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Autore: EmmaJTurner    01/02/2024    5 recensioni
Un cancello aperto illegalmente; un'accusa di terrorismo interno; una botanica, un ragazzino e un gatto in fuga in pieno inverno. Cosa potrà mai andare storto.
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cercasi Ammazzamostri'
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Spazio dell’Autrice

Dovrei farlo? Dovrei pubblicare prima di sapere dove andrò a parare con questa Parte IV, quanto sarà lunga e quante informazioni ci saranno dentro? No. Non dovrei. Eppure eccoci qui: il primo febbraio di un anno bisesto (quindi funesto) mi pareva un giorno adatto per fare questo azzardo. 

E dunque, senza promesse e senza indugi, qui il primo capitolo della Lettrice del Fuoco. Fatemi sapere cosa ne pensate :)






Fuggitivi e Ricercati


Ricercata BOTANICA

alta con capelli bruno-rossi

occhi scuri, pelle olivastra.

Viaggia con un bambino 

che risponde al nome di Theodore.

200 nk per la donna

1000 nk per il bambino


Meli strappò il volantino dall’albero e lo fece in pezzi. Era il terzo in due giorni. 

“Ricercata! Come una delinquente!” borbottò Meli sottovoce, guardando i brandelli di carta giallastra volteggiare fino a raggiungere le foglie morte che coprivano il suolo ghiacciato ai suoi piedi.

Erano in fuga da due settimane. Da quando avevano lasciato Pecul non avevano osato avvicinarsi a un centro abitato, e i recenti volantini con le loro facce sopra le avevano dato ragione di tale accortezza. Di giorno camminavano per chilometri; di notte dormivano — dopo essersi assicurati che nulla di viscido o peloso vi soggiornasse dentro — in spelonche che Meli conosceva da quando era bambina, scaldandosi solo con i mantelli di lana, falò improvvisati e due scaldapietre ormai sempre più scariche. E oltre a tutte le difficoltà conseguenti al viaggiare in incognito con un bambino che aveva poca familiarità con il muoversi nei boschi — lentezza, vesciche, ruzzoloni quasi fatali giù per i sentieri infangati — gobellini e rubasogni sbucavano da ogni cespuglio, l’inverno era alle porte e ora, con quei stramaledetti volantini affissi in tutti i distretti limitrofi, ci si mettevano pure i cacciatori di taglie. E chissà, forse persino la Guardia Cittadina.

Meli guardò Theo intento a raccogliere foglie di acetosella lungo il declivio boscoso. Non si era accorto del volantino, e Meli si tranquillizzò. Con lui cercava di mantenere un atteggiamento positivo, perché guidati solo da angoscia e disperazione non sarebbero durati a lungo tra le braccia implacabili della stagione invernale. Dovevano avere qualcosa a cui aggrapparsi con la speranza che presto tutto sarebbe finito per il meglio. A che cosa? Meli non lo sapeva. Non ancora. Sperava di trovarlo presto, però.

Theo aveva i pantaloni macchiati e lacerati su entrambe le ginocchia, ricordo di una scivolata con capriola giù lungo un pendio, e un nuovo piccolo taglio sul sopracciglio ottenuto dopo un’avventura troppo entusiasta dentro un cespuglio di more. Stava pizzicando le piantine di acetosella una per una con espressione concentrata, scegliendo quelle con il colore verde più brillante proprio come Meli gli aveva insegnato. Un moto di inspiegato affetto scaldò il petto della donna, che si sentì meglio e peggio allo stesso tempo. Aveva salvato quel ragazzino dalla morte — forse due volte — e ora considerava quella piccola vita una sua responsabilità.

“Andiamo. Dobbiamo arrivare al rifugio prima che faccia notte” gli disse, gentile.

Theo fece un colpo di tosse, annuì e in due balzi le arrivò accanto. Dal suo bagaglio uscì un miagolio lamentoso. Polpetta, contro ogni aspettativa, era ancora vivo e ronfava beato nello zaino di Theo. Finora era stato utile solo a fare da scaldacollo peloso al ragazzino e a mangiarsi gli scarti della magra cacciagione che riuscivano a mettere insieme grazie a trappole e fionda; non aveva messo in fuga nessuna donna-rapace demoniaca. Le strigi, in realtà, ora si vedevano di rado. Era un segnale positivo? Voleva dire che nessun nuovo cancello era stato aperto? Meli non ne era certa.

In balia di pensieri nefasti e affondando con gli scarponi nella terra soffice e pregna d’acqua, Meli guidava la piccola spedizione donna-bambino-gatto verso quello che si augurava fosse un posto sicuro. Si trovavano ad un’altitudine più bassa rispetto a Pecul; quella zona della Catena era coperta di un rado bosco di betulle, alberi  giovani che avevano ripopolato le aree bruciate dagli incendi di vecchie battaglie; i sottili tronchi bianchi creavano un particolare contrasto cromatico con il fitto tappetto di foglie rosse del corniolo nano. L’aria profumava di terra bagnata, di muschio e di neve.

Arrivarono al rifugio, una vecchia stazione di vedetta dei tempi della guerra; nei decenni di abbandono la natura l’aveva reclamata, avvolgendola in spire di edera e erbacce, ma restava comunque una validissima alternative per ripararsi dalle intemperie. 

Con notevole sforzo Meli spalancò la porta marcescente aviluppata dal fogliame. La cabina consisteva in un’unica stanza quadrata dalle pareti di pietra con una porta e feritoie su tutti e quattro i lati. Non una reggia, ma almeno avrebbero potuto accendere il fuoco: il camino c’era e sembrava sufficientemente sgombro. Il fumo avrebbe tradito la loro presenza, ma Meli dubitava che i cacciatori di taglie li avrebbero cercati lassù, nel cuore della notte, a novembre. 

E se anche fosse, pensò Meli facendo scorrere i polpastrelli sulla superficie serica del bastone prima di appoggiarlo contro il muro, ci troverebbero pronti.

Si sistemarono per la notte, che ormai calava con sempre più preoccupante rapidità. Mentre Theo dormiva avvolto nel mantello davanti al camino acceso, Meli estrasse un bastone che aveva raccolto qualche giorno prima e continuò ad abbozzarlo col coltello. I movimenti ripetitivi la aiutavano a rilassare la mente e la concentrazione sul lavoro le impediva di addormentarsi.

Theo si agitò nel sonno e tossì. La tosse era iniziata la quinta notte. Dapprima un suono secco, stizzoso; nei giorni seguenti pieno e catarroso. Meli sapeva che non avrebbero potuto dormire all’addiaccio ancora per molto. Dopo tutto quello che aveva passato, ci mancava solo che il ragazzino crepasse di ipotermia.

Spinse il pollice sul retro della lama e un pezzo di corteccia cadde tra le sue gambe. Il bastone era un regalo per Theo.

Così la smetterà di rischiare l’osso del collo usando rami marci per scendere dai sentieri ripidi. O di rubare il mio per frugare tra le foglie morte alla ricerca di funghi.

O almeno, così si diceva; in realtà desiderava fare qualcosa di carino per lui e sperava, con quel regalo, di restituirgli almeno un po’ della spensieratezza che ogni bambino avrebbe dovuto avere alla sua età. 

Per un po’ i pensieri si ricorsero e le si aggrovigliarono nella testa appesantita dalla stanchezza. Il peso della preoccupazione, del freddo e delle notti insonni cominciava ad accumularsi, e sapeva che non avrebbero potuto continuare a nascondersi nei boschi ancora per molto, non in quella stagione. Dovevano trovare un posto sicuro, caldo e con del cibo decente per passare indenni l’inverno. Ma dove? Chi poteva tenerli al sicuro? Pensò a Reika. Chissà che fine aveva fatto. Aveva anche pensato di scrivere a Aiden; ma per dirgli cosa? Che le serviva un cavaliere dall’armatura scintillante a proteggerla dalle cazzate che aveva fatto? Che aveva il cuore più grande del cervello? Assolutamente no. E poi temeva che i messaggi venissero intercettati, che lo ricollegassero a lei e che finisse male… come con Logan. A Logan in realtà cercava di non pensare, ma amare supposizioni si infilavano negli interstizi della coscienza contro la sua volontà. Era stato arrestato? Catturato? Il dubbio di essere stata la causa di conseguenze gravi o irreversibili per la vita privata dell’ammazzamostri le annodava lo stomaco.

Il bastone era a buon punto. La corteccia esterna era stata rimossa e le asperità più evidenti raschiate via a colpi di lama. Per completarlo avrebbe dovuto lisciarlo e oliarlo, ma non aveva gli strumenti adatti; quindi, per il momento, sarebbe andato bene così. 

Meli avvolse il bastone in un avanzo di stoffa e lo posò a terra accanto a sé. Stirò le dita contratte dallo sforzo e rilassò le spalle. I pensieri si fecero pesanti e confusi. La donna si massaggiò gli occhi stanchi.

Quando qualcosa di appuntito le toccò la faccia, Meli si svegliò di soprassalto. A pochi centimetri dalla sua faccia c’era Polpetta con la zampina sollevata, unghie sguainate, pronto a schiaffeggiarla di nuovo. Meli, confusa, sbatté gli occhi e si mise seduta. Senza accorgersene era scivolata a terra e si era addormentata; il collo le doleva e per la posizione scomoda e era gelata per via del fuoco che languiva. Con la sensazione di avere tutte le ossa rotte si alzò, ravvivò le fiamme e allungò le membra indolenzite. 

Polpetta aveva abbassato la zampa e si era messo a fissare la porta. Meli stava per insultarlo per averle graffiato la faccia quando notò che le orecchie membranose scattavano in diverse direzioni: stava captando qualcosa. Corrucciata, la donna seguì lo sguardo del felino. 

E udì, quasi impercettibile, uno scricchiolare di foglie. Qualcosa si era mosso proprio fuori dalla cabina. 

Meli si irrigidì; gli ultimi sprazzi di sonno sparirono all’istante e lasciarono il posto ad un’attenzione vigile e ansiosa. C’era qualcuno, lì fuori?

Rimase con le orecchie tese pregando che Theo non tossisse proprio in quel momento. Ma non si udì nient’altro e, dopo quelle che parvero ore, Polpetta si rilassò, arcuò la schiena e andò ad accoccolarsi soddisfatto contro la faccia di Theo.

Ma Meli non riuscì più a scrollarsi di dosso la strisciante sensazione di non essere soli; inquieta e sudaticcia, non dormì fino alle prime luci dell’alba, quando Theo si svegliò per darle il cambio. 

***

“L’ho preso!”.

La voce entusiasta le strappò un sorriso. Nonostante fosse distrutta dalla stanchezza, Meli si interessò con garbo a pazienza al leprotto striminzito che Theo era riuscito a stendere con la fionda. Doveva ammettere che era abile — più di lei — e che stava migliorando giorno dopo giorno.

Era tarda mattinata e la comitiva stava — troppo lentamente, per i gusti di Meli — scendendo di quota. Erano usciti dal rifugio con il sole già alto e, nonostante i misteriosi rumori notturni, nessuno aveva cercato di aggredirli. Meli cominciava a sospettare che fosse stata la stanchezza a farle immaginare tutto. 

La nuova meta era il Lago del Soc, più a valle. La discesa era accompagnata da un gradevole innalzarsi della temperatura — il gelo assassino si era placato in favore di un generico freddo che non minacciava più di staccare loro le dita dei piedi — e da un cambio di scenario: betulle e larici avevano lasciato spazio a querce e castagni, e le cascatelle ghiacciate erano ora sonori ruscelli. La pausa dalla morsa del gelo era una consolazione considerevole per Meli, nonostante fossero ora molto più vicini ai centri abitati e dovessero di conseguenza stare più attenti a evitare gli altri viaggiatori. La tosse di Theo continuava imperterrita.

Il ragazzino si caricò la preda in spalla e si avviò impettito giù per il sentiero; Meli lo seguì docile. Era ancora frastornata dalla notte insonne e una spirale di pensieri angosciati minacciava di trascinarla giù. Doveva scacciarla e pensare positivo. 

Peccato che pensare positivo non fosse mai stato il suo forte. Anzi; di ogni situazione le veniva naturale pensare alla più funesta conseguenza possibile in modo da essere sempre preparata al peggio. Questa inclinazione le aveva parato il culo in diverse occasioni, quindi non l’aveva mai considerata un difetto di carattere. Finora.

Ormai allo stremo delle forze mentali, Meli notò un ciuffo di pimpinella a lato del sentiero e decise che quella sarebbe stata una distrazione sufficiente.

“Theo, aspetta. Guarda qui”.

Strappò una minuscola foglia seghettata e la porse al ragazzino. “Questa è erba pimpinella. È commestibile. Assaggia”.

Theo non si mosse. Meli comprese la sua diffidenza e mise in bocca la foglia per dimostrargli che non c’era nulla da temere. “Per me, sa di noci”.

Titubante, Theo allungò le dita e accettò una seconda foglia di pimpinella dal palmo di Meli. Se la mise in bocca e masticò piano. “Non sa affatto di noci” sentenziò dopo un attimo. “Sa di… centriolo”.

Meli rise. “Esatto. La pimpinella ha un gusto diverso in base a chi la mangia. Ci sono le persone noci, e ci sono le persone cetriolo”.

Theo, una serie di colpi di tosse, chiese: “E io sono una persona cetriolo?”.

“Sembrerebbe di sì” rispose Meli con tono leggero.

Theo tossì ancora e ci rimuginò su per un bel po’. Il suo fiato si perdeva in nuvolette opache nell’aria gelida.

“Può una persona cetriolo diventare una persona noce?” chiese infine, la voce seria e gli occhi fissi sul sentiero.

Meli intuì che quella domanda ne nascondesse in realtà un’altra che non aveva nulla a che fare con il sapore delle erbe spontanee. 

“Sì, è possibile" rispose cauta.

“E come?”.

Meli si prese qualche secondo per pensare. “Non sempre è sufficiente, ma a volte basta cambiare modo di pensare”.

“Cioè?”.

Meli raccolse un nuovo rametto di pimpinella carico di foglie dentellate e lo tenne tra di loro. “Pensa al sapore del cetriolo” disse. Attese che il bambino fosse pronto. “Adesso assaggia. Che gusto senti?”.

Dopo aver preso e messo in bocca una foglia, Theo rispose: “Di cetriolo”.

“Ora concentrati invece sul sapore delle noci. Immaginalo sulla punta della lingua. E assaggia di nuovo”.

Scettico, Theo masticò una nuova foglia. Spalancò gli occhi. “Adesso sa di noci!”.

Meli sorrise. “Esatto. Due foglie identiche, della stessa pianta, hanno un sapore diverso. Cosa è cambiato?”.

Theo la guardò dubbioso. “Quello che… ho pensato?”.

Meli annuì ma, lungi dal voler ingannare una mente intelligente, aggiunse: “Non ho intenzione di mentirti, Theo. Non funziona così per tutto. Una fragola saprà sempre da fragola, non importa quando io mi impegni per farla diventare un mirtillo. La pimpinella è solo una metafora. Sai che cos’è una metafora?”.

“Una cosa che significa qualcos’altro”.

“Sì. E come le fragole, alcune cose della nostra vita così sono e così resteranno per sempre, e a nulla servono i nostri sforzi per renderle diverse. Altre invece, se ci impegniamo abbastanza, possiamo cambiarle. Alcune cose possono sembrarci completamente diverse, dopo un cambio di pensiero”.

“Come la pimpinella”.

“Come la pimpinella”.

Ci fu un momento di meditabondo silenzio. Theo stava chiaramente riflettendo su qualcosa di doloroso e difficile da tradurre in parole. Meli non lo forzò. Se e quando fosse stato pronto per confidarsi con lei, lo avrebbe fatto. Desiderò allungare una mano per stringergli una spalla in segno di conforto, ma desistette. Quando non era sopraffatto dalle emozioni, Theo era spaventato dal contatto fisico e trasaliva a ogni tentativo di carezza. Un riflesso condizionato dalle percosse ricevute dalle persone che avrebbero dovuto amarlo e proteggerlo.

Impotente e incerta su cosa gli avesse insegnato davvero con quella manfrina sui sapori e sui cambiamenti della vita, Meli sospirò. 

“Procediamo”.

Theo annuì e sollevò il mento. Il suo sguardo era determinato. E sereno.

“Sì. Andiamo”.








 

Spazio dell’Autrice 2

Ho finito la revisione de “I Fiori di Sambuco” (Parte I). Non è ancora esattamente come la vorrei (è troppo breve) ma intanto va bene così. In caso qualcuno volesse rileggersela e farmi sapere cosa funziona e cosa no, sono apertissima alle critiche. Sì, c’è un personaggio nuovo, e un altro che sparisce; ricompariranno entrambi, auspicabilmente, nella parte IV :)

Per chi interessa ho revisionato anche Aconito che vanta ora uno splendido nuovo mostro nel primo capitolo e qualche zuccherosità in più qua e là <3 Ci sono ancora refusi e ripetizioni ma mi sto facendo aiutare da un Beta per rifinirlo per bene.

Grazie a tutti e a presto! (SPERO)
Emma

   
 
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