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Autore: Vavi_14    09/12/2023    2 recensioni
Serie slegata di missing moments rubati ad un tempo in cui la vita, per i due fratelli, era quanto di più vicino un Winchester potesse associare al concetto di normalità. O forse no.
I. «Oh no, Sam… nonono, che hai combinato».Due minuti. Centoventi secondi di disattenzione e il disastro era stato compiuto.
II. I vestiti li avevano scelti assieme la sera prima, quindi, si chiede innocentemente Dean, cosa diamine sarebbe potuto andare storto?
V.«Mi stavi bloccando la circolazione del sangue» sussurra mesto guardando Dean di traverso, mentre John gira la chiave per mettere in moto l’auto. Dean fa una smorfia. «Hai sette anni, che ne sai di come circola il sangue?»
VI. La parte razionale di Sam, quella che ogni tanto – per cause di forza maggiore - si dimentica di avere solo dieci anni, sa che dovrebbe proprio stare zitto, ma diamine: un pomeriggio di baseball con Bobby? E quando mai gli sarebbe ricapitata una simile occasione!
VI.«Questo cosa sarebbe?» Sam non fa neanche in tempo a lasciar cadere il proprio zaino a terra, perché la domanda lo pietrifica sull’uscio della camera.
Genere: Fluff, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dean Winchester, Sam Winchester
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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III.
 
 



Sammy, quella sera, è piuttosto silenzioso. Ha due libri aperti sulle gambe e un quaderno di appunti in bilico sul bordo del letto, perciò tutto farebbe pensare che si stia preparando per un’interrogazione o un compito importante e che quindi la mancanza di loquacità sia da imputare esclusivamente a semplici preoccupazioni scolastiche. In verità, tra una riga e l’altra, Sam non manca di tenere d’occhio suo fratello maggiore; lo sta studiando dalla mattina, molto più di quanto non stia facendo con le pagine di scienze, perché Dean non fa altro che trascinarsi da una parte all’altra della stanza come un automa, si massaggia le tempie, beve, beve tantissimo e, detto sinceramente, a guardarlo in faccia non si direbbe molto dissimile ad uno zombie che cammina. Se non lo conoscesse bene e sapesse che suo fratello può dormire tre ore al giorno e reggere lo stesso ritmi di vita disumani, imputerebbe il comportamento alla mancanza di sonno. In effetti, quando si getta a peso morto sul giaciglio accanto al suo, Dean lascia andare un sospiro dal quale trapela un’innaturale stanchezza. Chiude gli occhi, probabilmente è già caduto tra le braccia di Morfeo, ma Sam nutre ancora dei dubbi, perciò scosta da sé il materiale di scuola, avvicinandosi silenziosamente. Si china lievemente su di lui ed ecco che i sospetti tramutano in certezze: il respiro del fratello è irregolare, il viso arrossato e la fronte corrugata, come a trattenere un qualche tipo di sofferenza. Proprio quando sta per toccargli la fronte e accertarsi delle sue supposizioni Dean apre un occhio e, con una debole spinta sul petto, lo fa indietreggiare di qualche centimetro.
«Ehi» biascica, voltandosi con un grugnito dal lato opposto. «Distanza».
Sam lascia andare un sospiro fatalistico. «Dean. Hai la febbre».
«Mh-hm».
«Dico sul serio».
«Ah sì? Può darsi» replica il fratello con voce poco convinta. Sembra che ogni emissione vocale gli costi una fatica immane.
«Hai la febbre alta».
«Potrebbe essere peste bubbonica. Stammi lontano».
«Non scherzare».
Adesso Sammy è davvero preoccupato. Dean non si era lasciato avvicinare per tutto il giorno ed ora capiva il perché. Stava tentando in ogni modo di nascondere il malessere, come se potesse assurdamente rimandarlo ad un secondo momento. Ma, per sua sfortuna, il corpo non funzionava a comando. Quell’idiota si era spinto fino all’orlo della massima sopportazione fin quasi a svenire, si ritrova a pensare Sam: perché doveva avere un fratello così scemo? In realtà, gli insulti nella sua testa sono solo indice di un senso d’angoscia che sta crescendo inesorabilmente. Dean stava male – molto – e loro due erano soli, dentro un motel lontano almeno tre chilometri dalla prima stramaledetta cittadina abitata.
«Ho soltanto bisogno di dormire».
Dean parla ancora, come se avesse percepito le preoccupazioni di Sam. «E di un bicchier d’acqua, per favore».
«Abbiamo dell’aspirina, vero?»
La mente del più piccolo sta rischiando di chiudersi su sé stessa ma deve cercare di restare calmo e lucido per capire quale sia la soluzione migliore.
«Acqua, Sammy».
«Ti serve un’aspirina».
Si alza come se suo fratello non avesse nemmeno parlato e inizia a frugare nelle cose di papà, tra i vestiti, nelle borse, ma ci sono solo garze e disinfettanti. Di medicinali per la febbre nemmeno l’ombra.
«Sammy…» prova ancora Dean, ma l’altro non lo fa finire.
«Non è rimasta nemmeno una dannatissima aspirina! Come cazzo è possibile!»
Suo fratello gli risponde di nuovo con un grugnito, forse normalmente sarebbe suonato come una risata piuttosto sorpresa. «Che sboccato».
Sam a quel punto inspira profondamente e apre il rubinetto del bagno per portare al fratello ciò che ha chiesto. Nel frattempo, cerca di rimettere in ordine le idee. Quando porge a Dean il bicchiere si accorge che ne sta versando metà sul copriletto, scosso com’è dai brividi di freddo. Lo aiuta a tenerlo fermo nonostante le sue proteste, poi glielo poggia sul comodino e va a recuperare una coperta extra dall’armadio.
«Non posso lasciarti qui».
Esprime quel pensiero ad alta voce, anche se è il risultato di un ragionamento che ha fatto solo nella sua testa. Normalmente avrebbe potuto camminare fino alla più vicina farmacia, ma di abbandonare suo fratello in quelle condizioni proprio non se ne parlava.
Dean, nonostante i deliri della febbre, sembra conservare un barlume di ragione e la sua risposta appare talmente coerente che, ancora una volta, pare abbia interpretato i pensieri del fratello.
«Avanti, Sammy. Un’influenza non ha mai ucciso nessuno».
«Questo non è esatto» replica Sam, lapidario.
«Dio, quanto adoro il tuo ottimismo».
«Si tratta di dati, Dean. Nel 98% dei casi è così, ma-»
«Oh no, non voglio saperlo. Non morirò, Sammy».
«Chiamo papà».
Aveva cercato di mantenere la calma, davvero, peccato che non stesse affatto funzionando. John ha lasciato loro il contatto di due cacciatori – persone fidate aveva detto – alle quali rivolgersi in caso di emergenze immediate, poiché li avrebbero raggiunti in meno di dieci minuti. Ma, a dirla tutta, Sammy non voleva avere attorno gente estranea, per quanto “fidata” fosse: lui voleva suo padre. Ci avrebbe messo anche due ore, non importava: era certo che se l’avesse chiamato con il cellulare riservato alle questioni di famiglia, spiegandogli la situazione, John sarebbe arrivato con l’occorrente necessario a guarire suo fratello. In quelle circostanze, gli mancava perfino – anzi, quasi lo invidiava -  il suo stramaledetto autocontrollo militare.
«Non farlo».
Dean blocca quella scia di riflessioni prima che possano concretizzarsi. «Si preoccuperebbe e non ce n’è motivo».
«Invece sì».
«Lasciami dormire» insiste Dean. «E vedrai che domani starò meglio».
Ma Sam non voleva che Dean dormisse. Voleva che rimanesse vigile, che gli parlasse. Voleva che papà fosse con loro. E se avesse avuto bisogno di andare in ospedale?
«Sammy, per favore».
È difficile ignorare la supplica di suo fratello. Sta per andare e recuperare il telefono, ma poi si ferma. Ancora un respiro, Sam. Pensa. Poi, finalmente, qualcosa fa luce tra il panico e le riflessioni sconclusionate: erano in un motel, dopotutto, doveva pur esserci una cassetta di pronto soccorso con qualche medicina, no? E se così non fosse stato, si sarebbe messo a bussare porta a porta. Scatta in piedi, ma prima di attuare il suo piano, si ricorda di un’altra cosa. Finalmente il cervello aveva ripreso a funzionare. Agguanta un asciugamano del bagno e lo impregna d’acqua gelata, per poi posizionarlo sulla fronte del fratello.
«Torno subito» butta lì velocemente, perché non c’è un minuto da perdere, ma Dean lo agguanta per un polso, senza dire nulla. I dolori e il freddo gli stanno ottenebrando la capacità di pensare e forse, persa Sam, anche quella di parlare. Cerca di liberarsi, ma la presa di suo fratello è salda, come se improvvisamente non volesse lasciarlo andare. «Dean, vado solo alla reception» mormora Sam. «Torno subito» ripete ancora, conciliante.
Sente l’altro alleggerire di poco la pressione. Qualche secondo di silenzio, poi Dean si arma di tutta la forza che gli è rimasta e parla: «Non… non lasciare…»
«Che?» lo incoraggia Sammy.
«Che… i Mietitori… quei figli di pu-puttana… mi portino via. A meno che… non sia… una bella ragazza. Allora…. Allora forse…».
«Idiota» sbotta il minore, svincolandosi. Onestamente, a Sam sembrava solo una scusa ridicola per coprire il gesto di poco prima. Dean doveva accettare di affidarsi a lui, per una volta, che gli piacesse o meno. In ogni caso, Sam ignora quel goffo tentativo di salvare una qualche sorta di orgogliosa reputazione per correre fuori dalla porta e recuperare il necessario nel più breve tempo possibile. Anche perché, se non fosse riuscito nell’impresa, avrebbe chiamato John come si era già preposto di fare. Al diavolo le proteste di suo fratello.
«Sammyyyyy…. Chiedi…. chiedi se hanno pure…. una…. una crostat-» è l’ultima richiesta che sente prima di chiudersi l’uscio alle spalle. Sospira, ma stavolta è di sollievo. Forse gli impacchi freddi stavano già facendo il loro effetto.
 













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Visto che stamattina mi sono svegliata con la febbre, mi sembrava in tema pubblicare questo capitolo. Spero che il vostro week end dell'Immacolata stia andando decisamente meglio del mio.
Un saluto e un grande ringraziamento a chi sta seguendo la raccolta e a chi si è fermato a recensire. Mi fa davvero tanto piacere.
Qui ho immaginato che Sam e Dean potessero avere all'incirca 12 e 16 anni.
A presto,

Vavi

 
  
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