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Autore: Ortensia_    10/04/2024    0 recensioni
Yūji, Nobara, Megumi, Tsumiki e Junpei sono in viaggio per godersi una vacanza. È ormai notte quando si ritrovano sulla strada desolata indicata dal navigatore e l’auto si ferma senza dare più segni di vita.
Non c’è proprio nessuno sulla strada, non un’anima a cui chiedere aiuto.
È una situazione al limite del paranormale. Il fatto che stia per piovere e che l’unico riparo nel raggio di chilometri sia una casetta fatiscente in mezzo al bosco pare l’inizio di un horror e Nobara non manca di incarnare la parte dell’amica terrorizzata e, nella convivenza forzata che li aspetta, anche quella della ficcanaso che insinuando implicazioni sentimentali e sessuali fra gli altri conviventi non fa altro che infilare spiacevoli pulci nelle orecchie e creare situazioni che altrimenti non si verificherebbero.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Fushiguro Megumi, Fushiguro Tsumiki, Itadori Yuji, Kugisaki Nobara, Yoshino Junpei
Note: AU | Avvertimenti: Incest
Capitoli:
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9. Non voglio sapere quanto ce l’ha lungo
「───────────────── ˗ˋˏ ˎˊ˗ ─────────────────」







    Nobara si stiracchiò sbadigliando sonoramente, una rapida occhiata al letto di fronte al suo.
    Si alzò con calma, cercando di abituarsi alla luce del giorno, quindi si avvicinò con passo felpato all’altro letto, soffermandosi a osservare Yūji e Junpei che dormivano abbracciati. Avevano entrambi un’espressione così serena in volto che solo a guardarli le venne da sorridere.
    «Che carini…» mormorò scompigliando i capelli di entrambi con una carezza prima di lasciare la stanza.







    Aveva dormito benissimo quella notte, tanto che non appena fu in cucina e vide Tsumiki seduta tutta sola, il ricordo di lei e Megumi che pomiciavano non la spaventò più, anzi la entusiasmò.
    Balzò sulla sedia vuota accanto all’amica, rivolgendole un’espressione radiosa. «Allora?!»
    «Nobara, no» si affrettò Tsumiki in tono fermo.
    Ovviamente la ignorò. «L’avete fatto?» chiese con impaziente curiosità. «Oh, niente particolari troppo particolari! Non voglio sapere quanto ce l’ha lungo, sia chiaro!»
    «Nobara!»
    «E non lo saprai mai, infatti» Megumi si affacciò sulla soglia, in mano una tazzina fumante e stampata in faccia un’espressione disgustata tutta per lei.
    «Mhpf!» in tutta risposta, Nobara incrociò le braccia e mise su il broncio.
    «Fra poco andiamo a dare un’occhiata all’auto» continuò lui.
    «Vediamo se per una buona volta riusciamo a capirci qualcosa» aggiunse Tsumiki. «Io sono pronta» continuò rivolta a Megumi.
    Megumi bevve l’ultimo sorso di caffè e ripose la tazzina vuota sul lavello, un sospiro rassegnato sulle labbra. «Andiamo.»







    «Dai Megumi, aiutami!»
    «Tsumiki, l’auto è la tua, io non ho neanche la patente, cosa vuoi che ne capisca?»
    Tsumiki, le mani imbrattate di grasso intente a chiudere il serbatoio del liquido di raffreddamento, sospirò sonoramente.
    «Si sarà fuso qualcosa…» borbottò Megumi, temendo di averla spazientita.
    «Ma le spie sono tutte spente» ribatté Tsumiki, «davvero non capisco quale sia il problema.»
    Tsumiki trafficò un altro po’, poi richiuse il cofano sbuffando, arresa all’idea che molto probabilmente sarebbero rimasti incastrati lì per sempre.
    Megumi non disse nulla, ma appena la vide sedersi sul cofano la raggiunse.
    Era un po’ nervoso, perché da quando Nobara li aveva sorpresi a baciarsi non si erano più sfiorati e aveva come l’impressione che Tsumiki volesse evitare a tutti i costi l’argomento. Forse ci aveva ripensato.
    «Vedrai che troveremo un modo» le poggiò una mano sulla schiena, accarezzandola.
    Tsumiki lo guardò, stupita da quel gesto che, per quanto semplice, era un vero sforzo di affetto da parte di Megumi. Accennò un sorriso e poggiò la testa contro la sua spalla, sentendolo rafforzare la stretta in risposta.
    «Se troviamo il modo di tornare a casa…» esordì poco dopo, «come lo diremo a Gojo?»
    Megumi sentì come se una scossa lo avesse appena attraversato: era ovvio che Tsumiki si riferisse a loro due. Allora non ci aveva ripensato!
    Stava vibrando di entusiasmo immaginando a come sarebbero andate le cose da quel momento in avanti, di come lui e Tsumiki si sarebbero scoperti, cosa che dopo tutti quegli anni di desiderio si augurava sarebbe accaduta il prima possibile.
    Si sforzò di scacciare via l’immagine di loro due che facevano l’amore, fantasia che nel tempo gli era stata tanto cara quanto nemica, rispondendo con gola asciutta. «Dobbiamo proprio dirglielo?»
    «Beh… viviamo con lui.»
    «Andiamo via.»
    «Dovremmo comunque dirglielo prima o poi, non credi?»
    Megumi sbuffò, innervosito all’idea.
    «Per ora Gojo non c’è» osservò con un certo sollievo, «possiamo non pensarci? Godiamoci questo schifo di vacanza senza responsabilità.»
    Tsumiki guardò il cielo, le labbra appena protese in una smorfia pensierosa.
    «Già, dimenticavo che a te le responsabilità piacciono» borbottò Megumi.
    «Veramente» Tsumiki lo guardò sorridente, «stavo pensando che hai ragione.»
    Gli prese il viso fra le mani, imbrattandolo di grasso, e gli rubò un bacio.
    Proprio in quel momento, un miagolio acuto attirò l’attenzione di entrambi: un piccolo batuffolo bianco li osservava con curiosità ad appena un metro di distanza.
    «Che carino!» Tsumiki fu la prima a scendere dal cofano. «Da dove spunti fuori?»
    Megumi la seguì, guardandosi intorno alla ricerca di mamma gatta o, quantomeno, di qualche fratellino, ma il cucciolo sembrava solo.
    «È molto magro» constatò Tsumiki, che si era già chinata accanto a lui.
    Megumi la guardò sorridere mentre accarezzava la testolina del piccolo, che aveva cominciato a rispondere con fusa brevi e sommesse, e gli venne naturale inginocchiarsi a sua volta.
    «Lo portiamo con noi?»
    Il più giovane dei Fushiguro si rabbuiò a quella domanda, non tanto perché non volesse prestare soccorso al cucciolo, ma perché avrebbe dovuto essere schietto con Tsumiki.
    «Non abbiamo cibo per gatti» cominciò. «Possiamo provare a nutrirlo con quello che abbiamo, ma sembra molto debole, Tsumi… non sappiamo per quanto ancora resteremo qui, quindi potrebbe anche non—»
    «Non dirlo.»
    Tsumiki lo aveva già preso fra le braccia. Si raddrizzò stagliandosi nel sole, rivolgendogli uno sguardo determinato. «Sopravviverà sicuramente!»
    Megumi la guardò scettico. Sospirò rassegnato, per poi sorridere appena: a volte la fede di Tsumiki sapeva essere davvero accecante.







    Lo svegliò un solletico leggero sulla guancia, come spesso accadeva quando, muovendosi nel sonno, i capelli gli scivolavano sul viso. Ma quella mattina era diverso. Gli ci volle un po’ di tempo per rendersi conto che i capelli si erano spostati seguendo la direzione di una carezza sulla sua testa, ma quando lo capì Junpei spalancò gli occhi in un sussulto.
    Quando vide che Yūji lo stava guardando con le labbra increspate in un sorriso, si sentì avvampare.
    «Sei… sei troppo vicino, Yūji» lo ammonì con voce tremante, le guance in fiamme.
    Aveva moltissime domande da fargli, prima fra tutte se provasse davvero un sentimento per lui o se si fosse trattato soltanto di un momento di debolezza. Dopotutto Yūji aveva sempre detto che gli piacevano le ragazze ed era rimasto della sua anche dopo aver scoperto che a lui piaceva un ragazzo, eppure quella notte lo aveva baciato. E non si era trattato soltanto di un bacio, no.
    Si erano baciati a lungo, si erano tenuti stretti fin quasi a soffocare dal caldo. E in tutta onestà quelli di Yūji non gli erano affatto sembrati i baci di un indeciso, tutt’altro.
    Al pensiero della lingua dell’altro che scavava vorace nella sua bocca, Junpei fu scosso da un brivido di piacere, ma era anche arrabbiato con lui. L’espressione allegra di Yūji, che lo coccolava con così tanta spensieratezza come se stessero insieme da anni, non lo aiutava di certo a trattenere gli interrogativi.
    «Da quanto lo sapevi?»
    Itadori esitò per qualche istante. «Lo sospettavo da un po’… questa vacanza mi ha aiutato ad avere un po’ di conferme.»
    Junpei guardò altrove, non riuscendo a capire se lo indispettisse di più l’idea di essere stato scoperto o l’essere guardato ancora con quel sorriso ingenuo.
    «Ma a te…» indugiò, «a te non piacciono le…?»
    Yūji sospirò. «Mi hai mai visto con una ragazza in tutti questi anni, Junpei?» gli domandò poi, a bruciapelo.
    «In effetti no…»
    «Mi piace chi mi piace» dichiarò Yūji, con una semplicità che Junpei trovò disarmante. «Dico che mi piacciono le ragazze perché fino ai quindici anni è stato così, non mi era mai capitato di provare attrazione per un ragazzo prima di conoscere te.»
    Yoshino tornò a guardarlo, il volto in fiamme. «Ti… ti piaccio?»
    «Eh?» Yūji lo guardò stupito, poi sorrise vagamente divertito. «Perché ti avrei baciato, altrimenti? Mi piaci da parecchio, Junpei» si grattò la tempia con un dito, ridendo imbarazzato, «è solo che avevo paura di essere rifiutato.
    Itadori riprese a parlare dopo qualche secondo. «Scoprire che i miei sospetti erano fondati mi ha sollevato, ma quando ho pensato che quel ragazzo di cui hai parlato in salotto quando hai fatto coming out potevo non essere io la cosa mi ha angosciato.»
    «Certo che sei tu, sei sempre stato tu» Junpei boccheggiò, imbarazzato dalle sue stesse parole, poi ripensò a quello che aveva detto in salotto e divenne paonazzo. «C-con questo non voglio dire che, a-anche se voglio, dobbiamo fare subito quella cosa!»
    Yūji scoppiò a ridere in un modo così bello e cristallino che Junpei non poté fare a meno che incantarsi a guardarlo mentre l’imbarazzo defluiva dalle sue guance.
    «Abbiamo tutto il tempo del mondo, Junpei» gli disse schioccandogli un bacio all’angolo della bocca, «per quella cosa e per mille altre.»
    Le loro labbra si trovarono di nuovo e Junpei si sentì così leggero che pensò di poter volare. Non c’era bisogno di dirsi altro.







    Itadori sbatté le palpebre a più riprese, per essere certo di non stare immaginando tutto. «Un gatto…?» domandò.
    «Sììì! Vieni a vedere che carino!» Nobara era entusiasta; mentre Tsumiki era inginocchiata sul pavimento e gli puliva il pelo con un panno umido, lei spezzettava il pane, ridacchiando intenerita ogni volta che il gattino lo masticava di gusto.
    Yūji non se lo fece ripetere due volte. Quando si chinò, Nobara gli porse un pezzo di pane così che anche lui potesse dare da mangiare al piccolo.
    Anche Junpei avrebbe voluto vedere da vicino quell’adorabile pallina di pelo, ma c’era prima un’altra cosa che doveva fare e considerando che Megumi erano l’unico a essere rimasto in disparte, quello era il momento migliore.
    «Allora ce l’hai fatta» disse affiancandosi a lui, «con Tsumiki» aggiunse a voce più bassa vedendo che Megumi gli aveva lanciato un’occhiata interrogativa.
    «Ovviamente Kugisaki vi ha detto tutto» borbottò a denti stretti.
    «Anche io ce l’ho fatta» gli disse Junpei con una punta di imbarazzo nella voce, le labbra increspate in un sorriso appena percettibile.
    Le sopracciglia di Megumi ebbero un guizzo istantaneo, un’espressione di sorpresa che Junpei riuscì a catturare giusto per un secondo, eppure fecero esattamente la stessa cosa: si diedero il cinque dietro la schiena, per non rischiare che gli altri tre assistessero alla loro celebrazione silenziosa, un sorrisetto complice e orgoglioso sulle labbra di entrambi non appena le loro mani si toccarono.

   
 
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