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Autore: DragonEnya    09/04/2024    0 recensioni
[pokemon]
Quando i destini di due persone desiderose di rialzarsi si incontrano, ecco che tutto può cambiare. Lui si chiama N ed è l'ex re del Team Plasma, reduce da una reclusione in carcere, l'altro si chiama Virgil, membro della squadra di soccorso con una tragedia alle spalle. Una storia di amicizia tra due giovani ragazzi, che attraverso difficoltà oggettive imposte dai ruoli e dalle esistenze opposte che conducono, si farà prepotentemente strada tra la compassione e la durezza della vita. Vagheranno alla ricerca di sé stessi per potersi redimere e tentare di fare la differenza in quel mondo che sembra avercela con loro e di riabbracciare con impegno, l'amore per la vita. Reduci dalle sofferenze che tentano di lasciarsi alle spalle, si scontreranno e si supporteranno a vicenda per superare le difficoltà che il destino, come un tranello sadico gli metterà davanti, sfruttando un meccanismo di complementarietà che li plasmerà rendendoli molto uniti; attraverso il perdono e la difficile accettazione delle idee dell'altro, lotteranno con complicità e fiducia in una cosiddetta "terza crisi plasma" provando inoltre a realizzare i sogni abbandonati nel cassetto e l'incrocio dei loro destini cambierà per sempre le loro vite.
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments, Otherverse | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Al di là di ogni mia ormai dispersa aspettativa, Noah accettò di venire con me, e lo fece in silenzio fino all'elicottero; sembrava aver perso improvvisamente la facoltà di parola, ma avrei scoperto a mie spese che era proprio dal suo silenzio che mi sarei dovuto guardare. La sua lingua tuttavia si sciolse di nuovo per farmi un commento negativo sui due Klingklang che non appena mi avevano visto tornare - e che avevano custodito l'elicottero in mia assenza - si riposizionarono subito alla base dei motori del mezzo. I Klingklang, Pokémon di tipo acciaio dalla forma di ingranaggi, possono potenziare i meccanismi in cui vengono collocati e sono di grande aiuto nelle missioni, ma a quanto pare il signor so tutto io ebbe da ridire anche su questo.

    «Sfrutti questi Klinklang per potenziare il tuo mezzo?»

    «Si, geniale vero?» mi vantai, anche se invece secondo lui mi sarei dovuto vergognare.

    «Cavolo ... i Pokémon non sono mica degli oggetti che puoi manovrare a tuo piacimento!»

    Era lo stesso commento che l'ex sovrano del Team Plasma aveva riservato a mio fratello qualche anno prima. Quell'ammasso di capelli castani e gli occhi scuri però, non avevano nulla a che vedere con colui di cui sapevo avesse invece dei tratti molto chiari. Questa storia mi stava sicuramente dando alla testa e mi diedi uno schiaffo ideale per cercare di tornare al presente. Il mio obbiettivo quel giorno era scoprire chi fossero quelle persone armate e di tornare a casa nei tempi previsti, prima di farmi linciare con un richiamo dal mio dipartimento.
«Non è vero che li sfrutto» mi difesi con decisione, «loro mi danno una mano e quando l'elicottero è fermo sono liberi di muoversi come vogliono; vivono al ranch con noi e fanno parte della squadra, sono dei Pokémon perfetti per questo lavoro».
Noah non sembrava molto soddisfatto della mia spiegazione ma lo ignorai. Montammo a bordo e lui si sistemò sul sedile posteriore.
    «Puoi anche stare davanti con me» decretai quasi offeso dal trattamento che mi stava riservando.

    «Non mi siedo mai accanto al tassista» rispose ghignando, e si sistemò il braccio sano dietro la testa poggiandosi al sedile ed accavallò le gambe come se fosse su una poltrona.
    Non aveva abbandonato il suo atteggiamento spavaldo ma ero sicuro che questo non fosse davvero lui, dato che a casa mia si era comportato in maniera totalmente diversa. Desideroso di ripartire, non diedi peso al sua atteggiamento e cercai di avviare i motori, ma i comandi non rispondevano.

    «Che succede?» mi chiese sporgendosi verso il sedile anteriore.

    «Non lo so, non si avvia. Scendo un attimo per controllare se è tutto apposto».

    Anche Noah scese con me e si avvicinò per dare un'occhiata. Mi fece notare che c'era un pezzo rotto. Ecco dunque perché non si metteva in moto. Dopo aver controllato per bene l'entità del danno, alzai la testa e mi schiarii la voce.
    «Dunque ... ti cercano perché gli scombini i piani oppure c'è dell'altro? Se mi dirai ancora una volta che non mi riguarda, credo che darò di matto».

    «Se te lo dico, poi mi lascerai in pace?» mi chiese sospirando.

    «Certo ... » risposi non proprio deciso mentre mi pulivo le mani con una salvietta umida.

    «Quello è il Team Plasma».

    Dopo qualche secondo di silenzio speso per elaborare quelle parole scoppiai a ridere.
    «Questa è proprio bella; il Team Plasma è stato smantellato l'anno scorso, ne abbiamo già parlato quando eravamo a casa mia».

    «È quello che credete voi».

    «Mio padre e mio fratello hanno aiutato la polizia internazionale all'arresto del Team Plasma e quindi abbiamo la certezza che in giro non ci sia più nessuno di loro, e queste sono fonti ufficiali».

    «Allora i ninja di casa tua ti sono sembrati tre fantasmi?»

    «In effetti non sembravano nemmeno umani da quanto erano inquietanti».

    «Incredibile quanta fiducia riponiate nei vostri mezzi e nelle vostre risorse. Il Team Plasma non è stato del tutto sconfitto ed il suo capo è ancora vivo. Li hai visti anche tu all'ex deposito oggi».

    «Mica lo avevano scritto in faccia e poi ... Ghecis è morto».

    «E tu ci credi?»

    «Ma certo».

    «Ingenui. Il capo del Team Plasma è vivo, ha inscenato la sua morte per poter fuggire e visto che tutti lo credono defunto, si aggira indisturbato tramando qualche altro modo per portare avanti la sua missione ed io sono qui per capire che cosa sta combinando questa volta».

    «Ma tu hai detto che non sei di Unima. Perché ti interessi di questa faccenda come se fosse una questione personale? Mentimi ancora una volta e farò mettere una taglia sulla tua testa!­»

    «D'accordo agente Evan non ti scaldare. Ti dirò tutto ... » Fece una pausa dando uno sguardo ai dintorni ed uno all'elicottero. «Facciamo una cosa: andiamo in città per procurarci il pezzo di ricambio, ti offro qualcosa visto che ti ho fatto saltare il pranzo; dopodiché ripareremo l'elicottero e verrò con te dalla polizia a Forteverdepoli. Cosa ne dici?»

    «Sul serio?» Questo improvviso cambio di rotta mi lasciò meramente spiazzato e siccome ero stanco, dolorante e con la sola voglia di tornare a casa per farmi una doccia, lo presi per buono.
«Come mai hai cambiato idea?»

    «Perché ho capito che quello che mi chiedi è giusto. Collaborare per rendere il mondo un posto migliore ... è quello che voglio fare anch'io».

    Aggrottai la fronte sorpreso e ci incamminammo verso il cantiere navale, ma la strada era lunga e faceva un caldo opprimente a causa dell'umidità. I nostri abiti erano madidi di sudore e le goccioline che colavano sotto il primo sole estivo di giugno, impreziosivano con le loro perle il nostro viso. I capelli di Noah erano inzuppati come se avesse fatto il bagno, nonostante ci fossimo sciacquati al fiume, ed irrorati dalla brezza dell'acqua che si tuffava con la cascata.
Fece ritornare Zoroak da noi, il quale si trasformò in un grande Pokémon uccello di nome Braviary, che ci diede un passaggio in volo, risparmiandoci la fatica di camminare a piedi. Una vera fortuna. Andammo a procurarci il pezzo di ricambio poi ci accomodammo in una rosticceria per pranzare insieme, anche se era piuttosto tardi.

    «Che cosa prendi?» mi domandò mentre scorreva il menù con gli occhi.

    «Vorrei ordinare un tè freddo e un sandwich visto che non ho mangiato niente, così mi basterà anche per pranzo. Però non preoccuparti, me lo pago io».

    «Non c'è bisogno, ordina tutto quello che vuoi, ti ho detto che oggi offro io. Ci tengo».

    «Va bene N ... osp scusami, Noah» dissi scherzandoci un po' su, anche se lui cambiò espressione divenendo quasi scocciato.
    Credendo ingenuamente di essermelo fatto amico, continuai a scherzarci su ma il suo sarcasmo era pesante e distruttivo.

    «La tua ironia fa proprio schifo agente Evan».

    Che pesantezza sto ragazzo però... «Puoi chiamarmi anche col mio nome, non mi offendo mica».
Quando Noah mi chiamava in quel modo era il segnale che si sentiva infastidito da me ed io che lo aveva capito glielo facevo apposta. Era più forte di me tentare di stuzzicarlo, convinto della sua buona fede.
Ordinammo il nostro piccolo brunch e del tè e dopo aver finito mi feci servire un caffè.
    «Tu non bevi caffè?» gli chiesi mentre il cameriere andava via con l'ordine del nostro tavolo.

    «No grazie, non mi è mai piaciuto».

    Mentre sorseggiavo il caffè, la tazzina mi scivolò dalle manie e mi cadde sul gilet e sulle gambe. «Ahia!» urlai per il calore improvviso.
    Mi scottai ed indietreggiai bruscamente con la sedia. Come aveva fatto a cadermi dalle mani? Era come se qualcuno improvvisamente mi avesse spinto il braccio, lo avevo sentito come in uno spostamento d'aria. Guardai Noah.

    «Io non mi sono mosso da qui» affermò dalla sua posizione rilassata - con la schiena comodamente poggiata alla spalliera - alzando le mani.
    Io però non gli avevo chiesto nulla e questo poteva significare soltanto che fosse stato uno scherzo di cattivo gusto ideato da lui ed il suo Zoroak. Ma perché lo aveva fatto? Il solo pensiero mi diede i nervi, ma visto che Noah si era tranquillizzato ed aveva deciso di seguirmi spontaneamente, sorvolai sulla questione, di cui oltretutto non avevo prove per accusarli.

    «Può capitare ... Perché non vai in bagno a pulirti?» mi suggerì sperando che lo ascoltassi.

    Ecco servita la scusa, ma io non ci cascai. «Perché so che ti darei l'occasione per svignarterla nel frattempo».

    «Che fiducia» ... decretò quasi offeso, «comunque se avessi voluto scappare ... lo avrei già fatto caro il mio agente speciale».

    «Si certo, come prima alla cascata. Non mi hai dato dei validi motivi per potermi fidare di te, quindi prendo le mie precauzioni».

    «Perché non mi metti le manette allora?»

    «Continua pure con il tuo spirito, te lo concedo».
    Mi riavvicinai al tavolo tirando la sedia in avanti con i piedi e iniziai a strofinarmi il gilet per cercare di ripulirlo, poi chiamai Vaporeon per supportarmi con l'acqua anche sulle gambe. Persi qualche minuto per l'operazione e riuscii a togliere buona parte delle macchie. Nel frattempo Noah pagò il conto al cameriere.
    «Ti ringrazio Noah. Posso chiederti dove si è cacciato Zoroak? Non lo vedo da un po'».

    «Si tiene alla larga dalle città, non gli piacciono molto e poi capisci che un Pokémon come lui attirerebbe troppo l'attenzione visto quant'è raro».

    «Forse hai ragione. Verrà con noi?»

    «E chi lo sa. Decide da solo cosa fare».

    «Da solo?»

    «Non sono la sua balia, e comunque è capace di trovarmi e raggiungermi in breve tempo se ho bisogno di lui».

    «Decide lui che cosa fare e quando? Siete proprio strani voi due».

    «Sei tu ad essere imbrigliato nei tuoi schemi da allenatore accademico. Si è fatto tardi. Dai forza, finisci questo tè e andiamo via».

    E certo, secondo lui ero io quello strano. Che razza di allenatore non tiene i Pokémon all'interno delle Pokéball e li lascia girovagare alla rinfusa?
    Dato che metà del caffè era tornato alla terra da cui i chicchi erano nati, bevvi tutto il tè per dissetarmi. Ci alzammo e andammo dietro gli alberi aspettando una nuova trasformazione di Zoroak in Braviary, - almeno era quello che mi aspettavo - per tornare all'elicottero; mentre Zoroak però si attardava, mi sentii improvvisamente strano. Avvertii una un'insolita debolezza alle gambe e le ginocchia iniziarono a cedere, mentre la testa si fece leggera come in un calo improvviso della pressione arteriosa. Barcollai, senza capire come e mi accasciai contro il tronco di un albero. Ebbi giusto il tempo di riflettere su cosa mi stesse capitando e lo capii dal fatto che Noah era piuttosto tranquillo. Se vedi una persona che ha un malore, solitamente vai da lei con fare preoccupato, invece lui ... era troppo calmo.
    «Che cosa ... » balbettai mentre tutto girava e la vista si affaticava. «Cosa mi hai fatto?»
    Lo fissai atterrito, cercando di mettere a fuoco la sua figura e lo vidi sdoppiato. Nei pochi secondi di consapevolezza che mi rimasero, ero sicuro di essere caduto nella sua trappola e per un attimo, mentre smarrivo le mie facoltà, sperando che non mi avrebbe ucciso, persi le forze e serrai gli occhi cercando di oppormi a quel senso di letargia che mi tirava verso il suolo. Noah vide la mia paura ed intervenne, come per rassicurami.

    «Niente ... non voglio farti del male» rispose mentre si avvicinava a me.

    Non era facile pensare che lo avesse fatto a fin di bene e un rivolo di rabbia misto a paura mi pervase il corpo.
    «Maledetto ... perché?» borbottai senza fiato, tentando di portarmi lo smartwach davanti al viso per chiamare aiuto, ma la mia vista si annebbiò e vidi Noah quadruplicato davanti a me che mi sorreggeva prima che potessi cadere.

    «Virgil mi dispiace tanto ma non posso coinvolgerti. Ti riprenderai ...»

    Il mio istinto fu di quello di aggrapparmi ai suoi vestiti come per chiedere aiuto, o forse per avere un conforto al senso di solitudine che mi aveva assalito. Scivolai a terra ma sentii le sue braccia intorno a me fino alla fine, la sua voce calda divenne lontana per poi sparire in un eco di silenzio.
    Riaprii gli occhi già a pomeriggio inoltrato, Eevee e tutta la mia squadra di Pokémon stava vegliando su di me e lei mi leccava il viso. Mi ritrovai disteso sul sedile anteriore del mio elicottero e quando mi sollevai vidi un biglietto sulla cloche. Cercai di mettere a fuoco la scrittura perché non mi ero ancora ripreso del tutto, mentre Eevee si rannicchiò felice sulle mie gambe e con non poche difficoltà iniziai a leggere:
    «"Sono più che sicuro che sarai furioso con me al tuo risveglio. Avevi ragione, avevo tutte le intenzioni di scappare ed ho pensato a quella più efficace senza farti del male, perché sai, non è mai stato nelle mie intenzioni. Mi dispiace aver dovuto ricorrere a questo diversivo per allontanarti, mi scuso per averti spaventato in quel modo, ma anche tu non mi hai lasciato altra scelta. Non so che idea ti sia fatto di me ma, lascia stare. Hai una famiglia di cui prenderti cura ed una vita, io invece non ho niente da perdere. Ti ho aggiustato l'elicottero così potrai tornare a casa, ho ripristinato anche i dispositivi di sicurezza aerea che si erano resettati, così in caso di guasto non ti schianterai. Ti prometto che porterò il tutore fino a quando la mia spalla non sarà guarita e te lo rispedirò a casa. Puoi riferire alla polizia che hai scoperto che il Team Plasma è tornato in attività e tenerti i meriti. Spero che potrai perdonarmi, ma ti assicuro che tutto questo è difficile anche per me. Non metterti alla guida finché non sarai completamente lucido.
Tieni accesa la lanterna dei tuoi sogni e convertila in energia solare infinita. So che ce la farai ed io faccio il tifo per te. Grazie per esserti preso cura di me, non lo dimenticherò mai. Noah"»
    Impattai i palmi delle mani contro la cloche in uno scatto di collera, poi le portai sul viso inarcando le dita, facendole scorrere fino a tirare indietro il caschetto sfrangiato di capelli e gettai un urlo di impotenza, che fece scappare via ogni forma di vita che si trovava nei dintorni. A parte lo spavento che mi ero preso, mi sentivo deluso e sconfitto. Mi aveva fregato alla grande e stentavo a credere di essere stato così ingenuo.
Essere piantato in asso in quel modo mi fece impazzire, ma la delusione per quel trattamento mi esasperò al punto tale da desiderare di non rivederlo mai più. Dovevo calmarmi, anche perché la testa vorticava e iniziai ad avere la nausea e volevo evitare di dare di stomaco. Mandai giù il livore che mi veniva su per l'esofago e inghiotii quel boccone amaro che mi accompagnò per tutto il viaggio di ritorno.
Stentavo a credere che il Team Plasma fosse riuscito a tornare in azione, ma avevo intenzione di approfondire la questione con le uniche persone che mi avrebbero ascoltato: la mia famiglia.
    Appena mi sentii pronto, avviai i motori e tornai verso casa. Inutile dire quante volte mio padre aveva provato a chiamarmi durante quelle quattro ore in cui ero stato svenuto, perché anche il mio cellulare aveva perso il conto. Quando dopo due ore di viaggio atterrai al ranch, la tempesta per me non era ancora finita. Mio padre, furioso come non mai e mio fratello preoccupato all'ennesima potenza perché non avevo dato notizie per almeno cinque ore, si precipitarono all'esterno con i capelli sbiancati.

    «Dove sei stato? Eravamo in pensiero!» urlò mio padre in preda ad una crisi isterica.

    «Io ... mi dispiace ...» mi giustificai portandomi le mani fra i capelli.
    Videro il mio stato pietoso, i vestiti sporchi e logori e dopo avermi sgridato mi abbracciarono e non si erano ancora accorti della ferita che avevo alla spalla, ma notarono subito il livido nero sullo zigomo.

    «Che cosa ti è successo?» mi domandò mio fratello, osservando allibito il mio viso, come se fossi un fantasma.

    Mi guardai allo specchio: ero pallidissimo con occhiaie scure, palesemente provato, la mia espressione mostrava stanchezza e rabbia allo stesso tempo e iniziai a vomitare tutto quello che avevo mangiato, anima compresa; sarà stato il nervosismo accumulato o forse quella sostanza che Noah, in quel diversivo della tazzina di caffè, mi aveva versato nel tè ... raccontai tutto quello che mi era accaduto, anche delle visoni, perché credevo che confidarmi con loro mi avrebbe aiutato a metabolizzare i fatti.
La mia famiglia invece rimase scioccata nell'ascoltare con attenzione i miei racconti e mi rimproverò di brutto per non aver chiamato la polizia quando avevo Noah davanti. Tutti i liquidi persi nei conati mi avevano disidratato ma con un po' di riposo, poco alla volta mi sarei ripreso.

    «Devi stargli alla larga!» mi ordinò severamente mio padre sbattendo una mano sul tavolo; «perché non lo hai portato alla polizia?»

    «Stavamo per andarci insieme, credevo di averlo convinto».

    «È imprevedibile e nasconde qualcosa. Ma poi la storia del Team Plasma ... è assurdo che sia ancora in attività ed il suo capo vivo, la polizia ce lo avrebbe riferito» ribadì mio fratello sulla stesso tono indignato di papà.

    «Intanto afferma il contrario ed io ho visto questa banda, ma non aveva nessun segno di riconoscimento delle vecchie divise con lo stemma».
Mio padre rimase per qualche secondo a riflettere, poi guardò mio fratello.

    «In effetti però quei tre potrebbero essere il vecchio Trio Oscuro, non mi pare che fossero stati catturati» disse ritornando ai ricordi del passato. «Solleciterò le autorità affinché trovino Noah, il suo identikit verrà esteso anche fuori provincia. Ci penserà la polizia a scoprire qualcosa. Ti ordino qualora dovesse ripresentarsi da te di stargli alla larga e di schiacciare subito il tasto di emergenza».

    «Non era sua intenzione farmi del male, non credo che voglia fare del male a qualcuno».

    «Ti ha già espressamente fatto notare che non vuole il tuo aiuto, cosa deve fare per fartelo capire, ferirti o peggio ucciderti la prossima volta?»

    «Ma no Davy! Lui non è cattivo; perché avrebbe aggiustato e messo in sicurezza l'elicottero se avesse voluto farmi del male?»

    «Oltre che essere un allenatore di alto livello, un informatico, un lottatore addestrato è anche un meccanico?» ribadì mio padre arrabbiato, ma al contempo stupito dal modo in cui io, nonostante tutto lo difendevo.
   
    Riconosceva però che il suo comportamento a casa nostra era stato impeccabile e che quella mattina ci avesse salvati tutti quanti.
    «Non so dove abbia imparato a fare tutte queste, cose ma sento che vive in uno stato di sofferenza che non riesce a condividere, e per qualche motivo ha difficoltà ad aprirsi agli altri. Ha paura di qualcosa. Qualcuno deve pur sostenerlo».
    Nonostante nella mia mente arrabbiata di qualche ora prima, desideravo solo che Noah sparisse dai miei pensieri così come si era dileguato dalla mia vita, durante il viaggio verso casa avevo iniziato a provare una sorta di compassione nei suoi confronti, soprattutto ripensando alle parole del biglietto, le quali continuavano a risuonare nella mia testa confusa.
La mia famiglia non sapeva che cosa pensare ma io non mostrai mai a loro quelle parole, che riposi gelosamente nel cassetto della mia scrivania e lì rimasero per molto tempo.

    «Sei un ragazzo molto sensibile e ti preoccupi per gli altri, hai un vero animo da soccorritore, ce l'hai nel sangue, ma non puoi aiutare chi non vuole. Lascialo stare e fatti la tua vita, lui rimarrà soltanto uno dei tanti che hai salvato».

    «Sono d'accordo con Davy» intervenne mio padre «smettila adesso».

    «Come la mettiamo con la storia del Team Plasma?» chiesi pensando se ciò che avevo visto e che Noah mi avesse detto fosse vero.

    «Non lo so ma ne parlerò con il commissario per vedere se si sa qualcosa in proposito, intanto pensa a riprenderti, io andrò a Boreduopoli per discutere della questione con le autorità» concluse mio padre.

    Mi lasciarono da solo, disteso sul letto della mia stanza, in preda alle solite visoni che si facevano sempre più largo nel mare in tempesta della mia mente. Se da un lato mi dava da pensare, dall'altro non volevo più sentirlo nominare e speravo di dimenticarlo il più in fretta possibile, per poter tornare alla mia solita, strascicata e mediocre vita di sempre. Quel biglietto venne comservato come un cimelio prezioso che io avevo interpretato come una richiesta di aiuto silenziosa, la quale continuò a venirmi a disturbare il sonno.
Decisi di concentrare i miei sforzi negli allenamenti in vista del mio secondo incontro con i superquattro, dove Mirton sarebbe stato ancora il mio primo e complicato step. Avevo una gran paura di affrontare quella lotta, a causa delle sue parole che smuovevano le mie viscere e cozzavano con la mia coscienza. «"Con questo atteggiamento non andrai da nessuna parte"».
    
Una schiettezza disarmante che non riuscivo ad ignorare.Ero proprio ridotto male, ma i giorni passavano inesorabili e spietati, e presto mi dimenticai di quella tutto sommato cortese e regale espressione decisa, celata dietro una visione oscura, ma era il suo volto che si rifletteva come uno specchio di prima luce sul mio.

   
 
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