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Autore: Enchalott    13/03/2024    5 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a tutti! :)
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Dopo una guerra ventennale, i Salki vengono sottomessi dalla stirpe demoniaca dei Khai. Negli accordi di pace figura una clausola non trattabile: la primogenita del re sconfitto dovrà sposare uno dei principi vincitori. La prescelta è tanto terrorizzata da implorare la morte, ma la sorella minore non ne accetta l'ingiusto destino. Pertanto propone un patto insolito a Rhenn, erede al trono del regno nemico, lanciandosi in un azzardo del quale si pentirà troppo tardi.
"Nessuno stava pensando alle persone. Yozora non sapeva nulla di diplomazia o di trattative militari, le immaginava alla stregua di righe colorate e numeri su una pergamena. Era invece sicura che nessuna firma avrebbe arginato i sentimenti e le speranze di chi veniva coinvolto. Ignorarli o frustrarli non avrebbe garantito alcun equilibrio. Yozora voleva bene a sua sorella e non avrebbe consentito a nessuno di farla soffrire."
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Incroci inattesi
 
Danyal arrancava in testa alla fila, conscio che gli uomini sarebbero stati più lesti senza di lui ma che non osavano superarlo.
Quell’incondizionata fiducia gli scaldava il cuore, però non se ne riteneva degno: Shaeta era stato catturato, Amshula rapita, Minkar quasi rasa al suolo. Il precario stato di salute non lo assolveva dalle responsabilità, cercare indizi in quell’oceano di alberi appariva l’ennesimo sfoggio d’inadeguatezza, sebbene la voce interiore gli gridasse di non ricusare. La mente stava ancora combattendo, perciò era vivo.
Si fece largo nella foresta a dispetto della leggera nausea.
«Generale?»
Sollevò il capo al richiamo del battitore. Più avanti si apriva una radura attorniata da karūgi, la prima dopo mezza giornata di rami aggrovigliati e vegetazione selvaggia.
«Passatela al setaccio» ansò sostenendosi a un tronco.
Osservò i soldati esaminare lo spiazzo a caccia di eventuali vestigia della regina. Forse erano ancora troppo vicini alle mura cittadine e il demone non aveva ritenuto necessaria una sosta. Forse invece l’inverno aveva disperso ogni traccia utile.
Non abbiamo trovato le ossa, all’evidenza non sono precipitati nella nebbia.
Una magra consolazione: c’erano infiniti anfratti in cui morire e, oltre la montagna, la Selva degli Spiriti era un labirinto di aleatorie minacce.
Non credo ai fantasmi, ma sarà difficile trascinare laggiù la guardia reale. Sempre che il fisico mi sostenga.
Aveva preferito non impegnare uomini abili alla difesa, per salvaguardare i superstiti che si rifugiavano tra le rovine della capitale o sottoterra, sfruttando le grotte scavate dal fiume. Nonostante la fame, la disperazione e gli attacchi massicci, non avevano ancora perso. Ma l’incertezza era un avversario infido: la verità sulle sorti di Amshula e la conseguente decisione di porre la corona in capo all’erede al trono, pur da ostaggio, avrebbero fornito ai suoi conterranei uno scorcio di futuro.
All’improvviso fruscio di rami smossi, i soldati sguainarono le spade, tesi come corde.
Un vradak con la bardatura ordinaria sbucò dalle fronde, stridendo agguerrito: Danyal non riuscì a trasporre in ordine la certezza che il suo padrone non fosse lontano, che due Khai emersero a lame snudate. Erano giovanissimi, ma da soli sarebbero stati in grado di trucidare l’intero drappello.
«Fermi!» gridò ai suoi nel tentativo di evitare il massacro «Lasciateli passare!»
I Minkari indietreggiarono, gli sguardi colmi di rabbia. Li capiva. Inoltre non avere la forza di affiancarli in battaglia era devastante: per vendicare i loro affetti, avrebbero combattuto all’ultimo sangue, ma la loro fine non sarebbe giovata.
Levò gli occhi sui nemici, che tuttavia non apparivano bellicosi.
Forse è una coppia che ha cercato l’intimità lontano dall’accampamento.
La ragazza era attraente, altèra, indossava una tenuta da volo nera, le iridi verdi lampeggiavano sprezzanti. Mormorò qualcosa al compagno, che scosse il capo e avanzò caparbio.
Il generale minkari non distinse gradi sulla sua uniforme, così ipotizzò che fosse lei l’ufficiale superiore: si stupì della disobbedienza dell’altro, ma a colpirlo fu più il suo sguardo.
Pare che abbia scorto uno spettro.
Aggrottò la fronte e lo mise a fuoco. Aveva gli occhi scuri e la pelle ambrata, la chioma bruna era legata in una coda alta che gli ricadeva sulle ampie spalle. La mano stretta alle redini del vradak non esibiva artigli.
L’uomo penetrato tra le mura li aveva recisi, forse costui è una spia. Pare uno dei nostri, dannazione! Diventano sempre più abili a…
«D-Danyal?»
Una voce profonda ma incerta uscì dalle labbra del nemico, venata di una familiarità che gli diede i brividi. Trasecolò quando scorse le lacrime sulle sue guance. Il sole a picco gli piovve sul volto, rivelandone i tratti.
La somma Azalee mi ridesti, non è possibile! È identico a…
«Danyal! Sei vivo!?»
Il secondo richiamo fu un pugnale rovente nell’anima.
«Principe… Shaeta?» esalò sbigottito.
 

 
Yozora si svegliò alle prime luci dell'alba. Distinguere le stanze di Seera le infuse una carica positiva, incrementata dall’assenza dei suoni terrificanti della guerra.
Perché la guerra riposa accanto a me.
Mahati era immerso in un sonno profondo. Se non fosse stata ferita, non si sarebbe concesso riposo, non avrebbe disobbedito a Kaniša né stracciato in mille pezzi le missive del fratello.
Pensare al primogenito rievocò la notte in cui lo aveva sognato. Aveva colto troppe atipicità per classificare l’episodio come una semplice visione. Certo la mente giocava scherzi inattesi e avrebbe potuto attribuirlo all’effetto dei farmaci, ma il sesto senso la invitava a rimanere in guardia.
La forza e la spudoratezza erano le solite, però Rhenn non avrebbe mai pronunciato quelle parole, si sarebbe divertito e basta. Come quando mi ha fatto sparire i vestiti.
Avvertì un fiotto di calore: aveva desiderato dissolvere i suoi ed era accaduto.
Poi aveva visto la fine del creato, la piramide di cristallo divenire mondo e il sole nero, di cui tante volte le aveva parlato, incombere sull’esistente. Tra le grida aveva udito l’invocazione al Signore dei Khai.
 
Si era stretta al principe della corona in preda al terrore. Gli occhi d’ametista l’avevano fissata sbigottiti, il volto contratto da una sofferenza ineffabile, ma l’aveva cinta per proteggerla da quel futuro angoscioso.
«Lo scorgi anche tu?» le aveva chiesto «Com’è possibile?»
«È ciò che ti appare nella trance?»
«Sì. Ma stanotte non ha infierito.»
Aveva sentito il cuore stringersi fino a far male.
«Mi dispiace, non lo immaginavo tanto…»
Lui aveva socchiuso gli occhi, un sorriso indulgente sulle labbra.
«Intenso? Spaventoso?»
Aveva annuito, le lacrime avevano annebbiato il vuoto circostante. Persino il buio rimaneva macchiato di quella soffocante linfa vermiglia.
«Posso sopportarlo» aveva mormorato Rhenn.
«Ma non ignorarlo.»
«A quanto pare.»
«L’ho visto anch’io perché mi hai dato il tuo sangue?»
«O perché in questo spazio illusorio desidero condividere tutto con te.»
«Non è un sogno, non può esserlo!»
Le lunghe ciglia avevano ombreggiato lo sguardo magnetico del giovane.
«Quindi mi hai baciato e spogliato di tua volontà?»
«No! Sei stato tu a… dèi, che sta succedendo!?»
L’oscillazione del circostante aveva sbiadito la visione. Si erano guardati attoniti, poi Rhenn si era portato l’indice alla bocca: gocce rosse erano sgorgate dalla ferita autoinflitta e gli erano scivolate lungo il polso.
«Se dipende da me, ti prego, prendine ancora. Restami accanto.»
Le aveva porto la mano con urgenza, senza riuscire a raggiungerla. Quando la scena si era dissolta, Yozora aveva avvertito uno strappo.
 
La carezza di Mahati la fece sussultare.
«Ti sei svegliata presto.»
«Ho riposato all’eccesso.»
«Riesci a muovere il braccio?» la scrutò sollevandosi sul gomito.
«Meglio di prima. Vorrei alzarmi, sto smaniando per un bagno.»
«Non hai che da chiedere.»
Nei giorni precedenti l’aveva ripulita con un panno. In lui aveva colto un desiderio bruciante, sebbene represso per non interferire con la convalescenza: pretendere aiuto sarebbe stato stuzzicarlo senza appagarlo.
Non è corretto.
«A causa mia hai dovuto rinunciare alle notti nuziali. So quanto ti pesa.»
«A conti fatti siamo a letto da dieci giorni.»
«Non credo corrisponda al piano.»
«Išaka?» rise Mahati «Dividere l’amplesso con me è progettare una battaglia?»
«Originare un prodigio» avvampò lei correggendosi.
«Non sono né un Immortale né uno stregone, il mio elemento è la concretezza. L’een è solo rimandato» la sfiorò malizioso «A meno che tu non possa farne a meno.»
Yozora strinse nella sua la mano che conosceva a memoria. Ne percepì il calore, le callosità, l’acutezza intimidatoria degli artigli e si sentì serena. Il corpo nudo di suo marito emanava un’energia rassicurante, tangibile, opposta alla visione che l’aveva frastornata.
«È di te che non posso privarmi.»
«Non sei guarita. Puoi accontentarti?» lo sguardo intenso la trafisse, affamato di lei.
Annuì. A Mahati avrebbe sempre detto sì in piena fiducia e non lo avrebbe mai fatto soffrire, a costo di annullare se stessa.
Lui la baciò piano, preludio al feroce trasporto di cui era capace. Lo lasciò libero di esprimere la carnalità scalpitante, certa che non avrebbe ecceduto per timore di arrecarle danno. La bocca rovente creò scie voluttuose, le zanne pizzicarono con dolcezza la carne sensibile e le incresparono l’epidermide, la lingua stanò il piacere, le strappò gemiti rochi e sostò ove sapeva che infierire l’avrebbe spinta al limite. Non la penetrò e comunque le procurò una reazione incontrollata, i pensieri si dispersero nell’orgasmo, accolse l’invasione dell’eros accresciuta dall’indole demoniaca del suo sposo.
Boccheggiò nella delizia, affondandogli le dita tra le chiome, sfinita.
«Basta?» sogghignò lui.
«No, ti voglio toccare… ti voglio da morire.»
Mahati spalancò gli occhi ma non si sottrasse alla richiesta spasmodica, che la moglie tradusse in sensuali carezze, in labbra premute sul suo petto, sul thyr, sul ventre. Si levò, inarcandosi all’indietro in respiri veloci, in battiti frenetici, indomito schiavo dell’emozione violenta e ormai familiare che impregnava il diletto fisico.
Diede tutto quello che aveva, ansando, stringendo le coltri per non svegliare l’intero castello mentre il rovescio di piacere gli scuoteva le membra. Crollò accanto a lei, la circondò di sé e attese che la tempesta scemasse. Non pretese oltre, sebbene l’instancabilità khai remasse in direzione opposta.
«Dèi! Non sono entrato in te, eppure… come ci riesci?»
«Quando sei felice, lo divento di riflesso. Hai un’esperienza maggiore della mia, non è così che accade?»
«Nae. Ho dimenticato il volto delle donne che mi sono portato a letto, nessuna rilevante, nessuna preziosa. Invece, se Belker reclamasse la mia vita, nemmeno l’oblio dispensato dal celeste Reshkigal ti cancellerebbe. Nell’esistenza successiva rivolterei l’universo per rincontrarti.»
«Perché le nostre anime sono coinvolte» sussurrò Yozora commossa.
Lui attorcigliò al dito la ciocca castana che gli sfiorava una guancia.
«Un inestimabile dono reciproco che travalica l’amplesso.»
La dialettica sbrigativa mascherava riflessioni molto più profonde. Le iridi nocciola erano rivolte al soffitto, una ruga era incuneata tra le sopracciglia scure.
«Cosa che ti turba?» indagò lei.
«Ho appena affermato con noncuranza che disobbedirei alle leggi universali e l’idea di tramutarmi in un novello Kushan non mi ha sfiorato. Devo essere fuori di testa.»
L’eclissi attraversò come un lampo la mente di Yozora. Rimandò la questione a quando sarebbero rientrati a Mardan.
Prima vorrei accertare che si è trattato solo di un sogno.
«Sei troppo rispettoso, non agiresti mai come lui. Quanto a me, ti monopolizzerò per gli esigui anni che trascorrerò al tuo fianco, penso che ti stancherai di vedermi.»
Il Kharnot le prese il viso tra le mani, improvvisamente serio.
«Non ripeterlo!»
«Schivare l’argomento non è da te. Sono stata vicina alla soglia del Custode.»
«Ho detto basta!»
Il tono autoritario era uno scudo opposto a emozioni per lui estranee e temibili. Yozora ne comprese l’entità rapportandola alla tenacia con cui la obbligava a tacere. Ma era altrettanto importante comunicargli che aveva un modo per non lasciarlo mai.
«Mahati…»
Quando bussarono alla porta, lui apparve quasi sollevato.
«Se è un’altra lettera di Rhenn, giuro che lo costringo a ingoiarla con tanto di nastro e sigillo!» ringhiò rivestendosi alla svelta.
Al suo irritato benestare, un uomo varcò l’ingresso dell’anticamera. L’odore non era quello di un demone e pareva come sdoppiato: lo ricevette senza preamboli. Appena constatò l’identità del secondo ospite, la sorpresa aumentò ma non trapelò dallo sguardo algido.
Hoshi s’inchinò. Un movimento rigido dovuto alla condizione fisica, non all’astio per chi lo aveva quasi ucciso. Il braccio destro, inerte lungo il fianco, ne era la prova.
«Vengo per una presentazione ufficiale. Mi scuso per aver mancato sino ad ora, è stato per riguardo a vostra moglie» il tono era cortese nonostante lo stato di sconfitto.
Mahati gli consentì la visita.
 
Il festoso benvenuto di Yozora illuminò la stanza più del pallido sole primaverile, ma lasciò il posto allo sconcerto quando identificò il fagotto che Hoshi stava reggendo.
«Isei» mormorò lui orgoglioso «Mio figlio.»
«Oh, è una meraviglia!»
Lo sguardo intenerito della ragazza saettò al principe khai, che tuttavia rimase in un silenzio glaciale.
Che altro aspettarsi dall’emissario degli inferi? Forse Hyrma non ha tutti i torti.
Il generale scacciò l’amara constatazione per dedicarsi alla cognata. Vederla in salute lo riempiva di letizia, sebbene la rottura tra sorelle ne offuscasse la pienezza.
«Posso?»
La timida richiesta designò la comunanza del sentire: in una situazione di concordia, Yozora non avrebbe chiesto il permesso di prendere in braccio il nipote. Le pose il bimbo in grembo, sistemandolo in modo che non premesse sulla ferita.
«È nato due lune fa.»
«E già è il tuo ritratto!»
«Sto aspettando che gli occhi diventino verdi per vantarmene» sorrise Hoshi.
Lei si rivolse al marito, spiegandogli che i neonati salki cambiavano aspetto nei primi mesi di vita. Quello si limitò a fissare il piccolo con indifferenza.
Non starà meditando di portarlo via? Forse non sarei dovuto venire!
«Hyrma non lo sa, vero?»
La domanda retorica era intrisa di dispiacere.
«Non può decidere da sola. Nasconderti che sei diventata zia è immaturo oltre che ingiusto.»
Lo sguardo afflitto di Yozora era concentrato sul viso dormiente del nipote, in uno sforzo di volontà mirato a trattenere le lacrime. Sistemò l’involto con infinito affetto.
«Più tardi conferiremo con mio padre, ultimeremo i preparativi e torneremo a casa. Grazie per aver pensato a me.»
Hoshi aggrottò la fronte. Casa? Era una donna di cuore, non avrebbe definito Mardan così se non l’avesse pensato davvero. Aveva affrontato Rhenn davanti a tutta Seera, non avrebbe esitato nel parlare di prigione innanzi all’assassino dei Salki poiché, a differenza sua, non aveva timore di lui.
«Vorrei che tu non rinunciassi a Hyrma. Dalle una possibilità, è molto scossa dopo aver letto la lettera di vostra madre.»
Yozora tornò a guardare il consorte, sorpresa ma conscia dell’accaduto. Di nuovo lui non decongelò, come se non fosse stato il protagonista della controversia.
«Sai quanto può essere testarda, Hoshi. Mi considera una sporca traditrice, non vuole vedermi. Anzi, non vorrei litigaste a causa mia» fece per restituirgli Isei, che iniziò a singhiozzare contrariato «Ehi, piccolino, non vuoi tornare da papà?» lo cullò con tenerezza «In fondo la zia è una sconosciuta… o sei già così coraggioso?»
«Emani un odore simile a quello di sua madre, l’istinto gli comunica che può fidarsi» intervenne Mahati.
Il comandante salki pietrificò nell’osservarlo.
Mia moglie ha ragione, fa paura quando parla la nostra lingua. E non può avere quello sguardo… non è più un demonio, è…
«Ma non possiede le vostre capacità» asserì Yozora.
«I bambini sono tutti uguali. Non hanno difese, è la natura a sostenerli.»
Le iridi nocciola del supremo stratega erano pervase di dolcezza. Il colorante scuro sulle palpebre non era sufficiente a indurirle, la voce era gentile, la mano che sfiorava la spalla della moglie protettiva.
È un marito, un padre… io farei lo stesso con la mia famiglia.
Essere sottomesso non l’aveva privato né della lucidità né dell’obiettività. Comprese perché la cognata avesse difeso con forza lo sposo e perseverato nel perdono, nella pace e nella speranza.
Isei non vivrà come uno schiavo, se imboccheremo la via che ha tracciato. Dèi, quel giorno lei ci ha salvati tutti!
Posò un ginocchio a terra in estrema deferenza.
«Non ti ho ancora ringraziata per ciò che hai fatto, Yozora. Non per me, per Hyrma o Salki, bensì per mio figlio. Per il suo respiro, per il suo sorriso, per quello delle generazioni future. È merito tuo se l’odio muterà in rispetto» levò il volto al principe straniero «E vostro, altezza. Mia moglie si scuserà, vi sono riconoscente per non averla punita.»
Mahati aggrottò la fronte, riguadagnando il consueto cipiglio.
«Le sue fatue convinzioni non mi tangono, non serve che ti umili.»
«Toccano mio figlio e il destino della mia terra. Non è per difetto d’orgoglio o per viltà che lo riconosco in vostra presenza. Condivido ogni sillaba espressa da mia cognata e mi vergogno che non sia stata accolta.»
 
Il Šarkumaar seguitò a fissare l’uscio da cui l’ex generale salki era uscito.
«Dubiti della sua sincerità?» gli chiese Yozora.
«No. Pensavo che è un peccato averlo incontrato da nemico. Dovresti esaudire la sua preghiera e parlare con tua sorella.»
«Prima vorrei chiarire con te.»
«Quel discorso è chiuso, non intendo riaprirlo.»
«Ho visto come guardavi Isei» mormorò la principessa accarezzandogli i capelli «E sai che mi sei prezioso, Mahati.»
Lui levò uno sguardo rovente, un misto di felicità e minaccia.
«Ehn, non è in dubbio.»
«Hai detto che siamo un’eccezione, un incastro perfetto. Sono certa che metterò al mondo tuo figlio e suo tramite non ti abbandonerò. Se esiste un antidoto all’alizarina, forse anche per l’incompatibilità c’è una soluzione che non abbiamo considerato.»
Si ritrovò nel suo abbraccio.
«So già qual è» sussurrò enigmatico.
«Come?»
«Non domandare oltre, non è né il luogo né il momento adatto. Prometto che ti dirò tutto quando saremo a Mardan, ove prenderò delle decisioni non semplici. Ora che sei fuori pericolo, mi preme interrogare tuo padre sul sigillo contraffatto.»
   
 
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