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Autore: beate    22/01/2024    1 recensioni
Si chiese come Dio o la legge considerassero due persone che non sapevano nulla l'una dell'altra e che entravano in quella farsa di matrimonio." La storia di due persone che affrontano la vita insieme dopo la crisi globale (del 2008) con parecchio scotch e qualche inganno.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alice Cullen, Charlie Swan, Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Questa storia è stata scritta in inglese da 2carm2carm2 e tradotta in italiano da beate. Questo è il link all’originale:

https://www.fanfiction.net/s/13053224/13/The-Whisky-Distiller-s-Wife





13 – Frutti di mare



Isabella non riuscì a restare fino all'ultimo ballo del suo matrimonio.

A metà del ballo il suo nuovo marito era sparito. Lei era troppo occupata a essere presentata a banchieri importanti, uomini d'affari e avvocati con suo padre per notare che non c'era più. A parte la prima danza, non aveva più ballato con lui e aveva invece fatto pubbliche relazioni con un bicchiere di vino bianco in mano per quasi due ore. Mentre continuava ad accettare congratulazioni, cominciò a chiedersi che fine avesse fatto.

«Vai a cercarlo», la istruì suo padre. «C'è un membro del Congresso che voglio che tu conosca, e deve conoscerlo anche Jacob.»

Con un sorriso educato e un cenno della testa, si voltò e si diresse verso la grande magione. Dando un'occhiata rapida per vedere che nessuno stesse guardando, buttò giù il resto del vino e mise il bicchiere vuoto sul vassoio di un cameriere che passava.

Dentro, Sandy la stava cercando. «Oh, eccoti! Jake ti vuole di sopra nella vostra stanza», le disse in fretta.

Isabella annuì, tirando su il vestito gigantesco e gonfio che indossava e salendo la grande scalinata. Le ci volle un po' ad arrivare di sopra per il semplice peso del vestito e l'altezza dei tacchi. Mrs. Montgomery lo aveva disegnato con Vera Wang ed era un bellissimo abito su misura, ma era anche straordinariamente pesante.

Il fratello più giovane di Jake, Tom, aprì la porta non appena bussò. «Oh, eccoti qua!»

«Che c'è che non va?» chiese lei.

«È Isabella? Isabella, baby? Isabella ho bisogno di te.»

Isabella scambiò uno sguardo con Tom prima di oltrepassarlo e dirigersi in bagno, dove Jake sedeva per terra, la testa appoggiata sulla tavoletta del water. Il suo compagno di college, Bollig, era vicino a lui e fumava un sigaro. Il fumo aveva formato una nebbia in bagno che fece arricciare il naso a Isabella.

«Ci penso io adesso», gli disse mentre lui sbuffava una tirata. «Vai fuori con Tom.»

«Ecco perché ti ama!» rise Bollig, saltando giù dal lavabo su cui era appollaiato. «Ci vediamo dopo, Jakey-boy!»

«Isabella», borbottò in un gemito. «Isabella, baby, ho bisogno di te.»

Con un sospiro, Isabella si accovacciò accanto al suo pallido marito. «Sono qui», disse.

«Dio, sei ancora così eccitante», alitò guardandola, prima di chiudere gli occhi. «Non vedo l'ora di tirarti fuori da quel vestito e-»

Il suo pensiero fu interrotto da un attacco di vomito che gli spingeva in gola. «Water!» gridò lei prendendogli la testa per assicurarsi che vomitasse nel water e non in giro in quel bellissimo bagno bianco.

Jake era così ubriaco che non riusciva neanche a tenere su la testa, si rese conto lei. Con un pesante sospiro calciò via i tacchi e cercò di manovrare per tenergli su la testa mentre il suo stomaco si svuotava. Così vicina, sentiva la puzza di alcool e fumo di sigaro che aveva addosso.

«Hai notato che Madison non si è fatto vedere?» farfugliò lui dopo aver finito di vomitare. «Quel bastardo del cazzo.»

Isabella non commentò il fatto che il Presidente di Harvard non si fosse visto.

Jake cominciò con i singulti.

«Cazzo, sto di merda», bofonchiò tra i singulti.

«Quanto hai bevuto?»

«Che cazzo ne so», borbottò cercando di appoggiare la testa sul water.

Isabella sospirò e si sistemò sul pavimento del bagno mentre lui alternava vomito e lamentele su vari aspetti del matrimonio che non erano andati come voleva lui. «La mia bistecca era fredda quando mi è arrivata», gemette a un certo punto.

Poco dopo, Isabella era abbastanza certa che non gli fosse rimasto nulla da vomitare e cercò di farlo alzare per portarlo sul loro gigantesco letto a baldacchino e farlo dormire un po'.

«No, no, no. Ferma!» si rifiutò lui. «Resto qui. Lasciami in pace.»

Con un altro sospiro, Isabella alla fine lo lasciò stare, acciambellato sul pavimento del bagno nel suo smoking costoso. Lei si lavò dalla faccia tutto il trucco pesante e poi tentò di uscire dal suo vestito.

Era attentamente allacciato e infiocchettato e lei non riusciva a raggiungere i lacci. Con lacrime di frustrazione agli occhi, non trovò il coraggio di lasciare la stanza, dove tutti li credevano immersi nella nuova felicità coniugale, per chiedere a qualcuno di aiutarla ad uscire da quel vestito enorme. Per quanto si agitasse e contorcesse, non riuscì a venir fuori da quella massa di seta bianca.

Alla fine si mise sul letto da sola nel suo enorme vestito e chiuse gli occhi, passando la sua notte di nozze in sprazzi di sonno interrotti.



*



Nei giorni seguenti, Isabella cadde in una sorta di routine.

I giorni cominciavano con lei si svegliava da un sonno agitato, per niente riposata, ma abbastanza ostinata da alzarsi comunque e affrontare la giornata. Gli scozzesi, in genere, erano un po' più lenti ad alzarsi di un banchiere di investimenti di Wall Street e preferivano cominciare la giornata ben dopo le nove.

Quando aveva fatto la doccia e si era vestita, Edward aveva già preparato la colazione per lei. Aveva preso l'abitudine di aspettarla con una tazza di caffè in mano che le passava non appena entrava in cucina. Lei lo prendeva con un cenno di gratitudine, e lui la ricambiava con un sorriso.

Dopo colazione, salivano in auto e andavano alla distilleria. Edward l'accompagnava in ufficio, che aveva preso l'aspetto di una specie di sala operativa, e la lasciava con l'offerta di assisterla e un cenno incerto della testa quando lei educatamente declinava.

Poi c'era il processo inverso all'ora di cena, quando tornavano a casa.

Anche se c'era questa sorta di routine, lei si sentiva ancora sbilanciata.

La loro notte di nozze le aveva smosso dentro emozioni e pensieri che per lei era stato facile seppellire e lasciare sepolti.

La finestra dell'ufficio dava sul lago su cui era costruita la distilleria. Era un lago così piccolo che, se non c'era molto vento, era immobile e rifletteva le highland che lo circondavano. Più di una volta si era trovata a fissarlo, persa nei pensieri.

Era clamorosamente e orribilmente bloccata.

Veniva spinta così duramente nel passato, dentro memorie che diventavano sempre più oscure, mentre ci pensava. La tenevano i ostaggio, non permettendole di fare altro che rivivere e riconsiderare così tanto di ciò che pensava fosse certo.

Dall'altra parte della medaglia, c'era un richiamo, un'attrazione – verso adesso, e verso il futuro. La notte del suo matrimonio, danzando e bevendo con amici e famiglie che non aveva mai conosciuto, era stata contenta – così contenta che le mancava il respiro, se ci pensava.

C'era un richiamo verso la vivace donna inglese e suo marito e suo figlio.

C'era un richiamo verso i chiassosi cugini che sentiva all'ingresso salutare gli ospiti.

C'era un richiamo verso l'uomo che la guardava con occhi gentili e cercava costantemente di assicurarsi che avesse tutto ciò che le serviva e che fosse ben nutrita.

C'era un richiamo verso la notte che avevano passato insieme, ubriachi o no.

Ma l'impulso a ritrarsi era altrettanto forte e molto più oscuro.

Era una battaglia costante nella sua mente, una battaglia di cui si sentiva spettatrice, piuttosto che un generale con qualche controllo.

La battaglia la travolgeva, consumava la sua energia e la lasciava paralizzata.

Di notte, da sola nel suo letto, il ritrarsi vinceva ogni volta. La sbatteva nel passato così forte da darle un colpo di frusta.

E le faceva sentire così tanta rabbia.

Lacrime calde e furiose le rigavano il viso più notti che no, perché si sentiva impotente a bloccare l'assalto della sua vita e perché non voleva pensare a tutto quello che era stata.

Lontano da tutto, tutti i soldi e tutta l'avidità, riusciva a vedere con chiarezza.

E mentre esaminava cosa era stata la sua vita, si arrabbiava.

Non era stata per niente la donna che disperatamente avrebbe voluto essere.

Né la donna che progettava di diventare. Né la donna che era stata cresciuta per essere.

Diventava difficile respirare quando indugiava troppo in questa linea di pensieri.

Cosa avrebbero detto i suoi nonni?

Quel pensiero riecheggiava nella battaglia giorno dopo giorno.

Ed era difficile respirare perché lei sapeva cosa avrebbero detto.

E lei non li aveva mai delusi, finché erano in vita.

Era dura realizzare che l'aveva fatto dopo che erano morti.

Nonostante tutto il caos che regolarmente la paralizzava, cercava di seppellirsi nel lavoro, e a volte anche con successo. Le ore passavano mentre lei era persa in tutti i documenti che le raccontavano la storia della distilleria scozzese e poteva arrivare la luna prima che lei se ne accorgesse.

Comunque, sentiva ancora di non aver fatto progressi.

Il venerdì, una settimana dopo il suo arrivo sull'isola di Skye, bussarono alla porta dell'ufficio verso l'ora di pranzo.

«Avanti», disse quando fu chiaro che era una richiesta di permesso e non un avvertimento prima che la porta venisse aperta.

Edward entrò con un cartone di take-away tra le mani.

«Ricordi il consiglio che mi hanno dato, che è buona pratica tenere la moglie ben nutrita?» disse un po' timidamente porgendo il contenitore.

Isabella si strofinò le tempie stancamente ma non resisté a offrirgli un sorriso.

Edward appoggiò il contenitore sulla scrivania davanti a lei. Curiosa, lei lo aprì. Uno spiegamento di frutti di mare la salutò: cozze, capesante, granchi, ostriche, gamberi e quello che sembrava salmone affumicato. Era così pieno che un gambero cadde sulla scrivania quando aprì il cartone.

«Non ero sicuro che ti piacessero i frutti di mare», disse strofinandosi dietro il collo. «Se preferisci qualcos'altro non ci sono problemi.»

«Grazie», disse lei. «Sembra meraviglioso.»

Edward annuì e si voltò per andarsene.

Un verso di protesta le uscì dalle labbra, facendolo voltare e guardarla confuso.

«È troppa roba per una persona sola!» esclamò lei.

Edward sbatté gli occhi sorpreso.

«Ah, be'», disse lui. «Sei così minuta che ho pensato ti avrebbe fatto comodo.»

Lei alzò un sopracciglio. «Chiunque ti abbia dato il consiglio di tenere tua moglie ben nutrita, non ti ha anche detto di tenere per te i commenti sul suo peso?»

Un lento sorriso si allargò sul viso di Edward.

«No, questa devono essersela scordata.»

Isabella guardò puntuta al cibo e poi alla sedia di fronte alla scrivania.

Nel giro di poco, Edward era seduto di fronte a lei e avevano mutuamente stabilito quale zona del cartone fosse per i gusci e le parti inedibili dei frutti di mare. Isabella sapeva che stava prendendo tutti i gamberetti ed evitava le ostriche, ma a Edward non sembrava dispiacere.

Fu un silenzio amichevole mentre mangiavano. Isabella si godeva il cibo e la tregua che le forniva quella distrazione e non notò neanche gli occhi di Edward che vagavano per la scrivania.

«Ooch!» grugnì quello strano verso scozzese. «Quella è la tua lista delle cose da fare?»

Isabella seguì il suo sguardo verso il foglio su cui aveva cominciato a scrivere ai margini e trasalì. Quando lo guardò, c'era ostinazione nello sguardo di lui.

«Di sicuro c'è qualcosa che posso fare per esserti utile, Bella.»

Isabella diede un morso alla capasanta, non rispose subito.

Anche se lo ammirava e di certo ammirava il whisky che produceva, era piuttosto guardinga sulla sua utilità in relazione a qualunque cosa che richiedesse un po' di acume finanziario.

Come leggendole la mente, lui replicò, «Qualcosa che non abbia a che fare con i flussi di cassa.»

Isabella diede un secondo morso alla capasanta e si pulì le dita sul tovagliolino. Guardò giù la sua lista e poi lui, vedendo l'espressione determinata dei suoi occhi.

Nei giorni scorsi, Edward era diventato più quieto con lei. Poteva essere presa da quello che stava facendo, ma era ancora una buona osservatrice. Lui continuava a sorridere e a tenerla ben nutrita, ma i suoi tentativi di attirarla nelle conversazioni erano diventati più rari. Temeva che fosse perché era stata una pessima conversatrice, ultimamente.

Vedendo quel suo sguardo determinato e concludendo che non aveva motivo di renderlo ancora più infelice, concesse.

«Devo smistare tutta quella roba», disse guardando i due scatoloni pieni fino all'orlo di documenti. «Non solo per anno, ma per tipo di dichiarazione, che siano spese per le forniture o estratti conto bancari o fatture di fornitura dei grossisti. Ci ho dato un'occhiata, e non c'è né capo né coda in tutta quella roba.»

«Be',» disse Edward, «immagino di aver fatto io tutto quel casino e spetta a me ripulire.»

Isabella non rispose. Lui prese una cozza e prima di infilarla in bocca la guardò serio e disse, «Ti aiuterò, di qualunque cosa tu abbia bisogno, Bella.»

Poche ore dopo, nel pomeriggio, Jasper apparve con due bicchieri di whisky. «Hey boss – e boss lady», aggiunse con un sorriso rivolgendosi a Isabella. «Pa’ ha detto che se stavate lavorando in ufficio vi dovevo portare questo.»

Edward ghignò e prese il bicchiere. Quando Jasper si voltò e vide che Isabella stava per rifiutare, la fermò. «Ha pensato che potevi non essere incline e mi ha detto di ricordarti delle magiche proprietà del whisky di… far scorrere la vena creativa.»

Isabella alzò le sopracciglia e guardò lui e il suo sorriso premuroso. Alzando gli occhi al cielo, prese il bicchiere. Suo nonno aveva detto un'esagerazione simile sull'utilità del whisky, e questo, pensandoci, la fece sorridere.

Vuotato il bicchiere e mettendosi al lavoro sulle centinaia di documenti random di fronte a lui, Edward cominciò a canticchiare. Isabella lo guardò sorpresa, ma lui non se ne accorse e continuò a canticchiare mentre lavorava.

Dopo qualche minuto, Isabella fece un sorriso ironico. «Puoi mettere della musica, se vuoi.»

Edward alzò lo sguardo, stupito.

«Och, scusa. Non mi ero reso conto che lo stavo facendo.»

Isabella fece un cenno verso la radio in un angolo della stanza. «Non mi dispiace.»

«Ah, va bene allora, se ti va.»

La radio BBC Gaelic riempì la stanza mentre lavoravano, suonando un mix di musica vecchia e nuova, qualcosa che Isabella riconobbe e qualcosa no. A dire la verità, non prestava molta attenzione alla musica, completamente assorbita dai suoi pensieri.

Come d'abitudine, lanciava occasionalmente uno sguardo al lago, che le ricordava sempre casa sua, le estati con i nonni vicino al lago.

Era così presa dai suoi pensieri che non si rese conto per un po' che nell'ufficio c'era un suono in più.

Edward stava cantando.

Tamburellava le dita cantando a bassa voce, con un bell'accento scozzese, insieme ai Proclaimers mentre guardava il documento che aveva di fronte.

«Camminerei 500 miglia e poi altre 500, solo per essere l'uomo che...»

La sua voce si spense all'improvviso quando si accorse che lei lo stava guardando.

«Oh», disse. «Scusa.»

Isabella fece un gran sorriso. «Non smettere per me.»

Lui non ricominciò subito a cantare, aveva invece un sorriso timido in faccia. «Tutti quelli che nascono in Scozia conoscono quella canzone.»

«Don't Stop Believing in America è la stessa cosa da noi.»

«Aye?» chiese lui.

«Aye», disse lei con un sorriso giocoso in faccia.

Tornò il coro e Edward si unì ai cantanti scozzesi con un sorriso. «Solo per essere l'uomo che ha camminato per mille miglia...»

Isabella non poté evitare di mettersi a ridere mentre lui continuava a colorire col suo accento scozzese la canzone. Edward la guardò piacevolmente sorpreso quando sentì quella risata, poi rapidamente tornò con gli occhi al suo documento, cantando con un po' più di entusiasmo.

Dopo i Proclaimers arrivarono altre canzoni più vecchie e tradizionali. Con sua sorpresa, Edward le canticchiava quasi tutte, riconoscendo chiaramente la melodia. Cantò tutte le parole di I Belong to Glasgow (Io appartengo a Glasgow ndt) sempre ondeggiando la testa avanti e indietro.

Isabella cercò di non guardare, ma il modo in cui cantava di pancia con quell'accento scozzese era sorprendentemente affascinante, per non dire anche divertente.

Se gli dispiaceva la sua attenzione, non lo diede a vedere.

«But when I get a couple of drinks on a Saturday, Glasgow belong to meeee.» (ma dopo un paio di bicchieri al sabato, Glasgow appartiene a me ndt)

«Ma’ amava questa canzone», spiegò quando la canzone svanì. «Tutta questa stazione radio, veramente. Era sempre accesa in casa, mi faceva diventare matto.»

«Lei era di Glasgow, vero?»

Edward annuì. «Aye. Non solo era di lì, ma cantava sempre questa canzone a mio padre, dicendo che lei apparteneva a Glasgow, che le piacesse o no.»

«E lui ha lasciato Skye per lei?»

Edward sorrise con affetto.

«Aye», rispose. «Penso che niente al di fuori di Ma’ avrebbe potuto smuoverlo da Skye. Ma lui avrebbe fatto qualunque cosa per lei.» Un sorriso malinconico apparve sul suo volto mentre pensava ai genitori.

Anche Isabella sorrise.

«Anche Ma’ lo sapeva», aggiunse. «Disse a Collette di non accontentarsi mai di niente di meno, in un ragazzo.»

Il sorriso non svanì subito dal viso di Isabella, ma sentì l'impulso di accigliarsi.

L'uomo di fronte a lei era cresciuto in una famiglia con genitori che si adoravano. Probabilmente aveva progetti e sogni per la famiglia che avrebbe avuto, a giudicare da come parlava di loro. Ed eccola, di nuovo a sentirsi orribilmente indegna, inadatta a quei sogni e non ricordando più neanche i suoi, di sogni.

Tanto tempo fa erano stati simili a quelli di lui, ne era certa.

Voleva un amore come quello dei suoi nonni.

Voleva una casa piena di risate e calore.

Ma da qualche parte, lungo la strada, aveva perso tutto.



  
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