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Autore: Cj Spencer    24/12/2023    1 recensioni
Terzo volume de "Napoleon of Another World!"
La Rivoluzione ha vinto, e Daemon ha ottenuto il controllo del suo primo territorio reclamando per sé la provincia imperiale di Eirinn, ribattezzata Stato Libero di Ende.
Ma questo è solo il primo passo verso la ricostruzione del suo Impero.
E sulla sua strada verso l'unificazione dell'intera Erthea prima dell'arrivo del Re dei Demoni si pone già il primo avversario: Victor Montgomery, signore del vicino Granducato di Eirinn, che spera di sfruttare la situazione per riprendere il controllo delle terre che secoli prima furono tolte alla sua patria dall'Impero.
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“Quando mi fisso su un obiettivo

gli ostacoli possono solo farsi da parte”

CAPITOLO 4

INCONTRO AL PASSO DI GAEL

 

 

Subito dopo essere stato informato dell’assalto al forte Daemon convocò immediatamente tutti i suoi ministri per discutere la situazione.

Nell’aria c’era agitazione, e più di qualcuno era preoccupato, ma in realtà quasi nessuno si mostrò eccessivamente sorpreso per ciò che era accaduto.

In qualche modo tutti sapevano che non sarebbe potuta durare.

Daemon lo aveva detto senza tanti giri di parole il giorno in cui si erano riuniti per la prima volta, proprio allo scopo di spegnere facili entusiasmi e riportare tutti alla cruda realtà.

«Non possiamo escludere che prima o poi qualcuno tenti di rubarci la libertà che ci siamo conquistati.» aveva detto. «E quando accadrà dovremo essere pronti a difenderci.»

Quel momento era infine arrivato.

Troppo presto per qualcuno, più tardi del previsto per qualcun altro.

Lo Stato Libero era nato, ora era necessario difenderlo.

Per fortuna nulla era stato lasciato nelle mani del caso.

L’istituzione di un esercito, gli investimenti massicci in armamenti e scorte di emergenza, oltre alla costruzione di alcune roccaforti in punti strategici del Paese erano tutte precauzioni che erano state prese proprio al fine di prepararsi ad una simile eventualità.

Dopo aver rassicurato tutti che nessuno sarebbe stato trascurato furono prese le prime decisioni, a cominciare dall’ordine pubblico.

Venne istituita la legge speciale che limitava l’accesso al cibo, garantendo a tutti il necessario sostentamento contenendo però speculazione e sprechi. Furono anche implementati i poteri dei prefetti di polizia per mantenere l’ordine e assicurare a tutti i villaggi un corridoio di sicurezza per mettersi in salvo nel più vicino centro fortificato in caso di necessità.

Poi fu il turno dell’aspetto economico.

Quasi tutti i mercanti che negli ultimi tre mesi avevano iniziato a fare affari con lo Stato Libero avevano contatti nel mercato nero, ed erano più che capaci di muovere soldi e merci anche in tempo di guerra sfruttando canali segreti e sotterfugi. Furono ricevuti i capi delle gilde, che si impegnarono a proseguire negli affari in cambio di un aggiustamento ai profitti per compensare i rischi.

Nessuno era felice all’idea di svendersi a quelle sanguisughe, ma era l’unico modo per mantenere attivi i commerci.

Naturalmente per poter continuare a commerciare doveva esserci qualcosa da vendere, quindi fu dato l’ordine che tutte le attività restassero aperte, a cominciare dalle miniere e dalla cura dei campi.

Infine vennero riassegnati e riposizionati i battaglioni, con i veterani della Rivoluzione che sarebbero andati ad occupare le posizioni più esposte, a presidio di Grote Muren e sull’impervio Passo di Gael, i soli due punti di collegamento tra l’est e l’ovest dell’antica Eirinn.

Secondo Oldrick presidiare il passo sarebbe stato solo uno spreco di risorse, perché era semplicemente impossibile per un esercito in armi attraversarlo agilmente, perennemente coperto com’era dalla neve e dal ghiaccio.

«In una guerra non si lascia niente al caso, Oldrick. Credevo che lo sapessi. È ovvio che l’attacco al forte è stata solo una prova. E anche volendo dare retta alle voci che dipingono Victor come un’idiota patentato, il Generale Lefde che comanda l’esercito occidentale del Granducato è uomo assai più avveduto. Ora che ha testato le nostre difese a Grote Muren, è logico supporre che farà lo stesso anche al Passo di Gael. E noi dobbiamo farci trovare pronti.»

Finita la riunione, e accompagnato da Scalia, Daemon volle anche conoscere l’elfa che con le sue prodezze aveva contribuito alla difesa di Grote Muren, e che dopo la battaglia era stata portata al Castello sotto scorta per incontrarlo.

«Quindi sei tu il capo qui?»

«Più o meno. Tu invece sei?»

«Natuli

«Anzitutto voglio ringraziarti per il tuo contributo. Senza di te avrebbero potuto esserci molte più vittime nell’attacco. Mi hanno detto che vorresti avere accesso allo Stato Libero. Posso chiederti perché?»

«Mi è sembrato un posto come un altro per fare un po’ di soldi.»

«Un elfo che parla di soldi.» commentò Scalia. «Se non lo vedessi non ci crederei.»

«Mettila come vuoi. Voi avete tanti nemici, e io so come prendermene cura. Allora? Vi servo oppure no?»

I due si fissarono vicendevolmente negl’occhi come se cercassero di studiarsi, e Scalia fu sorpresa nel vedere come l’elfa non battesse ciglio di fronte allo sguardo penetrante del fratello, capace solitamente di far tremare le gambe anche ai più coraggiosi.

Quindi, arrivò il verdetto.

«Indubbiamente ci sai fare sotto molti aspetti. D’accordo, puoi restare, ma ad una condizione. Dovrai servire nel nostro esercito. Stiamo creando un reparto di arcieri a cavallo, dovrai addestrarli e prenderne il comando. Ti occuperai anche di addestrare tutti i nostri reparti di arcieri.»

«Per me va bene.»

Nessuno, neanche i pochi che avevano dimostrato abilità comparabili a quelle di Natuli, aveva mai fatto carriera così velocemente, e la cosa lasciò sia Scalia che tutti gli altri presenti parecchio sorpresi. Ma ciò nonostante non si levò una sola obiezione.

«Allora siamo d’accordo. Septimus, occupatene tu. Da questo momento conferisco a Natuli il ruolo di Capitano dei Cacciatori a Cavallo.»

«Come desideri.»

Detto questo Daemon si congedò e si diresse verso il proprio ufficio, sempre seguito da Scalia.

«Daemon, sei sicuro che sia una buona idea? È sicuramente abile, ma affidarle di punto in bianco un incarico così importante…»

«È una spia.» rispose il ragazzo come se fosse la cosa più naturale del mondo

«Cosa!?»

«Ha nascosto il tatuaggio, ma è ovvio che non sia una senzaclan come vuole farci credere. Gli elfi si agitano per ogni cosa fuori dalle righe che avviene in questo continente, e noi siamo fuori dalle righe sotto molti punti di vista. L’avranno mandata qui per sorvegliarci ed essere sicuri che non siamo una minaccia.»

«Ma se l’hai capito subito, perché le hai affidato quel comando!?»

«Lo hai sentito anche tu il rapporto di Septimus. Hai mai visto un arciere migliore di lei? Se non avessi ricompensato adeguatamente il suo talento avrebbe capito che l’avevamo smascherata.»

«Però, permettere ad una spia di prendere parte alle riunioni e ai consigli di guerra, soprattutto in un momento come questo… Non sarebbe stato più saggio arrestarla o espellerla?»

«Avrebbero mandato qualcun altro, qualcuno più abile di lei a passare inosservato. E comunque il suo talento è troppo prezioso per farne a meno. Ora non pensiamoci più. Come hai detto tu, abbiamo cose più importanti di cui occuparci.»

Ad attendere i due nell’ufficio c’era una vecchia conoscenza che entrambi non vedevano da parecchio tempo.

«Eilon.» disse Scalia. «Che bello rivederti.»

«È un piacere anche per me, Scalia.» rispose il vecchio volatile «Vi siete sistemati bene.»

«Felice di rivederti amico mio. Come vanno le cose a Dundee?»

«Molto bene. Devo ringraziarti. Con i soldi che ci hai prestato siamo riusciti ad aprire una fucina tutta nostra.»

«È stato un piacere. Le tue abilità di fabbro e forgiatore del resto meritavano un ambiente di lavoro migliore delle squallide fornaci delle miniere.»

«Non dico che quel periodo mi manchi, però devo ammettere che ogni tanto mi sento quasi a disagio. Ora non dobbiamo più fare economia di utensili o preoccuparci che la fornace possa saltare in aria perché non viene riparata. Queste vecchie piume ormai erano abituate alle fiammate.»

«Avrei voluto rincontrarti in circostanze migliori. Ma se sei qui, presumo che tu abbia delle novità per me.»

Al che Eilon dirottò la loro attenzione sulla voluminosa scatola di legno appoggiata sul tavolino: «Puoi contarci.»

Nel momento in cui Daemon aprì il contenitore, i suoi occhi si accesero come quelli di un felino.

«Allora? Che te ne pare?»

«Sono davvero senza parole. È identico al progetto che ti avevo lasciato.»

«Non è stato facile, ma lo sai. Io sono il migliore.»

Scalia non ci provò neanche a chiedere che cosa fosse, anche se quella forma particolare qualche sospetto glielo faceva venire.

«Compatto, robusto, e leggero quanto basta. Avete fatto qualche test?»

«Certamente. Tutti brillantemente superati. Nessuna incrinatura, nessuna traccia di sofferenza del metallo. Il meccanismo qualche volta tende a bloccarsi, ma con i pezzi che abbiamo a disposizione non potevamo fare di meglio.»

«Un limite che avevo preso in considerazione. Suppongo che per adesso dovremo accontentarci. Quanti pensate di poterne costruire?»

«I primi trenta sono già pronti. Dì solo una parola, e potremo arrivare a cento prima della prossima luna.»

«Allora mettetevi subito al lavoro. Temo che ne avremo bisogno molto presto. Nel frattempo, io mi occuperò dell’addestramento.»

 

Il fallimento dell’assalto a Grote Muren non provocò grande sorpresa a Faria, giacché nessuno si aspettava realmente che qualcuno che era stato capace di conquistare una provincia in meno di un mese potesse essere sconfitto con così poco.

Tuttavia, una simile disfatta imponeva come prima cosa di aumentare la disponibilità di soldati, così subito dopo il ritorno della prima spedizione si era iniziato a fare i dovuti preparativi bandendo una coscrizione in massa e l'arruolamento di gruppi mercenari.

In realtà le casse nazionali erano tutt’altro che piene in quel periodo, ma c’era la convinzione –per alcuni più che per altri– che i frutti della riconquista avrebbero ampiamente coperto i costi.

Gli Jormen erano sostanzialmente ladri e predoni, barbari dell’estremo nord orientale che saccheggiavano le coste prendendo quello che volevano, e che proprio per questo non disdegnavano di combattere per chiunque potesse permettersi i loro servizi.

La banda di Ignes era una delle poche che si potevano reclutare anche nel profondo entroterra, visto che solitamente gli Jormen non stavano mai troppo lontani dal mare e dalle loro famigerate navi.

Nessuno guardando Ignes avrebbe mai pensato che lei potesse essere il temuto Ferro Cremisi, la cui ascia aveva macellato così tanti nemici da essersi colorata di rosso. Portava le trecce e si vestiva come una ragazzina, ma guardarla negli occhi avrebbe terrorizzato anche il più impavido dei generali, tanto erano freddi, e in battaglia agitava quell’arma più grossa di lei come fosse di carta.

La sua fama era tale che nessuno osava protestare per la natura piuttosto eterogenea della sua banda, che annoverava al suo interno un buon numero di mostri fuggiaschi e schiavi liberati.

«Sua Altezza il Granduca vi ringrazia per i vostri servigi.» disse Philippe, in piedi accanto al trono dal quale Victor presenziava l’incontro con tutti i capi mercenari assoldati per l’occasione. «Con il vostro aiuto, schiacceremo i ribelli e reclameremo il controllo della provincia di Eirinn.»

«Bando alle ciance e parliamo di cose serie.» tagliò corto Ignes «Quand’è che si combatte?»

«Stiamo ancora finendo di riorganizzare il nostro esercito.» intervenne Lefde, anch’egli presente. «Ci vorranno ancora alcune settimane.»

«Tutto questo spiegamento di forze per un pugno di ribelli? Pagatemi il doppio e vi risolvo il problema da sola.»

«La vostra fama vi precede Ferro Cremisi, ma vi invito alla prudenza. Questi ribelli non assomigliano a niente che abbiate visto finora. Il loro comandante è una persona estremamente arguta, che ha addestrato i suoi soldati molto bene.»

Invisibile a tutti, nascosta dietro una colonna sulla balconata che sovrastava la sala delle udienze, un’ombra ammantata assisteva all’incontro. Victor ne incrociò lo sguardo un attimo prima che scomparisse, piegando le labbra in un moto di stizza.

«Tuttavia, il risultato non cambierà.» disse «Quella che ci aspetta è una grande vittoria, e posso assicurarvi che tutti voi avrete la vostra parte in gloria e bottino. Eirinn sa essere molto generosa con chi la serve fedelmente.»

«La fedeltà e la gloria lasciamole fuori.» fu la replica piccata di Ignes «A noi importa solo del denaro, e voi ce ne avete promesso tanto. Per il vostro bene spero che non fosse una promessa campata in aria.»

«Bada a come parli, selvaggia!» sbottò Philippe perdendo la pazienza. «Ti ricordo che ti stai rivolgendo al Granduca di Eirinn!»

«Mi piace la tua schiettezza.» rispose invece Victor. «Non c’è persona più affidabile di quella la cui lealtà può essere comprata, dopotutto. Tranquilla, questa impresa porterà a tutti voi più guadagni di quanti ne possiate immaginare. Avete la mia parola.»

In quel momento le porte in fondo alla stanza si aprirono, e prima ancora che il banditore potesse annunciare i nuovi venuti una coppia di giovani centaure in armatura giunse alla presenza del giovane Granduca.

Nessuno dei presenti le aveva mai viste, ma tutti immaginarono subito di chi dovesse trattarsi; ragion per cui né Philippe né tantomeno Victor furono felici di vederle.

«Salute a Voi, Granduca Montgomery.» disse la più anziana dopo che entrambe ebbero fatto un inchino. «Mi chiamo Athreia Ypsilanti, e sono il comandante delle Furie di Vanlia. Su richiesta di Sua Maestà l’Imperatore, da questo momento ci mettiamo al vostro servizio per assistervi nella campagna contro i ribelli che hanno occupato la provincia dell’Eirinn Occidentale.»

«Il vostro supporto è inatteso e molto gradito lady Ypsilanti, ma al momento abbiamo a nostra disposizione tutte le truppe di cui potremmo aver bisogno.» disse Philippe, la cui espressione però raccontava tutt’altra storia. «Senza contare che nelle nostre attuali condizioni non ci possiamo permettere di assoldare altre truppe.»

«Ehi cavallone, non starete cercando di rubarci il lavoro?» disse Ignis andandole vicino e fissandola con aria di sfida, e questo malgrado Athreia e sua sorella fossero alte il doppio di lei

«Noi non siamo mercenari.» disse offesa Medea «Siamo un’unità scelta appartenente all’esercito imperiale.»

«Calmati, Medea. Sua Maestà ci ha inviato qui per manifestarvi la propria vicinanza e riaffermare il suo appoggio alla vostra impresa per liberare la provincia dal controllo dei ribelli. Obbediremo a voi in quanto signore di queste terre, ma intendiamo rispettare l’ordine ricevuto dal nostro Imperatore. Se non volete il nostro aiuto noi non combatteremo, ma questo non significa che verremo meno ai nostri doveri.»

I denti di Philippe scricchiolavano per quanto forte li stava serrando.

Era fin troppo chiaro per quale motivo l’Imperatore avesse mandato lì quei maledetti centauri. E visto che le Furie si occupavano notoriamente di sopprimere rivolte nessuno avrebbe potuto accusare Sua Maestà di aver agito in maniera pregiudizievole.

«Lo chiamano aiuto, ma in realtà ci stanno solo mettendo il guinzaglio.» disse tra sé e sé Lefde, non senza un certo sollievo.

«Suvvia, non è il caso di scaldarsi tanto.» rispose Victor, con una maturità e una calma tali da lasciare i due uomini senza parole. «Se Sua Maestà ci invia degli aiuti sarebbe sciocco non servirsene. In fin dei conti, noi stiamo agendo in sua vece. Siete le benvenute, voi e la vostra unità. E giacché vi trovate qui, avremmo già il compito giusto da affidarvi.»

«Siamo a vostra disposizione.»

«Abbiamo saggiato la forza dei nostri nemici con un rapido attacco alla fortezza di Grote Muren, e purtroppo abbiamo dovuto constatare che quei ribelli sono più organizzati di quanto credessimo. Pertanto prima di passare all’offensiva vera e propria vorremmo vagliare tutte le possibili soluzioni.»

Al che il giovane Montgomery richiamò l’attenzione di tutti sul gigantesco arazzo appeso sulla parete alla sua sinistra, raffigurante il vecchio Granducato ai tempi del suo massimo splendore.

«Come sicuramente saprete, la valle in cui si trova Grote Muren è l’unico punto di collegamento tra l’est e l’ovest della vecchia Eirinn abbastanza grande da potervi transitare agilmente con un grande esercito. Ma c’è anche un’altra strada, più impervia e pericolosa, a nord della fortezza.»

«Ne ho sentito parlare. È il Passo di Gael

«Un assalto frontale contro Grote Muren ci costerebbe sicuramente perdite considerevoli. Ma se riuscissimo a far transitare una piccola forza attraverso il passo fin oltre la catena del Khoral, potremmo essere in grado di tagliare le linee di rifornimento nemiche. A quel punto, la conquista del forte diventerebbe una questione molto più facile.»

«Sì, capisco.»

«Purtroppo per noi, anche questo Daemon è arrivato alla medesima conclusione. Ci hanno appena comunicato che i ribelli hanno iniziato a fortificare il passo. Pertanto, sarebbe necessario mettere alla prova anche qui le loro difese, per capire quanto questa operazione possa risultare fattibile.»

«Quindi vorreste affidare questo incarico a noi?»

«La vostra è un’unità piccola, ma molto potente. Perfetta per un ambiente angusto come il passo. Di fronte alla forza di una vostra carica i ribelli potrebbero persino abbandonare il campo immediatamente, aprendoci subito la strada verso l’ovest.»

«In questo caso Granduca, potete iniziare subito a pianificare l’offensiva. Perché potete stare certo che libereremo il passo prima ancora che i ribelli possano accorgersi di noi.»

«Ero sicuro che saremmo andati d’accordo. Vi farò sapere quando potremo dare il via all’operazione. Nel frattempo, Eirinn vi accoglie come alleati e come amici. Seguite il mio ciambellano, vi condurrà nei vostri alloggi.»

«Vi ringrazio, Vostra Eccellenza.»

Dire che Philippe e Lefde erano senza parole sarebbe riduttivo.

Ma se Lefde per un attimo volle illudersi che il figlio del suo vecchio amico stesse finalmente iniziando a capire cosa voleva dire essere l’erede dei Montgomery, a Philippe che gli stava accanto non sfuggì il ghigno che si materializzò sul volto del ragazzo nel momento in cui le due centaure gli diedero le spalle; e la cosa lo soddisfò enormemente.

 

L’ultimo piano dell’ala nobile del palazzo era proibito a chiunque; nessuno doveva vedere ciò che il vecchio Berthold Montgomery era diventato.

Non che se ne vergognasse; semplicemente sapeva quanto fosse importante il modo di apparire per un sovrano, specialmente per una famiglia come la sua che portava sulle spalle il peso di una nazione in crisi d’identità, alla perenne ricerca di una figura forte a cui aggrapparsi.

Il popolo stesso ignorava quale fosse il vero motivo che aveva costretto il Granduca a rinunciare il proprio ruolo in favore del figlio; si era parlato di un problema di salute non meglio specificato. Inevitabile quando si aveva a che fare con una malattia che la gente comune considerava una punizione divina.

Da qualche mese la lebbra aveva portato via al Granduca perfino la vista. Ma ormai egli conosceva il suo palazzo così bene da poterlo percorrere in lungo e in largo senza alcun bisogno di vedere, stando sempre ben attento a scegliere quei percorsi in cui non avrebbe corso il rischio di incontrare qualcuno.

Così, quando ne aveva le forze, se ne andava in giro, ascoltando le voci dei servi e delle guardie, e presenziando talvolta alle udienze al sicuro del colonnato che sovrastava il salone.

«Non credo ci sia bisogno di farvi rapporto, giacché vi siete sentito in dovere di assistere all’incontro.» disse Victor chiudendo la porta delle stanze del padre

«Stai prendendo una strada pericolosa, figlio mio.» disse la figura appena visibile dietro le tende del letto parlando con voce roca e gracchiante «L’Impero potrà anche essere più debole che in passato, ma è ancora capace di azzannare chiunque osi sfidarlo.»

«E dunque noi dovremmo continuare a piegare la testa di fronte ad un leone vecchio e morente? È davvero tutto qui il vostro orgoglio?»

«Attento a ciò che dici. Anche se ho giurato fedeltà all’Imperatore, il mio cuore e il mio spirito sono sempre stati rivolti al bene di Eirinn. E se pensi che abbia dimenticato cosa significa essere parte di questa famiglia ti sbagli di grosso.»

«Davvero? Perché onestamente a me sembra il contrario, e il vostro comportamento lo dimostra. Questa è la migliore occasione per noi di riprenderci ciò che ci appartiene, e voi vorreste che ce la lasciassimo sfuggire.»

Victor non aveva il coraggio di dirlo apertamente, ma sospettava a torto che vi fosse proprio lo zampino di suo padre dietro l’arrivo delle Furie. Non occorreva un genio del resto per capire che si trattava di un espediente per ricordare a lui e a Philippe a nome di chi stavano combattendo.

«Se avessimo avuto a che fare con il vecchio imperatore sarei stato il primo a suggerirti di agire in questo modo. Era solo un vecchio incapace prigioniero dei suoi vizi. Ma suo fratello Harnold che ora siede sul trono è tutta un’altra cosa. È furbo e perspicace. E anche se ora ha molti problemi a cui pensare, sbagli a ritenere che ignorerebbe ciò che tu e Philippe volete fare. Eirinn un giorno sarà di nuovo unita e libera, ma quel momento non è ancora arrivato.»

«Quel momento non arriverà mai finché ci sarà gente come voi a governare. Non è forse per questo che avete mandato Aria a studiare all’accademia imperiale? Per legare ancora di più il nostro destino a quello dell’Impero, proprio ora che potremmo finalmente liberarci da questa umiliante condizione di vassalli?»

«Guardami. Il mio corpo sta marcendo, e probabilmente sarò morto prima di un anno. Credi davvero che se pensassi che le tue azioni potrebbero ridarci la libertà non ti darei la mia benedizione, se non altro per poter assistere alla rinascita di Eirinn prima di esalare il mio ultimo respiro? Molti moriranno se compi questo passo, e la loro morte potrebbe non portare a niente. Sei davvero disposto a sacrificare i tuoi soldati, il tuo regno, forse persino la tua vita in nome di un obiettivo che potrebbe essere oltre la tua portata?»

«È qui che vi sbagliate, padre. Io non sono un codardo come voi. Io non ho paura di sporcarmi le mani, e lascerei morire cento, mille, anche un milione di uomini sotto il mio comando per restituire ad Eirinn il posto che merita. Perciò restate seduto qui e osservate mentre porto a compimento ciò a cui voi e i vostri antenati non siete mai andati nemmeno vicini.»

 

Non avevo mai pensato che la pace fosse destinata a durare a lungo, così come avevo sempre saputo che il mio impero, come tutti gli altri esistiti in chissà quanti altri mondi, poteva essere costruito solo con il sangue.

Del resto sapevo di non avere molto tempo, e in cuor mio avevo sperato che le cose si mettessero in moto il prima possibile.

Erano passati quasi quattro mesi da quel fatidico giorno in cui tutto aveva avuto inizio, e l’arrivo del Re dei Demoni si avvicinava sempre di più.

Non era un caso se fin dal primo momento avevo investito pesantemente nel rafforzamento dei nostri confini occidentali, facendo ristrutturare Grote Muren e selezionando i mostri più resistenti al freddo per destinarli al Passo di Gael. Perché sapevo che la prima mossa ai nostri danni sarebbe venuta proprio da Eirinn.

Ovviamente mi ero documentato su chi mi sarei trovato di fronte, e grazie ai rapporti consegnatimi dalle spie che avevo inviato in ogni dove in quasi tutta l’Erthea Occidentale, mi ero fatto un’idea abbastanza precisa di Victor Montgomery.

Per farla breve, non mi preoccupavo minimamente, poiché avevo capito con chi avevo a che fare; con il classico edonista viziato, come ce n’erano tanti tra gli aristocratici di qualunque regno, che scambiava la nobiltà per il talento, alla costante ricerca di un modo per dimostrare la propria forza.

Tipi così ne avevo incontrati a centinaia nella mia precedente vita, e li conoscevo abbastanza bene da sapere cosa potermi aspettare da loro.

Stesso discorso per Philippe, una serpe dalla lingua biforcuta che usava l’amor di patria come scusa per giustificare la sua ambizione, di sicuro competente nel comando ma così poco avveduto da risultare prevedibile nelle sue scelte.

Il problema semmai era il Generale Lefde, del quale non riuscivo a farmi un’idea precisa. Da una parte lo vedevo come un altro di quei veterani ubriachi di onore cavalleresco che mai si sognerebbero di contraddire gli ordini del proprio signore, anche se in disaccordo con lui, dall’altro avevo sentito solo elogi nei confronti del suo talento come generale.

Come se non bastasse tutto pesava sulle mie spalle, e ormai da parecchi giorni a stento trovavo il tempo di dormire.

Nella mia vecchia vita potevo permettermi di demandare ad altri le questioni logistiche e burocratiche, ma anche se mi stavo adoperando per creare una classe dirigente che potesse assistermi nessuno dei miei subalterni possedeva ancora le qualità necessarie a stare al passo con me.

E con una guerra alle porte, ecco che le responsabilità per me si erano moltiplicate: studiare le mappe, organizzare i presidi, occuparsi dei rifornimenti, assegnare gli ufficiali, programmare le marce erano tutte cose che ricadevano sulle mie spalle.

E anche se ora ero tornato giovane, anch’io avevo dei limiti.

Ero arrivato alla mia terza notte trascorsa quasi completamente in bianco ad esaminare pratiche e redigere documenti, avevo in corpo più caffè che sangue, e se avessi avuto a portata di mano uno schioppo penso che avrei sparato alla prima persona che avessi incontrato per quanto ero stanco e nervoso.

Per non scoppiare del tutto decisi di fare una pausa e concedermi due passi.

Il Castello era immerso nel buio e nel silenzio più assoluti, e fatte salve le sentinelle, quasi tutte più addormentate di me, non incontrai nessuno finché non raggiunsi i giardini.

«Scalia.» dissi quando la vidi in piedi davanti alla fontana delle sirene. «Cosa ci fai in piedi a quest’ora?»

«Potrei farti la stessa domanda.»

«Avevo del lavoro da fare, ma ho voluto fare una pausa.»

«Tu lavori troppo, fratellino. Se continui così prima o poi ti ammalerai.»

«Non posso farci niente. Ora che siamo in guerra le incombenze si sono moltiplicate.»

«Quindi è inevitabile?»

«Temo di sì. A quanto pare Victor ha speso fino all’ultimo soldo delle casse di Eirinn per arruolare quanti più mercenari possibili. Non sarà una battaglia facile.»

«Quando abbiamo accettato di seguirti sapevamo che avremmo dovuto combattere strenuamente per conquistare e conservare la libertà, ma sinceramente speravo che la pace potesse durare un po’ più a lungo.»

Beata ignoranza.

Come se i cambiamenti, specie se così epocali, potessero compiersi senza dover versare fiumi di sangue.

«Credi che ce la faremo a vincere?»

«In guerra non esistono certezze. Possiamo solo fare del nostro meglio, e sperare che sia sufficiente. Però sì, possiamo vincere. Del resto siamo arrivati troppo lontano per arrenderci ora, non credi?»

Ufficialmente Scalia era un soldato come gli altri, e non aveva alcuna carica all’interno del mio governo.

Non perché non la reputassi capace di fare la sua parte; non volevo che qualcuno mi accusasse di fare dei favoritismi.

Ma ora più che mai avevo bisogno di lei, del suo coraggio, della sua forza, e anche della sua testardaggine. Anche a costo di farle rischiare la vita sul campo di battaglia.

«Pensavo di farlo domani mattina, ma a questo punto direi di approfittarne adesso.» dissi porgendole una spilla da ufficiale. «Sto creando una unità speciale, che possa muoversi sul campo di battaglia in piena autonomia, e vorrei che fossi tu a comandarla con il grado di Capitano.»

«Capitano!? Io!?»

«Tutti ti hanno vista combattere durante la Rivoluzione. I veterani ti conoscono, le reclute ti ammirano. Inoltre i soldati lotteranno con più convinzione se sapranno che a guidarli è la figlia del famoso Generale Zorech. Volevo proporre questa posizione anche a nostro padre, ma come sai lui non vuole avere più niente a che fare con la guerra e con le armi.»

Effettivamente ci avevo provato in tutti i modi a convincere Zorech a prestarci il suo talento, ma quel vecchio ottuso e idealista evidentemente era ancora tormentato dagli incubi di ciò che aveva visto e fatto durante le Guerre Sacre.

Persino per un ruolo ininfluente e marginale come quello di Governatore del Castello avevo faticato non poco per riuscire a convincerlo.

Con Scalia non dovetti neanche insistere.

«Non sono sicura di essere ciò di cui hai bisogno.» disse prendendo la spilla. «Ma ti prometto che farò del mio meglio.»

«Ne sono sicuro. Ma sia chiara una cosa, voi sarete comunque parte dell’esercito. Potrete muovervi per conto vostro, ma dovrete comunque obbedire ai miei ordini qualora ve ne dia.»

«Non preoccuparti. Prometto che non farò niente di avventato.»

«Lo spero. Perché d’ora in poi temo che le battaglie si faranno sempre più dure.»

Un movimento improvviso in un cespuglio vicino ci fece sobbalzare entrambi, e un attimo dopo mi ritrovai a venire travolto da una specie di piccola ombra che mi si avvinghiò addosso con la forza di un orso.

«Fratellone! Quanto tempo è passato!»

«Sapi!?»

L’ultima volta che avevo ricevuto una sua lettera era stato ancora prima dell'inizio della Rivoluzione.

E anche se già solo da quello che negli anni mi aveva scritto avevo capito da tempo che doveva essere molto cambiata rispetto a come la ricordavo, per un attimo mi sembrò di avere davanti una completa estranea.

L’unico modo in cui potei essere sicuro che fosse davvero lei era il suo aspetto, com’era naturale del resto: era risaputo che gli yeti mantenevano per tutta la vita l’aspetto di preadolescenti, così da rimanere piccoli e robusti e sopportare meglio il gelo delle montagne in cui vivevano.

Stessi capelli azzurrini, stessa pelliccia bianca, stesso naso piccolo. E purtroppo per le mie ossa, stessa forza ciclopica, che nessuno le aveva mai insegnato a dosare.

«Ma si può sapere come hai fatto ad entrare qui? Che accidenti combinano le guardie?»

«Ciao zietta. Sono felice di rivedere anche te.»

«Chi hai chiamato zietta, sottospecie di sgorbietto peloso?»

C’erano poche cose che Scalia detestasse più di qualcuno che le rinfacciava la sua età; certo, se paragonata all’età media dei draghi era poco più di una ragazzina, ma ciò non toglie che fosse abbastanza vecchia da poter essere la mia bisnonna.

Ma chiaramente la nuova Sapi, che all’opposto fatto salvo il carattere sembrava ancora la bambina che avevamo conosciuto otto anni prima, era troppo ingenua e innocente per capirlo.

«Allora, mi vuoi dire cosa ci fai qui?»

«Sono venuta a mantenere la mia promessa. Ti avevo detto che un giorno sarei tornata per aiutarti a realizzare il tuo sogno. Così quando ho saputo quello che avevi fatto non ci ho pensato due volte e sono venuta qui.»

E così, il primo investimento della mia seconda vita aveva finalmente fruttato.

Ero stato io a convincere Sapi a mettere a frutto la straordinaria forza bruta della sua specie nell’arena, così da farle apprendere qualche rudimento di lotta e renderla ancora più capace di cavarsela sul campo di battaglia.

Ora sapevo che quel suggerimento non solo era stato seguito alla lettera, ma i risultati erano andati ben al di là delle più rosee aspettative… e la mia cassa toracica era lì a testimoniarlo.

«Mi dispiace Sapi, ma temo che tu sia arrivata qui in un pessimo momento. La pace è già finita, e presto saremo di nuovo in guerra.»

«Ma io posso aiutarti, fratellone. Te l’ho detto che ho imparato a combattere. Prometto che farò la mia parte.»

Esattamente quello che mi aspettavo da lei e per cui avevo coltivato il nostro rapporto, ma occorreva comunque salvare le apparenze.

«Se proprio vuoi aiutarci, allora puoi restare. Per il momento però voglio che mi resti vicino. Avrai molto presto l’occasione per dimostrare quanto vali.»

«Daemon, non starai pensando seriamente di mandare in battaglia questo scricciolo.»

«Fidati Scalia, sa combattere meglio di quanto credi. E comunque non andrà in battaglia, almeno fino a quando non lo dirò io. Giusto?»

«Sì, te lo prometto. Farò tutto quello che mi dirai. Sono così felice di essere di nuovo insieme a te, fratellone.»

Nel frattempo ormai era sorto il sole, così tutti e tre ci dirigemmo al refettorio.

E dal momento che Tecla aveva la pessima abitudine di venire a fare rapporto nei pochi momenti tranquilli che avevo a disposizione, ci comparve davanti proprio mentre stavamo facendo colazione.

«L’esercito di Eirinn si è messo in movimento. Si sono divisi in due armate che avanzano contemporaneamente.»

«Dove si trovano?»

«Un’armata ha preso possesso di Todlen, l’altra sembra intenzionata ad imboccare il Passo di Gael. Al comando di questa seconda armata c’è il Conte di Hatlen, e ne fanno parte anche molti mercenari. Tra di loro ci sono anche almeno duecento centauri.»

«Centauri.» disse Scalia contenendo a stento l’impulso di sputare per terra. «Se esistono gli dei inferi, devono aver pensato ad un supplizio eterno solo per loro.»

«Le nostre forze dove sono?» chiesi io

«Il Generale Adrian ha raggiunto ieri sera Grote Muren e implementato le difese.»

«Le fortificazioni sul Gael

«Terminate.»

Con un gesto attirai l’attenzione di Septimus, strappandolo con suo enorme sollievo all’ennesima provocazione sensuale di Giselle che non perdeva occasione per mettere in mostra la sua nuova mercanzia davanti a lui.

«Convoca il consiglio di guerra per mezzogiorno. E dì alla mia nuova unità di cominciare a prepararsi. Lo Stato Libero sta per incominciare la sua prima guerra.»

 

Il Passo di Gael era chiamato anche Vetta degli Dei, perché era il valico situato più in alto dell’intera catena del Khoral.

Era chiamato anche Valle della Bianca Vetta, dal momento che la neve che come un sudario copriva il fianco del Monte Gael non si scioglieva mai neanche nel cuore dell’estate, incombendo minacciosa su chiunque si avventurasse in quella vallata pianeggiante e molto stretta, scavata nella roccia e nel ghiaccio.

Al termine di tre giorni e tre notti di marcia Philippe e i suoi uomini erano arrivati quasi in cima al passo, fissando il loro campo nel cuore dell’ultimo scampolo di foresta a poca distanza dai bordi del ghiacciaio.

Anche se ormai era praticamente estate il freddo era spaventoso, e penetrava in ogni cellula del corpo minacciando di congelarti vivo.

Dopo qualche ora di sonno, Philippe convocò i capi mercenari per discutere il piano.

«I ribelli si sono trincerati a tre miglia da qui, nel cuore del ghiacciaio, e hanno eretto barriere di legno. Le Furie di Vanlia apriranno la strada spazzando via la prima linea dei ribelli, seguiti a ruota dal resto dei mercenari che infliggeranno il colpo di grazia aprendo al strada al resto dell’esercito. Nel momento esatto in cui la vittoria sarà a portata di mano invierò un messaggero a Todlen dando al Generale Lefde e a mio nipote il via libera per avanzare, e stringeremo Grote Muren in una manovra a tenaglia.»

Era sempre la stessa storia. Mercenari e gregari facevano il lavoro sporco, e i soldati regolari sfilavano vittoriosi nelle regioni conquistate al seguito dei loro signori.

Non ci si poteva fare niente, e sia Athreia che Ignes lo sapevano bene; quella era la sorte di chi faceva della guerra al servizio di qualcuno il proprio mestiere.

«Ehi cavallona, cercate di non ammazzarne troppi.» disse Ignes al termine della riunione. «A differenza vostra, noi veniamo pagati a scalpi.»

Non era abitudine di Athreia provocare o litigare, quindi si limitò a promettere di non “interferire con le legittime pretese dei suoi compagni d’armi” e chiuse il discorso.

«Quel tipo, il Generale. Non mi piace per niente.» disse Medea andando incontro alla sorella «È chiaro che ci considera solo dei mostri qualunque.»

«Noi siamo mostri, sorellina. Noi possiamo anche dimenticarcene, ma loro no.»

«Abbiamo combattuto al fianco degli umani nelle Guerre Sacre. L’Impero ci considera cittadini a tutti gli effetti. Cos’altro dobbiamo fare per meritare il loro rispetto?»

Athreia aveva imparato a non farsi più certe domande, ma Medea era così onesta e nobile che semplicemente non riusciva a capire per quale motivo certi umani, anche dopo cinquecento anni, ancora non riuscissero a considerare i centauri come dei loro pari.

«Qual è la situazione?» chiese la sorella maggiore a Stavros, di ritorno dalla sua esplorazione

«È come ha detto il nobile Philippe. I ribelli hanno allestito delle difese poco più a ovest, soprattutto palizzate di legno alte un paio di metri intervallate da dei varchi.»

«Tutto qui?» commentò Medea. «Pensano davvero che basti così poco per fermarci?»

«D’altronde non credo si possa fare molto di più in un posto del genere. Forse pensano che il ghiaccio sul terreno ci ostacolerà. Scopriranno a loro spese che ci vuole altro per impensierire i nostri zoccoli.»

Quello che nessuno dei tre né chiunque altro nel campo sapeva era che, subito dopo la fine della riunione, Philippe aveva convocato nella tenda di comando il capo dei suoi esploratori.

«È sicuro che quel Daemon si trovi qui?»

«Assolutamente. I miei uomini lo hanno visto salire sul passo accompagnato da una mezzosangue, un giovane ufficiale e alcuni soldati.»

«Allora, sai cosa fare. Aspettate il mio segnale.»

«Come desiderate.»

 

Di lì a qualche ora arrivò finalmente l’ordine di avanzare e le Furie di Vanlia si misero in movimento, seguite a stretto giro dal resto dei mercenari.

Avanzarono piano, per non sprecare le energie, e ben presto la roccia sotto di loro si tramutò in uno spesso strato di ghiaccio e neve.

Ma come aveva detto Stavros ci voleva ben altro per spaventarli; i loro zoccoli erano come artigli, duri e ruvidi, capaci di fare presa su qualunque tipo di terreno.

I ribelli –praticamente tutti mostri– nel frattempo avevano preso posizione, schierando lancieri e picchieri lungo i varchi per bloccare l’avanzata del nemico e proteggere i loro compagni posizionati dietro le loro barricate di fortuna.

Poche volte Athreia e i suoi compagni avevano visto delle difese così scarne, e probabilmente sarebbe bastato un singolo assalto per spianare quei fragili reticoli di legno e travolgere tutto quello che vi stava oltre.

In un primo momento nessuno fece caso al fatto che gli arcieri ribelli posizionati oltre le barricate non impugnassero archi, ma piuttosto una specie di strane lance in legno e metallo, corte e tozze, terminanti in un foro da cui spuntava una lama lunga e stretta.

Ci fu un istante di quiete assoluta, poi gli araldi suonarono nei loro corni facendo vibrare le montagne.

«Carica!»

Di solito la sola vista delle Furie lanciate all’assalto era sufficiente a far scappare i loro nemici in preda al panico.

Ma evidentemente i ribelli non erano avversari comuni, o forse erano solo molto bene addestrati, e restarono fermi al loro posto, mentre alle spalle della loro prima linea a ridosso delle barriere era un continuo movimento di ufficiali che andavano avanti e indietro ordinando a squarciagola di mantenere la posizione.

In pochi secondi i centauri dimezzarono la distanza che li separava dal nemico, acquistando sempre più velocità man mano che avanzavano.

«In posizione!»

Udendo quell’ordine, la prima linea infilò quelle strane lance oltre le barricate, puntandole dritte in avanti come a voler cercare di formare un’acuminata barriera di punte.

«Pensano che questo possa bastare? Travolgiamoli!»

Quando mancavano poche decine di metri le furie alzarono le armi, preparandosi a colpire; sarebbero passati sulle barricate e sui nemici dietro di esse come su un tappeto, lasciando dietro di sé nient’altro che distruzione.

 Un urlo rimbombò come un tuono nel cuore dello schieramento ribelle.

«Fuoco!»

 

Nota dell’Autore

Salve a tutti, e ovviamente Buon Natale!

Siamo arrivati al Terzo dei Sei capitoli di questo Volume 3.

Da qui in poi come si può intuire sarà un susseguirsi di eventi che si svolgeranno attraverso vari archi, destinati solitamente a durare 2 o 3 volumi a seconda della loro importanza.

Già da ora abbiamo fatto la conoscenza con il primo vero villain, ovvero Victor, la cui importanza seguirà un andamento altalenante ma che rivestirà sempre comunque un ruolo di primo piano nello svolgersi delle vicende.

A presto!^_^

Cj Spencer

   
 
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