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Autore: Ederaria    10/12/2023    2 recensioni
Aziraphale e Crowley si trovano a dover affrontare una volta per tutte le conseguenze della loro relazione.
La storia qui narrata è il compimento del mio precedente racconto "La scelta" ed è ambientata due anni dopo quegli avvenimenti
Genere: Angst, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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XI.
 
Era una bella giornata.
Non tutte le giornate erano state belle dopo la prima settimana dalla nascita della Terra.
Ma questo, ormai, lo sappiamo.
 
Ottobre era arrivato e Saint James’s Park era popolato da una vasta gamma di esseri umani. Tra di loro spiccava un vecchio canuto che, nonostante le apparenze, umano non era.
Il Metatron se ne stava accomodato su una panchina, stretto nel suo lungo trench marrone, con un bicchiere di carta con del caffè macchiato bollente alla mano, ad osservare la vita brulicante che gli scorreva dinanzi agli occhi ingrigiti: poteva ammirarla nel rincorrersi dei bambini, nei gesti d’affetto di coppie sposate o in procinto di farlo, nei movimenti degli scoiattoli o nel nuoto delle anatre.
Si portò la bevanda alle labbra e ne sorseggiò un po’: sembrava regnasse la pace, se all’esterno o nel suo animo non sapeva dirlo.
Camminando rigida ma, comunque, decisa, con un’espressione angosciata dipinta sul volto, lo raggiunse una giovane donna bruna e dai lineamenti delicati e fanciulleschi. Indossava un baschetto alla francese beige di cui era palese fosse molto orgogliosa dal modo in cui teneva alta la testa; un cappotto leggero in tweed abbottonato fino al collo e, dall’orlo di esso in basso, spuntava una lunga gonna a pieghe ocra. Ai piedi: un paio di scarpette Mary Jane cioccolato fondente.
“Che bei vestiti hai scelto di indossare, Muriel!” esclamò il vecchio facendosi più in là per permetterle di prendere posto accanto a lui.
“Oh, trovate?”, chiese lei sedendosi e raddrizzando il cappellino con un sorrisetto d’orgoglio, “Li ho comperati in un negozio!” e sottolineò quella parola come se significasse la cosa più strabiliante che avrebbe mai potuto lasciar intendere.
“Davvero meraviglioso” commentò il Metatron socchiudendo gli occhi in risposta al tenue calore dei raggi solari che gli scaldò il viso.
“Vostra eccellenza, perché mi avete voluto incontrare qui?” domandò Muriel dimenticandosi completamente dei suoi abiti e tornando ad aggrovigliare le sopracciglia impensierita.
Il piccolo angelo non sapeva bene cosa provare al cospetto del Metatron: era pur sempre la Voce di Dio e, dunque, sicuramente sentiva rispetto e devozione; tuttavia non poteva negare che, in un anfratto che sarebbe eternamente rimasto nascosto a tutti, covasse del risentimento.
“Voglio mostrarti una cosa, Muriel”, rispose il vecchio ma, un secondo dopo, scosse la testa ripensandoci, “No, lascia che mi corregga: non lo voglio io, mi è stato ordinato” precisò.
Muriel s’irrigidì: Dio aveva comandato al Metatron di rivelare qualcosa a lei? Proprio a lei che era l’ultima tra gli angeli? Avvampò emozionata.
La Voce non aggiunse nulla ma gettò lo sguardo lontano e fece un cenno col capo come ad indicare qualcosa. Muriel seguì la traiettoria dei sui occhi e si ritrovò a fissare una panchina lontana.
Su di essa, intento a leggere un grosso quotidiano, se ne stava seduto scomposto un uomo alto e longilineo, con un paio di lenti scure e tonde e una chioma infuocata inconfondibile.
L’angelo spalancò gli occhi e trattenne il fiato. Sbatté le palpebre più e più volte per accertarsi che non fosse una visione, ma ogni volta che le rialzava lui era ancora lì. Si voltò di scatto verso il vecchio con l’intenzione di chiedere e parlare ma lui le fece cenno di tacere e di volgere la sua attenzione ancora per qualche istante in quell’area.
A un paio di metri dall’individuo familiare sulla panchina, di fronte al laghetto, sostava un signore elegante, tanto biondo quanto l’altro era rosso, che si divertiva a lanciar qualcosa di commestibile alle anatre che si erano, infatti, raggruppate dinanzi a lui per cibarsi.
Notandolo, a Muriel scappò un gemito di stupore e gioia. Si portò le mani sul volto e gli occhi le si riempirono di lacrime.
“Via, Muriel”, la esortò la Voce di Dio ridacchiando, “Non c’è alcun bisogno di piangere!”
“Ma io credevo…” accennò lei asciugandosi il viso con la manica del cappotto.
“Lo credono tutti, a dire il vero. Ed è bene che continuino a crederlo” aggiunse lui scoccandole uno sguardo quasi intimidatorio.
Lei annuì facendogli capire che non avrebbe detto nulla a nessuno.
Mai.
 
Il rosso è sperduto tra le pagine del Tadfield Advertiser – non riesce a capire perché ancora si ostini a comperare quel giornale, lui a Tadfield non ci è mai stato; eppure ogni mattina si reca nell’unica edicola di Londra che sa per certo lo possiede e se lo compra. Vai a capire.
In realtà vorrebbe dedicare la sua attenzione agli articoli, ma c’è qualcosa che lo disturba oltremodo: il tizio di fronte a lui sta lanciando molliche di pane alle anatre e questo non si fa. Non ricorda come lo sa, ma lo sa.
Vinto dal fastidio ripiega il giornale, si alza e raggiunge l’uomo.
“Ehi tu”, gli dice, “Non devi dare il pane alle anatre: a loro fa male. Piselli surgelati la prossima volta, se proprio senti l’esigenza di sfamarle!” gli esce quella frase con eccessivo sdegno.
Il biondo si volta verso di lui e, specchiandosi nei due occhi più azzurri mai visti, notato quanto sembri dispiaciuto nell’apprendere che ha sbagliato, si pente subito di non essere stato più gentile.
“Oh!”, esclama il biondo, “E io che credevo di fare del bene! Sono veramente costernato, mi rincresce tantissimo…”
I due si squadrano per un momento disorientati, in silenzio.
Rughe di confusione si ammassano sulla fronte di entrambi.
“Ma… ci conosciamo?” chiede l’uomo paffuto.
“No, io credo di no” risponde incerto quello magro.
“È che… hai un’aria familiare”, poi si dà una piccola pacca sulla testa come se finalmente ci fosse arrivato, “Probabilmente sei venuto nella mia libreria. È a Soho!” dice sorridendo amabilmente.
“Sono sicuro di non esserci mai entrato”, sibila il rosso, “Però abito a Mayfair, a Soho ci passo spesso. Magari ci siamo visti in giro…”, si sistema gli occhiali, “Piacere, comunque. Sono Anthony Crowley” gli dice porgendogli la mano.
“Aziraphale Fell; sì lo so: è uno scioglilingua!” risponde il biondo stringendola calorosamente.
 
Muriel strabuzzò gli occhi, nuovamente turbata.
“Ma non si conoscono!?” chiese tornando a guardare il Metatron.
“Non ancora. Aziraphale non sa che era un angelo, Crowley non ricorda di essere stato un demone” rispose il vecchio.
“Volete dire che…?”
“Sì”, la anticipò la Voce, “Sono umani adesso”.
Muriel era in preda a sentimenti molto contrastanti. Da un lato era felice – anzi: euforica! – che, alla fine, Aziraphale e Crowley non fossero stati cancellati dal Libro della Vita, ma provava anche una sconfinata tristezza e pena in relazione al fatto che gli avessero cancellato la memoria, che, in qualche modo, il Paradiso fosse riuscito comunque a dividerli.
“Non essere sciocca, Muriel”, intervenne il Metatron indovinando i pensieri che tormentavano il piccolo angelo, “È impossibile separare quei due. Si stanno conoscendo solo adesso, questo è vero, ma tra qualche giorno saranno nuovamente innamorati l’uno dell’altro; tra qualche tempo, Aziraphale si trasferirà nell’appartamento di Crowley e passeranno una lunga vita mortale insieme, come hanno sempre desiderato” concluse sereno.
Muriel si morse il labbro inferiore per trattenere la commozione che sentiva nuovamente premere per esplodergli dagli occhi. Ma un fugace dubbio fece capolino tra le sue riflessioni.
“E Gabriele e Belzebù?” domandò.
“L’Altissimo ha reputato opportuno far diventare umani anche loro”, rispose il vecchio e, tirandosi un poco su la manica del trench, interrogando il suo orologio al polso, aggiunse, “Belzebù sta entrando adesso in libreria per la prima volta. Sta cercando un testo molto raro che Gabriele, l’aiuto libraio di Aziraphale, alla fine, troverà per lei. Loro si sposeranno e avranno due bambini. Questo è il disegno di Dio”.
Il volto di Muriel si illuminò e un sorriso raggiante si aprì sulle sue labbra.
 
“Aziraphale… che nome insolito!” esclama Crowley.
“Sì, ne sono consapevole”, ammette il biondo abbassando un poco lo sguardo, “Però tu lo pronunci perfettamente! Di solito devo correggere ogni persona a cui mi presento…”
Aziraphale”, ripete il rosso in contemplazione di quel suono così inusuale ed elegante, “Mi piace! È unico. Ti… ti sta bene, ecco” aggiunge impacciato.
“Oh” risponde l’altro arrossendo.
I due temporeggiano un poco, come se cercassero una scusa per tergiversare in quel dialogo. Ma poi ad Aziraphale cade l’occhio sull’orologio da taschino che gli penzola dal panciotto tortora.
“Oh Cielo! È tardissimo!”, esclama con una nota di tristezza, “Dovrei proprio rientrare: il mio assistente si starà chiedendo dove mi sia cacciato”.
“Se vuoi ti do un passaggio, ho la Bentley parcheggiata qui vicino” suggerisce Crowley.
Non ha molta voglia di lasciarlo andar via, anche se non si spiega il perché. Lui è uno solitario, sempre stato; non ama affatto perdersi in convenevoli o in chiacchiere, specie con degli sconosciuti. Ma in quell’uomo c’è qualcosa che lo attrae in un modo quasi mistico e irresistibile.
“Solo se mi permetterai di ripagare la tua gentilezza con una tazza di tè!” risponde Aziraphale affabile.
“Non sono gentile. E non bevo tè”.
Il biondo lo guarda deluso e vagamente mortificato e Crowley vorrebbe ringhiottire quella stupida risposta secca e acida.
“Allora mi trovo costretto a-”
“Caffè. Io bevo caffè”, lo interrompe il rosso cercando di recuperare, “Puoi offrirmi quello, se vuoi…”
Un bagliore celestiale illumina gli occhi di Aziraphale e a Crowley è come se si fermasse il cuore nel petto: in quelle iridi già può intravedere la fine della sua esistenza per come ha imparato a conoscerla fino a quel momento. E lo sente forte il bisogno di corrergli in contro, lo presagisce che ne varrà la pena…
“Vada per il caffè allora” dice Aziraphale con un sorriso ampio e dolce.
Crowley gli fa un cenno col capo per indicargli la strada da prendere per raggiungere la sua vecchia Bentley.
I due si incamminano, l’uno di fianco all’altro, e scompaiono inghiottiti dalle persone che popolano il parco.
 
“Ma vostra eccellenza, perdonatemi se chiedo”, disse d’un tratto Muriel, “come potete essere sicuri che seguiranno il tracciato se adesso sono dotati di libero arbitrio?”
Adesso, Muriel?”, domandò il Metatron a sua volta, ridacchiando – trovava quel quesito buffo, “Aziraphale e Crowley hanno sempre rivendicato una certa indipendenza, mettiamola in questi termini, in relazione ai comandi delle rispettive fazioni. Certo, nel tempo hanno trovato il modo di prestare comunque servizio in maniera soddisfacente, ma mai se questo minacciava di contrapporli. Hanno sempre anteposto i loro sentimenti l’uno per l’altro a tutto il resto. E non c’è veramente modo di dubitare che non sarà così d’ora in avanti. Fede, Muriel: bisogna avere Fede nel Grande Piano. Comincio a sospettare che quei due siano stati creati proprio per incastrarsi perfettamente…”
“Ma io non capisco…” borbottò lei.
“Non devi capirlo. È ineffabile”, aggiunse la Voce, “Sai Muriel, credo che se Dio avesse potuto avrebbe pianto quando li ha visti in procinto di sacrificarsi per amore: li stava aspettando, lo sapeva, eppure ha voluto metterli comunque alla prova. O almeno mi è sembrato così quando mi ha comandato di ridefinirli nel Libro della Vita. Ma io sono solo un vecchio, dopotutto, e molte cose resteranno eternamente oscure anche a me. L’Onnipotente sapeva che avresti portato il fascicolo ai demoni; credi di aver agito indipendentemente, ma era scritto tu dovessi farlo. E sapeva che Aziraphale e Crowley ti stavano a cuore, ed è per questo che adesso ci troviamo qui. Mi auguro che non lo dimenticherai, Muriel: noi siamo i buoni, dopotutto” concluse il Metatron sorridendo e facendole un occhiolino.
Il vecchio bevve l’ultimo sorso del suo caffè e si alzò.
“Passeggia con me, Muriel” le disse.
Il piccolo angelo si tirò su di scatto e prese a camminare di fianco al Metatron.
“È meravigliosa la Terra, non trovi?” chiese la Voce di Dio prendendo sottobraccio la giovane.
“Oh, sì! Un vero incanto! Io l’adoro!” cinguettò lei in preda ad un grande entusiasmo.
Presero il sentiero acciottolato che costeggiava il laghetto e scomparvero.
 
Sì.
Era proprio una bella giornata.
 
________________________________________
 
N.d.A.
Ed è così che ci congediamo, caro lettore.
Io ho adorato pensare questa storia.
Ho adorato strutturarla.
Ho adorato scriverla.
Ho adorato rileggerla per smussarla.
Ma lasciarla andare... beh, questo mi risulta sempre molto difficile.
Mi sono però detta: “Fosse anche per una persona sola...”
Ho allora abbandonato i numeri impietosi che salgono e si abbassano, il timore di non essere compresa, la paura che questo mio racconto, che veramente ho redatto con passione (e ne ho curato la forma – che per me sarà sempre un pelino più importante della trama – al meglio, nonostante i tempi serrati che mi ero imposta), potesse screditarsi ai miei stessi occhi se li avessi sostituiti con quelli di qualcun altro.
“Fosse anche per una persona sola”, mi ripetevo.
E quella persona sei tu, che sei arrivat* fin qui.
Ti ringrazio per avermi donato la tua attenzione e per aver voluto curiosare tra le immagini che affollano la mia mente. Mi hai dato fiducia e spero di averla ripagata almeno un poco.
Vorrei rivelarti un milione di cose – dalla struttura, a come Belzebù e Gabriele si sono presi da soli uno spazio che non avevo preventivato originariamente, ad esempio –, ma che senso avrebbe?
È il bello della scrittura: tu credi di controllare tutto ma poi, a un certo punto, personaggi e situazioni si scrivono da soli, e non sei più tu il burattinaio, ma divieni ancella servile di un mondo che già esisteva e che chiede di essere palesato nel suo modo, con le sue leggi e i suoi tempi. Ed è bene che questo processo rimanga aleatorio.
Dunque mi costringo a tacere e ti chiedo perdono per questo mio monologo un pelino egotista e non richiesto.
Ti mando un caro saluto.
E alla prossima!
 
Ederaria
   
 
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