“Quando mi fisso
su un obiettivo
gli ostacoli possono solo farsi da parte”
CAPITOLO 4
INCONTRO AL PASSO DI GAEL
Subito dopo essere stato informato
dell’assalto al forte Daemon convocò immediatamente tutti i suoi ministri per
discutere la situazione.
Nell’aria
c’era agitazione, e più di qualcuno era preoccupato, ma in realtà quasi nessuno
si mostrò eccessivamente sorpreso per ciò che era accaduto.
In
qualche modo tutti sapevano che non sarebbe potuta durare.
Daemon
lo aveva detto senza tanti giri di parole il giorno in cui si erano riuniti per
la prima volta, proprio allo scopo di spegnere facili entusiasmi e riportare
tutti alla cruda realtà.
«Non
possiamo escludere che prima o poi qualcuno tenti di rubarci la libertà che ci
siamo conquistati.» aveva detto. «E quando accadrà dovremo essere pronti a
difenderci.»
Quel
momento era infine arrivato.
Troppo
presto per qualcuno, più tardi del previsto per qualcun altro.
Lo
Stato Libero era nato, ora era necessario difenderlo.
Per
fortuna nulla era stato lasciato nelle mani del caso.
L’istituzione
di un esercito, gli investimenti massicci in armamenti e scorte di emergenza,
oltre alla costruzione di alcune roccaforti in punti strategici del Paese erano
tutte precauzioni che erano state prese proprio al fine di prepararsi ad una
simile eventualità.
Dopo
aver rassicurato tutti che nessuno sarebbe stato trascurato furono prese le
prime decisioni, a cominciare dall’ordine pubblico.
Venne
istituita la legge speciale che limitava l’accesso al cibo, garantendo a tutti
il necessario sostentamento contenendo però speculazione e sprechi. Furono
anche implementati i poteri dei prefetti di polizia per mantenere l’ordine e
assicurare a tutti i villaggi un corridoio di sicurezza per mettersi in salvo
nel più vicino centro fortificato in caso di necessità.
Poi
fu il turno dell’aspetto economico.
Quasi
tutti i mercanti che negli ultimi tre mesi avevano iniziato a fare affari con
lo Stato Libero avevano contatti nel mercato nero, ed erano più che capaci di
muovere soldi e merci anche in tempo di guerra sfruttando canali segreti e
sotterfugi. Furono ricevuti i capi delle gilde, che si impegnarono a proseguire
negli affari in cambio di un aggiustamento ai profitti per compensare i rischi.
Nessuno
era felice all’idea di svendersi a quelle sanguisughe, ma era l’unico modo per
mantenere attivi i commerci.
Naturalmente
per poter continuare a commerciare doveva esserci qualcosa da vendere, quindi
fu dato l’ordine che tutte le attività restassero aperte, a cominciare dalle
miniere e dalla cura dei campi.
Infine
vennero riassegnati e riposizionati i battaglioni, con i veterani della
Rivoluzione che sarebbero andati ad occupare le posizioni più esposte, a
presidio di Grote Muren e
sull’impervio Passo di Gael, i soli due punti di
collegamento tra l’est e l’ovest dell’antica Eirinn.
Secondo
Oldrick presidiare il passo sarebbe stato solo uno
spreco di risorse, perché era semplicemente impossibile per un esercito in armi
attraversarlo agilmente, perennemente coperto com’era dalla neve e dal
ghiaccio.
«In
una guerra non si lascia niente al caso, Oldrick.
Credevo che lo sapessi. È ovvio che l’attacco al forte è stata solo una prova.
E anche volendo dare retta alle voci che dipingono Victor come un’idiota
patentato, il Generale Lefde che comanda l’esercito
occidentale del Granducato è uomo assai più avveduto. Ora che ha testato le
nostre difese a Grote Muren,
è logico supporre che farà lo stesso anche al Passo di Gael.
E noi dobbiamo farci trovare pronti.»
Finita
la riunione, e accompagnato da Scalia, Daemon volle anche conoscere l’elfa che con le sue prodezze aveva contribuito alla
difesa di Grote Muren, e
che dopo la battaglia era stata portata al Castello sotto scorta per
incontrarlo.
«Quindi
sei tu il capo qui?»
«Più
o meno. Tu invece sei?»
«Natuli.»
«Anzitutto
voglio ringraziarti per il tuo contributo. Senza di te avrebbero potuto esserci
molte più vittime nell’attacco. Mi hanno detto che vorresti avere accesso allo
Stato Libero. Posso chiederti perché?»
«Mi
è sembrato un posto come un altro per fare un po’ di soldi.»
«Un
elfo che parla di soldi.» commentò Scalia. «Se non lo vedessi non ci crederei.»
«Mettila
come vuoi. Voi avete tanti nemici, e io so come prendermene cura. Allora? Vi
servo oppure no?»
I
due si fissarono vicendevolmente negl’occhi come se cercassero di studiarsi, e
Scalia fu sorpresa nel vedere come l’elfa non
battesse ciglio di fronte allo sguardo penetrante del fratello, capace
solitamente di far tremare le gambe anche ai più coraggiosi.
Quindi,
arrivò il verdetto.
«Indubbiamente
ci sai fare sotto molti aspetti. D’accordo, puoi
restare, ma ad una condizione. Dovrai servire nel nostro esercito. Stiamo
creando un reparto di arcieri a cavallo, dovrai addestrarli e prenderne il
comando. Ti occuperai anche di addestrare tutti i nostri reparti di arcieri.»
«Per
me va bene.»
Nessuno,
neanche i pochi che avevano dimostrato abilità comparabili a quelle di Natuli, aveva mai fatto carriera così velocemente, e la
cosa lasciò sia Scalia che tutti gli altri presenti parecchio sorpresi. Ma ciò
nonostante non si levò una sola obiezione.
«Allora
siamo d’accordo. Septimus, occupatene tu. Da questo momento conferisco a Natuli il ruolo di Capitano dei Cacciatori a Cavallo.»
«Come
desideri.»
Detto
questo Daemon si congedò e si diresse verso il proprio ufficio, sempre seguito
da Scalia.
«Daemon,
sei sicuro che sia una buona idea? È sicuramente abile, ma affidarle di punto
in bianco un incarico così importante…»
«È
una spia.» rispose il ragazzo come se fosse la cosa più naturale del mondo
«Cosa!?»
«Ha
nascosto il tatuaggio, ma è ovvio che non sia una senzaclan
come vuole farci credere. Gli elfi si agitano per ogni cosa fuori dalle righe
che avviene in questo continente, e noi siamo fuori dalle righe sotto molti
punti di vista. L’avranno mandata qui per sorvegliarci ed essere sicuri che non
siamo una minaccia.»
«Ma
se l’hai capito subito, perché le hai affidato quel comando!?»
«Lo
hai sentito anche tu il rapporto di Septimus. Hai mai visto un arciere migliore
di lei? Se non avessi ricompensato adeguatamente il suo talento avrebbe capito
che l’avevamo smascherata.»
«Però,
permettere ad una spia di prendere parte alle riunioni e ai consigli di guerra,
soprattutto in un momento come questo… Non sarebbe stato più saggio arrestarla
o espellerla?»
«Avrebbero
mandato qualcun altro, qualcuno più abile di lei a passare inosservato. E
comunque il suo talento è troppo prezioso per farne a meno. Ora non pensiamoci
più. Come hai detto tu, abbiamo cose più importanti di cui occuparci.»
Ad
attendere i due nell’ufficio c’era una vecchia conoscenza che entrambi non
vedevano da parecchio tempo.
«Eilon.» disse Scalia. «Che bello rivederti.»
«È
un piacere anche per me, Scalia.» rispose il vecchio volatile «Vi siete
sistemati bene.»
«Felice
di rivederti amico mio. Come vanno le cose a Dundee?»
«Molto
bene. Devo ringraziarti. Con i soldi che ci hai prestato siamo riusciti ad
aprire una fucina tutta nostra.»
«È
stato un piacere. Le tue abilità di fabbro e forgiatore del resto meritavano un
ambiente di lavoro migliore delle squallide fornaci delle miniere.»
«Non
dico che quel periodo mi manchi, però devo ammettere che ogni tanto mi sento
quasi a disagio. Ora non dobbiamo più fare economia di utensili o preoccuparci
che la fornace possa saltare in aria perché non viene riparata. Queste vecchie
piume ormai erano abituate alle fiammate.»
«Avrei
voluto rincontrarti in circostanze migliori. Ma se sei qui, presumo che tu
abbia delle novità per me.»
Al
che Eilon dirottò la loro attenzione sulla voluminosa
scatola di legno appoggiata sul tavolino: «Puoi contarci.»
Nel
momento in cui Daemon aprì il contenitore, i suoi occhi si accesero come quelli
di un felino.
«Allora?
Che te ne pare?»
«Sono
davvero senza parole. È identico al progetto che ti avevo lasciato.»
«Non
è stato facile, ma lo sai. Io sono il migliore.»
Scalia
non ci provò neanche a chiedere che cosa fosse, anche se quella forma particolare
qualche sospetto glielo faceva venire.
«Compatto,
robusto, e leggero quanto basta. Avete fatto qualche test?»
«Certamente.
Tutti brillantemente superati. Nessuna incrinatura, nessuna traccia di
sofferenza del metallo. Il meccanismo qualche volta tende a bloccarsi, ma con i
pezzi che abbiamo a disposizione non potevamo fare di meglio.»
«Un
limite che avevo preso in considerazione. Suppongo che per adesso dovremo
accontentarci. Quanti pensate di poterne costruire?»
«I
primi trenta sono già pronti. Dì solo una parola, e potremo arrivare a cento
prima della prossima luna.»
«Allora
mettetevi subito al lavoro. Temo che ne avremo bisogno molto presto. Nel
frattempo, io mi occuperò dell’addestramento.»
Il fallimento dell’assalto a Grote Muren non provocò grande
sorpresa a Faria, giacché nessuno si aspettava
realmente che qualcuno che era stato capace di conquistare una provincia in
meno di un mese potesse essere sconfitto con così poco.
Tuttavia,
una simile disfatta imponeva come prima cosa di aumentare la disponibilità di
soldati, così subito dopo il ritorno della prima spedizione si era iniziato a
fare i dovuti preparativi bandendo una coscrizione in massa e l'arruolamento di
gruppi mercenari.
In
realtà le casse nazionali erano tutt’altro che piene in quel periodo, ma c’era
la convinzione –per alcuni più che per altri– che i frutti della riconquista
avrebbero ampiamente coperto i costi.
Gli
Jormen erano sostanzialmente ladri e predoni, barbari
dell’estremo nord orientale che saccheggiavano le coste prendendo quello che
volevano, e che proprio per questo non disdegnavano di combattere per chiunque
potesse permettersi i loro servizi.
La
banda di Ignes era una delle poche che si potevano
reclutare anche nel profondo entroterra, visto che solitamente gli Jormen non stavano mai troppo lontani dal mare e dalle loro
famigerate navi.
Nessuno
guardando Ignes avrebbe mai pensato che lei potesse
essere il temuto Ferro Cremisi, la
cui ascia aveva macellato così tanti nemici da essersi colorata di rosso.
Portava le trecce e si vestiva come una ragazzina, ma guardarla negli occhi
avrebbe terrorizzato anche il più impavido dei generali, tanto erano freddi, e
in battaglia agitava quell’arma più grossa di lei come fosse di carta.
La
sua fama era tale che nessuno osava protestare per la natura piuttosto
eterogenea della sua banda, che annoverava al suo interno un buon numero di
mostri fuggiaschi e schiavi liberati.
«Sua
Altezza il Granduca vi ringrazia per i vostri servigi.» disse Philippe, in
piedi accanto al trono dal quale Victor presenziava l’incontro con tutti i capi
mercenari assoldati per l’occasione. «Con il vostro aiuto, schiacceremo i
ribelli e reclameremo il controllo della provincia di Eirinn.»
«Bando
alle ciance e parliamo di cose serie.» tagliò corto Ignes
«Quand’è che si combatte?»
«Stiamo
ancora finendo di riorganizzare il nostro esercito.» intervenne Lefde, anch’egli presente. «Ci vorranno ancora alcune
settimane.»
«Tutto
questo spiegamento di forze per un pugno di ribelli? Pagatemi il doppio e vi
risolvo il problema da sola.»
«La
vostra fama vi precede Ferro Cremisi, ma vi invito alla prudenza. Questi
ribelli non assomigliano a niente che abbiate visto finora. Il loro comandante
è una persona estremamente arguta, che ha addestrato i suoi soldati molto
bene.»
Invisibile
a tutti, nascosta dietro una colonna sulla balconata che sovrastava la sala
delle udienze, un’ombra ammantata assisteva all’incontro. Victor ne incrociò lo
sguardo un attimo prima che scomparisse, piegando le labbra in un moto di
stizza.
«Tuttavia,
il risultato non cambierà.» disse «Quella che ci aspetta è una grande vittoria,
e posso assicurarvi che tutti voi avrete la vostra parte in gloria e bottino.
Eirinn sa essere molto generosa con chi la serve fedelmente.»
«La
fedeltà e la gloria lasciamole fuori.» fu la replica piccata di Ignes «A noi importa solo del denaro, e voi ce ne avete
promesso tanto. Per il vostro bene spero che non fosse una promessa campata in
aria.»
«Bada
a come parli, selvaggia!» sbottò Philippe perdendo la pazienza. «Ti ricordo che
ti stai rivolgendo al Granduca di Eirinn!»
«Mi
piace la tua schiettezza.» rispose invece Victor. «Non c’è persona più
affidabile di quella la cui lealtà può essere comprata, dopotutto. Tranquilla, questa
impresa porterà a tutti voi più guadagni di quanti ne possiate immaginare.
Avete la mia parola.»
In
quel momento le porte in fondo alla stanza si aprirono, e prima ancora che il
banditore potesse annunciare i nuovi venuti una coppia di giovani centaure in
armatura giunse alla presenza del giovane Granduca.
Nessuno
dei presenti le aveva mai viste, ma tutti immaginarono subito di chi dovesse
trattarsi; ragion per cui né Philippe né tantomeno Victor furono felici di
vederle.
«Salute
a Voi, Granduca Montgomery.» disse la più anziana dopo che entrambe ebbero
fatto un inchino. «Mi chiamo Athreia Ypsilanti, e sono il comandante delle Furie di Vanlia. Su richiesta di Sua Maestà l’Imperatore, da questo
momento ci mettiamo al vostro servizio per assistervi nella campagna contro i
ribelli che hanno occupato la provincia dell’Eirinn Occidentale.»
«Il
vostro supporto è inatteso e molto gradito lady Ypsilanti,
ma al momento abbiamo a nostra disposizione tutte le truppe di cui potremmo
aver bisogno.» disse Philippe, la cui espressione però raccontava tutt’altra
storia. «Senza contare che nelle nostre attuali condizioni non ci possiamo
permettere di assoldare altre truppe.»
«Ehi
cavallone, non starete cercando di rubarci il lavoro?» disse Ignis andandole
vicino e fissandola con aria di sfida, e questo malgrado Athreia
e sua sorella fossero alte il doppio di lei
«Noi
non siamo mercenari.» disse offesa Medea «Siamo un’unità scelta appartenente
all’esercito imperiale.»
«Calmati,
Medea. Sua Maestà ci ha inviato qui per manifestarvi la propria vicinanza e
riaffermare il suo appoggio alla vostra impresa per liberare la provincia dal
controllo dei ribelli. Obbediremo a voi in quanto signore di queste terre, ma
intendiamo rispettare l’ordine ricevuto dal nostro Imperatore. Se non volete il
nostro aiuto noi non combatteremo, ma questo non significa che verremo meno ai
nostri doveri.»
I
denti di Philippe scricchiolavano per quanto forte li stava serrando.
Era
fin troppo chiaro per quale motivo l’Imperatore avesse mandato lì quei
maledetti centauri. E visto che le Furie si occupavano notoriamente di
sopprimere rivolte nessuno avrebbe potuto accusare Sua Maestà di aver agito in
maniera pregiudizievole.
«Lo
chiamano aiuto, ma in realtà ci stanno solo mettendo il guinzaglio.» disse tra
sé e sé Lefde, non senza un certo sollievo.
«Suvvia,
non è il caso di scaldarsi tanto.» rispose Victor, con una maturità e una calma
tali da lasciare i due uomini senza parole. «Se Sua Maestà ci invia degli aiuti
sarebbe sciocco non servirsene. In fin dei conti, noi stiamo agendo in sua
vece. Siete le benvenute, voi e la vostra unità. E giacché vi trovate qui,
avremmo già il compito giusto da affidarvi.»
«Siamo
a vostra disposizione.»
«Abbiamo
saggiato la forza dei nostri nemici con un rapido attacco alla fortezza di Grote Muren, e purtroppo abbiamo
dovuto constatare che quei ribelli sono più organizzati di quanto credessimo.
Pertanto prima di passare all’offensiva vera e propria vorremmo vagliare tutte
le possibili soluzioni.»
Al
che il giovane Montgomery richiamò l’attenzione di tutti sul gigantesco arazzo
appeso sulla parete alla sua sinistra, raffigurante il vecchio Granducato ai
tempi del suo massimo splendore.
«Come
sicuramente saprete, la valle in cui si trova Grote Muren è l’unico punto di collegamento tra l’est e l’ovest
della vecchia Eirinn abbastanza grande da potervi transitare agilmente con un
grande esercito. Ma c’è anche un’altra strada, più impervia e pericolosa, a
nord della fortezza.»
«Ne
ho sentito parlare. È il Passo di Gael.»
«Un
assalto frontale contro Grote Muren
ci costerebbe sicuramente perdite considerevoli. Ma se riuscissimo a far
transitare una piccola forza attraverso il passo fin oltre la catena del Khoral, potremmo essere in grado di tagliare le linee di
rifornimento nemiche. A quel punto, la conquista del forte diventerebbe una
questione molto più facile.»
«Sì,
capisco.»
«Purtroppo
per noi, anche questo Daemon è arrivato alla medesima conclusione. Ci hanno
appena comunicato che i ribelli hanno iniziato a fortificare il passo.
Pertanto, sarebbe necessario mettere alla prova anche qui le loro difese, per
capire quanto questa operazione possa risultare fattibile.»
«Quindi
vorreste affidare questo incarico a noi?»
«La
vostra è un’unità piccola, ma molto potente. Perfetta per un ambiente angusto
come il passo. Di fronte alla forza di una vostra carica i ribelli potrebbero
persino abbandonare il campo immediatamente, aprendoci subito la strada verso
l’ovest.»
«In
questo caso Granduca, potete iniziare subito a pianificare l’offensiva. Perché
potete stare certo che libereremo il passo prima ancora che i ribelli possano
accorgersi di noi.»
«Ero
sicuro che saremmo andati d’accordo. Vi farò sapere quando potremo dare il via
all’operazione. Nel frattempo, Eirinn vi accoglie come alleati e come amici.
Seguite il mio ciambellano, vi condurrà nei vostri alloggi.»
«Vi
ringrazio, Vostra Eccellenza.»
Dire
che Philippe e Lefde erano senza parole sarebbe
riduttivo.
Ma
se Lefde per un attimo volle illudersi che il figlio
del suo vecchio amico stesse finalmente iniziando a capire cosa voleva dire
essere l’erede dei Montgomery, a Philippe che gli stava accanto non sfuggì il
ghigno che si materializzò sul volto del ragazzo nel momento in cui le due
centaure gli diedero le spalle; e la cosa lo soddisfò enormemente.
L’ultimo piano dell’ala nobile del
palazzo era proibito a chiunque; nessuno doveva vedere ciò che il vecchio Berthold Montgomery era diventato.
Non
che se ne vergognasse; semplicemente sapeva quanto fosse importante il modo di
apparire per un sovrano, specialmente per una famiglia come la sua che portava
sulle spalle il peso di una nazione in crisi d’identità, alla perenne ricerca
di una figura forte a cui aggrapparsi.
Il
popolo stesso ignorava quale fosse il vero motivo che aveva costretto il
Granduca a rinunciare il proprio ruolo in favore del figlio; si era parlato di
un problema di salute non meglio specificato. Inevitabile quando si aveva a che
fare con una malattia che la gente comune considerava una punizione divina.
Da
qualche mese la lebbra aveva portato via al Granduca perfino la vista. Ma ormai
egli conosceva il suo palazzo così bene da poterlo percorrere in lungo e in
largo senza alcun bisogno di vedere, stando sempre ben attento a scegliere quei
percorsi in cui non avrebbe corso il rischio di incontrare qualcuno.
Così,
quando ne aveva le forze, se ne andava in giro, ascoltando le voci dei servi e
delle guardie, e presenziando talvolta alle udienze al sicuro del colonnato che
sovrastava il salone.
«Non
credo ci sia bisogno di farvi rapporto, giacché vi siete sentito in dovere di
assistere all’incontro.» disse Victor chiudendo la porta delle stanze del padre
«Stai
prendendo una strada pericolosa, figlio mio.» disse la figura appena visibile
dietro le tende del letto parlando con voce roca e gracchiante «L’Impero potrà
anche essere più debole che in passato, ma è ancora capace di azzannare
chiunque osi sfidarlo.»
«E
dunque noi dovremmo continuare a piegare la testa di fronte ad un leone vecchio
e morente? È davvero tutto qui il vostro orgoglio?»
«Attento
a ciò che dici. Anche se ho giurato fedeltà all’Imperatore, il mio cuore e il
mio spirito sono sempre stati rivolti al bene di Eirinn. E se pensi che abbia
dimenticato cosa significa essere parte di questa famiglia ti sbagli di
grosso.»
«Davvero?
Perché onestamente a me sembra il contrario, e il vostro comportamento lo
dimostra. Questa è la migliore occasione per noi di riprenderci ciò che ci
appartiene, e voi vorreste che ce la lasciassimo sfuggire.»
Victor
non aveva il coraggio di dirlo apertamente, ma sospettava a torto che vi fosse
proprio lo zampino di suo padre dietro l’arrivo delle Furie. Non occorreva un
genio del resto per capire che si trattava di un espediente per ricordare a lui
e a Philippe a nome di chi stavano combattendo.
«Se
avessimo avuto a che fare con il vecchio imperatore sarei stato il primo a
suggerirti di agire in questo modo. Era solo un vecchio incapace prigioniero
dei suoi vizi. Ma suo fratello Harnold che ora siede
sul trono è tutta un’altra cosa. È furbo e perspicace. E anche se ora ha molti
problemi a cui pensare, sbagli a ritenere che ignorerebbe ciò che tu e Philippe
volete fare. Eirinn un giorno sarà di nuovo unita e libera, ma quel momento non
è ancora arrivato.»
«Quel
momento non arriverà mai finché ci sarà gente come voi a governare. Non è forse
per questo che avete mandato Aria a studiare all’accademia imperiale? Per
legare ancora di più il nostro destino a quello dell’Impero, proprio ora che
potremmo finalmente liberarci da questa umiliante condizione di vassalli?»
«Guardami.
Il mio corpo sta marcendo, e probabilmente sarò morto prima di un anno. Credi
davvero che se pensassi che le tue azioni potrebbero ridarci la libertà non ti
darei la mia benedizione, se non altro per poter assistere alla rinascita di
Eirinn prima di esalare il mio ultimo respiro? Molti moriranno se compi questo
passo, e la loro morte potrebbe non portare a niente. Sei davvero disposto a
sacrificare i tuoi soldati, il tuo regno, forse persino la tua vita in nome di
un obiettivo che potrebbe essere oltre la tua portata?»
«È
qui che vi sbagliate, padre. Io non sono un codardo come voi. Io non ho paura
di sporcarmi le mani, e lascerei morire cento, mille, anche un milione di
uomini sotto il mio comando per restituire ad Eirinn il posto che merita.
Perciò restate seduto qui e osservate mentre porto a compimento ciò a cui voi e
i vostri antenati non siete mai andati nemmeno vicini.»
Non avevo mai pensato che la pace
fosse destinata a durare a lungo, così come avevo sempre saputo che il mio
impero, come tutti gli altri esistiti in chissà quanti altri mondi, poteva
essere costruito solo con il sangue.
Del
resto sapevo di non avere molto tempo, e in cuor mio avevo sperato che le cose
si mettessero in moto il prima possibile.
Erano
passati quasi quattro mesi da quel fatidico giorno in cui tutto aveva avuto
inizio, e l’arrivo del Re dei Demoni si avvicinava sempre di più.
Non
era un caso se fin dal primo momento avevo investito pesantemente nel
rafforzamento dei nostri confini occidentali, facendo ristrutturare Grote Muren e selezionando i
mostri più resistenti al freddo per destinarli al Passo di Gael.
Perché sapevo che la prima mossa ai nostri danni sarebbe venuta proprio da
Eirinn.
Ovviamente
mi ero documentato su chi mi sarei trovato di fronte, e grazie ai rapporti
consegnatimi dalle spie che avevo inviato in ogni dove in quasi tutta l’Erthea
Occidentale, mi ero fatto un’idea abbastanza precisa di Victor Montgomery.
Per
farla breve, non mi preoccupavo minimamente, poiché avevo capito con chi avevo
a che fare; con il classico edonista viziato, come ce n’erano tanti tra gli
aristocratici di qualunque regno, che scambiava la nobiltà per il talento, alla
costante ricerca di un modo per dimostrare la propria forza.
Tipi
così ne avevo incontrati a centinaia nella mia precedente vita, e li conoscevo
abbastanza bene da sapere cosa potermi aspettare da loro.
Stesso
discorso per Philippe, una serpe dalla lingua biforcuta che usava l’amor di
patria come scusa per giustificare la sua ambizione, di sicuro competente nel
comando ma così poco avveduto da risultare prevedibile nelle sue scelte.
Il
problema semmai era il Generale Lefde, del quale non
riuscivo a farmi un’idea precisa. Da una parte lo vedevo come un altro di quei
veterani ubriachi di onore cavalleresco che mai si sognerebbero di contraddire
gli ordini del proprio signore, anche se in disaccordo con lui, dall’altro
avevo sentito solo elogi nei confronti del suo talento come generale.
Come
se non bastasse tutto pesava sulle mie spalle, e ormai da parecchi giorni a
stento trovavo il tempo di dormire.
Nella
mia vecchia vita potevo permettermi di demandare ad altri le questioni
logistiche e burocratiche, ma anche se mi stavo adoperando per creare una
classe dirigente che potesse assistermi nessuno dei miei subalterni possedeva
ancora le qualità necessarie a stare al passo con me.
E
con una guerra alle porte, ecco che le responsabilità per me si erano
moltiplicate: studiare le mappe, organizzare i presidi, occuparsi dei
rifornimenti, assegnare gli ufficiali, programmare le marce erano tutte cose
che ricadevano sulle mie spalle.
E
anche se ora ero tornato giovane, anch’io avevo dei limiti.
Ero
arrivato alla mia terza notte trascorsa quasi completamente in bianco ad esaminare
pratiche e redigere documenti, avevo in corpo più caffè che sangue, e se avessi
avuto a portata di mano uno schioppo penso che avrei sparato alla prima persona
che avessi incontrato per quanto ero stanco e nervoso.
Per
non scoppiare del tutto decisi di fare una pausa e concedermi due passi.
Il
Castello era immerso nel buio e nel silenzio più assoluti, e fatte salve le
sentinelle, quasi tutte più addormentate di me, non incontrai nessuno finché
non raggiunsi i giardini.
«Scalia.»
dissi quando la vidi in piedi davanti alla fontana delle sirene. «Cosa ci fai
in piedi a quest’ora?»
«Potrei
farti la stessa domanda.»
«Avevo
del lavoro da fare, ma ho voluto fare una pausa.»
«Tu
lavori troppo, fratellino. Se continui così prima o poi ti ammalerai.»
«Non
posso farci niente. Ora che siamo in guerra le incombenze si sono
moltiplicate.»
«Quindi
è inevitabile?»
«Temo
di sì. A quanto pare Victor ha speso fino all’ultimo soldo delle casse di
Eirinn per arruolare quanti più mercenari possibili. Non sarà una battaglia facile.»
«Quando
abbiamo accettato di seguirti sapevamo che avremmo dovuto combattere
strenuamente per conquistare e conservare la libertà, ma sinceramente speravo
che la pace potesse durare un po’ più a lungo.»
Beata
ignoranza.
Come
se i cambiamenti, specie se così epocali, potessero compiersi senza dover
versare fiumi di sangue.
«Credi
che ce la faremo a vincere?»
«In
guerra non esistono certezze. Possiamo solo fare del nostro meglio, e sperare
che sia sufficiente. Però sì, possiamo vincere. Del resto siamo arrivati troppo
lontano per arrenderci ora, non credi?»
Ufficialmente
Scalia era un soldato come gli altri, e non aveva alcuna carica all’interno del
mio governo.
Non
perché non la reputassi capace di fare la sua parte; non volevo che qualcuno mi
accusasse di fare dei favoritismi.
Ma
ora più che mai avevo bisogno di lei, del suo coraggio, della sua forza, e
anche della sua testardaggine. Anche a costo di farle rischiare la vita sul
campo di battaglia.
«Pensavo
di farlo domani mattina, ma a questo punto direi di approfittarne adesso.»
dissi porgendole una spilla da ufficiale. «Sto creando una unità speciale, che
possa muoversi sul campo di battaglia in piena autonomia, e vorrei che fossi tu
a comandarla con il grado di Capitano.»
«Capitano!?
Io!?»
«Tutti
ti hanno vista combattere durante la Rivoluzione. I veterani ti conoscono, le
reclute ti ammirano. Inoltre i soldati lotteranno con più convinzione se
sapranno che a guidarli è la figlia del famoso Generale Zorech.
Volevo proporre questa posizione anche a nostro padre, ma come sai lui non
vuole avere più niente a che fare con la guerra e con le armi.»
Effettivamente
ci avevo provato in tutti i modi a convincere Zorech
a prestarci il suo talento, ma quel vecchio ottuso e idealista evidentemente
era ancora tormentato dagli incubi di ciò che aveva visto e fatto durante le
Guerre Sacre.
Persino
per un ruolo ininfluente e marginale come quello di Governatore del Castello
avevo faticato non poco per riuscire a convincerlo.
Con
Scalia non dovetti neanche insistere.
«Non
sono sicura di essere ciò di cui hai bisogno.» disse prendendo la spilla. «Ma
ti prometto che farò del mio meglio.»
«Ne
sono sicuro. Ma sia chiara una cosa, voi sarete comunque parte dell’esercito.
Potrete muovervi per conto vostro, ma dovrete comunque obbedire ai miei ordini
qualora ve ne dia.»
«Non
preoccuparti. Prometto che non farò niente di avventato.»
«Lo
spero. Perché d’ora in poi temo che le battaglie si faranno sempre più dure.»
Un
movimento improvviso in un cespuglio vicino ci fece sobbalzare entrambi, e un
attimo dopo mi ritrovai a venire travolto da una specie di piccola ombra che mi
si avvinghiò addosso con la forza di un orso.
«Fratellone!
Quanto tempo è passato!»
«Sapi!?»
L’ultima
volta che avevo ricevuto una sua lettera era stato ancora prima dell'inizio
della Rivoluzione.
E
anche se già solo da quello che negli anni mi aveva scritto avevo capito da
tempo che doveva essere molto cambiata rispetto a come la ricordavo, per un
attimo mi sembrò di avere davanti una completa estranea.
L’unico
modo in cui potei essere sicuro che fosse davvero lei era il suo aspetto,
com’era naturale del resto: era risaputo che gli yeti mantenevano per tutta la
vita l’aspetto di preadolescenti, così da rimanere piccoli e robusti e
sopportare meglio il gelo delle montagne in cui vivevano.
Stessi
capelli azzurrini, stessa pelliccia bianca, stesso naso piccolo. E purtroppo
per le mie ossa, stessa forza ciclopica, che nessuno le aveva mai insegnato a
dosare.
«Ma
si può sapere come hai fatto ad entrare qui? Che accidenti combinano le
guardie?»
«Ciao
zietta. Sono felice di rivedere anche te.»
«Chi
hai chiamato zietta, sottospecie di sgorbietto peloso?»
C’erano
poche cose che Scalia detestasse più di qualcuno che le rinfacciava la sua età;
certo, se paragonata all’età media dei draghi era poco più di una ragazzina, ma
ciò non toglie che fosse abbastanza vecchia da poter essere la mia bisnonna.
Ma
chiaramente la nuova Sapi, che all’opposto fatto
salvo il carattere sembrava ancora la bambina che avevamo conosciuto otto anni prima,
era troppo ingenua e innocente per capirlo.
«Allora,
mi vuoi dire cosa ci fai qui?»
«Sono
venuta a mantenere la mia promessa. Ti avevo detto che un giorno sarei tornata
per aiutarti a realizzare il tuo sogno. Così quando ho saputo quello che avevi
fatto non ci ho pensato due volte e sono venuta qui.»
E
così, il primo investimento della mia seconda vita aveva finalmente fruttato.
Ero
stato io a convincere Sapi a mettere a frutto la
straordinaria forza bruta della sua specie nell’arena, così da farle apprendere
qualche rudimento di lotta e renderla ancora più capace di cavarsela sul campo
di battaglia.
Ora
sapevo che quel suggerimento non solo era stato seguito alla lettera, ma i
risultati erano andati ben al di là delle più rosee aspettative… e la mia cassa
toracica era lì a testimoniarlo.
«Mi
dispiace Sapi, ma temo che tu sia arrivata qui in un
pessimo momento. La pace è già finita, e presto saremo di nuovo in guerra.»
«Ma
io posso aiutarti, fratellone. Te l’ho detto che ho imparato a combattere. Prometto
che farò la mia parte.»
Esattamente
quello che mi aspettavo da lei e per cui avevo coltivato il nostro rapporto, ma
occorreva comunque salvare le apparenze.
«Se
proprio vuoi aiutarci, allora puoi restare. Per il momento però voglio che mi
resti vicino. Avrai molto presto l’occasione per dimostrare quanto vali.»
«Daemon,
non starai pensando seriamente di mandare in battaglia questo scricciolo.»
«Fidati
Scalia, sa combattere meglio di quanto credi. E comunque non andrà in
battaglia, almeno fino a quando non lo dirò io. Giusto?»
«Sì,
te lo prometto. Farò tutto quello che mi dirai. Sono così felice di essere di
nuovo insieme a te, fratellone.»
Nel
frattempo ormai era sorto il sole, così tutti e tre ci dirigemmo al refettorio.
E
dal momento che Tecla aveva la pessima abitudine di venire a fare rapporto nei
pochi momenti tranquilli che avevo a disposizione, ci comparve davanti proprio
mentre stavamo facendo colazione.
«L’esercito
di Eirinn si è messo in movimento. Si sono divisi in due armate che avanzano
contemporaneamente.»
«Dove
si trovano?»
«Un’armata
ha preso possesso di Todlen, l’altra sembra
intenzionata ad imboccare il Passo di Gael. Al
comando di questa seconda armata c’è il Conte di Hatlen,
e ne fanno parte anche molti mercenari. Tra di loro ci sono anche almeno
duecento centauri.»
«Centauri.»
disse Scalia contenendo a stento l’impulso di sputare per terra. «Se esistono
gli dei inferi, devono aver pensato ad un supplizio eterno solo per loro.»
«Le
nostre forze dove sono?» chiesi io
«Il
Generale Adrian ha raggiunto ieri sera Grote Muren e implementato le difese.»
«Le
fortificazioni sul Gael?»
«Terminate.»
Con
un gesto attirai l’attenzione di Septimus, strappandolo con suo enorme sollievo
all’ennesima provocazione sensuale di Giselle che non perdeva occasione per
mettere in mostra la sua nuova mercanzia davanti a lui.
«Convoca
il consiglio di guerra per mezzogiorno. E dì alla mia nuova unità di cominciare
a prepararsi. Lo Stato Libero sta per incominciare la sua prima guerra.»
Il Passo di Gael
era chiamato anche Vetta degli Dei, perché era il valico situato più in alto
dell’intera catena del Khoral.
Era
chiamato anche Valle della Bianca Vetta, dal momento che la neve che come un
sudario copriva il fianco del Monte Gael non si
scioglieva mai neanche nel cuore dell’estate, incombendo minacciosa su chiunque
si avventurasse in quella vallata pianeggiante e molto stretta, scavata nella
roccia e nel ghiaccio.
Al
termine di tre giorni e tre notti di marcia Philippe e i suoi uomini erano
arrivati quasi in cima al passo, fissando il loro campo nel cuore dell’ultimo
scampolo di foresta a poca distanza dai bordi del ghiacciaio.
Anche
se ormai era praticamente estate il freddo era spaventoso, e penetrava in ogni
cellula del corpo minacciando di congelarti vivo.
Dopo
qualche ora di sonno, Philippe convocò i capi mercenari per discutere il piano.
«I
ribelli si sono trincerati a tre miglia da qui, nel cuore del ghiacciaio, e
hanno eretto barriere di legno. Le Furie di Vanlia apriranno
la strada spazzando via la prima linea dei ribelli, seguiti a ruota dal resto
dei mercenari che infliggeranno il colpo di grazia aprendo al
strada al resto dell’esercito. Nel momento esatto in cui la vittoria sarà a
portata di mano invierò un messaggero a Todlen dando
al Generale Lefde e a mio nipote il via libera per
avanzare, e stringeremo Grote Muren
in una manovra a tenaglia.»
Era
sempre la stessa storia. Mercenari e gregari facevano il lavoro sporco, e i
soldati regolari sfilavano vittoriosi nelle regioni conquistate al seguito dei
loro signori.
Non
ci si poteva fare niente, e sia Athreia che Ignes lo sapevano bene; quella era la sorte di chi faceva
della guerra al servizio di qualcuno il proprio mestiere.
«Ehi
cavallona, cercate di non ammazzarne troppi.» disse Ignes
al termine della riunione. «A differenza vostra, noi veniamo pagati a scalpi.»
Non
era abitudine di Athreia provocare o litigare, quindi
si limitò a promettere di non “interferire con le legittime pretese dei suoi
compagni d’armi” e chiuse il discorso.
«Quel
tipo, il Generale. Non mi piace per niente.» disse Medea andando incontro alla
sorella «È chiaro che ci considera solo dei mostri qualunque.»
«Noi
siamo mostri, sorellina. Noi possiamo anche dimenticarcene, ma loro no.»
«Abbiamo
combattuto al fianco degli umani nelle Guerre Sacre. L’Impero ci considera
cittadini a tutti gli effetti. Cos’altro dobbiamo fare per meritare il loro
rispetto?»
Athreia
aveva imparato a non farsi più certe domande, ma Medea era così onesta e nobile
che semplicemente non riusciva a capire per quale motivo certi umani, anche
dopo cinquecento anni, ancora non riuscissero a considerare i centauri come dei
loro pari.
«Qual
è la situazione?» chiese la sorella maggiore a Stavros, di ritorno dalla sua
esplorazione
«È
come ha detto il nobile Philippe. I ribelli hanno allestito delle difese poco
più a ovest, soprattutto palizzate di legno alte un paio di metri intervallate
da dei varchi.»
«Tutto
qui?» commentò Medea. «Pensano davvero che basti così poco per fermarci?»
«D’altronde
non credo si possa fare molto di più in un posto del genere. Forse pensano che
il ghiaccio sul terreno ci ostacolerà. Scopriranno a loro spese che ci vuole
altro per impensierire i nostri zoccoli.»
Quello
che nessuno dei tre né chiunque altro nel campo sapeva era che, subito dopo la
fine della riunione, Philippe aveva convocato nella tenda di comando il capo
dei suoi esploratori.
«È
sicuro che quel Daemon si trovi qui?»
«Assolutamente.
I miei uomini lo hanno visto salire sul passo accompagnato da una mezzosangue,
un giovane ufficiale e alcuni soldati.»
«Allora,
sai cosa fare. Aspettate il mio segnale.»
«Come
desiderate.»
Di lì a qualche ora arrivò finalmente
l’ordine di avanzare e le Furie di Vanlia si misero
in movimento, seguite a stretto giro dal resto dei mercenari.
Avanzarono
piano, per non sprecare le energie, e ben presto la roccia sotto di loro si
tramutò in uno spesso strato di ghiaccio e neve.
Ma
come aveva detto Stavros ci voleva ben altro per spaventarli; i loro zoccoli
erano come artigli, duri e ruvidi, capaci di fare presa su qualunque tipo di
terreno.
I
ribelli –praticamente tutti mostri– nel frattempo avevano preso posizione,
schierando lancieri e picchieri lungo i varchi per bloccare l’avanzata del
nemico e proteggere i loro compagni posizionati dietro le loro barricate di
fortuna.
Poche
volte Athreia e i suoi compagni avevano visto delle
difese così scarne, e probabilmente sarebbe bastato un singolo assalto per
spianare quei fragili reticoli di legno e travolgere tutto quello che vi stava
oltre.
In
un primo momento nessuno fece caso al fatto che gli arcieri ribelli posizionati
oltre le barricate non impugnassero archi, ma piuttosto una specie di strane
lance in legno e metallo, corte e tozze, terminanti in un foro da cui spuntava
una lama lunga e stretta.
Ci
fu un istante di quiete assoluta, poi gli araldi suonarono nei loro corni
facendo vibrare le montagne.
«Carica!»
Di
solito la sola vista delle Furie lanciate all’assalto era sufficiente a far
scappare i loro nemici in preda al panico.
Ma
evidentemente i ribelli non erano avversari comuni, o forse erano solo molto
bene addestrati, e restarono fermi al loro posto, mentre alle spalle della loro
prima linea a ridosso delle barriere era un continuo movimento di ufficiali che
andavano avanti e indietro ordinando a squarciagola di mantenere la posizione.
In
pochi secondi i centauri dimezzarono la distanza che li separava dal nemico,
acquistando sempre più velocità man mano che avanzavano.
«In
posizione!»
Udendo
quell’ordine, la prima linea infilò quelle strane lance oltre le barricate,
puntandole dritte in avanti come a voler cercare di formare un’acuminata
barriera di punte.
«Pensano
che questo possa bastare? Travolgiamoli!»
Quando
mancavano poche decine di metri le furie alzarono le armi, preparandosi a
colpire; sarebbero passati sulle barricate e sui nemici dietro di esse come su
un tappeto, lasciando dietro di sé nient’altro che distruzione.
Un urlo rimbombò come un tuono nel cuore dello
schieramento ribelle.
«Fuoco!»
Nota
dell’Autore
Salve
a tutti, e ovviamente Buon Natale!
Siamo
arrivati al Terzo dei Sei capitoli di questo Volume 3.
Da
qui in poi come si può intuire sarà un susseguirsi di eventi che si svolgeranno
attraverso vari archi, destinati solitamente a durare 2 o 3 volumi a seconda
della loro importanza.
Già
da ora abbiamo fatto la conoscenza con il primo vero villain,
ovvero Victor, la cui importanza seguirà un andamento altalenante ma che rivestirà
sempre comunque un ruolo di primo piano nello svolgersi delle vicende.
A
presto!^_^
Cj Spencer