Di
recente sono
stata immersa in un universo particolarmente denso di questioni di
genere… il
che è stato assurdo, come se il tema del sessismo si fosse
fatto imperante
intorno a me.
Ho
incontrato un
fottio di maschilisti, compro un libro di criminologia e scopro che
è quasi
tutto su delitti commessi a discapito delle donne, comincio una serie
su Netflix
e viene fuori il tema della violenza domestica, le mie autrici
preferite anche
su EFP parlano dell’argomento, casi di cronaca nera sul tema,
esce un nuovo
film al cinema (della Cortellesi, devo ancora vederlo)
sull’emancipazione
femminile, rimango vittima degli algoritmi dei socials che cominciano a
mostrarmi contenuti femministi e voilà, questa casa da oggi
è un tribunale per
i pari diritti.
Scherzi
a parte,
è stato un periodo particolarmente intenso per la mia parte
femminista. Non mi
capitava da un po’ di avere così tanta pressione e
alla fine ho commesso l’errore
di andare anche a leggere i commenti sotto ai video.
Potevo
guardare
il video e poi andare a farmi una birra e invece… sono
andata a leggere i
commenti. Forse perché il fegato stava troppo bene e volevo
farmene marcire un
po’, non lo so. Un sacco di “io sono uomo e non lo
farei mai!” - “non tutti gli
uomini sono così!” - “perché
non parlate degli uomini che vengono maltrattati dalle
donne?” ... Il fatto che dà fastidio in
sé non è che qualcuno dica che non
tutti gli uomini sono così. Grazie al cazzo, lo sappiamo.
Speriamo bene che non
siano tutti così, che discorso è? Ma in che modo
ritieni sia utile affermare sotto
ad un video di una ragazza uccisa dall’ex perché
l’ha lasciato, che ci sono
anche uomini maltrattati? Non riesci a comprendere quanto tu sia fuori
luogo? Cazzo,
se non hai niente di intelligente da dire, non parlare!
Il
colpo di grazia
me l’ha dato un cliente ieri, quando è entrato nel
nostro ufficio e ha visto
una delle nostre dipendenti allo sportello informazioni. Io, vedendo
che c’era
diversa gente in fila, sono uscita dal retro dove
c’è la mia scrivania e sono
andata a darle una mano, recandomi presso lo sportello adiacente.
Questo
bavoso che
potrebbe essere mio padre ha esordito con “Non avevo visto
che c’erano due
mucche!”
Confesso
di aver
avuto un momento di blackout e ho sentito il mio cervello fare
contatto. Il
sorriso (di circostanza, chiaramente) mi si è congelato sul
viso e quando è
stato sufficientemente vicino gli ho chiesto: “Che cosa ha
detto? Ripeta quello
che ha appena detto.” Forse l’ho domandato con
troppa aggressività, me ne rendo
conto.
Lui
è subito
impallidito e ha risposto velocemente “Ho detto che non avevo
visto che c’erano
due postazioni.”
L’ho
osservato truce.
“È proprio certo di aver detto questo?”
“Sì,
sì!” ha
risposto imbarazzato.
Tutto
il resto
della conversazione è avvenuto freddamente e se
n’è andato molto in fretta. Io però
ancora non mi spiego come sia possibile entrare in un esercizio
pubblico,
vedere due donne e chiamarle mucche. Non ci sono
bestemmie o parolacce
sufficientemente forti per poter esprimere l’incazzatura che
questo fatto può
provocare. Ma di che cazzo stiamo parlando? Ancora mi chiedo se non ho
avuto un’allucinazione
uditiva ma no… non l’ho avuta. Non sono ancora
schizofrenica e non mi è mai
capitato di averne. Avrei preferito non sentirlo. La cosa peggiore non
è che io
l’abbia sentito, quanto piuttosto che lui abbia ritenuto
opportuno dirlo.
Nella
mia vita
gli episodi di sessismo si sprecano, non potrei raccontarli tutti
nemmeno se volessi.
Non perché sia una paranoica che vede il marcio ovunque,
figurarsi, io stessa
non apprezzo il politicamente corretto e sparo un sacco di cazzate.
Più che
altro perché ho scelto di addentrarmi in un ambiente che
fino a dieci anni fa
alle donne era praticamente precluso: finanza, alte sfere bancarie,
forex, trading…
Le donne sono sempre state assunte in questi settori, certo…
come segretarie.
La segretaria qui è sempre femmina, assurdo. Questo
è sessismo verso i maschi!
Dove sono i segretari?! E, puntualmente, la segretaria non sa un cazzo
o peggio
ancora non capisce un cazzo. Al punto che perfino io preferirei che
rispondesse
un uomo.
Questo
triste
aneddoto che segue avviene mediamente una volta al mese, ogni volta con
una
donna diversa. “Sì, buongiorno, dovrei fissare un
importo.”
“Buongiorno,
con
chi parlo?”
(domanda
inutile,
i numeri sono tutti segnati con il codice di riconoscimento, basta che
guardi lo
schermo e lo sai, con chi stai parlando) “Con
Alessandro.” Fun Fact, il mio
cognome è che un nome maschile, no, non è questo
quello vero.
“Ah,
lei chiama
per il Signor Alessandro?”
“No,
io sono
Alessandro. Vorrei fissare un importo. Facciamo in fretta
perché la borsa sta
cambiando in questo stesso momento.”
“Ehm,
sì… le
passo qualcuno.” Sento che si stacca dalla cornetta e dice a
qualcuno “Scusate,
ho qui in linea qualcuno che chiama da parte di Alessandro, per fissare
la
valuta odierna.”
MA
PORCO…!!!! “Signora,
io SONO Alessandro. È il mio cognome. Me li vuole chiudere o
no questi soldi!?”
“Ah
ehm… sì… un
secondo… senta, la faccio richiamare subito
perché i ragazzi sono tutti
occupati.”
Mi
richiamano
dopo un quarto d’ora, che ormai il supporto di Fibonacci
è stato raggiunto,
superato e ha avuto il tempo di tornare al punto di pivot.
“Alessandro? Scusa ma
prima non abbiamo potuto rispondere, ci hanno detto che hai fatto
chiamare
dalla tua assistente e sai che senza la procura lei non può
fare queste operazioni…”
“ERO
IO!!”
“Ah.
Ma la
segretaria ha detto che…”
Così,
ogni mese. Io
veramente, un giorno li vado a trovare in sede, laddove nessuno
può entrare e
appiccico una mia foto alla parete con scritto “Questa tizia
È Alessandro. Rispondetele,
Cristo Santo”
Purtroppo,
personaggi
di questo calibro non tengono alta la reputazione femminile nel mio
settore, ma
come “non tutti gli uomini sono così”,
dovrebbe essere chiaro che nemmeno tutte
le donne lo siano.
Un
episodio è
capitato questa settimana, una cosa davvero ridicola che mi ha lasciata
basita.
Io sono anche consulente, come tale analizzo polizze e contratti, per
farci la
cresta. Non nego che sia un lavoro caino, ma è importante
che tutte le assicurazioni
siano in una adeguata qualità prezzo. I soldi pagati alle
assicurazioni, negli
ultimi 40 anni di esistenza di questa ditta sono stati praticamente
sprecati, perché
non abbiamo mai dovuto aprire un sinistro. Inevitabilmente, meno ci
costano e
meglio è. Da dieci anni a questa parte ho cominciato a fare
pressioni affinché
i prezzi venissero abbassati e rientrassero in linea con quelli delle
altre
assicurazioni. I nostri erano palesemente gonfiati, tutto grazie al
signor
assicuratore, amico del socio di maggioranza. Credevo che essere amici
fosse un
mutuo aiuto: proprio perché sei mio amico, hai un prezzo di
favore. Invece qui è
l’esatto opposto. Tutte le polizze erano stragonfie, motivo
non pervenuto.
Siamo
due soci di
minoranza e un socio di maggioranza. Due uomini e una donna, io, che
sono socia
di minoranza. Ho diritto di voto ma, se gli altri la pensano
diversamente da
me, non posso che rassegnarmi alla maggioranza, e stesso discorso per
loro. Qualche
settimana fa mi sono fatta fare dei preventivi da una assicurazione
concorrente
alla nostra attuale e ho fatto notare agli altri soci come i preventivi
per il
2024 fossero di nuovo troppo elevati, e che era il caso di convocare il
rappresentante per discuterne con lui per farli abbassare (cambiare
assicurazioni professionali sarebbe una rottura di balle burocratica,
meglio
tenerci questa, ma farle abbassare i premi).
Quando
il
rappresentante, un sessantenne leccapiedi, si è presentato
tronfio, come al
solito mi ha salutata per ultima, perché per lui sono una
rotta in culo. Il che
mi va bene, perché io lo disprezzo. Il fatto è
che sono la persona con più
titoli e quindi devo parlare io per esporre questi problemi. Ho
spiegato le
nostre posizioni diplomaticamente e cordialmente e la sua reazione
è stata
qualcosa a cui non sarei mai stata preparata.
Di
norma si espone
il problema, si trova un compromesso, si risolve e stretta di mano! Ma
no, non
questa volta, perché a parlare ero io.
È diventato paonazzo, ha
cominciato a dire frasi che non stavano né in cielo
né in terra e quella che mi
ha turbato più di tutte è stata “da
quando ci sei tu la situazione qui è ingestibile,
e tu, una ragazza, mi metti sempre in imbarazzo di fronte agli altri
uomini!”
Sono
rimasta
sconvolta da queste sue parole. Io, lì, non sono una
“ragazza”. A parte che
ormai non mi considero nemmeno più, una ragazza. Io
lì sono il cliente, sono un
consulente, sono una socia, sono una figura professionale con i titoli
adatti a
poter trattare l’argomento. Da quando sono qui ti ho fatto
abbassare i prezzi e
ti ho rotto le uova nel paniere? Se fossi stato onesto non sarebbe mai
successo!
Di cosa cazzo stiamo parlando?!
Il
fatto più
grave però non è stato questo, quanto che gli
altri due uomini presenti, i miei
soci, stavano zitti a testa bassa mentre lui mi aggrediva a parole. In
tutte le
riunioni a cui ho partecipato non ho mai mai MAI visto una scena
analoga. È vero
però che ho sempre e solo potuto osservare riunioni dove gli
interlocutori
erano uomini, e gli uomini tra di loro non si dicono queste cose
né si esprimono
con questi termini.
Ho
provato ad
intervenire più volte per calmare i toni perché
questo individuo era fuori di sé
senza una ragione valida e nessuno dei presenti faceva qualcosa, ad
eccezione
della mia assistente che però non poteva prendere parola e
strepitava al mio
fianco. Questo tizio non mi lasciava prendere parola perché
“ora stai zitta che
sto parlando io” come se la sua parola contasse
più della mia!
Dopo
un dibattito
durato oltre dieci minuti in cui la mia voce è stata
ripetutamente sovrastata
dalla sua, sono riuscita ad impormi e a dire ciò che dovevo,
rimettendolo al
suo posto e ponendo fine a quella scena indegna. Il cuore mi batteva
fortissimo
per il nervoso e ancora nessuno dei presenti aveva aperto bocca per
sostenermi,
nonostante io stessi facendo gli interessi di tutti lì
dentro (ad eccezione di
quelli del rappresentate, chiaramente).
Il
tizio ha
dovuto abbassare i prezzi e poi se n’è andato
oltraggiato. All’uscita, i signoroni
si sono finalmente alzati e hanno trovato fiato per comunicare, tutti
gioviali
e bonari, dandogli pacche sulle spalle e sorridendo sornioni. Appena
siamo
rimasti soli, prima ancora che io potessi dire qualcosa, mi hanno
sommersa di
complimenti per essere riuscita a far risparmiare tanti soldi
all’azienda.
“Se
la pensavate
come me perché nessuno è intervenuto a mio
sostegno?! Perché siete rimasti
zitti!?”
Si
sono guardati
imbarazzati. “Beh, ma tu non hai mica bisogno di essere
difesa, te la sei
cavata benissimo da sola.”
Non
avevo più
parole per rispondergli. Quante volte loro sono stati in
difficoltà e io sono
intervenuta? Quante volte gli ho tolto le castagne dal fuoco e li ho
difesi
quando erano indifendibili?! Sono profondamente disgustata
dall’accaduto.
Questo
fatto e,
il giorno dopo, il tizio che entra e chiama me e la collega
“mucche”, mi hanno
fatto capire che il mio limite di saturazione era molto vicino. Mi ha
fatto
ripensare a tanti fatti accaduti nel corso di questa vita e che ho
sempre dovuto
tollerare. La maggior parte sono fatti stupidi, che fanno innervosire e
basta. Altri,
purtroppo, sono particolarmente gravi.
Stasera
ho
analizzato delle statistiche per chiarirmi quanti sono davvero i casi
di donne
in Italia (perché è il mio Paese di provenienza e
a cui sarò sempre legata) che
hanno subito molestie. In Italia ci sono circa 31milioni di donne.
Quasi due milioni
hanno subito molestie e violenza nel corso della vita. È una
percentuale di
circa il 6%. In pratica, quasi una donna ogni 10 in Italia ha rischiato
le
botte o lo stupro. Il 2% ha subito violenza sessuale. È una
cifra enorme, e non
tiene conto di tutte coloro che non hanno mai denunciato.
Io,
dal canto
mio, non ho denunciato perché non ho potuto e quando
è successo, non ero in
grado. Ad oggi ho avuto la bellezza di due stalker e un tentato stupro,
ormai 13
anni fa.
Il
primo stalker
che ebbi, a 16 anni, lo conobbi per casualità, andando ad un
incontro di
D&D dove giocava il ragazzo di una mia amica. Lì,
uno dei giocatori si fece
avanti e ammetto che a quell’età non mi era del
tutto chiaro dove volesse
andare a parare, anche perché lui aveva 15 anni
più di me. Da quel momento è
stata una tortura. Mi scriveva di continuo cose assurde, insisteva
affinché
uscissimo insieme, il tutto senza però mai cadere nella
molestia sessuale.
Affermava di non essere innamorato di me, ma che avrebbe tanto voluto
conoscermi
“meglio”. Da un certo punto di vista poteva
sembrare romantico, mi regalava
libri ogni volta che casualmente capitava nello
stesso posto in cui ero
io ma anche se gli avevo detto più e più volte
che non avevo alcun interesse
nei suoi confronti e che mi stava mettendo a disagio, ha continuato a
starmi
addosso, finché un giorno non mi sono venuti a dire che, in
alcune delle chat
dei giochi online in cui era, non faceva altro che parlare di me e di
quello
che mi avrebbe voluto fare. Peccato che era capitato in linea il
ragazzo della
mia amica, che mi aveva girato l’intera (nauseante)
conversazione. Lo bloccai,
segnalai, minacciai… niente sortiva effetto. In qualche
modo, riusciva sempre a
rintracciarmi.
Io
non avevo un
padre, un fratello o un cugino che mi proteggesse. Insomma, lo
affrontai per
telefono, perché di persona col cazzo che ci sarei andata.
Se possibile divenne
ancora più pressante. La mia amica fece una cosa che non
avrei mai creduto
possibile e per cui le sarò sempre grata. Lo disse a suo
padre. Suo padre, con
un gruppo di amici, andarono a fargli una visita di cortesia. Da allora
non lo
sentii mai più.
Pensavo
che il
peggio fosse passato e che tutto sommato me l’ero cavata
abbastanza bene.
Credevo di aver identificato un po’ il target di personaggio
da cui tenermi
alla larga. Ero ancora ingenua. Il tizio sarà stato uno
stalker rompicoglioni
ma era fondamentalmente innocuo. Il peggio lo incontrai
l’anno successivo e in
una maniera del tutto imprevedibile.
Ero
uscita con
una mia amica, lei aveva due anni più di me e quindi aveva
già patente e auto. Io,
ancora diciassettenne, dipendevo da lei per tornare a casa. Lei era
presa da un
ragazzo stupidissimo, un vero coglione di prima categoria. Un tipo che
le disse
“starei con te solo se tu avessi la testa della tua
amica” (disse il mio nome)
ma come ti salta in mente una cosa del genere? Di fronte a me?
Fatto
sta che
quella sera eravamo uscite a farci una birretta quando ecco il tipo che
le
piaceva, insieme ad un altro tizio di almeno trent’anni,
impomatato. Lei li
salutò, io tirai dritta, quando eccoceli a fianco. Molto
strano, di norma
quello lì evitava la mia amica come la peste e stasera
addirittura tutta sta voglia
di stare con lei? Con la scusa che lui voleva fare due chiacchiere con
lei, mi
disse se potessi tenere compagnia al suo amico, Angelo. Non ci vidi
niente di
male, quindi accettai.
Angelo
aveva
delle movenze che, ora che ho trent’anni anche io, erano
inequivocabili. Un
certo modo di fare nel linguaggio del corpo che rendeva chiarissimo che
stesse
flirtando con me, nonostante da parte mia ci fosse il trasporto del
Deserto del
Gobi. Visto che i suoi primi approcci non sortivano tanto effetto,
prese a
farsi più vicino fisicamente e a mettermi un braccio sulle
spalle. Era inverno,
ricordo bene che faceva freddo e accettai mio malgrado le sue
attenzioni, che
però ero troppo piccola per capire pienamente. Un gesto, in
particolare, non avevo
idea di cosa volesse significare: per tre volte in totale mi prese la
mano con
una scusa e passò delicatamente l’indice sul mio
palmo aperto. Non capivo perché
lo facesse, quindi toglievo la mano perché mi dava fastidio
e continuavo a parlare
come se niente fosse.
Dopo
quasi due
ore passate a parlare con questo tizio di cui non mi fregava
assolutamente un
cazzo, che scoprii avere 17 anni più di me, letteralmente il
doppio della mia
età e un divorzio alle spalle, che abitava in Sicilia ed era
venuto al Nord per
trovare degli amici, mi resi conto che volevo andarmene. Gli dissi che
avrei
chiamato la mia amica e che mi sarei fatta accompagnare, ma lui si
propose di
darmi il passaggio.
Rifiutai
gentilmente
e feci per telefonarle ma lui disse che avrebbe chiamato il suo amico,
di non
disturbarli che magari stavano facendo cose… non capivo: io
li avrei disturbati
e lui no? Si allontanò di qualche passo per parlare con il
testa di cazzo al
telefono e quando tornò mi passò il telefono
dicendo che era la mia amica che
voleva parlarmi.
Effettivamente
era lei, mi diceva che avevano chiacchierato tutto il tempo e che il
testa di
cazzo si stava aprendo, quindi non poteva proprio
fermare l’appuntamento
e di fidarmi e prendere quel passaggio che mi offriva Angelo. Ero
veramente
arrabbiata con lei, perché mai mi sarei aspettata che gli
eventi precipitassero
così e fossi costretta a farmi dare il passaggio da questo
tizio appena
conosciuto. L’indomani mi sarei fatta sentire, nel frattempo
accettai di salire
in auto con Angelo, perché era amico di amici e aveva anche
34 anni, davo per
scontato che era un uomo fatto e finito e si riempiva la bocca di
concetti di
giustizia e rettitudine al punto che gli credetti. Ora non accadrebbe
più.
Gli
indicai la
strada per tornare a casa, ma ad appena 500 metri da casa mia,
infilò l’auto in
una via secondaria che portava al bosco. In quel momento capii che
c’era
qualcosa di profondamente sbagliato. Ricordo ancora il battito del
cuore che
scalpitava nel petto. Gli dissi che aveva sbagliato strada e si
giustificò
dicendo che ero proprio lì vicina a casa e che gli avrebbe
fatto piacere
continuare a parlare con me ancora per una mezz’ora.
Stranamente però, non mi
guardava in faccia mentre lo diceva. L’auto su cui eravamo
era una Fiat Stilo
truccata e aveva le serrature che si bloccavano automaticamente quando
il
veicolo raggiunge i 20 km orari e si aprivano solo quando si accendeva
o da spenta,
se lui avesse tolto le chiavi dal quadro. Riflettei su quel dettaglio
quando
per istinto pensai di scappare, ma sarebbe stato difficile con le
serrature
bloccate per i bambini. Quali bambini? I suoi, dato che aveva un figlio
di 14
anni ed una bambina più piccola.
Fermò
l’auto in una
strada che sapevo nessuno frequentasse ad eccezione di quelli che
andavano a
correre al mattino e si voltò verso di me chiedendomi cosa
volessi fare.
“Voglio
andare a
casa.”
“Tanto
sei qui,
quando abbiamo finito, vai.”
“Finito
cosa? Abbiamo
finito, stiamo parlando da tre ore ormai, non ho più niente
da dirti.”
“Pensavo
fossi d’accordo,
non hai detto di no quando ti ho toccato la mano.”
Non
capivo a cosa
si riferisse, ma lo spiegò subito dopo: il gesto che aveva
fatto, quello di
passare l’indice sul palmo aperto della mia mano, era una
proposta sessuale. Io,
tacendo, avevo acconsentito, secondo lui. Rimasi
sconvolta dal fatto e
gli spiegai che no, assolutamente non ero interessata e che non
conoscevo il
significato di quel segno e quindi avevo taciuto perché
pensavo che lo facesse
per boh, non lo so! Non gli avevo dato importanza.
La
conversazione
a quel punto è degenerata. Le espressioni sul suo viso non
dimostravano più
simpatia, bensì una certa frustrazione. Insisteva che non me
ne sarei pentita,
che era bravo, che andare con uno più grande mi avrebbe insegnato
tante cose.
Dio, era delirante. Mi imposi con più forza e la cosa
peggiorò la situazione. Ricordo
che strinse con forza il volante dell’auto spenta fino a far
impallidire le
nocche e mi disse la frase che non scorderò mai, tra un
farfugliamento su
quanto mi desiderasse e una serie di scuse ridicole su quanto stava
soffrendo
per il suo divorzio e che io rappresentavo la salvezza per lui:
“Se non vuoi
venire con me, preferisco vederti morta.”
Se
ripenso a quei
momenti, ricordo i contorni sfumati e opachi, come se riuscissi a
vedere solo
un dettaglio alla volta, quello su cui puntavo direttamente lo sguardo.
Il mio
campo visivo si era ristretto fortemente per un fenomeno che poi
scoprii essere
un coinvolgimento spropositato di adrenalina. I suoi occhi pieni di
odio però
sono ben impressi nella mia memoria, perché li ho guardati
molto intensamente.
Parlò
ancora per
qualche minuto mentre io non avevo idea di cosa dire per tirarmi fuori
da
quella situazione. Le risposte rabbiose non avevano sortito un buon
risultato,
prima. Le serrature erano bloccate e finché l’auto
non si fosse riaccesa o lui
le avesse sbloccate dai comandi posti sulla sua portiera, non si
sarebbero
aperte. Dovevo fare in modo che riaccendesse l’auto. Quando
fece per spostare
le sue mani su di me, ho finto di assecondarlo per qualche secondo,
prima di
raccontargli che per me era la prima volta (era una menzogna) e che non
me la sentivo
di farlo in auto. Sarei stata con lui più volentieri se
fossimo andati in un
altro posto, nel suo hotel ad esempio.
Dovetti
insistere
un po’ e concedergli di toccarmi più di quanto
avrei voluto prima che si
convincesse a portarmi altrove. Fui istantanea. Appena accese il
veicolo,
sentii il rumore dello sblocco della portiera e mi fiondai fuori.
Riuscì ad
afferrarmi la borsetta, ma tirai e si ruppe. Gliela lasciai e scappai
nel
bosco.
Conoscevo
il
bosco, abitavo lì da tutta la vita, lui invece no. Mi
rincorse al buio per meno
di venti metri prima di perdermi di vista. Mi nascosi nel buio e attesi
in
silenzio sperando per tutto il tempo che il mio cellulare non
squillasse mai
per non svelare la mia posizione. Non so quanto tempo passò
prima che si
arrendesse e se ne andasse bestemmiando. So che rimasi lì
per parecchio tempo
anche dopo, ferma, immobile. In totale furono tre ore. Quando tornai a
casa le
dita erano rosse e quando tornarono ad essere calde bruciarono fino al
giorno
dopo.
Gli
avevo
lasciato la mia borsa con le sigarette, i trucchi e le chiavi di casa.
Il cellulare
con il documento di identità, per fortuna, era nella mia
tasca dei pantaloni.
Per
un paio di
giorni rimasi in casa depersonalizzata e poi giunse un sentimento di
rabbia mai
provato prima. Una rabbia cieca, furiosa, furibonda. Cercai amici per
sostegno
e andammo a cercarlo. Lo volevo uccidere.
Il
suo amico
finse di non sapere chi fosse e nessuno conosceva i suoi dati. Non era
di
quelle parti e quindi nessuno sapeva nulla. Poi scoprimmo che era
ricercato
dalla polizia in Sicilia per violenza domestica e che era agli arresti
domiciliari,
ma se l’era data a gambe e, dopo che gli ero sfuggita, era
tornato di corsa in Sicilia
per avere un alibi. Non sono mai riuscita a denunciarlo,
perché non avevo idea
di come potessi fare. La cosa che mi ferì ulteriormente fu
la mia (ex)amica,
che non prese veramente sul serio l’accaduto, lamentandosi
anzi che il testa di
cazzo, dopo aver ricevuto la chiamata da Angelo, quella sera,
l’aveva sbattuta
fuori di casa, perché si era stancato di lei.
L’obiettivo ero io, fin
dall’inizio.
E
uno può pensare
che dopo fatti del genere non ci sia più fiducia nel genere
maschile, ma io
dopo qualche tempo trovai un altro ragazzo che, per quanto deficiente,
non
avrebbe mai torto un capello a nessuna donna.
Dopo
8 anni di
relazione, lo lasciai e mi ritrovai di nuovo single. Non avevo grandi
aspettative, però accettai di uscire anche con altri uomini,
soprattutto per
divertimento. Ero diventata più brava a riconoscerli e a
schivare quelli che mi
davano anche il più piccolo sospetto. Poi arrivò
Matteo, un personal trainer
bodybuilder che sinceramente non capisco come cazzo io abbia fatto ad
accettare
di andarci insieme, forse perché volevo provare il fascino
del palestrato? Che cretina
che ero, e pensare che è stato solo due anni fa.
Sembrava
un
ragazzo normale, ci parlavo per ore e gli ero stata molto vicina per un
fatto
importante che riguardava la sua carriera, sebbene da lui non cercassi
altro
che carnalità, ed ero stata chiara fin dal principio. Non
avevo previsto che
lui si invaghisse di me al punto da ossessionarsi. Sebbene non mi
ritenga
brutta, non ho l’aspetto di una di quelle modelle palestrate
che lui allenava e
che gli sbavavano dietro, quindi non capivo per quale ragione volesse
me quando
letteralmente poteva avere quelle ogni volta che voleva. La sua
giustificazione
fu che con quelle non poteva fare le conversazioni che teneva con me.
Rifiutai comunque
garbatamente perché no, non lo volevo. Inventai la scusa che
avevo un altro e
che non ero più intenzionata ad uscire con lui.
Il
suo viso
cambiò, somigliando incredibilmente
all’espressione che aveva Angelo quella
sera. Non alzò mai la voce, durante il suo discorso disse
più volte che lui, le
mani addosso alle donne, non le metteva. Come se avesse dovuto
convincere sé stesso
più che me. Le sue mani però si stringevano a
pugno ripetutamente con una forza
tale da sbiancare le nocche. Questo dettaglio mi fece entrare in una
forte risonanza,
come se fossi tornata a quella maledetta sera nel bosco.
Perché questo furore? Da
dove arriva questo odio? Perché non accettare che
semplicemente una donna non
ti voglia?
Per
fortuna se ne
andò, dopo diverse ore in cui mi disse anche parecchie
offese, e solo quando fu
fuori potei tirare un sospiro di sollievo. Continuò a
scrivermi, insultandomi
di tanto in tanto. Alla mia minaccia di denunciarlo, finalmente,
desistette.
Non
so perché stasera
abbia voluto parlare di questi tre individui (chiamarli uomini mi
sembra un’offesa
al cromosoma Y). Sentivo da diversi giorni il bisogno di parlarne, per
esorcizzarli.
Anche
per questo
mi trovo fortemente contrita quando mi ritrovo di fronte a certe
fantasie
femminili che riguardano gli stalkers e il sesso non consenziente. Cosa
c’è di
attraente in un uomo che ti costringe a concederti? Cosa
c’è di affascinante in
un tizio che ti pedina e perseguita?
Potrebbero
essere
anche i più belli del mondo, ma un essere umano, sia esso
femmina o maschio,
perde qualsiasi attrattiva quando decide di sorpassare la linea del
consenso. Forse
questo genere di fantasie sono tipiche di chi è troppo
giovane per capire il
rischio o di chi non l’ha mai vissuto e pensa che uno stalker
altro non sia che
un innamorato premuroso e uno stupratore un uomo che ti desidera al
punto da
perdere il controllo di sé.
Ragazze,
uno
stalker è qualcuno che non tollera di perdere il controllo
su di te perché ritiene
che tu gli appartieni, sei una sua proprietà. Come il suo
cellulare, la moka in
cucina o il bagnoschiuma in doccia: sei un oggetto, non una persona. Un
oggetto
che fastidiosamente non resta fermo al suo posto e quindi va
monitorato. Uno
stupratore non ti ama, non ti desidera pazzamente, ti vuole annientare.
Non vuole
che tu provi piacere e non ha pietà di te, non sei un essere
umano ai suoi
occhi. Non c’è niente di attraente in questo.
Quando
ero più
piccola credevo che il maschilismo e la violenza sulle donne fossero
attribuibili
specialmente alle generazioni precedenti alla mia e che, in qualche
modo, noi
giovani l’avremmo sconfitta. Le notizie degli ultimi tempi,
le esperienze che
io stessa ho fatto, mi hanno fatto capire che questa piaga è
più aperta e
purulenta che mai e non so come e se ne usciremo mai.