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Autore: Hazel92    29/02/2024    1 recensioni
Violet Tilton ha tutto quello che si potrebbe desiderare nella vita. Vive a New York, è una scrittrice di successo, ha dei buoni amici e due genitori fantastici. Una telefonata inaspettata però cambierà ogni cosa e Violet sarà costretta a mettere in discussione se stessa e le sue origini. Divisa tra la grande mela e una piccola cittadina della Pennsylvania, Violet si troverà a dover scoprire vecchi segreti, fare nuovi incontri e fronteggiare pericolose rivelazioni.
Genere: Romantico, Science-fiction, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La storia che leggerete è rimasta per molto tempo in una cartella del mio pc a prendere metaforicamente polvere. Ho pensato però che piuttosto che lasciarla lì e non essere letta da nessuno, potevo darle un'oppurtunità e ascoltare il vostro parere.
Spero vi piaccia.



CAPITOLO 1
 
Fare la scrittrice? Niente di così entusiasmante come si potrebbe pensare. Soprattutto quando hai un’agente letteraria che vuole obbligarti a scrivere un libro che tu non avevi affatto previsto di scrivere.
- Te l’ho detto, Claire – replicai per l’ennesima volta – Non ho intenzione di scrivere nessun sequel, prequel o qualsiasi altra cosa che finisca con “quel” – mi lasciai sprofondare nella poltrona del suo ufficio nel pieno centro di Manhattan.
- Senti, Violet… - odiavo quando mi si rivolgeva in quel modo. Avevo la sensazione che pensasse di parlare con una ritardata. – Forse non ti rendi conto che è una grandissima opportunità. Il tuo primo libro ha venduto milioni di copie e adesso i tuoi fan supplicano per avere un seguito o qualsiasi altra cosa che li faccia ancora immergere nel mondo che hai creato tu – mi passai una mano sulla fronte esasperata.
 - Non riesco a capire perché non vuoi neanche provarci… - Oddio. Pensai. Era sempre la stessa storia da un mese. Claire mi supplicava di scrivere qualcosa mettendo in mezzo i miei fan, ed io rifiutavo perché sapevo che i fan non c’entravano proprio un bel niente. Per carità, era vero che il mio libro aveva avuto un enorme ed inaspettato successo, ma sapevo benissimo che sotto quell’insistenza c’era la casa editrice che non vedeva l’ora di guadagnare grazie a me qualche altro gruzzoletto.
- Te l’ho già spiegato il perché, Claire. Ti prego, non farmelo ripetere di nuovo… - davvero, non ce la facevo più. Nella testa avevo talmente tante idee per dei nuovi romanzi, che tornare a concentrarmi su qualcosa che per me era nato come un libro autoconclusivo, mi sembrava una tortura.
- Pensaci su almeno – Claire aveva assunto quel tono implorante che mi dava sui nervi, così pur di non starla a sentire, la feci contenta.
- Va bene, va bene. Ti prometto che ci penserò, ma non sperarci troppo – la guardai in cagnesco, poi mi alzai dalla comodissima poltrona e la salutai.
Appena varcai la soglia del suo ufficio il mio telefono iniziò a squillare. Impiegai un’eternità a trovarlo dentro a quella borsa che sospettavo avesse vita propria e si divertisse a nascondermi gli oggetti. Quando finalmente lo trovai, notai che il numero che appariva sul display chiaramente non apparteneva a nessun mio contatto, ma chiunque mi stesse chiamando lo stava facendo dalla mia stessa città.
- Pronto? – dissi titubante. Non avevo la più pallida idea di chi potesse essere, anche se da quando avevo scritto quel libro mi era arrivata di certo più di una chiamata da numeri a me sconosciuti.
- Signorina Tilton? – la voce dall’altro lato del telefono apparteneva ad un uomo.
- Sì, sono io. Lei chi è? – domandai diffidente.
- Buongiorno, sono l’avvocato Mayer – aggrottai le sopracciglia, anche se l’uomo all’altro capo del telefono non poteva vedermi. Perché mai un avvocato mi sta chiamando? Mi chiesi. È successo qualcosa con il mio libro? Mi hanno accusata di plagio o qualcosa del genere? Ero sul punto di fare marcia indietro e tornare da Claire. Magari lei ne sapeva qualcosa.
Ma l’avvocato, notando che stavo impiegando un po’ troppo tempo per rispondere, mi richiamò all’ordine. – Signorina? È ancora lì? –
- Sì, sì…mi scusi. Allora, avvocato, qual è il motivo di questa chiamata? – in quell’ultimo anno ero diventata abbastanza brava a dialogare con persone del genere. Merito di Claire probabilmente.
- Vede, è una questione abbastanza delicata. Perciò sarebbe meglio se lei mi raggiungesse nel mio studio. Anche ora se le è possibile… -
- Non può dirmi niente al telefono? – chiesi speranzosa.
- Preferirei di no –
- Va bene – sospirai - mi dica l’indirizzo –
- 122 Park Avenue, sedicesimo piano –
- Ci vediamo tra poco, avvocato – gli dissi, poi riagganciai.
 
A bordo di uno dei tanti taxi gialli che coloravano New York, cercai di capire quale potesse essere il motivo di quella chiamata, ma mentre l’enorme ascensore in vetro mi portava al sedicesimo piano del 122 di Park Avenue, arrivai a una conclusione: non ne avevo la più pallida idea.
L’ufficio dell’avvocato Mayer al contrario di quanto immaginassi, non era particolarmente sfarzoso e la sua segretaria non era la solita trentenne di bell’aspetto. Per qualche motivo questo mi tranquillizzò. Quando anche Mayer mi raggiunse, fui contenta di trovarmi davanti un signore con i capelli e la barba brizzolati e dei piccoli occhiali che gli davano un aspetto rassicurante.
- Piacere – mi disse – Philip Mayer – gli sorrisi stringendogli la mano. – Prego, mi segua – feci come mi aveva detto, e una volta nella sua stanza mi accomodai su una delle due sedie poste davanti alla sua scrivania.
- Sa che io non ho la più pallida idea del perché sono qui, vero? – lo informai riuscendo a strappargli un sorriso.
- Purtroppo sì – lo guardai interrogativamente.
- Purtroppo? – stavo iniziando a preoccuparmi e il fatto che l’avvocato sembrasse più nervoso di me non mi aiutava di certo.
- Vede, Signorina Tilton, l’ho chiamata per una questione di eredità – per un attimo rimasi in silenzio senza dire niente, poi mi resi conto dell’assurdità che aveva appena detto.
- No, guardi, deve esserci uno sbaglio. Gli unici parenti che ho sono i miei genitori e per quanto ne so, in questo momento si stanno godendo le loro vacanze dall’altra parte del... – poi all’improvviso realizzai cosa poteva essere successo. – Oh mio dio, sono morti? – mi portai le mani davanti alla bocca terrorizzata.
- No, no signorina! I signori Tilton stanno benissimo – trassi un sospiro di sollievo, ma se l’eredità non riguardava i miei genitori, allora chi?
- L’eredità di cui sto parlando riguarda sua nonna – l’avvocato mi guardò aspettando una mia reazione.
- Nonna? – domandai. – Glielo ripeto, deve esserci uno sbaglio perché io non ho nessuna nonna – O meglio, una donna dovevo pur averla avuto ma non l’avevo mai conosciuta perché era morta da un pezzo.
- Invece sì, e il suo nome era Darlene Harrington –
- Non capisco… - iniziavo ad essere profondamente confusa. Una parte di me continuava a pensare che dovesse esserci qualche sbaglio, ma l’altra parte si rendeva conto che se quell’uomo aveva chiamato proprio me, un fondo di verità doveva pur esserci.
- Legga questo – l’avvocato mi porse un foglio ed io lo afferrai titubante.
- Che cos’è? – domandai prima di posarci gli occhi sopra.
- Farebbe meglio a leggerlo lei stessa – Mayer mi rivolse un sorriso d’incoraggiamento, così, visto che non mi sembrava di avere altra scelta, mi concentrai su quel foglio. Non ebbi bisogno di leggerlo tutto, perché immediatamente il titolo catturò la mia attenzione.
- Certificato di adozione? – chiesi con la voce tremante. Mayer si limitò ad annuire.
- Senta, capisco che sia parecchio da digerire, ma sua nonna mi ha assicurato che troverà tutte le risposte in questi fogli e nella casa che le ha lasciato… - lo guardai con gli occhi spalancati. Ero stata adottata, e mia nonna, la mia vera nonna, quella di cui non conoscevo neanche l’esistenza, aveva saputo per tutto questo tempo di me ed ora mi lasciava una casa.
- Perché? – fu l’unica cosa che riuscii a chiedere con gli occhi che mi diventavano umidi.
- Non lo so, Signorina – Mayer mi guardava come se provasse pena per me, e non mi piaceva.
- L’ha conosciuta? Mia nonna… - domandai.
- No, abbiamo sempre parlato solo per telefono – Questo si che è strano. Pensai.
- E se io non la volessi la casa? – in fondo perché avrei dovuto accettare qualcosa da qualcuno che neanche conoscevo?
- Beh, in questo caso potrebbe venderla… ma a quanto pare non ci sono altri parenti a cui potesse lasciarla – rimasi in silenzio fissando un punto imprecisato alle spalle dell’avvocato.
- Signorina Tilton… - Mayer parlò piano, quasi sottovoce. Era come se temesse che parlare a voce troppo alta mi avrebbe fatto impazzire. – So che quello che le sta succedendo non mi riguarda, ma se posso darle un consiglio…io quella casa l’andrei almeno a vedere. Magari potrebbe scoprire qualcos’altro su sua nonna, sulla sua famiglia… - lo guardai cercando di trattenere le lacrime. Non mi piaceva tutta questa storia, ma sapevo che l’avvocato aveva ragione.
- Dove si trova questa casa? – domandai con un tono gelido.
- In Pennsylvania. La località esatta è scritta qui dentro – disse indicando un cartellina piena di scartoffie. – Sua nonna non voleva che lo sapessi -  aggrottai le sopracciglia. La faccenda diventava sempre più strana.
- All’interno troverà anche le chiavi – Mayer si alzò in piedi e mi raggiunse dal mio lato della scrivania. Mi porse la cartellina ed io l’afferrai riluttante.
- Buona fortuna – mi disse semplicemente. Io gli sorrisi e poi lasciai il suo studio.
Mentre tenevo stretta al petto quella cartellina, mi resi conto che lì dentro, in un mucchio di fogli, era racchiusa la mia vera vita.
 
 
   
 
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