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Autore: fri rapace    21/09/2009    6 recensioni
Remus, deciso a non compromettere con la sua presenza il futuro del figlio, decide di non tornare da Tonks. Neanche lo scontro con Harry a Grimmauld Place riesce a fargli cambiare idea. Il figlio di un lupo mannaro è destinato a una vita di emarginazione, una condanna che lui non intende infliggere a un bimbo la cui unica colpa è di ritrovarsi con un padre sbagliato, un padre che non ha potuto scegliersi.
Cosa sarebbe successo se Remus avesse deciso di abbandonare Tonks definitivamente? O, per lo meno, se questa fosse stata la sua intenzione… messa in pratica caparbiamente fino a che Teddy, una mattina, poco prima di compiere cinque anni, scopre che basta indirizzare una pergamena al suo papà e affidarla a un gufo, anche se il bimbo non sa dove vive il suo papà, il gufo lo troverà, e allora, forse…
Genere: Romantico, Commedia, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nimphadora Tonks, Remus Lupin, Teddy Lupin | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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“Ehi, Remus, ma sei uno straccio!” gli urlò Rodolphus, entrando nella sua abitazione.
Non aveva l’ardire di pensare ad essa con l’aggettivo di “casa”, anche se la trovava tutto sommato dignitosa. Insomma, sempre meglio che dormire sotto i ponti o nella foresta.
Rod lo guardò di sbieco e, dopo una sommaria valutazione del suo stato, lo prese per la camicia tirandolo di peso su dal divano.
“Ma hai dormito vestito?”
Remus si strinse con indifferenza nelle spalle.
“Ho capito, ho capito. Lo sapevo che sarebbe andata a finire così. Anche se cerchi di negarlo, sei quello che sei: un lupo mannaro… come me!” esclamò orgoglioso Rod, puntandosi entrambi i pollici al petto e alzando il mento. “Era logico che tu e la tua graziosa mogliettina sareste finiti a fare sesso. Notte di fuoco, eh?”
“Se ti fa piacere, puoi anche definirla così… con un po’ d’immaginazione posso persino io ricordarla in questi termini”, sbuffò Remus, lisciandosi con le mani la camicia, così stropicciata da sembrare il collo di una tartaruga vecchia di seicento anni.
“Dimmi, ti prego, che la tua immaginazione non sta confondendo il fuoco della passione con quello del caminetto qui davanti a me. Ma che hai fatto? Volevi dare fuoco alla casa?”
Rod indicò con rimprovero i pezzi di legno carbonizzati che era scoppiati fuori dal focolare. 
Remus era così sconvolto, appena tornato dalla casa di Tonks, che aveva acceso il fuoco con un po’ troppo entusiasmo.
“Quindi non ci sei andato a letto?” realizzò dopo un momento Rod, sussultando stupefatto.
“No.”
“Allora sul tavolo?”
“No.”
“In bagno?”
“Rod! C’era anche il bambino!” 
“Dove, nel bagno?”
Remus alzò gli occhi dalla camicia, sapeva che non stava parlando seriamente. Rod non era affatto uno stupido, ma gli piaceva passare per tale. Riteneva che fosse un utile asso nella manica essere sottovalutato, d’altronde anche Remus aveva spesso sfruttato a suo favore la capacità di sembrare molto più mansueto di quello che era.
“Sul menù hai altro, a parte le tue solite idiozie? Controlla un po’ se c’è una brioche…” gli rispose Remus con un debole sorriso. “No, Teddy non era in bagno, e non ci siamo stati neanche io e Dora. Non assieme, comunque.”
“Però tu hai l’aria di aver passato tutto la notte con la testa ficcata nel cesso… sei più pallido del dopo nottataccia da luna piena. E l’ultima, senza Pozione Antilupo, è stata davvero una piaga.”
Per un attimo Rod si fece triste e preoccupato. La Pozione Antilupo, che dal dopo guerra il Ministero distribuiva gratuitamente ai lupi mannari, da qualche mese arrivava a singhiozzo.
Scarseggiavano i maghi in grado di prepararla, la maggior parte dei quali preferivano impiegare il loro talento a rimestare intrugli che ritenevano ben più importanti di un tonico per mostri.
“Sto benissimo”, lo rassicurò. 
Rod si riprese subito, riassumendo il tono allegro:
“Ah, ho capito! Mi avevi accennato alle fantastiche doti di cuoca della piccola Auror dai capelli rosa. Per dessert ti ha servito un’intossicazione alimentare?”
Remus sgusciò sotto il suo braccio, raggiungendo la cucina alla disperata ricerca di qualcosa da mettere sotto i denti per quietare lo stomaco sottosopra. 
Era riuscito a controllare le proprie emozioni per tutta la cena a casa di Tonks, ma era bastato quel suo cenno alla luna piena per gettarlo nel panico. A passo svelto aveva raggiunto l’uscita e a fatica si era impedito di Smaterializzarsi all’istante.
Si era voltato verso la casa mentre chiudeva il cancelletto dell’ingresso, e attraverso le tende tirate del salotto aveva intravisto la sagoma di Tonks, vicina alla finestra a braccia incrociate. Teddy e Bill, invece, correvano attorno alla tavola, inseguendo le sedie che immaginava avesse stregato l’uomo. Ricordava di averlo visto giocare allo stesso modo alla Tana assieme a Charlie, anni prima, con sedie e tavoli zampettanti che schizzavano per il giardino.
Era evidente che Teddy adorava Bill, e chissà in che razza di rapporti era con Tonks. Erano rimasti soli per un po’, mentre lei buttava via la cena dalla finestra. Avevano parlato dei vecchi amici dell’Ordine fino a che Remus, senza alcuna malizia, aveva chiesto come stava Fleur, sorpreso dal fatto che lei non fosse lì. 
Bill si era rabbuiato, scuotendo mestamente il capo.
“Se non ci fosse stata Tonks, a tirarmi su in questo periodo… d'altronde, chi meglio di lei sa cosa significa essere abband…” Bill si era interrotto bruscamente, diventando rosso fino alla punta delle orecchie e affannandosi nello sciorinare una sequela di scuse sconnesse, fino a che Tonks non era sbucata con l’aria innocente dalla sua camera da letto, trasportando la cena fumante sopra un vassoio.
“Remus, andiamo, ti offro una bella brioche al bar!” lo invitò Rod, omaggiandolo con una serie di amichevoli pacche sulla schiena che gli rintronarono il cervello. “Oggi siamo di secondo turno, abbiamo tempo.”
Lui e Rodolphus lavoravano come magazzinieri a Diagon Alley, si erano conosciuti poco dopo aver ottenuto in affitto due delle fatiscenti abitazioni spuntate come funghi ai margini di Londra per ospitare quelli come loro. I mannari, illudendosi che i cambiamenti promessi dal Ministero fossero sul serio fattibili, si erano trasferiti in città, abbandonando la macchia alla ricerca di una vita migliore.
Ma il Ministero aveva ben presto dovuto fare i conti con i pregiudizi ben radicati nella popolazione: nessuno voleva avere come vicini di casa o dipendenti gente come loro, le gesta di Greyback durante la guerra non avevano certo aiutato a un miglioramento dell’immagine dei mannari, e Remus, beh… aveva finito con il non essere neppure lui una “buona pubblicità” per la causa dei suoi pari.
L’unica soluzione era stata quella di costruire un ghetto e obbligare le aziende più prospere ad assumere almeno un lupo mannaro ogni venti dipendenti: i posti a disposizione erano pochi e lui aveva ottenuto il lavoro solo grazie a Rod, che aveva spifferato al loro capo, Phelps, che Remus aveva fatto parte dell’Ordine della Fenice.
La sua posizione all’interno dell’Ordine era stata resa da Rita Skeeter alquanto ambigua.
Remus l’aveva aiutata nel gettare ombre su di lui, defilandosi svelto dalla battaglia finale e non presentandosi mai, né ai funerali dei caduti, né alle cerimonie indette in onore degli eroi di guerra. Il suo atteggiamento denotava di sicuro qualcosa da nascondere e la giornalista si era affrettata a pubblicare un articolo intitolato: “Remus J. Lupin: eroe dalla pelliccia senza macchia o degno figlio di Fenrir Greyback?”.
Per fortuna non aveva fiutato che il vero scoop riguardava la sua vita privata. Tonks e Teddy erano stati lasciati in pace.
Comunque Phelps odiava con tutto se stesso la Skeeter (quella poco di buono! Ha osato scrivere sul suo giornalaccio che vendo merce con incantesimi scaduti!), e il solo fatto che lo stesso Remus fosse stato infangato dalle porcherie che scriveva lo aveva spinto a un moto di solidarietà tale da assumere su due piedi sia lui che Rod.
“Racconta, come è andata con il tuo bimbo?”
Remus si irrigidì.
“Non importa.”
“Sì, che importa!” lo incalzò Rod, incoraggiante.
“Non intendo entrare a far parte della sua vita, me ne sono andato per evitargli la vergogna di avere un padre come me, sarà stato tutto vano se ora decido di tornare da lui… da loro”, rispose cocciuto, deciso a non esporsi oltre con Rod. Decisione non condivisa dal suo corpo che, forse ribellandosi a tanta omertà, sembrò decidere di sua volontà di dire ad alta voce quello che avrebbe voluto tenere solo per sé. “E comunque, loro non mi vogliono affatto, sarei di troppo, e fuori posto, io…” deglutì, stringendo i pugni sui fianchi.
Rod gli posò una mano alla base del collo, scrollandolo affettuosamente.
“Tu hai fatto parte del mitico Ordine della Fenice! Hai commesso un grave errore quando hai abbandonato Dora, ma puoi ancora rimediare. Dovresti uscire allo scoperto, hai il diritto di riabilitare il tuo nome. Faresti un favore a te stesso, alle persone che ami e a tutti noi lupi mannari! Nessuno si permetterà mai di considerarti feccia come fanno con me e la mia famiglia!”
Le sue parole fecero sentire Remus terribilmente meschino. Rod era sposato, aveva due figli e una moglie, tutti lupi mannari. E non era feccia, era un padre stupendo, un marito pieno di premure… Rod – e non lui! - avrebbe avuto il diritto di essere trattato non solo dignitosamente, ma con rispetto. 
“Puoi incontrare Teddy ogni tanto, se ancora non ti senti pronto a riportarti nel letto tua moglie. A chi vuoi che importi?”
“Tonks vuole il divorzio, è per questo che ho accettato di incontrarla. Teddy avrà un papà, e non sarò io”, tirò fuori tutto d’un fiato Remus, sentendosi malissimo, sul punto di vomitare. 
Perché la cosa lo faceva soffrire tanto? In fondo, aveva ottenuto quello che voleva, no?
Rod sbuffò, scuotendo la testa.
“E chi sarebbe l’amante di Dora? Si crederà mica di poter competere con un lupo mannaro, vero?”
“Io non ho più il diritto di chiamarla Dora…” mormorò tra sé e sé lui, all'improvviso preda di una sensazione di solitudine e abbandono tale da dargli le vertigini.
“Credo di non aver afferrato.”
“Bill Weasley.”
Remus sussultò: l’aveva detto sul serio ad alta voce?
“Cosa?” urlò Rod. “Quello che Fenrir ha morso senza la luna piena? Remus! Pensi davvero che Dora possa desiderare un mezzo lupo mannaro quando ne può avere uno che lo è per intero, tutto incluso e coda in mano?”  alzò gli occhi al soffitto. “Devi scaraventare quel Weasley lontano mille miglia dalla tua famiglia! Sta violando il tuo territorio!” gli ringhiò con ferocia, gli occhi ardenti.
Oh… se avesse dato retta al suo istinto… Vedere Bill così in confidenza con Tonks, con Teddy che lo adorava, che rideva con lui, che giocava con lui… lo aveva fatto sentire geloso da impazzire.
Si schiacciò una mano sul torace. Merlino, quanto era egoista! Avrebbe dovuto solo gioire per loro, avevano trovato qualcuno migliore di lui, che li avrebbe resi felici!
“Andiamo”, gli disse seccamente Rod, estraendo la bacchetta dal mantello rattoppato.
“Dove?”
“A trovare Bill.”
“Scordatelo!”
“Invece ci andiamo. Tu ci devi parlare, quello deve tenere le sue manacce lontano dalla tua famiglia!”
“È inutile che andiamo da lui, non intendo dirgli nulla del genere.”
“E io ti ci trascino con la forza,” gli sorrise Rod.
“Darò la mia benedizione al loro matrimonio!”
Rod lo guardò ironicamente.
“Vedremo.”


Non sapeva ancora come Rod fosse riuscito a convincerlo a recarsi sul serio a Villa Conchiglia. 
Remus bussò alla porta svogliatamente, lambiccandosi alla ricerca di una scusa per giustificare la sua presenza lì.
La porta si aprì immediatamente, forse Bill attendeva delle visite.
“Oh”, esclamò deluso, quando li vide. Ma poi ebbe un sobbalzo e si mosse frenetico, come se gli fosse appena stata offerta una via di fuga.
Remus vide con la coda dell’occhio Rod picchiarsi il pugno contro il palmo della mano aperta, una chiara incitazione a stendere Bill con un cazzotto.
Lo ignorò, mentre il padrone di casa tornava all’ingresso… tenendo per mano Teddy!
“Cosa ci fa, lui, qui?” pensò Remus, prendendo seriamente in considerazione il rude suggerimento di Rod, roso da una gelosia tanto infantile e meschina da farlo subito vergognare terribilmente dei propri sentimenti, ormai del tutto fuori controllo.
“Remus! Sono così felice di vederti!” disse Bill con fare sbrigativo. “Tonks è…”  lanciò un’occhiata preoccupata al piccolo. “Ecco, è occupata. Lavoro… sai… Ero al Ministero per sbrogliare certi miei affari e me l’hanno affidato, gli altri dovevano discutere di alcune faccende che non era consigliabile che lui sentisse.”
“Abbiamo capito, roba vietata ai minori…” sbuffò Rod, grattandosi il mento. “Taglia corto, carotino, Remus ti deve parlare.”
Bill gli dedicò una sola occhiata perplessa, prima di tornare a rivolgersi a Remus.
“Ma ora io devo andare in un posto. È urgente!”
Gli passò la manina di Teddy, ma il piccolo non sembrava avere intenzione di mollare la presa, anzi, si aggrappò di peso a quella lentigginosa dell'uomo.
“Su, piccolo, va con papà!” 
Teddy guardava Bill supplicante, facendo sentire Remus del tutto inadeguato. Suo figlio desiderava solo stargli lontano, ed era giusto che fosse così, se ne rendeva conto.
“Andiamo, ti farà bene passare un po’ di tempo con lui. Ci tenevi così tanto, a conoscerlo! Gli piacerai tantissimo, assicurato!” lo rassicurò Bill.
Il bimbo si decise a lasciarlo, avvicinandosi poi timidamente a Remus.
Rod lo afferrò per le spalle e lo tirò d’un colpo accanto a loro, senza smettere di sorvegliare con fare minaccioso Bill.
“Ehi, ragazzino! Sei proprio come ti immaginavo. Sai che ho anche io un bambino della tua età? Si chiama R.J., come il tuo papà. Lui adora il tuo papà, e tu non puoi essere da meno, non credi?” Gli strizzò l’occhio, con un sorriso provocatorio.
Teddy aggrottò appena la fronte, sporgendo il labbro inferiore. Sembrava contrariato.
“Vedrai, Remus, andrà tutto bene”, s'intromise Bill, intuendo quanto fosse spaventato.
Remus fece per ribattere, ma il giovane Weasley si Smaterializzò, lasciandolo a fissare il vuoto.
“Remus, ora che facciamo? Ci portiamo il bimbo al lavoro?”
Remus avrebbe voluto recarsi subito al Ministero per sapere dove si trovava Tonks, accertarsi che stesse bene. Ma non poteva permettersi di perdere una giornata di lavoro, ne perdeva già troppe a causa della sua malattia.
“Sì.”


Non avevano ancora messo piede a Diagon Alley che una folla cospicua li investì.
Di lì a breve sarebbe incominciato l’anno scolastico e la via era invasa da genitori stravolti che cercavano di tenere a bada eccitatissimi ragazzini che correvano da tutte le parti, fermandosi di tanto in tanto per premere la faccia contro le vetrine.
Remus guardò giù, verso la testolina celeste del figlio.
“Ti va di darmi la mano, Teddy? Così non ci perdiamo”, gli propose con un sorriso gentile.
Lui alzò il viso, ma non fu in grado di decifrare la sua espressione.
“Sì?” gli rispose titubante, con la sua vocetta da giocattolo di gomma. Tutti i bambini piccoli avevano una voce così tenera? Remus non se ne era mai accorto, prima.
“Sì. Se vuoi.” 
Teddy fece un piccolo sorriso, prima di far scivolare la manina nella sua, abbandonandola poi mollemente alla sua stretta.
Remus non poté fare a meno di trattenere il respiro… e mentre si incamminavano diretti verso il magazzino del signor Phelps, tutta la sua attenzione si concentrò lì, sulle loro mani, su quel primo contatto fisico tra lui e il figlio. Non prestava attenzione a dove metteva i piedi, e l’immagine sfocata della gente che li incrociava era solo una macchia di colore indistinta, mentre il pugnetto di Teddy accoccolato come un caldo cucciolo nel palmo della sua mano era prezioso più dell’oro, dolce e confortante come il ricordo dei baci di Dora a cui si aggrappava nei momenti di sconforto, di cui mai avrebbe dimenticato il calore.
Si lasciò guidare da Rod, senza protestare neanche quando, senza che ne capisse il motivo, lo tirò nella via opposta a quella dove avrebbero dovuto svoltare per recarsi al lavoro.
Pochi istanti dopo una donna gli intimò con voce altera: “Ti vuoi scansare?” 
Remus la ignorò. Non aveva voglia di tornare sulla terra, non ancora.
Rodolphus lo prese per il mantello, spostandolo di peso, mentre Teddy gli caracollava dietro stringendo forte la sua mano.
“Ci spostiamo subito, signora”, sentì borbottare Rod in tono mellifluo.
Remus cercò di mettere a fuoco l’ambiente attorno a lui. Non riconobbe subito la donna, malgrado il suo viso gli fosse famigliare, ma il giovane uomo che l’accompagnava aveva osservato Remus con ripugnanza per un anno intero, da dietro uno dei banchi di Hogwarts. Era Draco Malfoy.
“Draco?” disse, stupito. 
“Madre, andiamocene”, sputò lui, distogliendo subito lo sguardo dai suoi occhi e prendendo la madre per un braccio.
Ma lei non fece un solo passo.
“Tu conosci quest’uomo?”
Sembrava preoccupata.
“No, affatto”, tagliò corto Draco, a testa bassa.
“Aspetta un attimo… ma… quel bambino! I suoi capelli!” 
Remus voltò subito la testa verso Teddy, la cui chioma stava sfumando dall’azzurro a un inquietante verde oliva.
“Merlino, non può essere che lui! Non ce ne sono poi molti, di questo genere!” la donna era visibilmente impallidita. “Questo è il figlio della mocciosa… e lui è… è Lupin!”
“Per favore, non aggiunga altro”, la pregò gentilmente Remus, una mano tesa davanti al figlio in un gesto protettivo.
Sorpreso per la facilità con cui aveva zittito Narcissa, Remus si guardò attorno e capì che l’improvviso silenzio non era certo merito suo. Una nutrita folla di curiosi si era fermata attorno a loro. La famiglia Malfoy era, dopo la caduta in disgrazia a causa degli esiti della guerra, ancor più sulla bocca di tutti. I pettegolezzi su di loro erano considerati come merce preziosa.
“Quel bambino è il figlio della mocciosa, non è vero?” gli chiese la donna. E malgrado avesse parlato con un tono di voce molto basso, le parole erano state pronunciate a testa alta, con un’intonazione ferma e autoritaria.
La folla vociferò e Remus capì che era ora di defilarsi. Attirare troppo l’attenzione non era affatto una buona idea.
“Aspetta, aspetta!” urlò all’improvviso Rod, prendendolo alla sprovvista. “Ma questi sono gli ex Mangiamorte? Quelli della Villa con i pavoni che avevano assoldato il caro, vecchio, Fenrir?”
“Rod…”
“No, aspetta…” ridacchiò Rod, affondando il viso nelle mani grandi come badili. “Oh, quelli come noi vi fanno ancora schifo, eh?” spalancò platealmente le braccia e, anche se apparentemente sembrava del tutto tranquillo, il tono allegro e leggero, Remus sapeva bene che era fuori di sé. Lui e la sua famiglia avevano provato sulla propria pelle l’umiliante discriminazione riservata dal Mondo Magico a quelli come loro, prima della caduta di Voldemort. “Maghi e streghe!” declamò. “Eccolo qui, il nipotino dei Malfoy. Teddy Lupin! Lupin! Lupin! Ah! I Malfoy Purosangue?” sputò a terra, disgustato.
Remus serrò la mascella. Non si aspettava un’uscita del genere e per un attimo fu preso dal desiderio di colpire Rod, di fargli del male, perché aveva messo in mezzo il suo bambino per ottenere una rivalsa personale.
Ma gli occhi dell’amico, passata la foga, si posarono su di lui tornando limpidi e lesse in essi le mille scuse che sapeva non sarebbe mai stato in grado di esprimergli a voce.
Remus cercò subito di aggiustare la situazione, rivolgendosi ai Malfoy:
“Lui non è mio figlio, porta solo il mio cognome”, precisò, mantenendo esteriormente il contegno, pur provando solo disgusto per se stesso mentre pronunciava l'ignobile bugia.
Narcissa parve compiaciuta.
“Oh, la mocciosa è anche una sgualdrina…. Ma noi lo sapevamo già, mia sorella non è uscita del tutto di senno, per fortuna. Ha fatto in modo che tutti quelli che contano qualcosa sapessero che il suo nipotino non era affatto figlio di Remus Lupin il lupo mannaro!”
Remus boccheggiò. Teddy aveva lasciato la sua mano qualche minuto prima e ora indietreggiava, sull’orlo delle lacrime. 
“Vai da R.J., il bambino del signore!”singhiozzò, le manine tese davanti a sé con i palmi rivolti verso il padre, uno scudo per tenerlo lontano da lui.
“Teddy, ascoltami…”, mormorò Remus, il respiro affannato. La vergogna che provava era enorme, gli occhi e il viso gli bruciavano e avrebbe solo voluto che tutto quello che stava accadendo cessasse all’istante, non gli importava come, purché cessasse.
“No! Io mi chiamo anche come il tuo nome! Anche io!”
“Teddy, mi spiace. Lo so che non vorresti portare il mio cognome, è tutta colpa mia, solo mia! Troverò il modo di rimediare, io...”
Il bambino non sembrò affatto rassicurato dalle sue parole e non poteva essere altrimenti. Remus riusciva a mala pena a nascondere le ondate di brividi che sentiva risalire lungo la schiena, non era in grado, in quel momento, di controllare nient’altro. La sua voce tremava, lo sguardo che rivolgeva al suo bambino era pieno di paura.
Fece per stringere le braccia minute di Teddy, così delicate da sembrare le ali di un uccellino. Il bimbo teneva il viso lucido di lacrime voltato di lato, si rifiutava di guardarlo. Remus lasciò cadere le mani, appoggiando i palmi sul terreno su cui si era inginocchiato, mentre osservava colpevole le spalle del figlio sussultare a ogni singhiozzo. 
Sentì appena Draco che gli sussurrava, passandogli accanto.
“Pagherai per quest’umiliazione pubblica, Lupin. Appena mio padre lo verrà a sapere…” 
L’unica cosa che Remus riuscì a pensare fu che persino Lucius Malfoy era un padre migliore di lui.








Ed ecco il terzo capitolo. Piccole spiegazioni: lo so che anche il marito di Bellatrix si chiama Rodolphus, ma Rodolfo significa “lupo glorioso” e mi sembrava azzeccato come nome per un lupo mannaro (immagino che Bellatrix non approverebbe affatto, ma…)
Forse ha un po’ annoiato la parte in cui spiego come immagino il Mondo Magico del dopo guerra, ma era necessaria e spero che sia risultata credibile.
Passo ai ringraziamenti, prima di tutto per le persone che mi hanno lasciato una recensione:

Alchimista
Grazie mille Alchimista, sai che la stima è reciproca e recensisci pure quando ti pare, passassero anche 20 giorni da quando ho pubblicato non fa nulla ;-) Ho ficcato Remus e Tonks in una situazione difficile... mi sono emozionata anche io nell’immaginare le scene che hai citato, ma quando poi ti trovi a cercare di renderle a parole non sai mai se ti riuscirà di esprimere quello che hai visto per immagini, è una soddisfazione sapere di esserci riuscita almeno un pochino ^^ 

Nin
Felicissima di non averti delusa ^^
La cena via camino? Eh, un sogno anche per le Babbane, non sarebbe comodissimo? ;-)

Moony3 
Mi piace giocare sull’alternanza di scene divertenti e scene tristi, mettendo un pizzico di malinconia anche nelle situazioni più “stupide”, ed evitando, quando possibile, di cadere nel patetico più totale con un po’ di umorismo, mi fa piacere sapere che il mio stile ti piace. E sono contenta che ti siano piaciuti i gatti calciatori, e Remus che si firma Clara, beh, un uomo di classe, no? XD!
Anche a me sta molto simpatico Bill, l’ho cacciato anche lui in una situazione complicata, spero mi perdonerà per questo.
Grazie per la bella recensione ^^

Fennec 
Oh, le tue recensioni non mi annoiano mai, te lo assicuro ;-) E non sai che gioia mi dai scrivendomi che trovi il mio modo di scrivere migliorato.
Sì, hai indovinato, Remus è un po’ tanto geloso di Bill, in quest’ultimo capitolo l’ho obbligato ad ammetterlo.
La cena via camino ha riscosso molto successo, ne sono felice ^^

Lupinuccia
Grazie, Lupinuccia ^^


Ancora un grazie a chi continua ad aggiungere la mia fic alle preferite/seguite e ai lettori silenziosi.
Ciao
Fri.
   
 
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