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Autore: Enchalott    03/07/2024    3 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a tutti! :)
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Dopo una guerra ventennale, i Salki vengono sottomessi dalla stirpe demoniaca dei Khai. Negli accordi di pace figura una clausola non trattabile: la primogenita del re sconfitto dovrà sposare uno dei principi vincitori. La prescelta è tanto terrorizzata da implorare la morte, ma la sorella minore non ne accetta l'ingiusto destino. Pertanto propone un patto insolito a Rhenn, erede al trono del regno nemico, lanciandosi in un azzardo del quale si pentirà troppo tardi.
"Nessuno stava pensando alle persone. Yozora non sapeva nulla di diplomazia o di trattative militari, le immaginava alla stregua di righe colorate e numeri su una pergamena. Era invece sicura che nessuna firma avrebbe arginato i sentimenti e le speranze di chi veniva coinvolto. Ignorarli o frustrarli non avrebbe garantito alcun equilibrio. Yozora voleva bene a sua sorella e non avrebbe consentito a nessuno di farla soffrire."
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Addio
 
Il corpo giaceva in un lago di sangue ai piedi della torre occidentale. Dal telo posto a ricoprirlo sporgeva la lama, rivolta al cielo zafferano del primo mattino.
I visi degli astanti, un cerchio esiguo e raccolto, erano terrei: lo sgomento vinceva l’atarassia khai, i guaritori reggevano le candele senza sussurrare il commiato.
Il grido di Yozora smosse l’aria immota.
Mahati la strinse al petto, distante dall’imperturbabilità richiesta dal credo.
«Non guardare» mormorò carezzandole il capo.
Fece un cenno ai nisenshi, qualcuno occultò la mano inerte che sporgeva dalla stoffa nera, la preghiera al celeste Reshkigal finalmente si levò insieme ai sottili fili di fumo.
«Suicidio, mio signore» osò uno dei medici «Gettarsi da lassù dopo aver confitto la spada indica la ferma volontà di non incorrere in un provvidenziale soccorso.»
«Ne prendo atto.»
Il principe rispose con l’autorità del suo ruolo, ma si sentì estraniato. Le lacrime della moglie gli inzuppavano la veste e non accennavano a placarsi. Tra i singhiozzi udiva un no pronunciato all’infinito, condivideva la sua disperazione, solo non era avvezzo a esternarla. Non doveva esternarla.
«No… perché…?»
Una domanda cui stranamente non seppe rispondere. Per un Khai uccidersi era preservare l’onore, scontare una colpa, allontanare l’onta dal clan. Il sangue reale centuplicava il significato dell’atto, lo rendeva degno d’eterna deferenza, ma in quel caso non esisteva ragione.
«Andiamo. Non possiamo fare nulla.»
«I-io voglio restare» Yozora levò il volto disfatto «Voglio…»
Mahati le sfiorò una guancia, incapace di confortarla dall’orlo dello stesso abisso.
«Dopo porgeremo entrambi l’addio.»
«No! Devo capire, ti prego!»
La sollevò tra le braccia, ordinò di trasferire il cadavere all’interno del palazzo e si lasciò la scena alle spalle. Un interrogativo restò incastrato tra le zanne digrignate.
Lui dov’è?!
 
 
“Rasalaje, sposa del primogenito, sangue degli antichi daama, discendente di Ŷalda
a Mahati, secondogenito dei Khai, supremo Kharnot, signore dell’aurora, spada del divino Belker.
 
Il quinto mese del trecentoventiseiesimo anno dell’eccelso trono di Kaniša, produco questo scritto per affidarti la mia volontà.
Generoso iwadar,
ti stupirà leggere le mie parole, poiché in fondo non ci siamo mai conosciuti. Eppure ho distinto in te le incomparabili virtù della stirpe demoniaca e ad esse mi appello.
Non ho diritto di importi un perdono, dacché esso scaturisce spontaneo; supplico invece comprensione, certa che la tua ragionevolezza non sarà mai sopraffatta dall’indomabile furore che scorre nelle vene di un guerriero.
Lo stratega supremo non fallisce, so che hai risparmiato tuo fratello, grazia per la quale ti sarò debitrice in eterno. Forse hai assunto tale decisione affinché fossi io a privarlo della vita, com’è diritto di una consorte oltraggiata: invece ogni mia fibra ha opposto rifiuto a ciò che avrebbe riportato onore al clan.
Esiste qualcosa in me che pone Rhenn al di sopra di ogni creatura e averne appreso la natura giustificherebbe, anzi incenserebbe il mio agire. Tuttavia, tu e la mia cara kalhar avete subito la medesima offesa: per mondarla ti offro il mio sangue, accettalo sebbene contaminato dall’impulso proibito dalle sacre leggi.
Rinuncia alla vendetta e assolvimi, se affermo di capire le ragioni che hanno spinto mio marito a violare il tuo talamo. Compatiscimi, se oso sfidare la tua pazienza e il comune buonsenso chiedendoti di rimanergli accanto come fosse un ragazzino innocente e privo di malizia.
Porto la mia e la sua abiezione nello sconfinato regno del Custode, sollevata dalla convinzione che saprai indirizzarlo sulla strada che stai percorrendo persino quando, gli Immortali lo concedano, siederà sul trono dei Khai.
Onore al celeste Belker.”
 
Mahati inalò l’aria e serrò i pugni: la missiva appena scorsa crepitò lieve. Posò lo sguardo turbato su Yozora, che stringeva un identico foglio.
 
“Rasalaje, sposa del primogenito, sangue degli antichi daama, discendente di Ŷalda
a Yozora, principessa di Seera, incomparabile sposa del secondogenito dei Khai.
 
Il quinto mese del trecentoventiseiesimo anno dell’eccelso trono di Kaniša, produco questo scritto per affidarvi i miei sentimenti.
Mia dolce kalhar,
scacciate la tristezza: non merito il vostro pianto ma ve ne sono riconoscente, so che lo versate con sincerità. Siete la persona cui arrecherò maggiore sofferenza e ciò mi affligge. Con imperdonabile egoismo, conto che vostro marito vi illustri i fondamenti sottesi alla mia scelta e che un giorno possiate accettarla senza biasimarmi.
Queste poche righe sono un ringraziamento per la vostra amicizia. La ricambio con tutta me stessa, sappiate che non ho mai dubitato di voi, piuttosto mi vergogno per non aver impedito a mio marito di ingannarvi, cagionandovi pena. Ero già perduta quando vi ho incontrata e, nonostante la vostra vicinanza, non sono riuscita a diventare olio sull’acqua.
Vi domando perdono, mi sono ritirata in me stessa quando avrei dovuto onorarvi con un legame duraturo, parlarvi delle mie ignobili paure, dei tortuosi segreti del cuore, delle lacrime indegne che voi sola avreste reso sostenibili. Ma così vi avrei caricata di un’ulteriore angoscia e sarebbe stata un’iniquità.
Non vi chiedo di perdonare Rhenn, non solo perché non lo merita ma anche perché con probabilità lo avete già fatto. Se non sono in errore, esaudite la mia preghiera e non abbandonatelo: non sopravviverebbe alla vostra assenza. Cercate un modo che vi sia consono, di voi si fida, vi rispetta sebbene le azioni indichino l’opposto e si diletti a stare in equilibrio sul baratro dell’autodistruzione.
Lasciate che io abiti nei vostri ricordi come una sorella maggiore, se non vi è di peso.
Gli dei vi proteggano, possiate vivere in letizia.”

Stretta al marito, Yozora tentava invano di arrestare le lacrime. Per il bene di tutti aveva deciso di non vedere più l’Ojikumaar, ma le accorate parole dell’amica la strappavano alla travagliata decisione.
Mahati le sfilò lo scritto dalle dita tremanti, sfiorandole fronte con un bacio.
 
“Rasalaje, sposa del primogenito, sangue degli antichi daama, nipote rispettosa
a Ŷalda, principe del clan, supremo reikan del secondo stormo.
 
Il quinto mese del trecentoventiseiesimo anno dell’eccelso trono di Kaniša, produco questo scritto per affidarti la mia memoria.
Pregevole zio,
la spada che mi sottrae al tuo sguardo è stata sguainata per mio volere, dunque non cercare vendetta. Con una morte stimata dal dio della Battaglia, lavo l’indegnità prima che essa contamini sia la nostra preziosa famiglia sia quella reale, che mi ha accolta come figlia e moglie.
La mia accertata sterilità risulta d’imbarazzo all’intera Mardan, inoltre le false voci sull’infedeltà dell’erede al trono minano la coesione del regno che è mio compito preservare. A ciò si sommano sensazioni recondite, lontane dal rigore del nostro popolo, che auspico non abbiano raggiunto il tuo rispettabile udito.
Di mio pugno stronco quanto è male secondo gli insegnamenti che ho ricevuto e prego che sia tu a tacitare i sussurri e a disporre delle mie ceneri.
Onore al celeste Belker.”
 
Ŷalda si allontanò dall’arcata a colonne tortili che incorniciava la finestra. Le movenze nervose palesavano più disappunto che dispiacere, ma il volto non tradiva emozioni.
«Mio prezioso?»
La giovane moglie seguitò ad allattare il neonato che reggeva tra le braccia, gli occhi verdi rivolti alla possente schiena del consorte. Lui emise il fiato.
«Nessuna contestazione. Approvo la condotta di mia nipote.»
«Eppure sei contrariato.»
Il capoclan si voltò, un sorriso scaltro sulle labbra sottili.
«Meno di due secoli e così perspicace. Ottima idea impalmarti, Kahala.»
«Gradisco il tuo apprezzamento, ma non eludere la mia domanda.»
Lui meditò un istante prima di rivelare le proprie elucubrazioni.
«Questa lettera è un salvacondotto per Rhenn, non un testamento. Di fatto blocca le mie recriminazioni e gli sciacqua la reputazione. Nessuno metterebbe in dubbio la parola di Rasalaje in punto di morte. Lasciar intendere che è stato un marito paziente e devoto lo pone al sicuro da ogni pettegolezzo.»
«Perché non le credi?»
«Innanzitutto per lo spregevole ahaki che ammette» ribatté Ŷalda storcendo la bocca «E poi perché sono a conoscenza di particolari che la contraddicono. Non era affatto infeconda, il problema è dell’erede al trono.»
La ragazza abbandonò l’espressione disgustata a favore di un acuto stupore.
«Dopo il periodo di lutto, l’Ojikumaar deve risposarsi, è la legge! Cosa accadrebbe se non generasse un erede neppure in seconde nozze?»
«È ciò che mi domando. Interpretare i meandri mentali di quell’uomo è un’impresa, per fortuna ho chi mi spiana la strada.»
«Alludi alla donna che hai ricevuto ieri?»
«Sì. La cosa ti ingelosisce?»
«Non indulgo in debolezze. Diffido di lei, non mi piace.»
«Risulta molto utile al momento.»
«La politica è il tuo campo, mio adorato. A me spetta nutrire nostro figlio e attorniarlo di numerosi fratelli.»
Ŷalda le sedette accanto, un sogghigno provocatorio sulle labbra.
«Eppure mi piacerebbe vederti in preda alla gelosia, Kahala, si dice alimenti l’eros.»
 
“Rasalaje, sposa del primogenito, sangue degli antichi daama, discendente di Ŷalda
all’unico re Kaniša, sovrano dei Khai, dominatore dei popoli, prediletto del supremo Belker.
 
Il quinto mese del trecentoventiseiesimo anno del vostro eccelso trono, produco questo scritto per affidarvi il mio rispetto.
Pregevole erkhem,
secondo le leggi da voi governate, spengo gli ignobili sentimenti che mi corrodono l’anima, offrendo la mia futile vita al signore di tutte le Battaglie.
Mi affido alla vostra magnanimità, supplicandovi di non cancellare il mio nome e non disperdere le mie ceneri nel deserto. Tuttavia, se per voi fosse la scelta più congrua, vi chiedo di non esitare per un mero scrupolo verso la vostra immeritevole nuora.
Oso esprimervi un ultimo desiderio, prerogativa di ogni condannato: non costringete il vostro primogenito a unirsi in matrimonio con una donna inidonea. Permettetegli di scegliere, l’esperienza mi rende certa delle sue facoltà di discernimento e del fatto che, affiancato da una sposa gradita, genererà l’erede tanto atteso.
Invoco il vostro perdono, poiché ho agito di mia iniziativa, senza rivolgermi alla vostra somma autorità e al vostro paterno consiglio.
Onore al celeste Belker.»
 
Kaniša si ergeva rigido sul trono, tracce violacee di stanchezza sul volto di pietra.
Sul catafalco reale, coperto da un velo, era stato composto un corpo.
«Congratulazioni, Rhenn. Se avessi ordito un piano eccellente come il tuo, mi sarei risparmiato ogni genere di seccatura.»
Il principe della corona era inginocchiato ai piedi dello scranno, lo sguardo offuscato dai sedativi, le labbra aride. Il sudore gelido della debolezza gli inzuppava le vesti, la visione oscillava e la penombra dell’ambiente gli restituiva un’impressione di costante mancamento.
«A cosa alludete, padre?»
Il re puntò l’indice, una luce efferata negli occhi, e i guaritori sollevarono l’organza.
Rhenn trasecolò. L’incarnato cereo schiarì. Si sforzò di mantenere la posa quando la stanza prese a vorticare. Inspirò, espirò, cercò il vuoto dell’atarassia khai.
Rasalaje giaceva inerte sulla seta rossa, le chiome dorate intrise di sangue rappreso. L’abito candido, macchiato dello stesso colore, era lacerato da un taglio all’altezza del cuore. La spada, posta sul petto immobile, riluceva come appena forgiata.
«È raro vederti privo di parole» infierì Kaniša «Hai potenziato le doti attoriali?»
«Chi…?» la voce gli mancò.
Deglutì, strinse i pugni fino a sentire gli artigli nei palmi, ma restò immobile. Algido.
«Tua moglie si infila una lama tra le costole e salta dalla torre mentre tu sei nel mondo dei sogni e devo pensare che sia una coincidenza?» il sovrano gli gettò addosso la lettera ricevuta «Anche questa è parte della suggestione?»
L’Ojikumaar scorse le poche righe senza toccare il foglio, che giacque sul pavimento. La calligrafia era ordinata come se Rasalaje avesse inviato un semplice appunto.
«Non ne ero al corrente.»
L’erkhem studiò la reazione contenuta del figlio, leggendovi inconsapevolezza e stupore. Nessun dolore, ma stava proferendo il vero.
«Ipotizziamo tu non stia recitando» lo sfidò «Esigo che mi sveli il segreto. Come sei riuscito a saturare di ignobile ahaki la principessa reale? E senza restare coinvolto!»
Rhenn levò il capo e la chioma corta, cui non era avvezzo, gli ricadde sulla fronte.
«Credo nel divino Belker e gli sono grato per avermi preservato dal male sbocciato nel mio talamo. Se avessi sospettato, avrei agito secondo le sue leggi. Sono fiero di mia moglie che, nonostante gli spregevoli impulsi espressi, ha preservato la dignità del clan nell’unico modo lecito. Concedetele l’onore del rogo.»
Kaniša batté la mano sul bracciolo.
«Conserva il cordoglio formale per gli stolti! Come hai fatto?! Quali azioni l’hanno portata a innamorarsi di te!?»
«Nessuna, padre! Non posso trasmettere una malattia di cui non soffro! Forse lo domandate per servirvene?»
«Non osare!»
«Voi, non osate davanti alle spoglie di una donna impavida! Posso supporre che il non aver partorito un erede l’abbia condotta al baratro! Accusatemi pure di non aver colto i segnali, ma tutto ciò che sento è accettazione, approvazione e deferenza!»
Il re strinse le palpebre, lo sguardo feroce in quello irato del primogenito.
«E sia, predisponi la cerimonia funebre. La tua ferita non è invalidante, perciò fallo da in piedi!» ringhiò appoggiandosi allo schienale ligneo «Ti accordo tre mesi di lutto, nel corso dei quali individuerai una nuova sposa. Non interverrò in rispetto alle ultime volontà di Rasalaje, ma mi riserverò di esaminare la candidata.»
«È tutto?»
Kaniša mosse la mano in segno di congedo. Rhenn si trascinò fuori senza guardare il cadavere.
 
“Rasalaje, sposa del primogenito, sangue degli antichi daama, discendente di Ŷalda
a Rhenn, primogenito dei Khai, principe della corona, signore delle terre del tramonto, fiamma del divino Belker.  
 
Il quinto mese del trecentoventiseiesimo anno dell’eccelso trono di Kaniša, produco questo scritto.
Mio prezioso consorte,
scelgo la formalità, poiché non desidero infastidirti con termini che provocherebbero il tuo giusto sdegno.
Mentre ti osservo dormire, mi persuado di aver preso la decisione migliore. Per me, poiché non voglio cederti l’ultimo frammento di anima che mi resta e voglio morire come una Khai del sangue. Come ti ho promesso, così lo dimostro.
Per te, perché desidero che tu viva libero, non solo dall’infamia di non avere un erede, ma anche da un vincolo che ti rende tanto infelice da toglierti il sonno e l’integrità.
Porto con me il tuo volto assopito, il calore del bacio che ti ho rubato, la speranza che tu possa trovare una sposa degna, una che sappia conquistare la tua attenzione al di fuori dell’amplesso e riesca a supportarti quando diverrai erkhem.
Ti domando perdono per non essere stata tale, per aver maturato emozioni che ti hanno allontanato e reso ostile. Sono certa che, se si potesse riavvolgere il tempo, ambedue rifiuteremmo le nozze.
Non ti chiedo di ricordare me, bensì l’esperienza che abbiamo maturato in questi anni, affinché tu non commetta un altro errore in nome delle norme o di quanto Mardan si aspetta da te. Scegli bene, ōthysar, vivi sereno come ti scorgo ora, fallo da sveglio e non nascondere nell’ombra dei sogni ciò che in te riposa.
Addio.”
Rhenn posò la missiva e si prese la testa tra le mani. Quando l’avevano destato per
la convocazione del re, era uscito in piena confusione e non l’aveva notata.
Il profumo floreale di Rasalaje impregnava le stanze, come se si fosse assentata per un akacha e stesse per rientrare.
Fissò i battenti serrati da ore.
Dannazione.
Quando l’aveva definita valorosa davanti al padre, non aveva mentito pro forma.
Era coraggiosa, più di me.
L’unica verità emergeva dalle poche righe che gli aveva lasciato. Sua moglie lo aveva assolto a scapito di se stessa quando ciò che lui aveva cercato di sedare e celare era invece divenuto palese.
Non perché parlo nel sonno. Perché le importava di me, persino dell’infedeltà e del disinteresse nei suoi confronti. Sono io quello che si sarebbe dovuto uccidere, ha compreso il motivo per cui mi sono ostinato a vivere.
Libero: una parola che smetteva di apparire leggera davanti a quel sacrificio. Felice: un’opportunità che gli veniva offerta insieme al sangue versato. Scelta…
Come potrei scegliere? Esiste un modo per farlo da libero e felice senza tradire il credo della nostra gente? Lei lo ha trovato solo in parte, dacché sono cagione del suo dispiacere.
Ogni sillaba lo salvava, lo candeggiava, lo spronava. Rasalaje si assumeva tutte le responsabilità in sua vece e ciò risultava peggiore di una pubblica condanna.
Sapeva anche questo. Ma l’ha compiuto per scrollarmi, come suo dovere.
Si alzò e zoppicò sulla terrazza. La torre ovest incombeva sulla reggia, nella notte priva di fiaccole, ove il sotchu vibrava colpi angosciosi che gli scuotevano il petto.
Posò lo sguardo sull’ala meridionale: un chiarore tenue si effondeva discreto dagli appartamenti del fratello, la sensazione di solitudine divenne devastante.
«Avresti dovuto trattarmi da sporco adultero, svergognarmi, rivendicare il diritto di uccidermi. Sputarmi addosso ogni volta che mi facevo vedere, rifiutare il rapporto, insultarmi come meritavo. Se non mi hai dato un figlio, è perché mi sono infilato in una serpe senza guardarmi dal suo veleno e non te l’ho detto per mantenere intatto l’orgoglio che non possiedo. Sapevi anche questo?» Rhenn fissò il vuoto sottostante «Avrei dovuto ripudiarti in barba ai clan, ora saresti viva, lontana da me, al sicuro. I tuoi sentimenti mi erano chiari, li ho respinti con ferocia, spacciandomi per modello di virtù, invece mi sono accanito poiché mi ricordavi… me. Così è stato, abbiamo condiviso una prigione: tu hai operato per renderla confortevole, umana. Io, l’unico con il potere di affrancare entrambi, non ho alzato un dito. Non ti domando perdono, mentirei, sono stanco di farlo e non lo meriti. E poi, nella mia mente deviata, sono la parte lesa. Se non l’avessi pensata come me, ora sarebbe il mio corpo ad attendere le fiamme sacre. Sarebbe giustizia. Saresti vendicata. Nella prossima esistenza non cercarmi, il mio sangue è maledetto, corrompe tutto ciò che è puro e onesto. Trova un uomo sincero, privo delle ombre che hai inteso in me. Io non riesco a separarmene e non posso offrirti la promessa che auspichi. Solo il mio addio.»
Rhenn scivolò sulle ginocchia. Sporse la mano e afferrò l’aria. Il vento passò tra le dita spalancate e fuggì via.
   
 
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