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Autore: LatazzadiTea    12/02/2024    1 recensioni
La pace regna incontrastata ormai da anni nel piccolo ma prosperoso regno di Patnar, quando la notizia di un'imminente catastrofe ne sconvolge gli abitanti. E in particolar modo Madya - giovane guaritrice dotata di enormi ed oscuri poteri - che per scongiurare la completa distruzione del suo mondo sarà costretta a indagare al fianco di un eccentrico generale e un invincibile assassino.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
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Rivelerò ogni cosa a Madya, così aveva detto Valkya all'amico grottesco, mordendosi nervosamente il labbro al ricordo della sua infanzia mentre i pensieri correvano ai giorni felici passati fra le colonne argentee e scintillanti del palazzo in cui era cresciuto, ben mille anni prima. La razza degli Asyr a cui Valkya apparteneva, si era estinta ormai da secoli, lasciando solo lui e pochi altri eletti a tramandarne le gesta e la storia, comprese le terribili conseguenze della guerra che aveva portato alla definitiva scomparsa dell'unica cosa buona che il cerchio dell'Almandell avesse fatto per un'umanità che invece di salvare, aveva poi finito per distruggere. I canti dei magnifici uccelli che popolavano le verdi terre degli Asyr si propagavano ancora armoniose nelle sue orecchie, così come i nitriti dei cavalli e il rumore dei loro possenti zoccoli a calpestar la terra durante le frequenti battute di caccia a cui la sua stirpe, era avvezza. La sua razza, che già vedeva la nascita di una bambina come un evento raro ormai da secoli, si era vista dimezzare in meno di un decennio dall'arrivo di altre genti provenienti dal mare. Per non parlare della longevità dei maschi rispetto a quella delle femmine, che alla fine di quegli anni morivano sempre più giovani, spesso senza nemmeno raggiungere l'età giusta a procreare. Erano stati l'isolamento genetico e culturale, o la colpa era da attribuirsi alla noia e l'apatia a cui li aveva condotti la loro lunga vita? Cosa li avesse portati sull'orlo dell'estinzione era diventato argomento di discussione e di studio fra i più anziani e vecchi esponenti del suo popolo, tanto da spingerli a fare un passo impensabile per loro, quello di accoppiarsi con le figlie degli umani - così affini e simili a loro nell'aspetto quanto diversi negli intenti - che contavano molte donne e tanti bambini, quanti non se n'erano mai visti tra le file degli Asyr. Un'opportunità di rinascita che invece di salvarli, alla fine li aveva distrutti, riducendoli via via sempre più alla sudditanza, trasformando ciò che restava di loro da signori incontrastati di quelle terre a poco più che ignavi. Era questo che Madya fondamentalmente non sapeva, che i “Pallidi” altro non erano che i discendenti dei figli nati da quelle ibridazioni, figli che, tuttavia, col passare dei secoli avevano iniziato a rimembrare solo nell'aspetto ciò che restava del loro antico retaggio. Sì, perché solo in pochissimi erano in grado di usare le antiche arti magiche appartenenti ai loro grandi antenati, persone come lei o i cosiddetti “Figli dell'Oltre” ad esempio, che in quanto ultimi discendenti degli Asyr avevano ancora magia nelle vene.

“Essere uno degli ultimi Asyr sarà un peso che dovrai portare ancora a lungo sulle spalle, amico mio...” aveva esordito Senny, che proprio grazie a quelle rivelazioni aveva finalmente dato un senso alla sua vita.

I “Pallidi” avevano molto in comune con coloro che come la “Moltitudine” avevano sviluppato poteri magici dopo essere stati investiti dalle ondate energetiche provenienti dall'Oltre, poiché essendo nati come gli altri dall'antico sangue degli Asyr, ne erano i più stretti e diretti discendenti. Era sapendo questo che Senny aveva accettato la natura della sua condizione, forte di una verità che solo in pochi conoscevano.

“Non avremmo dovuto combattere, dovevamo accettare di estinguerci com'era giusto che fosse, invece, la nostra infinita arroganza ha finito per portare il mondo sull'orlo della distruzione...” gemette infine Valkya, che per quanto ci provasse proprio non riusciva a ubriacarsi.

Dimenticare, affogando i propri dispiaceri nell'alcol non gli era concesso. Quello era un privilegio degli umani, così come, dopo mille anni, ancora non gli era concesso di andarsene. Il dolore di quella consapevolezza lo prese improvvisamente alla gola, soffermandosi sul sorriso dolce e privo di ogni tipo di malignità della piccola Madya, che così scioccamente si fidava di lui. Ma per quanto non avesse nessuna intenzione di tradirla, l'omissione della verità che le nascondeva lo faceva ancora soffrire. E Senny come sempre ne rise, così com'era solito fare quando lo sorprendeva indugiare nostalgicamente in quegli antichi ricordi.

“Ci sarebbe piaciuto risparmiarle tutto questo, vero? Invece, la soluzione verterà proprio su di lei e cosa sceglierà di fare quando scoprirà chi è e cosa hanno fatto i suoi genitori per nasconderla la mondo...” terminò di dire Senny, acuendo improvvisamente i sensi più sensibili e sviluppati.

“L'ha aperto!” biascicò poi l'omuncolo, sobbalzando.

“A quanto pare...” aggiunse Valkya, alzandosi di scatto dal suo scranno.




L'onda d'urto sprigionata dalla tentata apertura del baule si propagò per chilometri, scrollando le fondamenta stesse della terra. Sebbene non ne avesse percepito subito il pericolo, la ragazza si trovò letteralmente schiacciata al suolo prima di essere violentemente sbalzata verso il soffitto, come se l'angusto ambiente che conteneva il baule da quasi dieci anni fosse improvvisamente esploso. Madya aveva percepito uno squassone anche prima, nello scendere le scale, ma come sempre non ci aveva fatto caso, allarmandosi definitivamente solo dopo che un'altra piccola scossa sussultoria aveva cercato di farle perdere l'equilibrio, spostandola definitivamente dal prezioso scrigno.

“Madya!” aveva urlato Altay, che sentendo il trambusto sottostante si era catapultato nella cantina.

“Non venire! Non credo sia sicuro... Ahhh!” aveva gridato poi la giovane, ritrovandosi sanguinante col sedere per terra.

“Sta lontana da quel coso allora, spostati da lì!” le aveva suggerito disperato il giovane assassino, cercando di convincerla a rinunciare.

“No, non ci penso neanche...” si incaponì invece lei, determinata a impossessarsi del suo contenuto.

Fu proprio ostinandosi che dal forziere iniziò a fuoriuscire una strana sostanza luminosa, sostanza che proprio a causa di quell'insistenza si mise presto a invadere tutti gli spazi, inglobandoli, lei compresa. Madya ne fu totalmente inghiottita, vedendo solo allora qualcosa di davvero strano e insolito all'interno di quella poltiglia trasparente, liberandosene solo dopo averle visto cambiare forma, polcerizzandosi all'istante a contatto col suo corpo e l'aria circostante. Da quanto stesse per annegare in quel liquido, Madya tornò poi a respirare, temendo il peggio nel costatare l'istantanea moria di tutti gli insetti presenti nella piccola stanza, tornando a pensare razionalmente solo dopo aver visto Altay in piedi incolume sulle scale.

“Cos'è successo? Cos'era quella roba?” domandò spiazzato il giovane Bradesch, che la guardava ancora incredulo.

“Non lo so, vivo in questa casa da quasi dieci anni, ma non era mai successo prima...”aveva risposto Madya barcollando.

“Si tratta di una maledizione potente: sei stato fortunato a non schiattare, ragazzone! Io e Madya invece, possiamo restare” intervenne Valkya, che come sempre era apparso dal nulla.

Madya non si chiese nemmeno perché non fosse stupita di vederlo; Valkya le aveva spiegato quanto e come il suo odore pungente lo raggiungesse sempre ovunque, come in quel caso ad esempio, anche s'era probabile che anche lui avesse avvertito il terremoto causato dall'apertura del baule che lei e Altay stavano cercando.

“Perché lui non può, spiegamelo” s'incuriosì la giovane.

“Perché è solo un umano Madya, e della peggior specie...” tagliò corto il generale, oltrepassandolo.

Al passaggio del generale Altay restò impietrito, incapace di muoversi dall'ultimo gradino mentre tremava di rabbia nell'aspirare quel forte lezzo dal sapore acre. Afferrando istintivamente l'elsa della spada che custodiva gelosamente nel suo fodero, Altay sentì la lama tintinnare nel seguire lo spasmo del suo potente braccio. Lama che, malgrado tutto, alla fine lui non sguainò. Il passaggio di Valkya in quel momento lo aveva terrorizzato, facendolo sentire impotente di fronte a lui. Valkya non era solo in quell'istante, un'aura spaventosa lo accompagnava ad ogni passo che faceva verso il baule contenente l'arazzo, e per quanto ci provasse, qualcosa gli impedì di agire.

“Credo sarebbe meglio lasciassi la cantina adesso, sono certo che al piano di sopra non ci siano pericoli per te al momento. Perciò ti consiglio vivamente di sbrigarti a salire, piccolo assassino...” aveva aggiunto poi il “Celato”, raggelandogli definitivamente il sangue.

Madya notò tutto, lo sguardo pieno di spavento del primo e quello disumano dell'altro, con quegli occhi rosa lampone ridotti a fessure affilate che sprigionavano lampi simili a fulmini. La ragazza avvertì un vuoto simile al primo spostarla ancora al suo passaggio, mentre Altay risaliva al piano di sopra sfogandosi con orribili epiteti rivolti sia al “Pallido” cha al cielo.

“Bravo bambino! Procediamo ora, non abbiamo molto tempo, e tu lo sai” insinuò poco dopo Valkya, prendendola improvvisamente per mano.

Intrecciare le dita con le sue la fece trasalire, immergendola nuovamente nel sogno di prima, quando era stata travolta da quel liquido gelatinoso credendo di affogare. Era stato come tuffarsi ancora nel nulla, aprendole uno spazio sconosciuto davanti, che dal buio più totale si tramutò in un prato immenso e un cielo terso, con un solo albero fiorito all'orizzonte. Dalla piccola cantina era passata a un piano d'esistenza superiore, ritrovandosi a contemplare a distanza la figura di un uomo e di una donna di cui non riusciva a riconoscere bene i tratti. Solo avvicinandosi li vide chiaramente, scoprendo quanto lui fosse alto e bellissimo, con gli stessi occhi rosa di Valkya e gli stessi capelli, che come i suoi erano argentei e lunghissimi. Mentre la donna era certa fosse la madre, benché molto più piccola e giovane di quanto ricordasse. “C'è ne avete messo di tempo!” aveva esordito proprio la figura femminile, sorridendole poi dolcemente.

“Beh, ecco, io non...” balbettò Madya, in preda all'ansia.

“Tranquilla, quello che vedi non è reale, si tratta di un sogno, un ricordo inserito dai tuoi genitori nel baule. Era contenuto nel liquido magico che hanno creato per conservarlo insieme al pezzo del cerchio andato distrutto...” le aveva spiegato brevemente Valkya, stringendo ancor più saldamente la sua piccola mano nella propria.

Solo allora Madya realizzò di essere tornata bambina, anche se con colori e fattezze del tutto diverse. Era consapevole di essere in un sogno, ma provò comunque a muoversi, sentendo il bisogno di correre in contro alle due figure gridando e ridendo, colma di una spensieratezza mai sentita prima. Impeto spezzato dalla presa sempre più serrata di Valkya però, che di fatto le impediva con la forza di allontanandosi da lui.

“Prego, accomodatevi sulla coperta, abbiamo portato biscotti di riso dolce accompagnati da infuso di Perilla...” li invitò ancora la donna, indicando il piccolo accampamento approntato per il pic nic sotto l'albero.

“Tieni Madya, sono i tuoi preferiti!” aggiunse invece l'uomo, dal fare decisamente paterno. In cuor suo Madya aveva capito, le due persone del sogno dovevano essere i suoi genitori, o meglio, i genitori della bambina in cui si era trasformata. Quella bambina aveva la pelle decisamente troppo chiara per essere lei, per non parlare dei suoi capelli, di un candido bianco argentato.

“I miei preferiti?” aveva replicato, per poi cedere all'assaggio.

Capì di ricordarne perfettamente il sapore, divorandone avidamente un secondo e poi un terzo e un quarto, e così via, senza mai sentirsi veramente piena o completamente appagata. Non era reale, niente di ciò che vedeva o sentiva lo era, eppure, in un altro contesto avrebbe giurato che lo fosse. Immersa nei suoi pensieri Madya si rese conto di non aver colto il senso della breve conversazione avvenuta tra loro e Valkya, sapeva solo che alla fine la donna e l'uomo le avevano regalato qualcosa di ingombrante avvolto in un fagotto.

“Ecco, questo è tuo! Conservalo per bene, capito? Ora va, il tempo è scaduto e la strada è lunga...” le aveva infine detto l'uomo, che a guardarlo bene aveva decisamente l'aspetto di un "Pallido".

Accadde solo dopo, nello svanire, che il sogno si trasformò in qualcosa di orribile. Una nube nera, una pioggia incessante e un tuonare così forte da ferir le orecchie. Madya vide poi il pavimento liquefarsi, ritrovandosi immersa ancora una volta nella melmosa solitudine di un'oscurità sempre più abbagliante. Solo aprendo finalmente gli occhi comprese di non aver mai lasciato la stanza, osservando sbigottita il grosso e puzzolente ammasso di stracci che le era apparso ai piedi.

“Mio dio è questo: è l'arazzo di mia madre!” aveva poi esclamato Madya, rivolgendosi ingenuamente proprio a Valkya.

“Così sembra...” le aveva confermato Dunagan, che come al solito, aveva di nuovo cambiato espressione.

Fu ripulendo l'intero fagotto dalla melma magica che lo aveva avvolto per anni che il magnifico tessuto risorse, notando quasi subito quanto fosse danneggiato. Era rovinato al punto da comprometterne quasi irrimediabilmente il ricamo, e questo per via della violenza con cui era stato strappato. Quel malandato pezzo di stoffa era stato squarciato da una forza immane, pensò Madya. Nulla che una bambina ne tanto meno un adulto potessero fare a mani nude, ne concluse poi. Era per via di quel grave danneggiamento che si era optato per la cauterizzazione delle frange affinché non si sfaldassero? Doveva essere così visto che i preziosi fili usati per i ricami erano rimasti insieme solo grazie a quel lavoro certosino, verificando quanto per salvarlo si fosse optato per un altro materiale. Sembrava una sorta di pelle conciata, di un animale sconosciuto o addirittura di un mostro dell'Oltre dal momento che era piena di simboli magici di protezione. Simboli che, malgrado il tempo, sembravano emettere ancora luce e calore se li si toccava anche solo sfiorandoli. Insomma, qualcuno si era dato un gran da fare per salvare ciò che restava del vecchio pezzo d'arazzo intessuto da sua madre, impedendo di fatto che si disfacesse col tempo grazie a qualche maleficio. Madya aveva riscontrato anche quanto il lembo di stoffa fosse grande rispetto a come lo ricordava, prendendone meglio le misure una volta averlo steso per intero sul piccolo tavolo della sua cucina. Non aveva trovato Altay al suo ritorno al piano di sopra; il giovane era certamente uscito a cercare Antarik e gliene fu grata, perché anche lei voleva vederlo.

“Sono stata io, ma è impossibile...” mormorò poco dopo la ragazza, ancora incredula.

“A fare cosa?” chiese Valkya incupito.

“A strapparlo...” rispose lei, del tutto confusa da quel ricordo improvviso.

“Non dire sciocchezze, ragazzina! Guardami Madya, adesso!” le aveva frettolosamente intimato Dunagan, afferrandola poi con forza per le spalle.

“Sì, io... io non ho fatto nulla... Non sono stata io...” aveva ripetuto Madya fissando quello sguardo profondo e terribile, ripetendo quelle parole quasi fosse un pappagallo ammaestrato.

Di nuovo, Madya si sentì confusa, mentre le immagini di quegli istanti passati nel sogno fuggivano via dalla sua mente, sfumando nell'oblio di un passato ormai troppo lontano e difficile da ricordare. Si trovò occhi negli occhi con Valkya quando sentì qualcuno fare irruzione in casa sua, avvisato da Altay, Antarik non ci aveva messo molto a raggiungerla dopo il tremendo terremoto che aveva investito Murwara. Non erano crollate case o c'erano state vittime, ma il terrore non aveva risparmiato nessuno, sprofondando l'intera popolazione della capitale di Patnar nello sgomento più totale.

“Toglile le mani di dosso, subito!” gridò Altay nel vedere Madya fra le braccia del “Pallido”.

“O cosa, piccolo insolente di un Bradesch?” aveva risposto il generale, inconsapevole dell'aspetto demoniaco che aveva assunto dopo aver usato la magia.

“Smettetela, tutti e due! Come sta Madya: è cosciente?” si preoccupò invece Antarik, nel vedere la giovane fissare ancora il vuoto.

“Sì, anche se non del tutto, prendetevi cura di lei e nel frattempo inventate una storia che sia plausibile quando chiederà spiegazioni. Madya non deve sapere la verità sulle sue vere origini, non adesso, non è ora...” annaspò Valkya, che nel tornare normale si era accasciato a terra esausto.

Altay guardò sbigottito suo padre, poi però afferrò la spada. Valkya era inerme, avrebbe potuto ferirlo o addirittura ucciderlo in quello stato, ma un pensiero imperscrutabile d'improvviso lo fermò. Questa volta non era stata la paura a trattenerlo, bensì il buon senso, e certamente, se fosse stato necessario non avrebbe più esitato in futuro. Il “Celato” non era un semplice “Figlio dell'Oltre”: il giovane aveva già visto qualcuno usare la magia, ma mai altrettanto bene. Ricordava “La Moltitudine” ad esempio, il giorno in cui aveva fermato il tempo apparendo dal nulla attraverso il sinistro tunnel di luce che aveva creato. O altri, che aveva conosciuto e ucciso in passato in qualità di Bradesch, i cui poteri non uguagliavano nemmeno lontanamente quelli dei due uomini. I figli dell'Oltre avevano qualità innate, ma nessuno era mai stato in grado di cancellare la memoria di qualcuno trasfigurandosi in un demone per farlo. Chi era veramente Valkya, e perché aveva osato insinuare che Madya non fosse umana?

“Madya ricorderà poco o nulla al suo risveglio, e tu non le dirai niente! Ti spiegherò tutto più tardi, ora però, dobbiamo andare, o finiremo nei guai figlio mio. E in guai grossi...” aggiunse perentorio Antarik, sperando che il ragazzo capisse.


 
   
 
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