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Autore: Ederaria    13/04/2024    6 recensioni
Questa è una raccolta di one shot (a carattere leggero/comico) spin-off della mia long precedente “Quattro stagioni”. Dunque sono immesse in quell’universo narrativo e sono rivolte solamente a chi quella storia l’ha seguita e apprezzata (e, banalmente: la conosce).
Genere: Comico, Fluff, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La fede

ovvero

Di inutili catene e compromessi matrimoniali

 

Era ormai una mezzora buona che Muriel girovagava tra gli scaffali curiosando tra le varie sezioni alla ricerca di solo lei sapeva cosa.

Quella mattina era piombata inattesa nella libreria di Aziraphale farfugliando parole senza senso e più iperattiva del solito: sembrava non riuscisse a star ferma un secondo. Era palese si fosse recata in negozio per un motivo preciso, eppure, per qualche misteriosa ragione, continuava a rimandare il momento in cui avrebbe effettivamente rivelato all’amico la causa della sua visita.

“Cara, sicura non ti possa dare una mano? Stai cercando qualcosa?” chiese nuovamente Aziraphale continuando a seguirla in quell’inconsueto vagabondare.

“Ma è tutto pieno! Non c’è un buco che è uno!” esclamò infastidita Muriel allungando il collo verso ogni ripiano.

Il libraio la guardò interdetto.

“Perdonami?”

“Scusa, Az, ma se ti dovessero arrivare altri testi da vendere dove cavolo li metti? Non c’è posto!”

“Muriel, perché questo improvviso interesse per la mia gestione degli spazi? Credevo volessi un volume in particolare…”

“Ma no, ma no”, rispose Muriel svoltando l’ennesimo angolo e dedicandosi allo studio di un’altra zona del locale, “Mi sa che ho detto una stupidaggine…”

Aziraphale, perseverando nell’andarle dietro, si grattò la testa confuso.

“Quale stupidaggine?”

“Dov’è Crowley?” chiese a sua volta la ragazza.

“Non saprei…”, Aziraphale era sempre più costernato, “Ti serviva lui? Puoi provare a telefonargli, ma se è in sala a registrare temo non risponderà”.

“No, no. Non mi serve lui. Mi serve un maledetto posto libero!”

 

Dopo qualche minuto, rassegnata, a lunghe falcate Muriel raggiunse il divano e vi si lanciò sopra.

“Tesoro”, Aziraphale sospirò e si accomodò sulla poltrona dinanzi a lei cercando di essere il più disponibile e conciliante possibile, “mi vuoi dire cosa ti passa per la testa?”

Muriel lo squadrò sospettosa, come a domandarsi se fosse arrivato al fine il momento giusto per palesare le sue inquietudini.

“È veramente un peccato che non abbiate chiamato un fotografo, comunque. Eravate talmente belli tutti eleganti” sostenne invece.

Era ovvio volesse spostare l’attenzione del libraio su altri argomenti, e quale sarebbe potuto risultare il più interessante per Aziraphale se non il suo stesso matrimonio ufficiato circa un mese prima?

“Volevamo fosse una cosa semplice e intima, te l’ho detto”.

“Eh, ho capito. Ma tra la semplicità e il trattarlo come una scampagnata qualsiasi tra amici credo ce ne passi!”

Aziraphale sospirò ancora: nonostante fosse molto contento di come quella giornata si fosse svolta, una piccola parte di lui era costretta a convenire. Non si sarebbe mai azzardato a dirlo ad alta voce, ma covava il sospetto che la celebrazione e la festicciola che ne era seguita fossero state a dir poco insignificanti.

Abbassò istintivamente lo sguardo sulla fede che teneva al dito dell’anulare sinistro – il suo piccolo grande segreto – e la accarezzò con l’altra mano.

“Muriel, cara. Non credo tu sia venuta qui per parlare del mio matrimonio”, Aziraphale rialzò lo sguardo e le scaraventò contro uno dei suoi sorrisi più teneri e luminosi, di quelli a cui proprio nessuno sapeva resistere, “Vuoi dirmi cosa ti turba?”

“Ma non mi turba niente! Cioè… è Gabriel…” ammise.

Gabriel Lefthand. L’allora professore e oggi tutor a cui la ragazza era stata affidata per il suo dottorato di ricerca.

Aziraphale deglutì: non era molto sicuro di volerne sapere di più. Era a conoscenza del fatto che la sua pupilla ne fosse invaghita ormai da anni ma aveva creduto che quello sarebbe rimasto eternamente un puro afflato platonico, che lui non l’avrebbe mai guardata con altri occhi, che non avrebbe abbandonato o sacrificato il suo ruolo di mentore volto a plasmare il discente come fosse nient’altro che creta fresca. Ma adesso, invece, temeva lei gli avrebbe rivelato di lì a breve che si erano compromessi…

Il libraio non disse nulla, si limitò ad attendere che l’altra continuasse.

“Ha da poco pubblicato una monografia su Lord Byron. Ricordi, no? È uno degli autori di punta delle sue ricerche. E l’editore gli ha spedito il centinaio di copie previste dal contratto. Qualcuna l’ha regalata a noi, qualcuna mi ha spedita ad appiopparla alle biblioteche in giro per Londra, ma gliene sono rimaste comunque un sacco… E io, allora…”, Muriel si interruppe un momento, alzò gli occhi al cielo e, sbuffando, si decise a concludere la frase, “Gli ho detto che il mio più caro amico aveva una libreria e che avrebbe potuto venderle lui le altre copie!”

Aziraphale tirò l’ennesimo sospiro, ma stavolta di sollievo. Si era preoccupato per nulla: Gabriel si comportava coerentemente a come lui lo aveva inquadrato quella manciata di volte in cui lo aveva incontrato – nient’altro che un docente che sfrutta il suo ascendente sugli studenti per ottenere ciò che gli serve. Che bello quando il mondo tutto se ne restava placidamente prevedibile! E come era ingenua e incorrotta Muriel a credere che quella proposta fosse nata da una sua spontanea e altruistica iniziativa e non da un’idea abilmente instillatale nella testa da Gabriel! Sì perché Aziraphale ricordava perfettamente lo scambio di battute che col professore aveva avuto un paio di anni prima quando si erano conosciuti: “Ah, dunque è lei il signor Fell proprietario della storica A.Z. Fell & Co.!” aveva esclamato presentandosi e, poi, quando si erano congedati: “È stato un vero piacere conoscerla, Aziraphale. Magari si potrebbe pensare a qualche tipo di collaborazione un domani… Non perdiamoci di vista!”. Ed ecco che ‘il domani’ era diventato ‘oggi’.

“Tutto qui? Tante pene solo per chiedermi se potevo vendere i libri del tuo professore?” domandò con tono leggero Aziraphale.

“Ma come ‘tutto qui’! Se dici di no è per me un bel problema! Ci ho messo la faccia, capisci? Non voglio deluderlo!”

“Non vedo come potresti deluderlo dato che non ricade su di te la responsabilità del mio eventuale assenso. Nonostante io sia il tuo più caro amico”, e sottolineò quelle parole da un lato con orgoglio, dall’altro con un’inflessione canzonatoria in quanto era perfettamente conscio del fatto che Muriel le avesse utilizzate per rabbonirlo, “questa libreria è sotto la mia sacra giurisdizione. Lo sai che vendo narrativa e poesia. Non mi occupo di saggistica o trattatistica e, se qualcosa la ho, non è certamente contemporanea. Gabriel questo lo sa”.

“Eh, ho capito, però…”

Muriel chinò il capo rabbuiandosi un poco e ad Aziraphale si strinse il cuore. L’aveva torturata abbastanza.

“Mandalo a parlarmi, Muriel. Sono sicuro saremo in grado di trovare un accordo” la rassicurò.

La ragazza si alzò con uno scatto dal divano e si lanciò tra le braccia dell’amico.

“Grazie, grazie, grazie!”, ripeté baciandogli le guance, “Lo vado a chiamare, stava aspettando mie notizie!”

Con la stessa foga con la quale lo aveva assalito, Muriel si allontanò da Aziraphale e, correndo, uscì dalla libreria per telefonare al professore dalla strada, probabilmente per avere un minimo di privacy.

 

Il libraio si tirò su dalla seduta svogliatamente. Si sfregò le mani tra di loro e, in quel gesto, nuovamente la sua attenzione cadde sulla fede nuziale. La guardò. Un anello d’oro sobrio, lievemente bombato, né sottile, né spesso. Classico. Pulito. E di cui Crowley non sapeva assolutamente nulla.

La mente volò al ricordo degli ammonimenti dell’ormai marito nei mesi precedenti alla celebrazione delle nozze. “Niente di pomposo, angelo. Andiamo in comune, firmiamo le carte che dobbiamo firmare assieme a Nina e Maggie come testimoni e poi raccattiamo Muriel e andiamo a Tadfield dai tuoi per il rinfresco. Nessuna smanceria tipo promesse melense e, soprattutto, nessun anello a suggellare l’unione. Dorata, certo, ma sarebbe pur sempre una catena! E io non voglio avere simboli di prigionia addosso” gli aveva detto Crowley un centinaio di volte. Aziraphale sapeva cosa verosimilmente poteva ottenere dopo lunghe sessioni di trattative e a cosa invece – che ci avesse fatto pace sin da subito – avrebbe dovuto rinunciare. Quindi era riuscito a convincere il musicista ad abbandonare l’idea squallida e impersonale del comune e, grazie a una serie di manovre che gli erano costate grande fatica, a far venire l’ufficiante a Tadfield in modo tale che il matrimonio fosse celebrato nel giardino del cottage dei suoi genitori. Se fosse stato per Crowley, oltretutto, si sarebbe presentato all’altare con i soliti jeans impossibilmente attillati e usurati e una camicia tetra scelta a caso dal suo armadio.

In sostanza, quello che Aziraphale era riuscito a conquistare era stato un vestiario non quotidiano e la decorazione della location – oltre a un tappeto bianco disseminato di petali di povere rose recise anzitempo (“uno spreco!” aveva sentenziato il compagno) e a una grande tavolata riccamente imbandita con varie leccornie preparate da Agatha e da Nina, si era fatto assemblare un arco floreale sotto al quale lui e Crowley erano stati dichiarati marito e marito. Ma, per il resto, niente promesse, niente musica (incredibile considerato il fatto che avesse sposato un violinista…!), niente fotografo e, soprattutto, niente anelli. Aziraphale aveva accondisceso a tutto e, per amor di onestà, nemmeno gli importava granché: alle fotografie, senza esser notata, ci aveva pensato Maggie (la quale, fortunatamente, era riuscita a catturare qualche momento in maniera ottimale) e per quanto riguardava la musica la loro vita ne era già abbastanza piena, non c’era veramente bisogno che anche in quel giorno riecheggiasse in continuazione. Ma sulla fede… Beh, alla fede Aziraphale ci teneva. Dunque, in gran segreto, rientrati a Londra, l’aveva ordinata a un orafo di Marylebone ed era andato a ritirarla qualche giorno dopo. Per non incorrere nell’imbarazzo di dover ammettere al negoziante che era previsto solamente un anello per quello strano matrimonio, gli aveva raccontato che aveva perso il suo e che, non volendo che il marito si arrabbiasse per la sua sbadataggine, gli serviva urgentemente una sorta di ‘replica’. “Non aggiunga altro”, lo aveva confortato il padrone della gioielleria, “Mando immediatamente la richiesta al laboratorio; gliela facciamo subito subito e, così, suo marito non si accorge di niente”, poi, con aria di intesa, “Già i primi segretucci, eh? Dio solo sa quanto sono necessari a campare serenamente!” aveva concluso quello con una strizzatina d’occhio.

Ebbene sì: i primi ‘segretucci’. Aziraphale aveva preso a indossare l’anello unicamente quando Crowley non c’era; il resto del tempo lo teneva ben celato nel taschino del suo panciotto preferito.

 

Dalla soglia della libreria fece capolino la testa di Muriel, una mano a coprire il microfono del cellulare che aveva poggiato all’orecchio.

“Az, va bene se passa oggi nel pomeriggio?” chiese la ragazza facendo ripiombare Aziraphale nel qui e ora.

“Sì, certamente” rispose.

Annuendo entusiasta, Muriel si richiuse la porta alle spalle per terminare la sua telefonata.

 

Aziraphale si guardò attorno: in effetti non aveva molto spazio per ospitare le copie che Gabriel eventualmente gli avrebbe portato. Ma, pensandoci un poco meglio, si risolse che avrebbe potuto allestire una sezione a parte, momentanea. Avrebbe portato il tavolino a tre piedi che giaceva dimenticato e inutilizzato in cucina nell’ingresso, e vi avrebbe esposto una dozzina di volumi. I restanti li avrebbe lasciati in uno scatolone nella sua camera da letto al piano di sopra e li avrebbe progressivamente tirati fuori e consegnati qualora qualcuno glieli avesse chiesti. Semplice, ordinato.

 

Poco dopo Muriel rientrò saltellando.

“Az, mi hai proprio salvato la vita!”

“Via, non è nulla. Dovresti veramente imparare a dare il giusto peso alle cose che ti capitano, mia cara”.

La ragazza si diresse in prossimità del divano per recuperare la sua borsa.

“Te ne vai di già?” Aziraphale aveva sperato Muriel si trattenesse per pranzare assieme a lui.

“Scusa, ma devo passare a casa, finire di preparare la lezione e tornare in facoltà per istruire le giovani menti che si presenteranno. Me la sto facendo sotto!” aggiunse con una risatina nervosa.

“Ah, è oggi che inizi il modulo! Me ne ero dimenticato! Su, su: vedrai che andrà benissimo”, Aziraphale si interruppe e ci pensò un momento, “Giovani menti? Avranno a malapena qualche anno in meno di te!”

“Eh, lo so. Ma questo non gioca assolutamente a favore della mia credibilità”.

Aziraphale, accompagnandola verso l’uscita, le diede qualche pacca di incoraggiamento sulla spalla.

“Sarai bravissima” le disse.

“Speriamo. Ti telefono stasera così ti racconto della mia primissima esperienza da insegnante e tu mi dici com’è andata con Gabriel”.

“Va bene. A presto”.

Aziraphale le aprì la porta e stette qualche secondo a guardarla andar via.

Mia piccola Muriel, ti sei fatta proprio grande, pensò con tenerezza.

Poi rientrò nella libreria con la voglia di prendere il suo diario e mettersi a scrivere.

 

***

 

Alle 16.30 in punto la campanellina di A.Z. Fell & Co. tintinnò come a sottolineare il pomposo ingresso del professor Gabriel Lefthand.

Con mento alto e un’espressione che trasudava fierezza da tutti i pori, il nuovo arrivato raggiunse Aziraphale porgendogli la mano.

“Mio caro Aziraphale, che piacere rivederla!” afferrò quella del libraio con troppo vigore.

“Piacere mio Gabriel, prego. Vuole accomodarsi?” domandò Aziraphale liberandosi dalla stretta e indicandogli la strada verso il divano e la poltrona – col dubbio che, se non fosse stato svelto, l’altro si sarebbe accomodato sulla sua bergère anziché sul sofà.

“No, la ringrazio. Non ho molto tempo”, Gabriel mosse qualche passo in direzione dello scaffale a lui più prossimo e si mise a scorrere con gli occhi i titoli dei testi ordinati sui ripiani; poi, allungando una mano, passò l’indice sulla mensola. Se lo guardò e, con aria quasi schifata, si pulì la polvere dal dito strofinandoselo sui pantaloni, “Sa, sono molto impegnato…” concluse tornando a voltarsi verso Aziraphale con un sorrisetto falso stampato sul viso.

“Certo, lo immagino…”, commentò il libraio tentando di frenare un moto di sdegno, indossando la sua maschera di ‘commesso cortese’, “Muriel mi ha detto che le serve un posto per vendere i suoi libri”.

“Ah, Muriel, che cara ragazza!”, esclamò il professore in un soffio tanto trasognato quanto studiato, “Ma forse si è sbagliata: non mi serve un posto in cui vendere i miei testi. Credo abbia pensato di far un favore a lei, magari rinnovando un poco il suo catalogo”.

Ci fu qualche istante di silenzio.

“Mi perdoni, sicuramente mi sono espresso male io”, si corresse Aziraphale sforzandosi di ingoiare il boccone amaro della velata critica in merito alla sua collezione, “Non intendevo certamente necessitasse del mio aiuto, ci mancherebbe. Lei, poi, un docente tanto stimato… E della più facoltosa università di Londra! Non siamo ridicoli!”

Certo è che sarebbe risultato chiaro a chiunque avesse conosciuto Aziraphale da più di dieci minuti che quelle adulazioni erano a dir poco sarcastiche. Ma se da un lato Gabriel non era sicuramente tra costoro, dall’altro era troppo accecato dalla stima che nutriva per se stesso per considerare la possibilità che qualcuno si prendesse gioco di lui e del suo ruolo. Dunque sorrise con orgoglio e, appurato che fossero d’accordo (almeno secondo lui) sul fatto che non abbisognasse proprio di nessuno, continuò.

“Potremmo farci un favore a vicenda, Aziraphale. Io potrei pure distribuire le mie copie in più ad amici e colleghi, ma non ho il tempo di andare a spedirli e mi sembrerebbe uno sfruttamento incaricare uno dei miei dottorandi per farlo al posto mio”, magnanimo, pensò Aziraphale mentre quello parlava, col sorrisetto condiscendente che metteva su quando si trovava di fronte a un cliente che non gli piaceva, e non era uno sfruttamento quando hai spedito Muriel per le biblioteche? È certo che non ti metti a regalarli i tuoi dannati libri: figuriamoci se uno come te non punta al guadagno…, “Perciò ho pensato che potrei approfittare della sua generosità, portare qui i testi e mandare gli studenti che frequenteranno il mio corso a ottobre da lei ad acquistarli. Anche perché – e spero veramente non si offenda se glielo faccio notare, ma sono altresì convinto lei ne abbia piena contezza – la sua libreria era famosa decenni fa, ma adesso…” Gabriel si interruppe per muovere il capo lentamente in segno di diniego, pieno di deplorazione.

“Mi faccia capire”, intervenne Aziraphale mantenendosi calmo, continuando a recitare nella sua testa il mantra è per amor di Muriel, “Lei mi sta dicendo che se vendo i suoi testi potrò meglio pubblicizzare il mio esercizio?”

“Certamente!”, rispose Gabriel, “I miei ragazzi studiano letteratura inglese e non sanno della sua esistenza. Questo è piuttosto eloquente; un dato di cui dovrebbe assolutamente tener conto per allargare la sua rete di clienti”.

“Sì, ha ragione”, Aziraphale già non ne poteva più di quel pallone gonfiato, aveva fretta di mandarlo via e arrivare a un accordo quanto prima era l’unico modo per non continuare ad ascoltare tutte le sue idiozie, “Facciamolo, facciamolo. Di quante unità stiamo parlando?”

“Sull’ottantina”.

“Bene, le acquisto tutte. Ovviamente non a prezzo di copertina dato che converrà certamente sia il caso ci guadagni anche io” buono sì, scemo no, sembrò voler sottintendere Aziraphale.

“Piano, piano”, lo interruppe Gabriel ridacchiando, mettendo le mani avanti, “Non pensavo di venderle a lei. Facciamo così: io gliele porto in settimana; lei le vende e poi le do una somma in base agli introiti. Un 3%? Che dice? Tenga sempre conto del fatto che le porterà molti nuovi clienti quest’operazione! E vedrà che un giorno sarà lei a ringraziare me”.

Aziraphale si portò una mano sulla tempia destra e chiuse gli occhi per un secondo nel tentativo di perseverare con una serenità sempre più fiaccata.

“Gabriel, non potrei contabilizzarlo questo 3%... Temo così ci muoveremmo sul confine dell’illegalità”.

“Oh, Aziraphale!”, il professore scoppiò in una risata teatrale, “Non la facevo così legalista! Si tratterà di una somma insignificante, non certamente di un movimento di capitali tale da giustificare queste remore! Suvvia!”, Gabriel allungò una mano e la mise sulla spalla di Aziraphale, “Poi sa che pensavo? Potremmo organizzare una presentazione del libro!”, si staccò e fece qualche passo addentrandosi nel locale per studiare spazi e possibilità, “Sì, sì, il posto per un numero limitato di invitati ci sarebbe. Basterà spostare questo un po’ di là, e quest’altro di qua”, disse persuaso gesticolando verso degli scaffali che pesavano diverse centinaia di chilogrammi, “ed è fatta! Una bella presentazione con firmacopie. Che dice?”

Aziraphale lo guardò sconcertato.

“Firmacopie…? Per un saggio accademico?” chiese sgranando gli occhi.

“Ma mio buon Aziraphale, il mio non è mica un semplice saggio! È anzi una lettura rivoluzionaria di Lord Byron!”

A quel punto il povero libraio non riuscì a trattenersi e fu lui a scoppiargli a ridere in faccia tanto erano ridicoli il suo ardore e la sua sicurezza – nonché la pretesa di voler essere innovativo in merito a uno degli scrittori più studiati di sempre.

Gabriel, offeso, si ammutolì e assunse un’espressione glaciale.

In quell’esatto momento entrò in libreria Crowley tutto spedito.

“Angelo, sono un coglione mi sono dimentic-”, si interruppe immediatamente appena notò che il marito non era solo, “Mh. Salve”.

Aziraphale smise di ridere all’istante, sul suo volto calò un velo di puro terrore e si sfilò velocemente la fede dal dito ficcandosela nel taschino del panciotto.

“C-crowley! Che ci fai qui? N-non ti aspettavo!” balbettò.

Il musicista continuò a fissare con sospetto l’uomo ignoto che fronteggiava il libraio.

“Ho scordato le chiavi a casa e mi servono le tue. Devo passare a prendere di corsa gli spartiti per la lezione di oggi*”, lo informò senza dare inflessione alcuna al tono di voce; poi, facendo un cenno del capo in direzione di Gabriel, domandò: “Ci presenti?”

“Accidenti che sbadato! Crowley lui è il professor Lefthand, il tutor di Muriel; te ne ho parlato, ricordi?”

“Vagamente”.

“È un piacere conoscerla”, disse Gabriel allungandosi per stringere la mano del violinista, senza alcun entusiasmo, “Lei è un collega di Aziraphale?”

“Le sembro uno che può fare il libraio?” chiese a sua volta Crowley stizzito.

“No, no. Lui è mio marito”, si affrettò a specificare Aziraphale come a frapporsi tra i due – gli era lampante come, anche se solo a pelle, Crowley e Gabriel non si piacessero minimamente –, “Lui è un musicista!”

“Oh, un artista…” il professore pronunciò quella parola come fosse atta a indicare una cosa deprecabile, con una smorfia di compatimento.

“Ha detto musicista, non artista. Immagino un uomo istruito come lei sappia che non sono necessariamente la stessa cosa”.

“Ma è ovvio! Tuttavia mi resta il dubbio lei sia solamente un uomo molto modesto”, commentò Gabriel; poi si rivolse all’altro, “Aziraphale, pensi alle mie proposte. Le telefonerò a giorni così mi farà sapere. Magari riusciamo a controbilanciare la presenza di quei romanzetti da donnicciole ‘a la Austen!” concluse sogghignando dirigendosi verso l’uscita.

“Ah, senti questa!”, esclamò Crowley piccato andandogli dietro con l’indice alzato e puntualizzante, “Sa che la donnicciola, come la chiama lei, è stata la mente dietro la rapina della dote di Clerkenwell del 1810? Che era una contrabbandiera di brandy nonché un’abile spia?”**

“Sì… sì! Ma certo che lo so” replicò il professore – no, non lo sapeva affatto.

“Bene, bene”, Aziraphale raggiunse in fretta la porta del locale aprendola per non dar modo agli altri due di trovare ulteriori motivi di attrito, “Ci penso e avrò sicuramente una risposta da darle quando mi telefonerà. Passi una buona serata, arrivederci”.

Gabriel lanciò un ultimo sguardo sprezzante verso Crowley e, salutando, se ne andò.

 

“Ma che razza di stronzo borioso!” Crowley si sfilò gli occhiali da sole quando Aziraphale si richiuse l’uscio dietro di sé.

“Ma allora mi ascolti quando parlo dei miei autori preferiti…” disse il libraio in un sussurro carico di dolcezza.

“Ci provo a non farlo, ma mi rincoglionisci talmente tanto che poi qualcosa, mio malgrado, in testa mi rimane”, rispose il violinista con la solita noncuranza che recitava quando si impegnava per mascherare quanto gli stesse a cuore ciò che stava a cuore al compagno, “Comunque sia, perché adesso fai comunella con quel tizio? Non ci stava sulle palle?”

“Faccio comunella fintanto che mi conviene, Crowley”, Aziraphale si diresse verso la scrivania, “Vuole che venda le copie in eccesso della sua monografia che l’editore gli ha spedito”, aprì il cassettino, tirò fuori le chiavi di casa e gliele porse, “E devo dire che non ha nemmeno tutti i torti: se mi manda qualche ragazzo in più, non può che giovare ai miei affari”, Crowley le prese e se le infilò nella tasca posteriore dei jeans, “Ma è grossomodo per far piacere a Muriel, se non ci fosse di mezzo lei temo non lo prenderei nemmeno in considerazione”.

“Come ti pare. Senti…”, Crowley cambiò sia il tono, sia l’espressione assumendo un’aria inquisitoria, “cos’è che ti sei ficcato in fretta e furia nel taschino?”

“Nel taschino? Io? Nulla…!” le gote di Aziraphale si colorarono di timore e imbarazzo.

“Guarda che ti ho visto! Non dirmi cazzate”.

“Temo tu ti sia sbagliato…”

“Ah, mi sono sbagliato… Allora non ti dispiace se-” e gli saltò addosso cominciando a smanacciarlo per raggiungere il taschino del panciotto e tirare fuori il misterioso oggetto incriminato, mentre Aziraphale si divincolava cercando di liberarsi da quella perquisizione.

“Va bene!”, esclamò poco dopo il libraio, “Te lo mostro! Buon Dio, sei insopportabile”.

Sbuffando rumorosamente, rassegnato all’idea della probabile litigata che ne sarebbe conseguita, Aziraphale estrasse l’anello dal suo nascondiglio.

“Angelo, cos’è quello?”

“…una fwdweenwuziale…” bofonchiò in modo volutamente incomprensibile.

“Una che?”

“Una fede nuziale!” proruppe al fine.

Crowley alzò gli occhi al cielo e allargò le braccia.

“Aziraphale, ma che cazzo… Pensavo fossimo d’accordo…!”

“Ma certo che siamo d’accordo… È solo che…”, Aziraphale soffiò dalle labbra un sibilo esacerbato, “Oh, andiamo Crowley, è così brutto voler che gli altri sappiano? È tanto imperdonabile desiderare che la nostra unione sia esplicita?”

“Ma hai così tanto bisogno che quei quattro clienti pidocchiosi che entrano qui ti vedano un anello al dito? Ma cosa te ne frega? Io e te lo sappiamo, i tuoi amici lo sanno, i tuoi genitori lo sanno. Basta. Che t’importa del resto del mondo?”

“Nulla…”

“E allora?”

Aziraphale chinò il capo e aggrottò le sopracciglia.

“È per me, ok? Non è per loro… è per me!”, ammise frustrato rialzando il viso su quello dell’altro, occhi negli occhi, “Io la tengo al dito e... Uffa! Lo so che per te è stupido, ma mi ricorda di tutta la strada che abbiamo fatto assieme, delle difficoltà che abbiamo superato. Del fatto che in certi momenti sembravano persino insormontabili e, invece, siamo finiti col giurarci amore eterno!”, i lineamenti del volto si ammorbidirono, “Mi ricorda che ti amo, perché ti amo… E che tu ami me”.

“Aaaah!” ringhiò Crowley esasperato. Non riusciva minimamente a comprendere perché ad Aziraphale servisse un promemoria.

Girò i tacchi e fece per andarsene.

“Crowley, non ti arrabbiare!”

Il violinista si arrestò. Poi, voltandosi verso il compagno, disse quasi supplicante: “Non dirmi che ci hai pure fatto incidere ‘Anthony’ e la data del matrimonio dentro… Ti giuro, potrei vomitare!”

“No…”

“Almeno…”

“…ci ho fatto incidere ‘Crowley’…”

“Aziraphale…!”

“Oh, per l’amor del Cielo. Perché ti infastidisce tanto…?! Non ti sto mica chiedendo di portarla anche tu!”

“Ci mancherebbe!”

Stettero qualche minuto a fissarsi a un paio di metri di distanza, nessuno dei due sembrava avere intenzione di rinunciare alle proprie convinzioni.

“Non ho speranza di farti capire quanto tutto ciò sia cretino, vero?” chiese Crowley, vinto.

“No. Abituati. Non ho intenzione di metterla via” rispose con tono fermo Aziraphale.

Crowley rinfilò gli occhiali da sole e, prima di uscire, borbottò sillabe sconnesse.

 

***

 

Era passata una settimana dal giorno in cui Crowley aveva scoperto della fede di Aziraphale. Tuttavia, nonostante il libraio non si fosse più preoccupato di nasconderla nemmeno in presenza del marito, non ne avevano ulteriormente parlato. Certo è che Crowley aveva grugnito contrariato ogni volta che l’occhio gli era caduto sulla mano sinistra del compagno, ma Aziraphale aveva fatto finta di niente e, con ostinazione, aveva perseverato nell’indossarla – o, addirittura, rimirarla altero nella sua vittoria.

Quei giorni avevano inoltre segnato il definitivo accordo con Gabriel: Aziraphale avrebbe venduto i volumi alle sue condizioni – più per levarselo di torno che altro –, e stava ancora riflettendo in merito all’eventuale presentazione.

Era giovedì, l’ora di chiudere la libreria e rincasare nell’appartamento di Mayfair si avvicinava.

Aziraphale continuava a guardare fuori dalle grandi finestre in attesa Crowley venisse a prenderlo, ma di lui non v’era traccia.

Strano, pensò, magari si sta attardando a parlare con qualche genitore.

Nel dubbio, uscì e raggiunse Maggie nel negozio di dischi affianco.

“Aziraphale…!” esclamò stupita lei vedendolo.

La donna stava giustappunto riordinando per poter tornare a casa a sua volta.

“Cara, sono passato per sapere a che punto è Crowley”.

“In che senso?”

“Le lezioni…”

Maggie lo guardò confusa.

“Non aveva lezioni oggi”.

“Ah. Credevo che…”, si grattò la testa, “E dov’è allora?”

“E io che ne so”, disse lei facendo spallucce; poi si infilò una mano in tasca, estrasse il cellulare e lo passò all’amico, “Chiamalo”.

Aziraphale, in effetti, dopo aver distrutto l’esemplare che quel lontano giorno Crowley gli aveva regalato, non aveva voluto acquistarne un altro. Da un lato continuava a non sentirne il bisogno, dall’altro temeva gli avrebbe fatto tornare alla mente spiacevoli ricordi che non era intenzionato a rivivere.

Fece il numero senza cercarlo nella rubrica e si portò la cornetta all’orecchio.

“Maggie?” rispose Crowley dopo qualche squillo.

“No, non sono Maggie”.

“Oh, angelo. Che c’è? È successo qualcosa?”

“No, non è successo niente. Dove diavolo sei? Ti sto aspettando!”

“Ma sto a casa! Sono io che sto aspettando te!”

“E quando volevi dirmelo, di grazia? Dai, arrivo. A tra poco”.

Senza lasciare a Crowley il tempo di replicare in qualche modo, Aziraphale riattaccò e restituì il telefono alla proprietaria.

“È a casa”, la informò scuotendo il capo, “Si sarà dimenticato di dirmi che oggi non tornavamo assieme…”

“È tutto a posto? Avete per caso litigato?” domandò Maggie.

“No, non abbiamo litigato”, fece per andarsene ma si arrestò sulla porta, “Che io sappia, almeno!” aggiunse sorridendo.

La salutò e andò a chiudere la libreria.

 

Ad Aziraphale non dispiaceva passeggiare da Soho a Mayfair con l’unica compagnia dei suoi stessi pensieri, non in una bella serata di inizio estate come era quella. Tuttavia, era talmente abituato a farlo accanto a Crowley che, comunque, in qualche strano modo, riusciva a sentire la sua mancanza. Non che chiacchierassero granché quando percorrevano la via del ritorno, ma era affezionato alla sagoma scura che gli strisciava di fianco e che intravedeva con la visione periferica: una specie di ombra senza la quale si sentiva ormai incompleto.

Raggiunse lo stabile in cui risiedevano perdendosi nella progettazione della cena, tentando di ricordare cosa era rimasto nel frigorifero.

Con un cenno del capo tanto ossequioso quanto bizzarro salutò la Bentley parcheggiata in strada, aprì il portone e salì.

L’ascensore era ancora rotto e, maledicendo chiunque fosse stato incaricato di aggiustarlo, fece i quattro piano a piedi.

Quando entrò nell’appartamento il suo rancore verso la pigrizia dell’amministratore di condominio evaporò per lasciar posto ad un’incontenibile meraviglia che gli fece spalancare gli occhi e aprire le labbra in un sorriso estasiato.

La casa era immersa in una penombra contrastata esclusivamente dal luccicore di diverse candele disposte lungo il pavimento come a perimetrare una sorta di strada da seguire verso il salone. Inoltre, sparsi disordinatamente lungo la via, c’erano petali di rose rosse identici a quelli che aveva preteso il giorno del suo matrimonio. Nell’aria, invece, riverberava il Trio per violino, violoncello e pianoforte in Re maggiore di Strauss, un pezzo che Aziraphale aveva sempre molto amato e che non faticò a riconoscere all’istante.

Col cuore che palpitava della più dolce tra le emozioni, prese a camminare lentamente seguendo la via tracciata da petali e candele.

Crowley se ne stava ad attenderlo con le braccia conserte e col sedere poggiato al tavolo.

“Ce ne hai messo di tempo”, gli disse quando i loro sguardi si incontrarono, “Se avessi tardato oltre sono sicuro avrei preso fuoco assieme a tutta casa!”

“Cos’è tutto questo?” chiese Aziraphale con la voce che gli tremava, raggiungendolo.

“Dammi il tuo anello” comandò Crowley.

“Ma, Crow-”

“Ho detto: dammi il tuo anello”.

Aziraphale se lo sfilò dal dito e lo passò al compagno.

“Credo si faccia così…”, sussurrò Crowley con tono incerto, vagamente imbarazzato, mentre se lo rigirava tra le mani. Poi si schiarì la voce, si fece forza, e parlò.

“Aziraphale, devi perdonarmi se il nostro matrimonio non è stato all’altezza delle tue aspettative. Lo so che sei perfettamente consapevole di quanto io ti ami, che hai accettato le mie stranezze come anche le mie stronzaggini, nonché la quasi totale assenza di romanticismi o cose così. E ti ringrazio per non avermi mai fatto sentire inadatto per come sono. Ma questo non mi giustifica dall’essermi impegnato tanto per rendere ordinario un giorno che doveva essere speciale. Che entrambi avremmo ricordato eternamente. Perciò sono qui, adesso, a tentare di rimediare; a cercare, insomma, di farti meglio capire quanto per me sia stato importante…”

Crowley si interruppe per riprendere fiato. Alzò gli occhi al cielo come se stesse chiedendo a Dio in persona di infondergli coraggio e accantonare i suoi pudori. Sbuffò e infilzò gli occhi in quelli immensi e lucidi di Aziraphale, il quale, ammutolito e incantato, se ne stava a osservarlo come se pendesse dalle sue labbra, come se il suo intero destino dipendesse dalle parole che il marito avrebbe pronunciato.

“Non credevo che avrei mai trovato qualcuno con cui condividere la mia vita, non credevo nemmeno di volerlo. Ero convinto che sarei rimasto solo e che quando avrei lasciato questa Terra nessuno se ne sarebbe accorto. Pensavo mi andasse bene, pensavo di essere… Ok, magari non userei la parola felice, ma a posto. Sì, pensavo di essere a posto”, si fermò nuovamente e si tirò indietro i capelli in uno di quei suoi gesti di nervosismo tanto familiari al libraio, “E poi ho conosciuto te. Sei comparso nella mia squallida esistenza e, cazzo, l’hai illuminata! Nemmeno mi ero reso conto che avevo passato cinquant’anni a vedere il mondo in bianco e nero… Tu non ti sei limitato a restituirmi i colori, ma mi hai dato tutto quello che non avevo mai avuto il coraggio di chiedere: amici, famiglia, stabilità. Amore. E paura. Mi hai ridato la paura. Quando non hai niente da perdere, angelo, non temi nulla. Vai avanti per inerzia e ogni cosa ti scivola addosso. Ma con te al mio fianco, ogni giorno mi cammina accanto il terrore di perdere tutto ciò che di meraviglioso mi hai regalato. Chiederti di sposarmi per me ha significato abbracciare questa paura, accoglierla e ringraziarla”.

Crowley allungò la mano per invitare Aziraphale ad afferrarla con la sinistra. Fremente, quest’ultimo poggiò il suo palmo su quello del violinista.

“Aziraphale, sei il mio migliore amico, il mio compagno, la mia anima gemella. Ti prego dunque di ricevere questo anello – che ti sei comprato da solo senza che io ne sapessi un cazzo”, Aziraphale ridacchiò e due lacrime gli caddero dagli occhi, “come segno del mio amore e della mia fedeltà”.

Crowley infilò a quel punto la fede all’anulare sinistro del marito.

Aziraphale si mosse e fece per saltargli al collo, ma Crowley si scansò.

“Aspetta un attimo, cazzo, non abbiamo finito” disse.

Si mise una mano in tasca e ne estrasse un altro anello. Aziraphale spalancò la bocca non riuscendo a contenere il suo stupore quando il compagno glielo passò.

“Ora tu farai lo stesso. Perché mi gioco tutto quello che ti pare che le promesse avevi cominciato a scriverle nel tuo diario nel momento in cui ci siamo conosciuti. Lo so che ci tieni…”, alzò le spalle, “Dai, spara”.

“Ma io…”

“Angelo: vai”.

Sul volto di Aziraphale si aprì un sorriso appena accennato, timido e dolce.

“Ti sbagli, Crowley, io le promesse non ho cominciato a scriverle quando quel giorno ti sei presentato in libreria, ma molto prima, poiché tu abiti i miei sogni inconfessati da quando sono stato messo al mondo”, cominciò, “Sono nato per combaciare a te, e a te soltanto. Per lungo tempo ho creduto che il nostro incontro fosse il frutto della più fortunata tra le coincidenze, ma poi ho capito che non sarebbe potuta andare diversamente: io ero destinato a te, tu eri destinato a me.

– Non so più quante volte mi hai ripetuto di sentirti in debito con me, so che credi che in qualche modo io ti abbia ‘salvato’. Ma non è così, e, pure in parte fosse la verità, non lo sarebbe più di quanto tu non hai salvato me. Oziavo in un’esistenza che aveva perso significato e mordente, la vita mi scorreva tra le dita, mi sfuggiva inconsistente come fosse acqua o aria; e io la vedevo muoversi mentre me ne restavo immobile, forse troppo vigliacco o stanco per poter sperare ci fosse qualcosa di più in serbo per me. Credevo che le mie grandi emozioni, i miei sentimenti o i miei turbamenti fossero condannati a rimanersene rinchiusi tra le pagine dei libri che leggevo. Anche il mio mondo era grigio, e anche io, come te, non me ne ero accorto prima del tuo avvento. Crowley: tu hai reso la mia vita un romanzo. Talmente bello e avvincente che nessun essere umano mai, per quanto geniale potesse essere, avrebbe potuto ambire di scrivere”.

Aziraphale si fermò un momento e, come aveva fatto poco prima Crowley, gli porse la mano per lasciare che lui poggiasse la propria sul suo palmo.

“Io e te siamo l’incastro perfetto. Uguali e contrari, perfettamente complementari. E sono sicuro che, ammesso la reincarnazione sia un’opzione, ci incontreremo ancora e ancora perché siamo stati creati come le due perfette metà di un intero. Non importa chi siamo stati o chi saremo: le nostre strade sempre troveranno il modo per incontrarsi, ho fede in questo. Perché, Crowley, quel giorno io e te non ci siamo conosciuti: quel giorno ci siamo ri-conosciuti. Perciò…”, Aziraphale infilò la fede al dito del marito, “Ti prego di accettare questo anello – che ti sei comprato da solo senza che io ne sapessi alcunché”, ripeté sogghignando, “Come simbolo del mio eterno amore, della mia più totale devozione e della mia fedeltà”.

Si guardarono commossi, pieni di quell’amore che non smetteva mai di trovare nuovi modi per essere confermato, si diedero un piccolo bacio a fior di labbra e si strinsero in un abbraccio morbido e caldo.

“Lo hai fatto incidere?” domandò Aziraphale dopo qualche secondo col viso poggiato sulla spalla del musicista.

“Ovviamente”.

“Spero che abbiano scritto correttamente ‘Aziraphale’… Lo hai controllato?”

“Non hanno sbagliato, tranquillo, ma non era una parola così difficile…”

Aziraphale si sciolse dalla presa per guardare Crowley negli occhi, malizioso e divertito.

“Non avrai mica fatto scrivere ‘angelo’…!”

“Fatti i cazzi tuoi”, rispose l'altro ridendo. Poi si chinò un poco e gli porse la mano: “Ora credo di doverti un primo, e spero ultimo, ballo. Vuoi?”

Il libraio arrossì, non poteva crederci.

Abbassò per un solo istante lo sguardo e, accettando l’invito, si ritrovò nuovamente al riparo tra le braccia forti del compagno.

Cominciarono a muoversi a tempo del Trio che ancora suonava nel salone, ondeggiando lentamente seguendo la melodia del violino, dimenticandosi completamente che era accompagnato e sostenuto anche da un pianoforte e da un violoncello.

Crowley inclinò il volto quel tanto che bastava per raggiungere con la bocca l’orecchio di Aziraphale.

 “Se lo racconti a qualcuno giuro che ti ammazzo” gli sussurrò direttamente nel padiglione auricolare.

Il libraio scoppiò a ridere.

“Non lo dirò a nessuno, Crowley” lo rassicurò.

 

I primi segretucci.

Sì.

Ma nei confronti del resto del mondo.

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N.d.A.

Caro lettore,

eccoti servito il secondo episodio di questa raccolta. Sperando ti sia piaciuto, ti ringrazio per avermi letta.

Due precisazioni doverose:

* Il “mistero” delle lezioni sarà oggetto della prossima storia;

** Il riferimento alla biografia della Austen ho la quasi totale certezza sia un’invenzione di Gaiman (ammetto che non mi sono messa a fare grandi ricerche ché non ce n’era motivo); tuttavia, mi piaceva inserirlo tale e quale è presentato nella seconda stagione di Good Omens.

Il cognome di Gabriel è uscito fuori dopo vari ripensamenti: l’arcangelo spesso viene definito come “la mano sinistra di Dio”, dunque in modo assai ‘originale’ e ‘geniale’ (sono assolutamente ironica) mi sono limitata a tradurre in inglese e accorpare le parole.

Il Trio sulle cui note i nostri si scambiano le promesse nonché eseguono il primo (e, sì, probabilmente ultimo – le speranze di Crowley sono ben riposte) ballo lo trovi al seguente indirizzo YouTube: Richard Strauss: Piano Trio No.2 in D major, for violin, cello and piano AV 53 (1878) - YouTube

Ancora ti ringrazio e ti mando un saluto caro.

Alla prossima,

Ederaria.

   
 
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