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Autore: _Alcor    13/03/2024    5 recensioni
La fine del mondo è già passata.
Di preciso il mondo di Yuuki Shinomiya è morto insieme a sua sorella, cinque giorni prima. L'assassino è uno dei robot che hanno seminato panico in città nelle ultime due settimane. L'unica cosa che le rimane è trovarne il creatore e ammazzarlo con le sue mani.
Perché se non lo fa… che altro le rimane?
{sorella maggiore con il cuore in pezzi elabora il lutto | lo elabora male, e lo rende un problema per tutti quelli che conosce | companion fic per l’Ottantesima Vittima di Mixxo | minilong}
Genere: Angst, Mistero, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Chimere'
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Raffreddamento.

[Yuuki Shinomiya]





Stendo le gambe addormentate oltre il pontile turistico, le duecentomila stelle della via delle lacrime scintillano nell’acqua scura e a malapena illuminano la base del faro spento. Una pulsazione mi batte le tempie al ritmo del mio cuore, troppo leggera per essere un mal di testa. Sfioro la superficie del mare con la punta delle scarpe: l’increspatura si allarga, cancella gli astri e spezza a metà la luna piena. Piombo nel buio.

Alzo il naso al cielo, due semisfere circondate da un anello di detriti sono ciò che rimane del nostro satellite. Fischio, non esce neanche un lieve sospiro dalla mia gola. Dopo aver bevuto quella roba perfino i miei sogni sono degni di un trip di acidi.

Incrocio le braccia dietro la testa e mi lascio cadere di spalle, l’asfalto accoglie la mia schiena con la morbidezza di un letto.

Il mio corpo è al sicuro nell’infermeria del Gamble Night, ben lontano da tutte le persone che stanno patendo le conseguenze del gas lacrimogeno. Myra ha intimato che riposassi per riprendermi, ma non sarebbe il primo gruppo che prende qualcuno in ostaggio sotto falsi pretesti.

Sassolini scricchiolano sotto le suole di un paio di anfibi, la figura di Kojo mi sovrasta e piega il busto su di me, i capelli legati in una coda alta e le iridi nascoste da un paio di occhiali in bilico sul naso. Un sorriso gentile – così innaturale, così comprensivo – le increspa le labbra. Mi siede accanto.

Strizzo gli occhi, qualcosa punge nel fondo della gola. Spero di svegliarmi presto.





Sussulto, la pila di contenitori di plastica accatastata sul mio stomaco vola giù dal lettino, sbatte contro una delle tante torri di libri che affollano il pavimento. Ho un bicchiere di plastica tinto di verde in mano e in bocca la sensazione viscida di aver mandato giù un pugno di alghe amare. Un rigurgito di stomaco mi risale la gola, insieme al sapore di sale.

Premo il palmo sulle labbra, che schifo ma meglio questo che essere malata.

Mazzi di teste d’aglio, fasci di fiori lilla e funghi fosforescenti pendono da una trave del soffitto, la parete di fondo è ricoperta da scaffalature piene di barattoli di vetro. Un paio di occhi verdi con il nervo ottico ancora attaccato galleggiano dentro una caraffa coperta con un grosso tappo di sughero.

Questa dovrebbe essere un’infermeria.

L’alchimista, una ragazza dalle guance ancora piene di grasso infantile, batte l’unghia dell’indice sul legno della libreria. Canticchia sottovoce, i toni duri e leggermente raschiati mi ricordano quelli del pianista dalla faccia crepata.

Il calderone di ghisa alle sue spalle gorgoglia, piccole bolle colorate si alzano. Scoppiano a mezz’aria, un odore fruttato mi pizzica il naso. Ero convinta che quell’affare fosse a ridosso del muro opposto, con braccine così scheletriche come sarà riuscita a spostarlo?

La porta al di là del secondo lettino si apre, butta giù un paio di scope accatastate lì accanto che sbattono a terra. L’alchimista fa un versetto particolarmente acuto, oscilla la mano davanti ai barattoli.

Kaito infila la testa dentro e sussulta, si tappa il naso. Fa slalom tra file di roba accatastata, abbassa la testa per passare sotto una tenda di foglie verdi e si lascia cadere sul piccolo triangolo di materasso ancora libero.

Mi poggio il bicchiere tinto tra le gambe, le nocche di Kaito mi battono sulla tempia. «Qui dentro non c’è niente.»

Faccio una risata. «Non c’è. Ci assomigliamo anche in questo.»

Appoggia le mani dietro sé, un paio di libri volano giù e sbattono. La canzoncina dell’alchimista ha un acuto per un attimo, prima di tornare a ripetere lo stesso ciclo di note. «Non parlarmene. Sono finito a Marton nel tentativo di inseguirti.»

«Ci sei finito solo tu?»

«Lo so, lo so. Dovevo ascoltare Takao quando diceva che non faresti errori così palesi, anche sé rincoglionita dallo stress.»

Serro le labbra. Ho fatto errori però, fin troppi e sono ancora viva. Perché Kojo non ha ricevuto la stessa gentilezza? Il canticchiare dell’alchimista viene rotto dal pop di una delle bollicine, mi passo una mano tra i capelli e schiarisco la gola.

«Takao si aspettava la parte dove mi sono infilata nel covo degli emersi per cercare informazioni?»

Kaito incrocia le gambe sotto le chiappe. «È un po’ presto per te per fare battute simili.»

Gonfio il petto, grata del salvagente che mi ha lanciato. «Tu fai rissa con chiunque ti capita a tiro, e io non posso?»

Arriccia il naso, lo spettro di un sorriso nervoso gli piega le labbra. «Ti auguro che la sceneggiata da bambina petulante funzioni, Takane non era felice.»

L’alchimista prende un contenitore di vetro quadrato pieno di muschio blu, lo stappa e annusa. Lo getta nel calderone, vetro compreso. Si rigira il tappo tra le dita e lo fa cadere nel liquido bollente con un altro pop leggero.

Sospiro. «Ho combinato un casino.»

«A giudicare dal riassunto dell’elfa, il primo ad aver fatto casino è stato papà. Dovevamo rimanere tipo… neutrali. Che ci si guadagna a diventare cani della Kaiser?»

Troppo, e probabilmente non sto prendendo in considerazione tutto quello che papà può aver tenuto in conto prima di fare l’accordo con Clare Koller. Mi abbraccio i gomiti. «La seconda ad aver fatto casino è Meg, quando non mi ha specificato che gli alleati che dovevo farmi erano quelli con le informazioni.»

«Almeno non sono arrabbiati.»

«Arrabbiati no, ma ho ricevuto una lavata di capo da una tizia formato barattolo prima che mi sbattessero qui. Non sono sicura che fosse un’allucinazione.»

Le spalle di Kaito tremano per una risata inespressa, serra le labbra e prende due grossi respiri. «Se avessi saputo che per fermarti bastava abbracciarti forte l’avrei fatto prima.» Gli scappa un soffio nasale. «Fortuna che qui hanno le telecamere, mi sarei perso l’immagine gloriosa del procione di casa che viene trascinata per i corridoi. Magari ti avesse preso a sacco di patate!»

Almeno uno di noi due si diverte.

Decine di barattoli lucidi circondano il terreno intorno al calderone, ce n’è perfino uno simile al contenitore di vetro che l’alchimista ha buttato nella sbobba. Non mi pareva che ci fossero, prima…

Kaito si tira un paio di manate sul petto. «Comunque mamma è tornata a casa sulle sue gambe dopo aver parlato con il capo di questa baracca, sembra che potremo risolvere il casino un passo per volta. In cambio di collaborazione, chiuderanno un occhio su tutto.»

Di base sono stata l’ostaggio per costringere la mia famiglia a mettersi contro la corporazione più importante attuale. L’avrei affrontata lo stesso ma loro dovevano essere liberi di decidere se mettersi in mezzo o meno.

Ho la gola arida. «Papà?»

Il sorriso si congela. «Che vuoi che ti dica?»

«Tu avevi idea?»

«No. Non l’avrei lasciata andare da sola.»

Kojo lo sapeva? Ho paura di chiederlo ad alta voce, mi si stringe il cuore ogni volta che penso che non ha nemmeno ha provato a scappare pur di finire la missione. Se scoprissi che ci è andata incontro volontariamente…

La porta dell’infermeria si chiude, mamma ha la mano ancora sulla maniglia. Dalla giacchetta aperta spunta la linea di una fondina ascellare, si passa il pollice sulle labbra sporche di rosso fresco. Supera il casino di roba accatastata senza quasi prestarci attenzione, il ticchettare delle sue scarpe sembra infinitamente più pesante della canzoncina ripetitiva dell'alchimista.

Mi mette una mano sulla testa. «Non dovrai continuare la missione di Kojo.»

«Ricevuto.»

«Hai imparato il canto delle rose?»

Manco iniziato. «Ci sto lavorando…»

«Fai presto, dovrai suonarlo per tua sorella e tuo padre.»

Una marcia funebre per loro due? Un peso mi abbandona le spalle. «Va bene.»

Kaito spinge l’accozzaglia di roba che riempie il letto di lato e si fa a destra per lasciarle spazio, mamma gli si siede accanto.

Le indico le labbra. «Quello è sangue t–?»

«Non è mio.» Intreccia le dita sul grembo. «Yuu, a che ti serve essere docile ora?»

L’assassino di Kojo è già morto, l’altro è protetto da un’azienda che non posso distruggere da sola. Neanche io sono così fuori di testa da non rendermi conto quanto sto pesando sulle spalle di tutti. «Sono stanca.»

Annuisce. Mamma sporge la mano e passa il pollice lì dove la cicatrice spacca il sopracciglio, scende fino allo zigomo. Ha gli occhi arrossati, appesantiti da una stanchezza mentale più che fisica.

Sospira. «Non ho le capacità che aveva vostro padre, non è pensabile che continuate a lavorare come sicari. Vorrei… che valutaste di fare altro.»

La fa facile. «Non conosco altro.»

«È il momento di iniziare a conoscerlo.» Mamma mi passa il pollice sulla fronte, il tocco è leggero come le ali di una farfalla. «Il Gamble chiederà la mia attenzione per smantellare i robot di Koller, tu Yuu non potrai essere coinvolta in alcun modo.»

Non sembra neanche la stessa persona che ci metteva davanti al pericolo, dicendo queste esperienze vi fortificheranno.

Mi mordo la guancia. «Che c’è? Non ho la tua fiducia?»

Annuisce. «Ci sono altri modi per aiutarci che non ti mettono sul campo di battaglia. È il massimo che posso concederti.»

Non ammette proteste.





Mi chiudo la porta di casa alle spalle e allungo la mano sull’interruttore, la lampadina del corridoio sfarfalla un paio di volte. Le chiacchiere spensierate della televisione accesa arrivano dal soggiorno.

Stringo la cinghia dello zaino e tiro dritto verso l’ufficio, adocchio Kaito addormentato a testa in giù sul divano, il viso ricoperto di lividi illuminato dalla luce bianca del telegiornale serale. Tre giorni che manco e c’è giusto lui ad accogliermi al ritorno, il Gamble li ha proprio messi al lavoro.

Meglio così, non so neanche di cosa dovrei parlare.

La porta dell’ufficio è spalancata a differenza del solito, la luce del corridoio rischiara la manciata di vetri che costellano il terreno. Non hanno nemmeno pulito… Accendo l’interruttore: lo schermo del computer è stato sfondato da qualcosa di grosso, i pochi pezzi irregolari rimasti attaccati hanno tracce di sangue incrostato.

La scrivania e il resto del mobilio è intoccato, almeno non hanno lasciato il corpo. Non ci vuole nulla ad arrivare in cucina per prendere una scopa, ma ho le gambe pesanti. Non ho il briciolo di voglia per fare i pochi passi che servono.

Vado alla scrivania, il vetro si spezza sotto le suole. Poggio a terra lo zaino e tiro fuori l’ennesimo blocco di informazioni. Fortunatamente ho potuto restringere il campo a una manciata di progetti di cui girano già le prove che siano tutto fuorché etici.

Sfoglio i dati sul progetto CHIMERA. Roba avviata quasi tre anni fa; una delle ricercatrici coinvolte – una certa Jaiden Enright – è sparita da un giorno all’altro. Volatilizzata nell’aria come se non fosse mai esistita.

Kaito caccia uno sbadiglio così forte che rimbomba persino qui. Tiro fuori la foto della poveretta, è una ragazza dai capelli castani e gli occhi vispi, il tipo che potrei vedere bene a fare l’influencer su qualche social. Mi passo una mano tra i capelli, il colore dei ciuffi è abbastanza simile…

Passi strascicati arrivano alla porta, l’orso si sporge dall’entrata. «Di tutti i posti dove potevi metterti–»

Sporgo il busto indietro per dargli un’occhiata migliore. «Mi aiuta a riflettere.»

«O ad avere voglia di spararti in bocca.» Passa accanto al vetro che costella il pavimento e mi mette una mano sulla spalla, puzza di sudore da fare schifo. «Hai voglia di dare fuoco a tutti i progetti della Kaiser o cosa?»

«Non ci sei lontano.»

Giro pagina, le cavie volontarie variano di età, sesso ed etnia senza alcuna regola. Uno di loro dev’essere un bambino di massimo sedici anni.

«Nemmeno Myra vuole la Kaiser distrutta, Yuu.»

«Ora la chiami per nome, non l’elfa.» Trattengo una risata. «Sono passati solo tre giorni.»

Mi tira un colpetto dietro la nuca che mi proietta avanti, la mano è pesante come un badile. «In tre giorni si impara il nome di una collega, eh.»

Gli rivolgo un sorriso sghembo.

Sii normale.

Sii paziente.

Distruggere l’intera Kaiser per il bene di interrompere la carriera di una sola persona è un pensiero inutilmente distruttivo, quando il loro operato garantisce che la popolazione possa continuare ad avere un barlume di normalità.

Ma non mi importa.

Posso diventare anche il drago che sventrerà la città se mi permetterà di avere giustizia.





[.note a fine pagina]

Karakuri è finita ma la trama non è ancora conclusa. Sorpresa \o/

Diciamo che questa storia era tanto il prologo di una long più lunga, quanto un esperimento di scrittura per cimentarmi con diverse minisfide. Non sono soddisfatta di come ho gestito neanche metà delle suddette sfide, ma ehi.

Manca ancora una long più corposa da scrivere, e concluderò la trama che ho aperto l’anno scorso con Template. Non so quando inizierò a scriverla perché ho genuinamente bisogno di un mental break dopo essermi messa nella testa di una personalità come quella di Yuuki.

Ma è stato divertente, a suo modo. Soprattutto descrivere ambienti.

Grazie infinite a tutti quelli che sono arrivati in fondo e mi hanno aiutato a correggere il tiro con i vari capitoli. Y’all are precious.

_Alcor

  
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