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Autore: Nina Ninetta    14/02/2024    4 recensioni
Anita è una studentessa di 16 anni che vive un profondo disagio sociale e se ne sta fin troppo spesso per conto proprio. Completamente sola, all’inizio del terzo anno, si trasforma nella vittima perfetta di un gruppetto di bulli che la vessa con dispetti e insulti di ogni genere. Il peggiore fra tutti, secondo Anita, è Stefano: un ragazzo scaltro e intelligente che sa usare fin troppo bene le parole, cosa in cui anche lei è brava! Qualsiasi altra persona, al posto di Anita, si sarebbe lasciata avvilire da questa situazione, ma non lei, poiché non si sente affatto sola, c’è il suo migliore amico a darle man forte: ȾhunderWhite! Un ragazzo con cui chatta ormai da tempo e che ha conosciuto in rete, su un sito per giovani scrittori come lo sono loro! Sebbene vivano nella stessa città, Torino, non si sono mai incontrati di persona, fin quando ȾhunderWhite non sente il desiderio di vederla dal vivo...
Questa storia partecipava alla challenge “Gruppo di scrittura!” indetta da Severa Crouch sul forum “Writing Games - Ferisce più la penna” - aggiornamenti ogni 15 giorni.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Buongiorno a tutti! Chiedo scusa se sono sparita per due mesi, non ho scuse plausibili... da oggi mi impegnerò a pubblicare regolarmente ogni 15 del mese. 
Grazie ai quanti continuano a seguire questa long,
Nina^^




Ȼapitolo Ɲove

In viaɡɡio


 
 
Anita Lentini trascorse l’estate del 2003 in casa. Ogni tanto andava al Po con la madre e un’amica di questa, supplicata dalla donna che pareva sempre più preoccupata per la solitudine della figlia, ma accompagnata da una paura profonda di incontrare qualche compagno di classe. Per fortuna, non accadde mai, soprattutto perché loro andavano la mattina presto e tornavano prima di pranzo.
Sua sorella Alessia, al contrario, usciva praticamente sempre. Di giorno andava al fiume o all’acquapark con le amiche e di sera in giro per la città, nonostante le lamentele dei genitori. Una volta sua madre le disse di chiedere ad Anita se volesse andare con lei e la minore delle due le rispose che ci aveva già provato, ma quella le aveva risposto in modo sgarbato di farsi i fatti suoi, sbattendole la porta della stanza in faccia.
In effetti, Alessia quell’estate era particolarmente allegra, più del solito. Già di base aveva un’indole solare e socievole, l’esatto contrario della sorella maggiore insomma, ma in quei giorni lo era ancora di più. Tutto era cominciato la sera della festa della scuola. Tornando a casa, si era diretta nella stanza di Anita, dove l’aveva trovata sepolta sotto le coperte nonostante l’aria tiepida.
«Ani, ehi?!» Le si era inginocchiata accanto. «Com’è andata la serata con Ⱦhunder?»
«Lasciami stare!» era stata la risposta stizzita della sorella più grande.
«Non si è presentato?» Silenzio. «La festa invece è stata super! Indovina chi si sono messi insieme?» Ancora silenzio. «Quei tuoi compagni di scuola: Barbara e Stefano. Sono una coppia bellissima! Sembrano usciti da un telefilm! Fabio mi ha detto che era solo questione di tempo, che anzi si era sempre chiesto perché Stefano ci avesse messo tanto a dichiararsi. Tu lo sapevi che si piacevano?» Silenzio. «Eh, Ani? Lo sapevi?»
«Ti ho detto di lasciarmi stare!»
«Ok, ok! Me ne vado…» Alessia allora era sgusciata fuori dalla stanza senza aggiungere altro.
Se Anita non fosse stata troppo triste per la rivelazione della vera identità del suo amico Ⱦhunder e ancor di più per la notizia che dopo averla incontrata era corso fra le braccia di Barbie, avrebbe notato un passaggio nel racconto di Alessia che non tornava. Ossia, il fatto che Fabio gli avesse detto delle cose. Non ciò che le aveva riferito – cose che pensava anche lei – ma piuttosto che ne avesse parlato con la sua sorellina.
Perché Fabio Morini e sua sorella Alessia avevano chiacchierato alla festa? Cos’era accaduto tra di loro?
Inoltre, Alessia usciva tutte le sere proprio con gli amici di scuola di Anita. Fu lei stessa a dirglielo, quando la invitò più di una volta a uscire insieme. Anche quello sarebbe dovuto essere un campanello d’allarme, ma Anita era troppo distratta e depressa per coglierlo e tutti quei particolari passarono in sordina.
Tuttavia, il tempo trascorse – a dispetto di ciò che l’essere umano desidera – e settembre giunse inesorabile come una ghigliottina, a dividere l’estate dall’inizio del nuovo anno scolastico.
Prima dell’inizio della scuola, c’era un altro evento che spaventava a morte Anita e che se avesse potuto avrebbe evitato volentieri: il weekend a Sorrento, per la premiazione del concorso letterario al quale aveva partecipato con un racconto. Sia lei, sia Stefano Parisi erano stati invitati alla cerimonia, tutto pagato dall’associazione no profit che aveva indetto la gara. Ad accompagnare i due studenti sarebbero stati i professori di letteratura italiana Giovanna Dell’Arco e l’insegnante di spagnolo Elia Morales, al quale era stato chiesto proprio dalla collega di andare con lei, poiché i vincitori erano due alunni, servivano due accompagnatori. Certo, non si sapeva se fossero sul podio e se quindi avessero davvero vinto i premi in palio, ma erano stati selezionati fra i primi dieci partecipanti ed era qualcosa di cui andarne più che fieri. L’appuntamento era alle sei al binario uno della stazione Porta Susa. Anita tentò più volte di convincere i suoi a non lasciarla partire. Con quale faccia avrebbe affrontato un viaggio di otto ore e due giorni interi con Stefano Parisi?! Anche quella mattina, alle cinque e un quarto, con davanti un tazzone di latte e cereali, chiese alla madre di trovare una scusa plausibile da raccontare alla professoressa.
«Basta, Anita! È una cosa bella! Hai sedici anni, se non ti godi adesso la vita, quando?»
«Ancora con questa lagna!» Alessia entrò in cucina, sbadigliando vistosamente e con i capelli spettinati. Anche così, pensò Anita, era bellissima. «Se non vuoi andare tu, ci vado io!»
«Davvero?» Anita la guardò quasi speranzosa.
«Smettetela, tutte e due! Anita andrà a questa cosa perché è lei che ha vinto il concorso!» Intervenne la madre.
«Non ho ancora vinto niente.»
«Sei arrivata fra i primi dieci però, è già un grande risultato» aggiunse la donna, provando a infondere un po’ di autostima in quella figlia fin troppo introversa.
«Magari i partecipanti erano solo dieci» sghignazzò Alessia, beccandosi un’occhiataccia da parte della mamma, la quale invitò lei a tornare a letto e Anita a finire presto la colazione.
A quell’ora la stazione era semideserta, considerando anche il fatto che era il primo weekend di settembre e quindi le persone non erano rientrate ancora tutte dalle vacanze estive. Giovanna Dell’Arco si accese la prima sigaretta della giornata, lanciando l’ennesimo sguardo all’orologio della ferrovia. Mancavano dieci minuti alle sei e il loro treno era già arrivato. Stefano Parisi ed Elia Morales erano saliti a bordo, sedendosi ai posti loro assegnati, nel frattempo lei aveva preferito attendere Anita Lentini sui binari. La vide arrivare mogia mogia, con la testa china mentre trainava il trolley rosso e blu, preceduta dalla madre che al contrario era tutta vispa e trafelata.
«Professoressa Dell’Arco, scusate il ritardo» disse, quasi spingendo in avanti la figlia che a malapena balbettò un buongiorno.
«Siete in perfetto orario, signora. Ciao Anita!» Giovanna schiacciò la cicca nel posacenere alla sua destra senza smettere di sorridere per educazione. Una strana sensazione di disagio l’accompagnava ormai da qualche giorno pensando a quel viaggetto in Campania e non riusciva a spiegarsene il motivo. Adesso, però, vedendo la sua alunna credette di aver dato una risposta a quell’emozione negativa. Sbagliandosi.
«Vogliamo salire? Stefano e il professor Morales sono già su.»
A quella notizia Anita sbiancò. Aveva sperato fino alla fine che Stefano Parisi avesse dato forfeit, che come lei avesse pensato che sarebbe stato meglio evitare quella pagliacciata. E invece lui era già lì. Il bacio che la mamma le lasciò sulla testa la ridestarono da quei pensieri, alzò il capo per guardarla negli occhi e quasi scoppiò a piangere supplicandola di riportarla a casa. Invece, seguì la professoressa fin sul treno, mentre sua madre la salutava ancora con la mano sperando in cuor suo di aver fatto la scelta giusta a costringerla quasi ad andare.
Anita lo vide da lontano, intanto che seguiva Giovanna lungo il corridoio del vagone e tirava dietro di sé la valigia. Gli altri posti erano perlopiù vacanti, fatta eccezione per pochi casi. Elia Morales alzò un braccio per farsi notare, era sorridente e allegro come di consueto; accanto a lui sedeva Stefano Parisi, gli occhi chiusi e la testa adagiata contro il vetro, con le braccia conserte sul petto, sembrava dormisse. Elia salutò Anita, chiedendole come stesse e come fosse andata quell’estate.
«Niente sole?» Scherzò, riferendosi evidentemente alla carnagione pallida della ragazza, la quale scosse il capo. Gli altri tre erano tutti abbronzati, chi più chi meno. L’aiutò a sistemare il trolley nell’apposito scompartimento in alto e si riaccomodò al proprio posto. Di fronte, si sedettero Anita e la professoressa, quest’ultima invitò con un cenno della mano la giovane ad accomodarsi vicino al finestrino, il posto più ambito da ogni viaggiatore; al centro, fra i quattro, c’era un tavolino dove poter appoggiare eventuali oggetti. Stefano, che in verità non stava dormendo affatto, sbirciò da un occhio la compagna di classe che gli si era seduta di fronte. Anita accennò un sorriso imbarazzato, ma lui riabbassò le palpebre e dopo un po’ si addormentò per davvero.
Giovanna Dell’Arco, sempre molto attenta a ogni minino particolare, non poté non notare la freddezza fra quei due, né l’aria avvilita di Anita Lentini. Eppure, li aveva lasciati alla fine della scuola che andavano abbastanza d’accordo, non erano grandi amici, questo no, ma ricordava ancora perfettamente la complicità nata durante le partite di pallavolo. Inoltre, i dispetti nei confronti di lei si erano placati parecchio. Perché adesso non si salutavano neanche? Fra quei due era successo qualcosa, per forza! Lanciò uno sguardo d’intesa al collega, ma quest’ultimo, in quanto uomo appunto, non sembrava aver recepito l’imbarazzo che correva fra i suoi giovani alunni. E come avrebbe potuto, fra l’altro? Era giovane a sua volta…
“Perfetto” pensò divertita, “trascorrerò il weekend a fare da babysitter”.
 
A Firenze il capotreno annunciò ai gentili passeggeri che la sosta sarebbe stata più lunga a causa del leggero anticipo con cui il mezzo viaggiava.
«Da non crederci! Evento più unico che raro!» Scherzò Giovanna, alzandosi in piedi e stiracchiando braccia e schiena.
Intanto, Stefano si era svegliato già diverse città prima, rimanendo con la testa contro il finestrino e lo sguardo fisso sul paesaggio che gli scorreva davanti, anche quando avevano attraversato le lunghe gallerie liguri. Anita, invece, aveva messo le cuffie e cercato di rilassarsi con le sue canzoni preferite. Molte delle quali, tra l’altro, le erano state consigliate ai tempi da Ⱦhunder. Incredibile, davvero! Ⱦhunder era seduto proprio di fronte a lei, ma non si erano neanche rivolti la parola.
«Va a fumare, prof?» Stefano finalmente si staccò dal vetro e guardò Giovanna, la quale annuì. «Posso venire con lei?»
L’insegnante lo guardò con un’espressione indecisa, il pacchetto di Winston Blue già nelle mani.
«E dai, prof!» Intervenne Elia, in favore del ragazzo. «Non siamo a scuola! Facciamoglieli godere spensierati questi due giorni. Rilassiamoci anche noi!»
«Va bene! Dai, vieni!» Poi si voltò verso Anita. «Lentini, vuoi prendere una boccata d’aria anche tu?»
«N-no, no. Grazie!»
«Vuoi qualcosa da bere? Da mangiare?» Continuò la professoressa.
«No, no. Grazie!»
Giovanna Dell’Arco la fissò per qualche secondo, prima di rivolgersi al collega, il quale le disse di stare tranquilla, le avrebbe tenuto compagnia lui. Solo, se gentilmente, gli portava un caffè.
 
L’insegnante di letteratura italiana si accese la sigaretta e poi passò l’accendino a Stefano, il quale ringraziò e glielo tornò indietro. Per i primi secondi nessuno dei due parlò, si limitarono ad assaporare il gusto acre del fumo. La stazione di Santa Maria Novella era piena di turisti, treni che partivano e altri che ne giungevano. L’aria era satura di odori e la temperatura decisamente più calda di quella di quando si erano messi in viaggio.
In realtà, la professoressa stava solo soppesando le parole adatte per introdurre l’argomento Anita Lentini. Quei due si evitavano volutamente, in particolare Stefano non l’aveva degnata neanche di uno sguardo che fosse di sfuggita.
«Penso abbiate entrambi, tu e la Lentini, ottime probabilità di arrivare fra i primi tre, sai?» Cominciò.
«Ha letto anche gli altri racconti in gara?» Fece Stefano.
«No, però i vostri sono buoni e credo abbiano centrato il tema del concorso, ovvero l’importanza della comunicazione ai giorni nostri e il ruolo fondamentale che svolge la tecnologia in questo campo.»
Stefano Parisi inspirò l’ultima boccata di fumo e spense la sigaretta premendone la punta nel posacenere. Una domanda continuava a martellarlo da quando la professoressa aveva dato sia a lui sia a Sfigatella l’invito a quella cerimonia. Di cosa parlava il suo racconto? Se avesse potuto leggerlo, non avrebbe esitato a farlo. All’inizio perché era curioso di leggere qualcosa scritto da quella ragazza che lui aveva sempre reputato insulsa, noiosa; poi, avendo scoperto che si trattava di Storm – e conoscendo la sua abilità nella scrittura – conoscere la trama della sua storia.
«Sarei curioso di leggere il racconto della Lentini» disse tutto d’un fiato, attendendo la risposta della professoressa, la quale sembrò prendersi del tempo tirando una boccata di fumo.
«Chiediglielo. Potreste scambiarvi i racconti, confrontarvi…»
“Già fatto” pensò Stefano, ricordando i numerosi pomeriggi passati in chat a darsi consigli a vicenda. Lei era molto brava nell’introspezione, lui nelle descrizioni.
«Se sei curioso, comunque, posso dirti che il racconto di Anita ruota intorno alla disabilità di una ragazza che grazie alla tecnologia riesce a comunicare con gli altri, a farsi degli amici, veri, sinceri, che le si affezionano per ciò che ha dentro, senza giudicarla solo da un punto di vista estetico. Creano una specie di gruppo di chat dove si ritrovano ogni giorno e, alla fine, la protagonista trova il coraggio che le mancava per affrontare la vita, nonostante i suoi limiti.»
Stefano ascoltò senza batter ciglia. C’era qualcosa di tremendamente familiare in quella storia da ammutolirlo, ed era facile riconoscere nella disabilità della protagonista la metafora del bullismo di cui era vittima Anita.
«Simile, ma dai contenuti differenti, il tuo racconto. Più leggero, se vogliamo, per i temi trattati, ma comunque significativi. Un ragazzo e una ragazza che si conoscono su internet per puro caso, cominciano a parlare e capiscono che possono essere quelli che sono davvero, senza dover fingere di essere forti e invincibili, perfetti, come troppo spesso accade nella vita reale. Dietro a uno schermo le difese possono abbassarsi e perciò essere se stessi per davvero. Ne nasce una bella amicizia che, alla fine della storia, si trasforma in qualcosa di più.» Giovanna Dell’Arco sorrise. «Romantico.» Aggiunse, spegnendo a sua volta la sigaretta. «Credo che ognuno di voi abbia cercato di riportare un po’ di sé in questi due racconti. Tu con il tabù del ragazzo perfetto, e Anita con il sentirsi sola ed esclusa.»
«È sola perché è una bugiarda e una manipolatrice!» Buttò fuori Stefano, mettendo in bella mostra tutto il rancore che provava nei confronti di Storm. Era adirato con lei come se gli avesse fatto un torto personale, eppure lei non sembrava arrabbiata con lui. L’insegnante stava per controbattere, quando il fischio del capotreno li esortò a tornare a bordo, il viaggio verso Napoli sarebbe ripreso da lì a pochi minuti.

 
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