienza a posto.

Un rumore secco, come un sassolino lanciato su un vetro, lo distolse dai suoi pensieri e quando il rumore si ripeté nello stesso punto per altre due volte, capì che c’era qualcuno fuori che stava cercando di attirare la sua attenzione. C’erano due porte davanti a lui: una era il bagno e l’altra l’uscita sul retro, che dava sul cortile nel quale l’aveva trovato Ukyo. Naturalmente finì in bagno per due volte di seguito prima di azzeccare quella giusta, ma alla fine riuscì ad arrivare fuori e, proprio come sospettava, trovò Ranma.

Per la prima volta da quando lo conosceva il ragazzo indossava sciarpa e cappello, segno che doveva ancora avere qualche sintomo influenzale. Accanto a lui, nella neve, c’era il proprio zaino e Ryoga alzò un sopracciglio. Era uscito di casa con tutta l’influenza apposta per portarglielo? Da dove veniva tanta generosità?

“Come sta Ucchan?”.

Aggrottando le sopracciglia, Ryoga incrociò le braccia. “Adesso sta bene, ma stanotte le è venuto un bel febbrone. Meno male che sono riuscito a farle prendere una medicina… pensa che era talmente distrutta che non si è nemmeno svegliata, per mia fortuna”.

“Ah… allora Akane ci aveva visto giusto”.

“Già”.

Ranma sbuffò, incrociando le braccia dietro la testa e guardando verso il cielo con aria corrucciata.

“Non mi è mai piaciuto il fatto che viva da sola… per fortuna stavolta c’eri tu, ma se dovesse succedere di nuovo? Chi se ne accorgerebbe e soprattutto, chi potrebbe aiutarla? Tra l'altro questa dannata bufera rende tutto più difficile…”.

Ryoga strinse gli occhi, mentre un moto di irritazione si faceva strada dentro di lui. Perché diavolo Ranma continuava ad avere tutte quelle attenzioni speciali per una pseudo ex fidanzata? Non gli bastava Akane? Non era forse a lei che doveva tutta la sua dedizione e le sue premure? Non capiva che in quel modo non solo avrebbe fatto soffrire Akane, ma avrebbe pericolosamente alimentato le illusioni di Ukyo?

Poi però cercò di rilassarsi e di riflettere razionalmente. In fondo Ranma era sempre stato molto amico della bella (bella? da dove veniva fuori quel pensiero?) cuoca di okonomiyaki e non era poi così strano che fosse davvero preoccupato per lei sapendo che era sola e malata, così come la sera prima lo era stata Akane stessa.

“Senti, lo so che ti può sembrare una richiesta assurda, ma non è che potresti restare nei paraggi come P-chan e darle un’occhiata? Almeno fino a quando non saremo sicuri che non si senta male di nuovo”.

Considerando le condizioni di salute precarie della ragazza, Ryoga aveva avuto la vaga intenzione di fare esattamente la stessa cosa già dalla notte prima. La richiesta di Kasumi di poco prima era stata un esempio lampante della preoccupazione dei Tendo e l'attuale insistenza di Ranma rendeva bene l'idea della necessità di quella sorta di monitoraggio. Anche se tutti sapevano bene quanto Ukyo fosse in gamba e quanto ci tenesse alla sua indipendenza, si erano verificate delle condizioni troppo particolari e potenzialmente pericolose per poter essere ignorate. Così, dopo una breve riflessione, annuì.

“Lo sai che non posso garantire nulla, ma farò il possibile”.

“Ah, grande, mi hai tolto un peso dallo stomaco. L’avrei fatto io ma con questa faccenda dell’influenza mi tengono praticamente agli arresti domiciliari… è stata una vera impresa riuscire ad eludere la sorveglianza per venire qui a riportarti ‘sta zavorra. A proposito, ma che ci tieni lì dentro? Sacchi di cemento?”.

“Solo tutto il necessario per sopravvivere… quindi grazie per avermelo riportato. E comunque non è colpa mia se non sei in grado di sopportarne il peso”.

“Ehi, razza di cotechino che non sei altro, guarda che ci riesco benissimo! È solo la febbre che mi ha indebolito!”.

“Sì, come no”, sbuffò lui. “E poi, come mi hai chiamato, scusa?”, ringhiò, scrocchiandosi le dita.

Un urlo carico di femminile indignazione li bloccò sul posto.

“Ryogaaaa! Dove sei finito? Giuro che se mi fai uscire nella neve per venirti a cercare…”.

Le parole sfumarono sullo sfondo, ma la minaccia rimase forte e chiara nell’aria.

“Uh, caspita, sembra che qualcuno sia già nei guai… beh, allora io vado”, replicò Ranma, saltando sulla staccionata dalla quale era venuto. “Ah, Ryoga…”, fece una pausa, apparentemente indeciso se continuare o meno la frase. “Grazie per Ukyo. Stalle vicino, ok?”.

Colpito dal tono insolitamente serio e da quel ringraziamento, lui ancora una volta annuì senza dire una parola. Stava per tornare verso la porta sul retro, quando la testa di Ranma rispuntò dalla staccionata.

“Non troppo, però. Il mondo non è ancora pronto per un marmocchio con i tuoi geni suini”.

Ryoga diventò istantaneamente di brace. Troppo imbarazzato per replicare e accecato dalla furia, gli tirò la prima cosa che gli capitò sottomano, ovvero un vaso di cemento. Naturalmente Ranma lo schivò, gli fece un gestaccio e si allontanò con una risata.

“Schifoso bastardo”, mugugnò, prendendo lo zaino e cercando di riguadagnare un colorito normale. Dopo tutta la fatica che aveva fatto per rimuovere e relegare in un angolo della sua mente i pensieri non propriamente casti della notte prima, ci mancavano solo le volgari insinuazioni di quel mentecatto a vanificare tutti i suoi sforzi!

Stava per svoltare sovrappensiero un angolo quando una voce lo fermò.

"Ehi, sei diventato sordo o cosa? Saranno dieci minuti che ti chiamo… e poi, dove diavolo stai andando?".

Rendendosi conto che stava per prendere di nuovo una delle tante direzioni sbagliate della sua vita, Ryoga sospirò di sollievo. Meno male che Ukyo era uscita a cercarlo, altrimenti avrebbe battuto ogni record di velocità nell'infrangere una promessa.

"Scusa, mi sono ricordato di aver lasciato lo zaino qui dietro. Con l'aria che tira non mi sembrava il caso di abbandonarlo alla furia degli elementi".

Entrambi alzarono gli occhi verso il cielo. Le nuvole lattiginose del giorno prima avevano ceduto il posto a densi cumuli grigio scuro dall'aspetto decisamente minaccioso e un vento gelido aveva ripreso a soffiare. Ukyo rabbrividì e si strinse nell'haori che aveva addosso.

“Mmh, forza entriamo dentro. Mi vengono i geloni soltanto a guardarti”, borbottò gettando un’occhiata in tralice alle sue braccia nude.

Grazie all’intervento sulla caldaia e alla piastra accesa, la temperatura interna del ristorante adesso era decisamente più gradevole rispetto a quella mattina e Ryoga la sentì sospirare di sollievo, mentre la ragazza si toglieva la pesante giacca. Poi la osservò andare dietro al bancone, armeggiare in un cassetto e accendere una tv a schermo piatto posta sulla parete dietro di lei.

“Generalmente la tengo accesa solo per i clienti, ma forse è meglio controllare il meteo. Kasumi poco fa mi ha detto che è previsto un peggioramento”.

Si sedettero al bancone per mangiare gli okonomiyaki ancora caldi e, guardando la tv, scoprirono ben presto che ‘un peggioramento’ era l’eufemismo del secolo: tutti i canali erano inondati di servizi sui disagi che quella ondata di freddo e neve fuori stagione stava provocando sui trasporti e sugli spostamenti dei cittadini e le allerte meteo si susseguivano una dopo l’altra con toni sempre più allarmanti. Alla fine arrivò perfino un comunicato ufficiale della Protezione Civile che, a causa della neve e dei forti venti di bufera, invitava tutta la popolazione a limitare il più possibile gli spostamenti e a non uscire di casa, se non strettamente necessario, per le successive quarantotto ore.

“Non ci posso credere…”, mormorò Ukyo, con gli occhi fissi allo schermo e il telecomando incollato alla mano. “Akane e Kasumi mi avevano avvertito ma… trenta centimetri di neve? Ad ottobre?”.

Ryoga era più preoccupato per lo stato di emergenza e conseguente limitazione agli spostamenti. Visto che non c’era alcuna possibilità che Ukyo accettasse di restare confinata insieme a lui per due giorni di fila, avrebbe dovuto andarsene da lì il prima possibile, per poi tornare da lei come P-chan e restarle accanto, mantenendo così la promessa fatta a Kasumi e a Ranma. Il problema era che vento forte e neve alta significavano una visibilità più ridotta in forma di maialino e una probabilità ancora più alta di perdersi e venir meno alla parola data, quindi doveva muoversi prima che iniziasse davvero a nevicare di brutto come suggerivano le previsioni.

“Beh, vista la situazione allora è meglio se tolgo il disturbo. Grazie ancora per la colazione e…”.

Ukyo si girò a guardarlo come se gli fossero spuntate due teste.

“Ma ti sei bevuto il cervello? Dove diavolo pensi di andare con una bufera del genere?”.

“Probabilmente non è così grave come dicono…”.

“Le parole ‘Protezione Civile’ non ti dicono proprio nulla? Hanno detto chiaramente di non uscire di casa!”.

Lui alzò le spalle con un gesto noncurante.

“Ne ho affrontate tante di condizioni climatiche avverse… affronterò anche questa”.

Ukyo incrociò le braccia, accigliandosi.

La pacata sicurezza con cui vennero pronunciate quelle parole, mista ad una punta di rassegnazione, la fece riflettere. Non c’era dubbio che nei suoi lunghi e involontari viaggi Ryoga dovesse aver sostenuto disagi di ogni tipo e se al mondo c’era qualcuno in grado di sopportare condizioni estreme simili, quello era proprio lui. La sua forza e la sua resistenza fisica erano sempre state eccezionali, persino tra i tanti maestri di arti marziali che componevano la loro bizzarra comitiva, ed erano universalmente riconosciute e rispettate da tutti. Eppure, nonostante sapesse benissimo quanto Ryoga fosse un osso duro, per qualche ragione non le piaceva l’idea di lasciarlo uscire in un tempaccio simile e chiudersi la porta alle proprie spalle come se non fosse successo nulla.

Forse era per il fatto che ultimamente le visite di Ranma si erano rarefatte parecchio e che anche Akane era sempre impegnata con l’Università e i preparativi per il matrimonio, ma l’idea di restare sola in casa per i prossimi giorni senza avere nessuno con cui parlare le fece riaffiorare prepotentemente il senso di solitudine che aveva provato la sera prima.

La presenza di Ryoga era stata di certo inaspettata, ma doveva ammettere che la prospettiva di avere un po’ di compagnia umana non le era così sgradita. Oltre al fatto che quella grossolana sottovalutazione della pericolosità della situazione la irritava non poco.

“Razza di idiota, non puoi buttarti in mezzo ad una bufera solo per dimostrare che puoi affrontarla! È il tipico concetto maschile incredibilmente stupido”, esclamò sbattendo le mani sul bancone e guardandolo male. “Sarei tentata di lasciarti girare solo come un cane sotto la tormenta ma, visto che non mi va di averti sulla coscienza, puoi restare qui. Ti ospiterò fino a che non sarà passata questa emergenza meteo”.

“Restare qui?”.

Ryoga non avrebbe potuto essere più stupito. Era vero che aveva già assistito alla generosa ospitalità di Ukyo soltanto la sera prima, ma un conto era ospitare l’animaletto da compagnia della sua migliore amica e un altro era fare la stessa offerta ad una persona - un uomo perdipiù - che conosceva a malapena!

Ok, forse ‘a malapena’ era un po’ esagerato… come aveva sottolineato lei poco prima si conoscevano effettivamente da un sacco di anni, ma non c’era mai stata una grande confidenza tra loro. Diavolo, fino alla sera prima aveva a stento messo piede nel suo ristorante. Come mai adesso era improvvisamente disposta a fargli un favore del genere?

Il ricordo della sua espressione malinconica quando aveva confessato a P-chan la propria solitudine apparve in un lampo davanti ai suoi occhi e in un attimo molte cose andarono al loro posto. Tuttavia, nonostante le ipotetiche motivazioni della ragazza e i vantaggi che oggettivamente avrebbe comportato per mantenere la sua promessa, Ryoga si sentì in dovere di rifiutare.

“Ti ringrazio del pensiero, ma non posso assolutamente importi la mia presenza nel privato della tua casa. Tra l’altro potrebbe essere sconveniente per la tua reputaz…”.

"Cribbio, Ryoga, nemmeno mia nonna si preoccupa più della reputazione! E poi non ti sto mica offrendo un posto nel mio letto! Hai un sacco a pelo nel tuo zaino, no? Puoi benissimo stare qui, al pianterreno, mentre io me ne starò di sopra. Problema risolto”.

Un silenzio carico di imbarazzo calò nella stanza mentre entrambi evitavano accuratamente di guardarsi. Ukyo stava cercando, senza successo, di non sentire le parole ‘un posto nel mio letto’ girarle e rigirarle nella mente, insinuando e suggerendo visioni che mai in vita sua si sarebbe sognata di considerare, ma che le erano sfuggite di bocca prima che avesse potuto rifletterci meglio. Ryoga, dal canto suo, cercava allo stesso modo di non pensare che, di fatto, in quel letto c’era stato eccome, con tutti gli annessi e connessi che quel pensiero generava e che si stavano appunto manifestando in una decisa impennata della propria temperatura interna.

Un suono metallico ruppe quell’attimo di quiete e lui si ritrovò a fissare da vicino il bordo affilato di una gigantesca pala di acciaio satinato. Dietro di essa, gli occhi di Ukyo erano stretti minacciosamente in due fessure.

“E se solo ti azzardi a farti venire mezza idea strana, potrai pure dire addio prima alle tue dita e poi ai tuoi arti. Uno per uno. Ci siamo capiti?”.

Ryoga deglutì nervosamente.

“O… ok”.

Quando la ragazza si tirò indietro e mise via la sua arma non convenzionale, lui emise il respiro che aveva inconsciamente trattenuto. Non sapeva bene a cosa avesse acconsentito ma, a giudicare dal suo atteggiamento, l’argomento sembrava chiuso. Forse era molto meglio così, visto la piega imbarazzante che aveva preso.

“Allora, che mi dici? Com’era il tempo a Sapporo o a Kyoto oppure… insomma, ovunque tu sia stato?”, chiese Ukyo con tono discorsivo mentre ripuliva la piastra e lui accolse con sollievo quel cambio di argomento. Parlare del tempo era la più classica delle ancore di salvezza.

“Abbastanza buono. Adesso che le giornate sono più fredde gli aceri hanno definitivamente assunto i colori autunnali. Purtroppo però qualche giorno fa sono capitato in uno di quei festival dove la gente si piazza ovunque per assistere allo spettacolo e sono dovuto andare via. Non sopporto tutta quella confusione”.

“Umpf, sempre negativo come al solito. Passi troppo tempo tra i boschi a meditare sulle disgrazie della tua vita, secondo me”, rispose lei. Poi fece una pausa, esitando, indecisa se affrontare o meno l’argomento spinoso che aveva sulla punta della lingua. “A proposito, come va?”.

Non ci fu bisogno di specificare a cosa si riferisse quella domanda: l’annuncio del fidanzamento ufficiale di Ranma e Akane era stato un duro colpo per entrambi. Non si erano più incontrati dopo quell’occasione e, dato che erano sulla stessa barca, le sembrava quantomeno corretto informarsi su come avesse affrontato la questione.

“Male”, rispose lui con tono asciutto. “Ma diciamo che ormai me ne sono fatto una ragione. E tu?”.

“Stessa cosa”, rispose lei sospirando a sua volta. "Dopo l'annuncio ho passato un momento difficile ma, ad essere sincera, accettarlo è stato meno traumatico di quello che pensassi. Suppongo che dovevo inconsciamente averlo già fatto molto tempo fa”.

“Dalla faccenda di Saffron, vero?”.

“Già”.

Seguì un lungo silenzio, in cui entrambi tornarono con la memoria a quella scena, la scena che aveva messo la parola fine ai loro sogni e alle loro speranze: Ranma che stringeva piangente Akane tra le sue braccia, credendo di averla persa per sempre, e il sorriso radioso di Akane quando si era risvegliata e lo aveva guardato negli occhi. Non c’erano state parole, ma non ce n’era stato bisogno: chiunque aveva assistito a quel toccante e intimo momento, aveva percepito con estrema chiarezza l’amore che c’era tra loro.

“Forse è stato solo per orgoglio che non ho voluto ammetterlo prima, o per paura dei cambiamenti che riconoscerlo avrebbe provocato nella mia vita… ma alla fine anche io ho dovuto arrendermi all’evidenza”, disse lei fissando senza vederla la vetrata del negozio. Sospirò e scrollò le spalle. “Se non altro, da tutta questa faccenda è uscito qualcosa di buono: io e Akane ci siamo avvicinate molto. Ho perso un fidanzato ma ho guadagnato un’amica, il che non è poco. Però, a volte, ho l’impressione che la mia vita sia così… così...”, si interruppe.

“Vuota”, finì Ryoga per lei e Ukyo, guardandolo, capì che per lui era lo stesso.

“Ti capisco molto bene. Ho sempre saputo di non avere speranze con Akane ma… anche se quella che ho coltivato in tutti questi anni è stata solo una sterile illusione, almeno avevo qualcosa per cui vivere. Adesso che non ho più neanche questo sogno a cui aggrapparmi, cosa mi è rimasto? Nulla. Solo una manciata di foglie secche che danzano nell’inverno del mio cuore”.

Ukyo si morse un labbro. Le stava venendo l'atroce voglia di chiedergli della ragazza fissata con i maialini che frequentava, tuttavia era un argomento troppo personale che decisamente non la riguardava e così, soffocando la propria curiosità, tenne la bocca chiusa. Alzò gli occhi al cielo per la teatralità di quella frase, ma ancora una volta non disse nulla: il dolore di un cuore spezzato era sempre degno di rispetto, al di là di qualunque forma fosse stata usata per esprimerlo. Quando però vide, con un misto di stupore e orrore, Ryoga iniziare ad emettere una tenue aurea verdastra, decise che quella forma di esternazione andava indubbiamente scoraggiata. E naturalmente, lo fece nell’unico modo che avesse mai conosciuto.

CLANG!

”Ahia! Che diavolo…”.

“Idiota, non provarci nemmeno! Se provi a spazzare via il ristorante con quel tuo Shi-Shi-Qualcosa ti prenderò a palettate in testa fino a che non ti avrò eraso la memoria di quel colpo!”.

Ryoga sussultò per la crudeltà di quella minaccia e si massaggiò la testa con aria imbarazzata. “Scusa, ma a volte mi viene quasi d’istinto usarlo. È l’unico modo che conosco per sfogare la depressione e ha sempre funzionato alla grande”.

“Certo, in mezzo alle lande desolate dove vaghi di solito, forse! Hai una vaga idea dei danni che potresti provocare in mezzo ad un quartiere affollato come questo? Perché non trovi un altro sistema per tirarti su il morale, come fanno tutte le persone normali?”, sbuffò Ukyo brandendo la sua mega-paletta con aria minacciosa.

Ryoga decise saggiamente di cercare di collaborare.

“Ehm… del tipo? Tu cosa fai quando… uhm… ti senti giù?”, chiese, sospirando dal sollievo nel momento in cui vide che lei metteva via la sua arma.

“Beh, tanto per cominciare cerco di pensare a cose positive. Di solito mi ripeto che sono giovane e ho ancora tanto tempo per trovare l’amore della mia vita”, disse guardando fuori dalla finestra con aria pensosa. “Poi quando non funziona, faccio quello che fanno tutti: guardo qualcosa di divertente in TV, faccio shopping oppure mangio cioccolata”.

“Uh? Perché proprio la cioccolata?”.

“Come, non lo sai? La cioccolata ha una specie di antidepressivo naturale, una sostanza che si chiama teobromina, o qualcosa del genere, che ti fa istantaneamente sentire più felice. Non ci hai mai fatto caso, che quando mangi un cioccolatino la vita ti sembra improvvisamente più sopportabile?”.

“Mai mangiata cioccolata”.

“EH? Ma non è possibile! Ryoga, ma in che razza di mondo vivi?”.

“Uh… nei boschi?”.

“Hm, bè… sì, questa potrebbe essere una spiegazione”, borbottò lei. Strano che quello stupido non avesse mai ricevuto nemmeno una cioccolata di San Valentino… in fondo non era poi così male, specialmente quando era interamente vestito di nero come quel giorno. Certo, Ranchan era più bello, ma quei canini appuntiti erano piuttosto intriganti e in quanto a forma fisica non aveva proprio nulla da invidiare a nessuno. Curioso che le ragazze che conosceva non l'avessero mai notato… però, ora che ci pensava, Ryoga raramente circolava per il quartiere abbastanza a lungo da poter essere classificato come ‘possibile fidanzato’.

“Beh, mi dispiace per te ma non ho neanche l’ombra di un cioccolatino in dispensa, quindi…”.

Si interruppe quando vide un’espressione strana passargli negli occhi, come se si fosse ricordato improvvisamente di qualcosa. Lo osservò alzarsi e sollevare con una mano quella specie di zavorra da due tonnellate di peso che lui si ostinava a chiamare zaino ed ancora una volta si meravigliò della sua mostruosa forza. Rabbrividì al pensiero dei danni che il suo amato ristorante avrebbe potuto riportare se solo quella specie di Ercole si fosse distratto o agitato troppo.

Alla fine di un’impegnativa ricerca durata una decina di minuti, Ryoga riemerse dallo zaino con aria trionfante, stringendo un pacchetto rettangolare avvolto in una carta rossa.

“Eccolo qua! Mi ricordavo di averlo messo da qualche parte”, disse posandolo sul bancone davanti a lei.

“Che cos’è?”.

“Una cosa che ho comprato in un negozio tempo fa… un souvenir da… uhm, Parigi? Bangkok? Mosca? Boh, non me lo ricordo…”.

“Era per Akane, vero?”.

Ryoga non disse nulla, ma assentì con un cenno della testa e con un’aria un po’ triste.

“Posso aprirlo?”.

“Per cosa l’ho tirato fuori a fare, secondo te?”.

Ukyo gli lanciò un’occhiataccia, ma non lo colpì in testa come era stata seriamente intenzionata a fare. In fondo, anche se era riciclato, le stava comunque facendo un regalo.

Quando aprì la carta si trovò davanti la scatola di cioccolatini più bella che avesse mai visto, con un vasto assortimento di praline incartate una per una in carta argentata dai colori sgargianti e disposte elegantemente a raggiera sotto un coperchio trasparente.

Stavolta lo colpì in testa.

“E tu hai tenuto della cioccolata come questa nello zaino? Idiota, chissà quanto tempo sarà passato da quando l’hai comprata! Adesso non sappiamo nemmeno se è ancora buona!”.

“Ehi, mi hanno assicurato che si sarebbe conservata benissimo… e poi manca un sacco alla data di scadenza”, si difese lui.

Ukyo lo guardò ancora un po’ male, poi all’improvviso la sua espressione scura si aprì in un luminoso sorriso mentre congiungeva le mani davanti a sé, come una bambina impaziente. La prospettiva di assaggiare tutti quei diversi tipi di cioccolata aveva decisamente contribuito a farle passare l’arrabbiatura.

“Allora cosa abbiamo qui? Um… nocciola, latte, bianco con mandorle, fondente, ripieno al rum… caspita, non ho mai visto un assortimento del genere. Uh, e questo? Guarda, Ryoga! C’è tutto un secondo strato di cioccolatini sotto il primo! Ti dev’essere costato una fortuna!”.
Ryoga aggrottò le sopracciglia, cercando di ricordare. “Non mi pare… le bottiglie d’acqua costavano molto di più. Strano paese”.

Ukyo, però, non sembrava ascoltarlo. “Beh, sembra che quelli del secondo strato siano tutti uguali. Allora, quale vuoi assaggiare?”.

Lui alzò le spalle. “È uguale”.

“No che non è uguale. Ok, facciamo così: ti piacciono le cose poco o tanto dolci?”.

“Poco dolci”.

“Non mi dire che anche tu sei un seguace di quell’assurda concezione di Ranchan, secondo la quale è poco virile mangiare dolci?”.

“Che c’entrano i dolci con la virilità? È la cosa più stupida che abbia mai sentito”, ribatté Ryoga, accigliandosi. “Quell'imbecille fa molto, ma molto di peggio che non mangiare dolci in forma maschile”, borbottò. Poi si ricordò con chi stesse parlando e si preparò ad essere palettato.

Ukyo, però, si mise sorprendentemente a ridere.

“Già, tipo fare gli occhi dolci ai negozianti per ottenere porzioni extra”, disse scuotendo la testa e non notando l’espressione stupita di Ryoga.

Poi tornò seria e si sporse in avanti per osservarlo con gli occhi socchiusi, come si fa con un ragno sotto una lente del microscopio. “DAVVERO non hai mai assaggiato la cioccolata?”, chiese ancora una volta.

“Devo tatuarmelo in fronte?”, borbottò lui, chiaramente a disagio sotto quello sguardo indagatore.

“Ma come mai?”.

Lui alzò ancora le spalle. “Ho vissuto da solo per quasi tutta la mia vita a girare senza sosta per boschi e montagne e quando riuscivo ad arrivare in qualche città, dovevo sempre privilegiare dei pasti più completi e sostanziosi. Diciamo che non ho mai avuto tempo per concedermi il lusso di un cioccolatino, né ne ho mai sentito l’esigenza”.

“Caspita, di sicuro faresti morire d’invidia un bonzo tibetano. Ma divertirsi ogni tanto ti fa proprio così impressione?”.

“Ehi, guarda che io mi diverto esattamente come…”.

“Sì, sì, va bene… tieni assaggia questo. È cioccolata fondente”.

Ryoga prese il quadratino incartato in una cartina di un brillante blu metallizzato e lo fissò pensosamente. Strana la vita… quando aveva comprato quella scatola si era immaginato di aprirla e di assaggiare quella cioccolata insieme ad Akane, con lei che lo prendeva in giro per non averne mai assaggiato uno e gli consigliava quali scegliere. Poi le loro mani si sfioravano e…

Scosse la testa. Ormai ne era passata di acqua sotto i ponti e alla fine aveva dovuto prendere coscienza che quella scena non si sarebbe mai verificata. Aveva deciso allora di conservare quel souvenir e portarlo come regalo d’addio al suo primo amore, ma quella prospettiva lo aveva fatto sentire ancora peggio e alla fine aveva lasciato perdere, dimenticandosi completamente della sua esistenza.

Mai in tutta la sua vita avrebbe immaginato che invece quel dono avrebbe trovato la strada per altre mani femminili e che la scena che aveva ardentemente sperato si fosse potuta avverare davvero… con Ukyo.

Decisamente strano, pensò cacciandosi in bocca la pralina.

“Beh, che ne pensi?”.

Ryoga assunse un'espressione strana, tra lo stupito, il perplesso e il meditabondo.

“Allora?”.

“Cos’altro mi sono perso finora?”.

 

 

  
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