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Autore: Bankotsu90    28/02/2024    0 recensioni
Ispirata al romanzo "World War Z" di Max Brooks, questa storia (primo capitolo di una saga) è una raccolta di testimonianze, provenienti da varie parti del globo, attraverso cui vengono narrati gli eventi che, nel manga originale (che ho riletto più volte), precedettero e seguirono l'attacco globale dei demoni (e l'attacco stesso).
Genere: Horror, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Genova
 
Ammetto di sentirmi emozionato di trovarmi in questa città, luogo di nascita del celebre navigatore Cristoforo Colombo:  colui che, il 12 ottobre 1492 scoprì l’America, il Nuovo Mondo, aprendo la strada alla colonizzazione europea. Al centro di Piazza De Ferrari (una delle principali piazze del capoluogo ligure) sorge il monumento alle vittime dell’assalto dei demoni, avvenuto un ventennio fa. Un obelisco di granito nero alto 30 metri con sopra una scritta in lettere argentee:
 
Dedicato alle innumerevoli vite innocenti che furono stroncate dal brutale attacco dei demoni, avvenuto il 10 luglio 1983.
 
Per qualche minuto rimango ad osservarlo. Monumenti come questo sorgono in tutte le maggiori città italiane, per onorare la memoria delle migliaia di persone (sia civili che soldati, sia adulti che bambini) massacrate dalle orde demoniache nell’estate dell’83. È ai piedi di tale obelisco che incontro Salvatore lo Foco, ex capitano di vascello della guardia costiera, un tempo operante ad Agrigento (Sicilia). È un uomo sulla cinquantina, coi capelli  brizzolati e occhi azzurri come il cielo.
 
Dubito che tutti comprendano l’importanza strategica della penisola: situata al centro del Mediterraneo, e col traffico commerciale da e verso Suez che deve passare attraverso il Canale di Sicilia. La potenza che controlla l’Italia (e in particolare la Sicilia) può piazzarvi basi navali e aeree, controllando di fatto quello che gli antichi romani chiamavano Mare Nostrum.” Spiega.
 
Mi rivolge un sorrisetto ironico.
 
Ed è ciò che avete fatto voi yankee, dopo il 1945.
 
Qual era il vostro compito, all’epoca?
 
Il solito… Ricerca e soccorso, garantire la sicurezza della navigazione nel canale, cose così. Certo, a rendere il lavoro più arduo c’erano le tensioni dell’epoca…
 
Si riferisce alle tensioni tra NATO e Patto di Varsavia?
 
Scuote il capo.
 
Mi riferisco alla Libia… A quel pazzo di Gheddafi (non che l’attuale Repubblica Islamica sia migliore), con il suo odio verso l’America… E l’Italia. Sin dal 1980 il Mediterraneo, a causa sua, era diventato una polveriera. Incidenti vari si erano verificati, e noi della Guardia Costiera eravamo sempre in stato di allerta… Più del solito. Il rischio i uno scontro con i miei… Colleghi libici era sempre presente. All’inizio neanche mi accorsi dei delitti misteriosi, sa?
 
Lo guardo con stupore.
 
Ah, no?
 
Lui annuisce.
 
No… Sa, a furia di leggere di omicidi sulla Gazzetta del sud mi ero scocciato dei fatti di cronaca nera. Non mi interessavo dell’estero. La politica, con i suoi continui litigi e l’ipocrisia mi nauseava. Quanto alla probabile Terza Guerra Mondiale… Ero scettico. In passato c’era già stata la crisi di Cuba, nel ’62, e tutto si era risolto pacificamente. Mi interessavo solo del mio lavoro e dello sport (ero e sono un tifoso della Juventus): l’unico giornale che leggevo assiduamente era la gazzetta dello sport.
 
E la TV?
 
Seguivo assai poco i telegiornali… Guardavo qualche film, qualche sceneggiato, qualche programma ( 90° minuto, Linea Verde, Quark), le partite. Questo quando non ero in servizio.
 
Fa una pausa.
 
Tutto è cambiato dopo quel giorno, il 12 novembre 1982. A bordo  del mio pattugliatore, con altri 28 agenti, stavamo pattugliando il Canale, quando ricevemmo un segnale di SOS. Una volta individuata la posizione del segnale ci muovemmo in quella direzione, fino a imbatterci in una petroliera battente bandiera panamense, la Gladys: un titano lungo 243 metri e largo 34, al confronto la nostra imbarcazione era una misera scialuppa. Se ne stava ferma in mezzo al mare, e sul ponte non sembrava esserci anima viva.
 
Prende dalla tasca dei pantaloni un pacchetto di sigarette Camel (statunitensi, non italiane), ne accende una e tira una boccata.
 
Per prima cosa tentammo di contattare via radio l’equipaggio. Non ottenemmo risposta. per qualche minuto osservai in silenzio la petroliera, poi decisi di salire a bordo, portando con me altri 14 agenti, armati di fucili d’assalto Beretta AR 70/90 (io brandivo una Beretta 92).
 
Lo guardo con perplessità.
 
Come mai un simile schieramento di forze?
 
Si stringe nelle spalle.
 
Un segnale di soccorso, una nave ferma in mezzo al mare, nessuna risposta ai nostri messaggi… Sembrava l’inizio di un film horror. Qualcosa di inquietante c’era in quella situazione.
 
Sbuffa.
 
Se i membri dell’equipaggio non rispondevano poteva significare solo due cose: o avevano abbandonato la nave o erano morti.  Nel primo caso, la domanda era: chi o cosa li aveva spinti alla fuga? Nel secondo: chi o cosa li ha uccisi? Ma dovetti scartare quasi subito la prima ipotesi.
 
Per quale motivo?
 
La Gladys era intatta e, osservando col binocolo, notai che le scialuppe di salvataggio erano ancora al loro posto. E, quando salii a bordo con i miei uomini, ebbi la definitiva conferma che non erano fuggiti.
 
In che modo?
 
Mentre camminavamo lungo il ponte, notammo i cadaveri di alcuni marinai. Lì per lì sospettai fosse opera dei libici, o di qualche gruppo terrorista. Ma, osservando attentamente lo stato dei corpi, mi resi conto che non erano stati sparati o accoltellati. Qualcosa li aveva sbranati. Uno in particolare, aveva uno squarcio nel fianco da cui biancheggiavano le ossa. A un altro era stato strappato via un grosso lembo di spalla. Tutti erano mutilati, in qualche modo.
 
Cosa faceste allora?
 
Ordinai ai miei di dividerci, così da esplorare in minor tempo la nave. Lo so, fu imprudente, specie dopo lo scempio cui avevamo assistito, ma se avessimo perlustrato l’area zona per zona avremmo impiegato troppo tempo.
 
Tira un’altra boccata, emettendo dopo poco una nuvoletta di fumo.
 
Scortato da un paio di agenti, raggiunsi per prima la sala comunicazioni. Il segnale di SOS doveva essere stato lanciato da lì. La prima cosa che notai fu il cadavere decapitato del marconista… Giaceva a pancia in giù davanti alla radio di bordo, anzi a ciò che ne restava. Qualcuno l’aveva distrutta. Di fronte a quello scempio, pur mantenendo un’aria impassibile, provai un misto di orrore e preoccupazione. Chi aveva compiuto quella strage poteva essere ancora a bordo.
 
Che fine aveva fatto la testa del marconista?
 
Scomparsa. Col senno di poi era stata divorata. Comunque: io e i miei ci spostammo nella cabina del capitano. La porta era stata scardinata e giaceva al suolo.  In un piccolo scaffale erano ammucchiati dei libri, alcuni in inglese, altri in cinese. Su una parete era appesa una cartina dell’emisfero orientale, con delle X rosse che indicavano Singapore, Gibilterra e Riga.
 
E il capitano?
 
Chiude brevemente gli occhi, poi risponde:
 
Il poveraccio giaceva in un angolo… Il cadavere, come gli altri, era martoriato. Vicino a lui stava una pistola… Una SIG P210, di fabbricazione tedesca. Era scarica. Aveva tentato di difendersi, invano, dagli aggressori. Gli frugai nelle tasche, estraendo il portafoglio: esso conteneva alcune banconote (dollari di Singapore, come avrei scoperto dopo) e una foto che ritraeva il capitano con la moglie e la figlia in piedi vicino a un molo. Tutti e tre fissavano l’obiettivo sorridenti. Yong Xin si chiamava lui. Gli rivolsi una preghiera silenziosa (anche se, molto probabilmente, non era stato un cristiano), mi alzai in piedi. Stavo per dare l’ordine di tornare a bordo del pattugliatore per informare la capitaneria del ritrovamento, quando all’improvviso dall’esterno risuonarono delle grida seguite da delle raffiche di fucile d’assalto. Corsi alla finestra e guardai fuori, giusto in tempo per vedere una sagoma grigia correre sul ponte e tuffarsi in acqua. Dopo pochi istanti due miei agenti, con gli AR in pugno, corsero fino al parapetto e spararono un altro paio di raffiche, per poi abbassare i fucili. Io misi mano al mio walkie-talkie, domandando cosa fosse accaduto. Uno dei due, il guardiamarina Giovanni Ferrari mi rispose che, mentre perlustrava gli alloggi dell’equipaggio, si erano imbattuti in un mostro,  una specie di fusione tra Arnold… Arnold… Me n'imbelino, come accidenti si chiama quell’attore? Quello che appariva in Conan!
 
Intende Arnold Schwarzenegger?
 
Salvatore annuisce ancora.
 
Tra lui e uno squalo. Chiesi conferma all’altro guardiamarina, Carlo Ferrari, fratellastro del suddetto, e lui mi confermò l’avvistamento.
 
Scuote il capo.
 
Allora non lo sapevo, ma ero stato testimone dell’avvistamento di un demone… Un demone che si era fuso con uno squalo. Lui era il responsabile dell’uccisione dell’equipaggio della Prestige (una ventina di vittime)… Oppure loro. Non ne sono sicuro, ma è probabile che i demoni che assaltarono la petroliera fossero più di uno, e che quello incontrato dai miei uomini fosse un ritardatario.
 
Cosa faceste, dopo?
 
Feci ritorno sul pattugliatore coi miei, e informai via radio la capitaneria di porto della strage, omettendo però dell’avvistamento del mostro… Dopotutto, chi ci avrebbe creduto? Prove non ce n’erano. Se lo avessimo detto, ci avrebbero risposto che avevamo avuto delle allucinazioni, o che avevamo scambiato un comune umano per un mostro. Tuttalpiù avrebbero dichiarato che il colpevole era una specie animale sconosciuta, o mutata da radiazioni.
 
Si lisci nervosamente la fronte.
 
Balle… Non c’è specie animale al mondo in grado di fare ciò. E di radiazioni non ce n’erano in zona!
 
L’essere si manifestò di nuovo?
 
Scuote il capo in segno di diniego, e volge lo sguardo verso un punto indefinito della piazza.
 
Fortunatamente no… Tornammo in porto, illesi. Successivamente la notizia del massacro della Prestige passò quasi in sordina, al massimo gli dedicarono un articoletto nella sezione di cronaca nera e un breve servizio al notiziario.
 
Lo guardo con una certa sorpresa.
 
Come mai?
 
Gli occhi del mondo erano puntati altrove: la morte di Breznev, lo scontro aeronavale tra americani e libici avvenuto nel Golfo di Sirte, la seconda guerra di mafia in Sicilia, le tensioni tra est e ovest…
 
Fa spallucce.
 
“Così la vicenda finì nel dimenticatoio.”
 
E per quanto riguarda la piaga dei mostri?
 
Mi fissa con aria abbattuta.
 
Quella…
 
Sbuffa.
 
Ne avevo sentito parlare… Un po’ dai media, e un po’ dai miei colleghi. Tutti si chiedevano chi l’avesse diffusa: sovietici, libici, terroristi, mafiosi, qualche azienda farmaceutica senza scrupoli. Qualcuno diceva che era colpa delle radiazioni emesse dalle centrali nucleari…. Forse suggestionato da quel film… Incubo sulla città contaminata. Lo conosce?
 
Annuisco.
 
L’ho visto una volta…. Il titolo inglese era Nightmare City.
 
Dopo aver finito di fumare la sigaretta la butta al suolo.
 
La strage sulla petroliera mi aveva messo addosso un’angoscia tremenda… Specialmente quando uscivo in mare. Quella creatura era ancora là fuori? Ce n’erano altre? Forse un giorno avrebbero attaccato la mia imbarcazione e trucidato me e i miei?
 
Certo, noi saremmo stati armati. Ma se loro fossero stati resistenti alle pallottole? Il comandante della Prestige aveva vuotato addosso al suo aggressore un intero caricatore, ed era stato comunque trucidato. Se fossero stati vulnerabili, ma numericamente superiori? A volte mi immaginavo centinaia di quei mostri che, emersi dal mare, assaltavano il pattugliatore e divoravano i miei uomini uno ad uno, lasciandomi per ultimo.
 
Gli occhi gli si fanno lucidi.
 
In un certo senso si è avverato… Nell’estate dell’83. I demoni hanno massacrato la mia famiglia, i miei amici e colleghi.
 
Lo fisso con tristezza, mentre alcune lacrime gli rigano le guance.
   
 
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