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Autore: Magica Emy    28/01/2024    2 recensioni
«Akane, si può sapere dov’eri finita? Credevo dovessimo tornare a casa insieme…ehi, ma cosa…che stai facendo?»
La giovane piegò le labbra in un sorrisetto sornione senza smettere di armeggiare freneticamente con i bottoni della sua camicia che, in poco tempo, scivolò ai loro piedi, mettendo in mostra i magnifici pettorali scolpiti da anni di intensi allenamenti quotidiani.
«Cos’è, non ci arrivi da solo? Vuoi che ti faccia un disegno, per caso?»
In questa nuova storia, i caratteri dei personaggi potrebbero essere un po' diversi da ciò a cui siamo abituati, ma...niente paura! E se lo desiderate, continuate a seguirmi, mi raccomando!
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: ranma/akane, Ukyo Kuonji
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Il letto era disfatto, ma di Nao non vi era alcuna traccia.
«Forse aveva fame ed è scesa in cucina a fare uno spuntino. A volte succede, durante la notte.» osservò Akane, cercando di non farsi prendere dal panico. L’ultima cosa che voleva era perdere la lucidità. Conosceva bene sua figlia, non c’era nulla di cui preoccuparsi. Ma, la finestra della sua camera era aperta e…insomma, se fosse andata in giardino ne avrebbero di sicuro notato la presenza. Si affrettò a richiuderla con un sospiro, poi corse al piano di sotto. Perlustrò ogni angolo della casa, esterni compresi in preda a un’ansia crescente, senza riuscire a trovarla. A quel punto, agitata e terrorizzata come davvero poche volte in vita propria, risalì le scale per raggiungere Ranma, che la fissava ora con gli occhi sgranati e uno strano aggeggio colorato fra le mani.
«Non c’è da nessuna parte, sembra quasi sia svanita nel nulla! Cosa può essere successo, santo cielo? Cos’è quello?»
«L’ho appena trovato per terra.»
Glielo porse. Dopo un’occhiata attenta, lo riconobbe. Era un minuscolo fermaglio tempestato di perline e, nonostante l’aria vagamente familiare, era sicura che quell’arnese dai tratti pacchiani non avesse mai sfiorato i capelli della sua bambina. Eppure…
Lo lesse anche negli occhi del giovane e, d’un tratto, la realtà le si delineò davanti a chiare lettere. Una scomoda, orribile realtà che, purtroppo per loro, portava un solo nome.
«Shampoo!» esclamarono in coro. Per un attimo, fu come se la terra la inghiottisse di colpo.
«Ma certo, lo ha lasciato apposta perché voleva che lo trovassimo. Maledetta! Se le ha torto anche un solo capello, stavolta non la passerà liscia!»
Lo sentì urlare con decisione mentre, angosciati e sconvolti, si precipitavano lungo la strada.
 
 
 
 
***
 
 
«Posso averne ancora, Pim?» biascicò con la bocca piena, porgendole il piatto già vuoto.
«Certamente.» rispose con un sorriso tirato, affrettandosi a riempirlo di nuovo. Caspita, la ragazzina era una buona forchetta. Un altro po’ e si sarebbe spazzolata via tutte le porzioni di riso preparate quel giorno.
«Ecco qui.»
Le porse anche una ciotola di contorni, che la bimba mostrò di gradire parecchio. Le sedette accanto, scrutandola assorta. Dannazione, era così fastidiosamente identica alla madre da darle sui nervi. Doveva però mantenere la calma, se non voleva commettere errori. Insospettita dallo strano comportamento di suo marito lo aveva seguito e spiato per intere settimane, riuscendo finalmente a scoprire dove o, meglio, tra le braccia di chi, quell’infame mascalzone si divertisse a trascorrere le giornate. E anche ogni singola notte, fino al colpo di scena finale: quella sciocca piantagrane, con l’incredibile voracità di una pantegana era nientemeno che…sua figlia. Fece un respiro profondo, cercando di darsi un contegno poiché, ogni volta che ci pensava, la rabbia le attorcigliava così tanto lo stomaco da rischiare quasi un attacco isterico.
Calmati, Shampoo. Giocare d’astuzia è di sicuro più divertente e lo sai bene.
L’improvvisa voce dell’umile impiegato la distolse dai suoi pensieri.
«Sono tornato, ho appena finito l’ultima consegna. Ma…che diavolo…»
Si portò un dito alle labbra, intimandogli di tacere, poi lo spinse in un angolo buio della cucina e sufficientemente lontano dalla portata della piccola ospite.
«Vedi di non alzare troppo la voce Mousse, vuoi forse spaventarla?» bisbigliò, minacciosa.
«Ne vorrei un altro po’, Pim!»
«Certo, arrivo subito!»
Sorriso a trentadue denti. Il ragazzo dai capelli neri la fissò a lungo e con rinnovato interesse attraverso le spesse lenti, sistemandosi gli occhiali sul naso.
«Quella non è la figlia di Akane Tendo? Che cavolo ci fa qui al ristorante a quest’ora della notte e, poi, perché ti chiama Pim?» domandò, confuso e disorientato. L’affascinante amazzone sbuffò, sollevando gli occhi al cielo. Non avrebbe mai voluto coinvolgerlo, ma ormai era troppo tardi.
«Come credi avrei potuto avvicinarla, senza trasformarmi in gatto? Adesso, probabilmente, pensa io sia un personaggio di qualche stupido cartone animato o roba del genere. Mi ha preso per una specie di maga, insomma, ma va bene. Si è lasciata avvicinare ed era proprio ciò che serviva al mio scopo.» spiegò, soddisfatta, cosa che invece non si poté certo dire del suo giovane interlocutore quando le frugò in viso, a bocca aperta, sconcertato e chiaramente avido di risposte.
«Stai dicendo che l’hai rapita?»
«Shh! Ti ho detto di tenere la voce bassa, razza di idiota.» replicò, afferrandolo per il bavero.
«Kami!» continuò, spazientito «Non puoi andartene in giro in piena notte a strappar via i bambini ai loro genitori come niente fosse, te ne rendi conto? Cos’hai intenzione di fare? Riportala subito indietro.»
«Attento a come parli, questi non sono affari che ti riguardano. Datti una mossa, piuttosto. Va’ a intrattenerla, se vuoi renderti utile in qualche modo!»
Lo spedì dritto al cospetto dell’odiata nanerottola con un calcio ben assestato e un secchio d’acqua gelida addosso, che lo fece annaspare a lungo prima dell’inevitabile metamorfosi in un buffo papero occhialuto. Questo parve deliziare Nao a tal punto da attirarne in breve tempo tutta l’attenzione.
«Wow, anche tu sei un prestigiatore? Vieni paperotto, giochiamo insieme!» esclamò, ridendo dello sventurato e battendo, felice, le manine.
«Pim, mi fai vedere ancora la tua magia?» chiese poi, facendola sussultare. No, non di nuovo. Per la miseria! Non era affatto un fenomeno da baraccone, che le saltava in mente? Si chinò su di lei, facendo leva sulle ginocchia.
«Adesso non è possibile, cara.» disse, fingendo un’affabilità che era ben lontana dal provare. La bambina le piantò in faccia i suoi innocenti occhioni color cioccolato. Kami, che fastidio.
«Perché no?»
«Perché…ho detto che è impossibile. Vedi di non insistere, stupida ragazzina viziata!»
Si morse la lingua. Cazzo. Provò in fretta a rimediare all’errore, ma le sue insopportabili urla rischiarono quasi di forarle i timpani, tanta era l’energia che vi metteva. Stramaledetta Akane. Cosa diavolo aveva partorito quell’inutile maschio mancato, la figlia di satana, per caso?
«Sei cattiva, cattiva Pim! Voglio tornare a casaaaaaa!»
«Non andrai proprio da nessuna parte, resterai qui con me!» gridò a sua volta, cercando di sovrastarla.
«No, no e no. Voglio tornare dalla mia mamma!»
Sgranò gli occhi, sgomenta. Quei capricci stridevano come vetri rotti sui suoi nervi già provati.
«Sul serio? Come fai a voler ancora stare con lei? Tua madre non è altro che una bugiarda!»
Ci siamo, si va in scena.
Nao le fece una linguaccia, scatenando nuovamente i suoi istinti omicidi. Se non fosse stata lo scricciolo che era l’avrebbe già fatta fuori da un pezzo, poco ma sicuro.
«Non è vero, non è vero!»
«Certo che sì» insistette «Per tutto questo tempo ti ha nascosto la verità su tuo padre, che non è altri che Ranma.»
La fissò, incredula.
«No, ti sbagli, il mio papà è partito per un lungo viaggio e non tornerà più.»
«Sono solo un mucchio di fandonie. Ti ha preso in giro, lo vuoi capire? La tua mamma è una donna orribile che si è presa gioco di te, non ti vuole bene e non ti ha mai desiderata. Per lei sei stata solo un incidente di percorso!» proseguì, implacabile, facendola scoppiare in lacrime. Allontanandola da quella sciocca Tendo fino a strappargliela letteralmente dalle braccia, l’avrebbe pian piano legata a sé e questa sarebbe stata la sua più grande, magistrale vendetta. Già, ucciderla non sarebbe servito proprio a niente. Ormai lo aveva capito. Voleva vederla contorcersi dal dolore, soffrire come lei stessa aveva fatto scoprendo che, nonostante gli anni trascorsi, l’uomo che amava più di sé stessa ne era ancora follemente attratto. Maledetta. Dannati entrambi. L’avrebbero pagata a caro prezzo. Sicuro, avrebbe insegnato loro che farsi beffe della sottoscritta era pericoloso. Molto pericoloso. Fu in quel momento che Mousse, riappropriatosi nel frattempo delle sue vere sembianze le si parò davanti a braccia tese, scongiurandola di fermarsi.
«Smettila, adesso! Ti diverte tanto traumatizzarla in questo modo? Lasciala andare, che male ti ha fatto? È solo una bambina!»
«Levati di mezzo, tu non capisci! È la figlia che mio marito ha avuto da un’altra donna. Questa non ti sembra una motivazione sufficiente a far sì che la detesti?»
Sobbalzò per la sorpresa.
«Beh, se quanto dici è vero…»
«Dov’è?» lo interruppe, allarmata, guardando oltre le sue spalle e spingendolo via con malo garbo.
«Dov’è andata, accidenti? È tutta colpa tua, brutto deficiente, mi hai distratta e l’ho persa di vista!» trillò con voce stridula mentre l’amico la invitava a guardare verso l’alto. Attraversando una minuscola intercapedine tra le pareti, l’insopportabile lillipuziana era appena riuscita a raggiungere il tetto senza neppure uscire dalla porta principale. Cos’era, una specie di ninja, per caso?
«Come avrà fatto ad arrampicarsi fin lassù in così poco tempo? Svelto, andiamo a prenderla!»
 
 
***

 

 
Quando si accorse di lei, in bilico su quel tetto pericolante, un intenso brivido di terrore lo attraversò da capo a piedi, paralizzandone per un momento ogni pensiero.
«Cosa ci fai lassù, Nao? Potresti farti male!» proruppe, ancora ansante per la corsa, non appena ritrovò la voce. La bambina, distratta dal tono allarmato scivolò, lanciando un urlo lungo una delle vecchie tegole che, sgretolatasi all’istante, crollò direttamente ai loro piedi con un sordo tonfo, lasciandoli interdetti. Akane si coprì gli occhi, inorridita.
«Non muoverti, tesoro. Vengo subito a prenderti!» esclamò, ma la ragazza lo trattenne per una manica della casacca, costringendolo a frenare la sua corsa.
«Ranma, no! È troppo pericoloso, il tuo peso potrebbe far crollare tutto.»
Lanciò un’occhiata preoccupata al tetto quasi marcio, dove la piccola era a stento riuscita a rimettersi in piedi, anche se le gambe le tremavano in modo incontrollabile. Non era abbastanza forte. Per quanto ancora avrebbe retto? Aveva ragione, un passo di troppo e sarebbe stata la fine.
«No, non vi voglio, nessuno dei due! Mamma, sei una bugiarda!»
Ranma la fissò, al colmo dello stupore.
«Di cosa stai parlando?» azzardò la minore delle Tendo, sempre più angosciata.
«Hai detto che papà non sarebbe più tornato, invece è qui. È Ranma il mio papà e tu non me lo hai detto!» sbottò, in lacrime. Questo lo colse in contropiede. Nao sapeva tutto? A che razza di gioco malato stava giocando, quella squilibrata della moglie?  Come faceva a conoscere la verità? Aveva commesso l’errore di sottovalutarla e questi erano i risultati. Accidenti a lei.
«Calmati, ti prego. È vero, sono il tuo papà ed ero in viaggio, mi trovavo molto lontano da qui. La mamma non ti ha detto una bugia.»
Provò a spiegarle, con tatto. Anche se, vista la giovanissima età, non era affatto sicuro potesse comprenderne le ragioni. Forse chiedeva troppo. Forse, l’unica cosa sensata da fare era andare su e trascinarla via con sé prima che accadesse l’irreparabile, mettendo così la parola fine a quell’orribile incubo. Un’altra tegola si frantumò a un passo da lui, che stava sudando freddo. Dannazione. Cosa poteva fare?
«Perché mi hai abbandonata? All’asilo, tutti i miei amici hanno un papà e una mamma sempre vicini, io invece…»
Si interruppe per un momento, tirando su col naso e singhiozzando così forte da stringergli il cuore.
«Io, invece, sono stata sempre con mamma. Perché te ne sei andato via, lasciandomi sola?»
Incrociò lo sguardo, altrettanto disperato, della donna che amava e gli occhi gli si inumidirono.
«Mi dispiace» disse con voce rotta «Mi dispiace tanto di averlo fatto, piccola mia, ma ora sono qui e sono tornato per restare.»
Fu allora che li vide sbucar fuori dal nulla. C’era anche Mousse. In precario equilibrio, quasi strisciando lungo il malandato soffitto del ristorante Il Gatto e ormai a pochi centimetri di distanza da lei. No, non lo avrebbe permesso.
«Ma tu guarda, bentornato maritino. Vedo che sei in dolce compagnia. Mi chiedevo quanto tempo avresti impiegato a mettere in moto il cervello! Cos’è, non trovavi più la via di casa?» lo canzonò la bella cinese, sorriso dolce come la melassa. Questo lo mandò su tutte le furie e fu quasi sul punto di replicare, ma Akane lo batté sul tempo.
«Lascia subito andare mia figlia, brutta psicopatica che non sei altro!» gridò con quanto fiato aveva in corpo «È me che vuoi, non è vero? Bene, sono qui. Fammi pure ciò che ti pare, ma lascia Nao fuori da questa storia!»
Cavolo, era forse impazzita?
«Tesoro, ascoltami» proseguì, impavida «qualunque cosa ti abbia raccontato non è assolutamente vera, sta solo cercando di confonderti!»
«Non ascoltarla, sta mentendo. Mentono entrambi e lo sai, sono io l’unica di cui puoi fidarti. Ricordi cosa ti ho detto su di lei?»
La vide indicare la rivale con disprezzo e nuove lacrime apparvero sul visino innocente della sua bimba, destabilizzandolo non poco.
«Non mi hai mai voluto bene, non mi desideravi. Sei cattiva, mamma!»
Ma cosa…
Sentì la collera bruciargli le vene fino a consumarle dall’interno.
«Che diavolo stai cercando di fare, Shampoo» ringhiò, paonazzo «mettercela contro, per caso? Che il cielo mi assista, giuro sui kami che questa è la volta buona che ti metto le mani addosso!»
«Non è affatto così» si intromise la giovane madre, gli occhi bagnati di pianto «Non devi credere a ciò che dice quella donna! Se non ti ho detto tutta la verità su tuo padre, l’ho fatto solo per non ferirti. Perché ti amo immensamente, amore mio, più della luce del sole e per me sei stata un dono meraviglioso, non devi mai dubitare di questo. Ti ho attesa con trepidazione per tanti mesi e quando, finalmente sei arrivata…credevo di impazzire dalla gioia. Sei la mia bellissima e dolce bambina e non avrei mai potuto non desiderarti nella mia vita. Ti voglio tanto bene, tesoro.»
«Anch’io ti voglio bene, mammina.»
A quel punto, accadde tutto in una frazione di secondi. Mentre lei, finalmente consolata, tendeva le manine tremanti verso di loro una buona parte del tetto cedette definitivamente, sollevando un gran polverone e trascinando giù con sé la perfida amazzone, la quale, poco prima di sprofondare, riuscì a spingerla via dal tremendo, inevitabile disastro, pilotandola così verso la parte opposta. Lì, alcune tegole ancora più o meno stabili, ne avrebbero di sicuro ritardato la caduta. L’intrepido Mousse non fu certo da meno e, in un improvviso moto di baldanza si gettò su Shampoo, facendole scudo col proprio corpo per evitarle il peggio. Entrambi vennero ben presto travolti dalle macerie. Ranma fece un balzo indietro, coprendosi gli occhi con l’avambraccio per proteggersi dalla polvere come meglio poteva. Quando tornò a vedere bene l’odiata consorte era già riemersa dai resti, stringendosi al petto il corpo inerme del fedele amico d’infanzia che, ormai ferito e in condizioni critiche, pareva non dar più segni di ripresa.
«Mousse, come stai? Rispondimi!» proruppe, in preda alla disperazione prima di affrettarsi a fuggire lontano, portandolo via con sé. Per tutto il tempo, tuttavia, l’attenzione del ragazzo col codino rimase fissa sulla figlia fino a rendersi conto che, vista la tragica situazione, c’era un solo modo per salvarla.
«Ok, ascoltami bene, adesso. Devi saltare!» urlò nella sua direzione, portando entrambe le mani intorno alla bocca per sovrastare il rumore delle poche tegole rimaste, che intanto continuavano miseramente a sgretolarsi intorno a loro.
«Che cosa? No!»
La compagna lo fulminò con un’occhiataccia da cui decise di non lasciarsi impressionare troppo. Del resto, ci sarebbe voluto ben altro per convincerlo a desistere.
«Fidati di me Akane, è l’unico modo. Non la lascerò cadere, non lo farei per niente al mondo.
«Ho tanta paura!» replicò la bambina, le guance ormai violacee inondate di lacrime. Il suo piede scivolò di nuovo, facendole perdere per un momento l’equilibrio. L’urlo che lanciò nell’aria fresca della notte fu secondo solo a quello di sua madre che, quasi sul punto di perdere i sensi, si ritrovò a implorare chiunque lassù volesse darle ascolto, che la sua adorata figliola riuscisse a mantenere la posizione ancora per un po’, prima che tutto crollasse rovinosamente.
«Non devi averne, tesoro. Sarò qui a prenderti, non mi muovo.» provò a tranquillizzarla. Si mise in posizione, allargando le braccia per incitarla a lanciarsi. Si stava spingendo troppo oltre, ne era consapevole. Sì, sapeva che era una mossa rischiosa, ma non aveva scelta. Non c’era tempo.
«Davvero? Me lo prometti?»
«Croce sul cuore. Ora guardami, Nao, al mio tre devi saltare.»
La piccola esitò. Sospirò, frustrato.
«Ehi, guardami» ripeté «Andrà tutto bene. Ci sono io. Pronta?»
La vide annuire piano.
«Uno.»
«Kamisama, non ce la faccio.» mormorò l’altra distogliendo lo sguardo, terrorizzata. La ignorò.
«Due…»
Un rivolo di sudore gli colò lungo la fronte, bagnando la folta frangia che la ricopriva. Poteva farcela.
«Tre! Salta. Ora!»
Nao si lasciò cadere con un grido e proprio un attimo prima che i resti del tetto crollassero per sempre, atterrando direttamente tra le sue braccia. La strinse forte a sé per un lungo momento. Era salva.
«Ce l’hai fatta, hai visto? Sei stata bravissima, principessa.» sussurrò, baciandola più volte sulle guance umide e facendola ridacchiare. Akane, commossa si unì all’abbraccio, guardandola sollevare la testa per fissare intensamente il volto sollevato del padre.
«Quindi…tu sei veramente il mio papà?»
Annuì, rivolgendole un caldo sorriso.
«Non te ne andrai più, vero?»
«No, angelo mio. Da adesso in poi, noi tre staremo sempre insieme.»
«Come una famiglia.» gli fece eco l’ultima delle sorelle Tendo, lanciandogli uno sguardo denso di significati che, stavolta, scelse di ricambiare.
 
Le rimboccò le coperte, stando ben attento a non disturbarne il sonno poiché, com’era naturale, dopo tutte le emozioni di quella frenetica notte, giunta ormai quasi al termine, dormiva già profondamente.
«Potrei restare a guardarla per ore.» sussurrò e la linea morbida delle sue labbra piene si curvò in un dolce sorriso.
«Già, succede anche a me.» rispose Akane, che non poté che imitarlo.
«Sarà meglio andare, adesso. Ha bisogno di stare tranquilla, almeno per un po’.» aggiunse poi. Ranma annuì e insieme lasciarono la stanza della loro figlioletta. La osservò a lungo mentre, un passo avanti a lui, la ragazza si accingeva a raggiungere il piano inferiore ma, proprio quando stava per dire qualcosa, una dolorosa fitta all’altezza del petto gli bloccò le parole in gola. Questo lo rese preda di una strana malinconia che, più cercava di scacciare, più forte e inesorabile tornava a colpirlo, facendone crollare di colpo ogni certezza. Allora, finalmente, comprese. Annullando così la breve distanza che li separava l’afferrò per un polso, abbracciandola da dietro. Tornare a respirare il profumo della sua pelle era meraviglioso. Quanto gli era mancata. La sentì sussultare fra le proprie braccia ma la strinse più forte, come a voler rassicurarla sui suoi reali sentimenti che, ora lo sapeva, non sarebbe riuscito a ignorare ancora a lungo.
«So che avevo detto di aver bisogno di tempo» bisbigliò, con le labbra incollate al collo candido della compagna «Ma, dopo ciò che è successo stasera, non voglio più allontanarmi da te nemmeno per un secondo.»
La giovane Tendo si sciolse lentamente dall’abbraccio e avvertire di nuovo quelle mani calde sul suo viso fu come morire e rinascere al tempo stesso, tanta era la voglia di sentirla vicina ancora una volta.
«Akane, mi disp…»
Gli posò un dito sulle labbra dischiuse.
«Shh, non dire niente. Vieni.» mormorò, trascinandolo in camera. Lì, finalmente liberi da eventuali occhi indiscreti prese a baciarla con crescente passione, insinuandosi sotto i vestiti per accarezzarla sempre più intimamente, fino a farla gemere piano.
«Papà! Papà!»
L’improvvisa voce di Nao li fece trasalire entrambi prima che, senza pensarci due volte si precipitassero da lei solo per trovarla nel bel mezzo del corridoio, a pieni nudi e in lacrime. La prese subito in braccio, cercando di tenere a bada l’intensa altalena di sensazioni provate nel sentirla, per la prima volta, rivolgersi a lui in quella maniera.
«Che cosa c’è scricciolo, perché piangi?» indagò e uno strano, rassicurante tepore parve avvolgerlo dolcemente, attraversandolo fin nelle viscere non appena la piccola si aggrappò, angosciata, alle sue spalle possenti.
«Tu non c’eri più, eri andato via di nuovo!» singhiozzò con disperazione. Il giovane  la cullò a lungo contro il proprio petto, dove un cuore vinto dall’emozione batteva ora un po’ più forte e solo per lei.
«Era un brutto sogno, tesoro mio. Soltanto un brutto sogno. Guardami, io sono qui. Non vado proprio da nessuna parte.»
Asciugò le lacrime da quelle tenere guance paffute, dirigendosi nuovamente, dopo aver scambiato una breve ma sufficiente occhiata con Akane, nella sua stanza. Magari, sistemandola nel lettone in mezzo a loro, si sarebbe finalmente calmata. Così fece ed entrambi presero posto ai lati del letto, racchiudendola al centro dei loro cuori in un comodo nido di infinito calore dove la bambina, ormai consolata, sprofondò in un lungo sonno ristoratore stringendo tra le minuscole dita le mani dei rispettivi genitori.
 
 
Si svegliò di soprassalto dopo appena qualche ora, ridestato da un rumore improvviso. Provò quindi a rialzarsi senza far rumore, lasciando a malincuore la mano di sua figlia mentre si perdeva a osservare i volti amati di entrambe, così pacificamente addormentate, con un piccolo sorriso. Raggiunse a piedi nudi la cucina, scrutando l’ampio spazio con aria attenta fino a fermarsi sotto al portico. Ed eccola là, un’ombra anche troppo familiare che non ebbe alcun problema a riconoscere. Indietreggiò d’istinto, il corpo in tensione.
«Shampoo» disse a denti stretti «che diavolo ci fai qui? Bada che se sei venuta per…»
«Tranquillo» lo incalzò, l’aria dimessa e insolitamente pacifica «non voglio fare niente di male. So bene di aver esagerato con te, con tutti voi e sono sicura che, se anche ti chiedessi di perdonarmi per il dolore che ti ho causato, non lo faresti di certo. Ecco perché sono qui. Volevo darti questo.»
Gli porse un foglio ripiegato che Ranma si affrettò a leggere con estrema attenzione. Incrociò infine il suo sguardo, l’espressione scettica. Non stava scherzando, vero?
«Questa è…»
«La richiesta di annullamento della nostra unione, esatto.» ammise con semplicità, incrociando le gambe.
«Credi davvero…si possa fare?»
«Certo. Del resto, il matrimonio non è mai stato consumato e questa mi sembra già una motivazione più che sufficiente, non trovi?»
Annuì. Perché lo stava facendo? Doveva, senza ombra di dubbio…
«Che cosa c’è sotto» disse, traducendo in parole i suoi pensieri «Qual è il prezzo che devo pagare, stavolta?»
«Nessuno, lo giuro. Desidero solo fare la cosa giusta per entrambi. Tu potrai finalmente sposare Akane, mentre io…»
«Tu, cosa?»
Vi fu un lungo momento di silenzio, rotto solo dall’insistente richiamo di un piccolo gufo nelle vicinanze. Quando la graziosa cinesina riprese a parlare la sua voce tremò, quasi fosse sul punto di piangere.
«Il ristorante della mia adorata bisnonna è distrutto, non ho più nulla di lei. Ho perso tutto Ranma, eppure sono felice e sai perché? Perché per tutto il tempo, dopo essere fuggita via, mi sono resa conto che l’unica cosa a cui riuscivo a pensare, l’unica che contasse davvero, era che Mousse riaprisse gli occhi. E lui lo ha fatto, alla fine è tornato da me. È ferito, certo, ma starà bene. Mi occuperò di rimetterlo in sesto come si deve, poi ci rifaremo una vita lontano da qui. Non mi vedrai mai più, è una promessa. Sei finalmente libero di vivere insieme alla donna che hai sempre amato e alla vostra bambina. A questo proposito, per quel che vale, voglio tu sappia che non avrei mai fatto del male a Nao.»
Almeno su questo, si trovavano d’accordo.
«Lo so. L’hai salvata, impedendole di cadere quando vi trovavate sul tetto. Ciò non toglie che hai cercato di usarla per i tuoi sporchi scopi, questo è un dato di fatto e mi sarà impossibile dimenticarlo.»
Abbassò lo sguardo, colpevole.
«Volevo ferirti. Ferirvi entrambi. Solo ora mi rendo conto che, ogni mio subdolo tentativo di legarti a me era perso in partenza. Non si può costringere qualcuno ad amarti con la forza.»
Sentirla parlare a cuore aperto come mai prima gli fece uno strano effetto. Non era sicuro di potersi fidare, ma quello che ora aveva tra le mani era un documento valido e reale. Solo questo contava.
«Che farai, adesso?» domandò, cauto.
«Ho ancora una casa a Tokyo, no? Ne ho abbastanza di questa città, tornerò lì a occuparmi del ristorante. Stavolta insieme a Mousse. Sai, lui si è sacrificato per me, per salvarmi. In quel momento non ha neppure pensato a sé stesso e questo mi ha aperto gli occhi, facendomi capire tante cose. La mia ossessione per te ha causato più danni di quanti ne possa davvero contare. Kami, che stupida. Se mi fossi resa conto prima dei profondi sentimenti che nutriva nei miei confronti, se mi fossi accorta del ragazzo meraviglioso e sensibile che è sempre stato, forse le cose sarebbero andate ben diversamente. Ma non è troppo tardi per rimediare. Sei stato un pessimo marito e non ripeterei l’esperienza nemmeno sotto tortura, perciò…buona vita, Ranma.»
Per la prima volta in assoluto da quando la conosceva, le sue labbra dipinte di rosa si aprirono in un sorriso sincero. Aveva finalmente compreso i propri errori, era pronta a ricominciare.
«Buona vita, Shampoo.» rispose di rimando. Mentre la osservava allontanarsi tra gli alberi, fino a trasformarsi pian piano in un minuscolo puntino lontano, sentì che tutto il rancore provato nei suoi confronti si scioglieva lentamente come neve al sole, risanando qualsiasi dolore.
«Ehi, tu.»
La voce della compagna lo riportò alla realtà. Si voltò verso di lei, andandole incontro per prenderla fra le braccia.
«Ehi. Per quale motivo ti sei alzata?»
Sollevò le spalle, l’aria ancora assonnata. Possibile che, ogni minuto che passava, si scoprisse sempre più innamorato della sua adorabile metà?
«Ho visto che non c’eri e sono venuta a cercarti.»
«E Nao?» si informò, premuroso.
«Dorme come un sasso. Tu perché sei sceso?»
Prese un profondo respiro.
«Shampoo è stata qui.» disse senza mezzi termini, vedendola sobbalzare per la sorpresa.
«Bene, se quella gattamorta è venuta per combattere, troverà pane per i suoi denti!» replicò, agguerrita. Scosse la testa più volte, affrettandosi a rassicurarla.
«Niente del genere, non preoccuparti. Ma ha lasciato questo.»
Le mise il documento tra le mani, attendendo con pazienza che cominciasse a leggerlo. Una ruga poco profonda ne solcò ben presto la fronte alta quando tornò a specchiarsi nei suoi occhi, disorientata.
«Io non capisco, davvero lei…» si interruppe di colpo, vedendolo annuire con convinzione.
«È finita, Akane. Niente più guerre, né sofferenze. Quando otterrò l’annullamento del matrimonio, saremo liberi di sposarci.»
«Che gioia!»
Gli gettò le braccia al collo e lui la sollevò da terra, facendola volteggiare nell’aria. Lei rise di gusto. Un’allegra risata che, in un attimo, gli riempì il cuore di nuove, sospirate certezze.
«Ascolta, anch’io ho una notizia da darti.»
La sentì sussurrare poco dopo, le guance rosse e gli occhi accesi dall’eccitazione. Cos’altro poteva mai esserci di così emozionante, dopo ciò che le aveva appena detto?
«Ok, sono tutt’orecchi.»
«Ecco» esitò torcendosi le dita, nervosa «prima non ne ero sicura, ma adesso lo sono, perché…non riuscivo più ad aspettare. Così l’ho fatto.»
La fissò, sempre più confuso.
«Fatto, cosa?» chiese, temendone quasi la risposta. Cos’è che stava cercando di dirgli? La ragazza sospirò a lungo, poi lo prese per le spalle.
«Ranma» cominciò, risoluta «ho appena fatto il test. Presto diventerai papà per la seconda volta, avremo un bambino!»
«Non posso crederci» esclamò, al colmo dello stupore «È meraviglioso! Ti amo tanto, amore mio!»
«Ti amo anch’io, non immagini quanto.»
La baciò con trasporto e le mani si spostarono leggere sul suo ventre dove un nuovo, piccolo esserino stava già crescendo piano piano, affacciandosi al mondo. Non vedeva l’ora di assistere a quel magico, stupendo miracolo tutto per loro. Da adesso in poi, una nuova vita li attendeva. Una vita ricca di amore e felicità, da trascorrere finalmente insieme.
 
 
Fine.
   
 
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