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Autore: Akane    29/05/2005    1 recensioni
Nobiltà d’animo è rispetto della vita, eleganza dello sguardo, sentirsi alla pari del più piccolo di tutti, mostrare l’anima senza farsi male. Raramente queste qualità corrispondono ad un nobile anche di nome. Ne nascono forse uno ogni 50 anni. Lì era successo. Un Principe di nome e di fatto
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO III:
RAGAZZO NON PIANGERE

' E poi è così... il mondo crolla quando la vita pare essere perfetta e giusta. La crudeltà, tuttavia, non è la tragedia in sé, ma il dover andare avanti nonostante tutto, con l'obbligo di mascherare lo strazio del tuo animo in pezzi.'

C'era qualcosa nell'aria da quando lei se ne era andata. Non doveva esserci. Non ce n'era motivo.
La principessa della piccola ma conosciuta monarchia era andata in vacanza da pochi giorni e non si sarebbe trattenuta poi molto. Aveva guardie del corpo. Nessuna preoccupazione.
Eppure i suoi figli, specie il maggiore, avevano sentito dal primo momento della sua partenza che non sarebbe dovuta andare.
Era quindi nell'aria l'inquietudine che William continuava a portarsi dentro senza mostrare a nessuno.
Nonostante la morsa continuava la vita prescritta da qualcuno di competente senza preoccuparsi di cercare qualcosa che piacesse a lui.
Era consapevole della sua posizione, inoltre era giovane e certamente non poteva dire no a qualcosa che non gli andava bene. Non ancora. Però gli stava bene. Tutto. Era una vita che gli andava a genio, a parte i riconoscimenti ovunque andasse e l'esaltazione del suo ruolo di principe.
Per il resto gli stavano bene le routine, le lezioni, gli obblighi che gli imponevano, le regole, il tenore di vita, i doveri... la vita che doveva condurre...
Si ripeteva sempre che era forte, aveva spalle larghe e sapeva reggere ogni cosa, pressione, aspettative, gelosie, invidie, impegni. Tutto.
Nulla lo toccava e affrontava quel che si poneva sul suo cammino sempre con lo spirito giusto riuscendo al meglio in ogni cosa.
Era perfetto.
Il Principe ideale.
Non lo sbruffone classico viziato che ci si potrebbe aspettare. Cresciuto in quel certo modo era facile che diventasse un bambolotto insopportabile ma lui non lo era, sapeva stare al proprio posto e cosciente del suo ruolo adempiva ai compiti. Gli piaceva.
Si ripeteva sempre anche questo. Se lo ripeteva così da tanto e con così tanta convinzione che ormai sembrava proprio il suo reale pensiero e volontà.
Veramente.
Era lui così, non gli era stato inculcato da nessuno, o meglio l’avevano cresciuto così ma aveva accettato di buon grado ogni insegnamento facendoli suoi, al contrario di Andrew che nonostante avesse condotto la sua stessa identica vita, sembrava proprio non volerne sapere di farsela andar bene.
La sua natura era nobile come il suo animo e da un certo momento in poi l'avrebbe dimostrato maggiormente.
Molti non lo capivano, fra la gente comune ma anche fra gli aristocratici. Erano in tanti convinti che la sua fosse una posa, una finta, quella che tutti i principini hanno. Pareva snob e viziato.
C'era però anche da dire che uno così difficilmente si riusciva a conoscere a fondo da poter dire che non era montato con la puzza sotto il naso.
Cosa fosse vero di lui solo la madre poteva certamente saperlo. Nessun’altro. Nemmeno il fratello.
Succedeva ogni mille anni, forse, che ne nascesse uno proprio dove doveva nascere e che egli fosse  perfetto per il ruolo che gli era stato assegnato. Prendere le strade giuste per diventare quel qualcuno prescelto da eletti.
A lui era capitato ed era incredibile.

Era pomeriggio inoltrato ma il cielo privo di nuvole presentava il sole che lento scivolava dietro le case all'orizzonte. Si stava bene, non era ancora freddo e si passava bene tutta la giornata senza giacca.
Vestiva con dei semplici jeans di marca, una camicia azzurra ove i primi bottoni erano aperti e sopra un maglione dal collo largo a V di qualche tessuto rinomato per le mezze stagioni, blu scuro.
Attendeva che l'autista lo venisse a prendere per andare a lezione di nuoto. La faceva proprio nell'ora precedente alla cena per poter avere almeno la sera libera; prima di quello aveva fatto pianoforte. Non ne aveva più bisogno tuttavia gli piaceva seguire le lezioni di quello strumento, lo rilassava e non erano ogni giorno, come non lo erano quelle di nuoto. Si alternavano a quelle di equitazione, scherma, disegno e ultimamente anche arpa. Era uno strumento più che altro femminile ma sempre da nobili e a lui affascinava molto. Inoltre era lo strumento preferito da sua madre, lo suonava divinamente. Aveva iniziato ad imparare con la donna ed ora avevano preso un insegnante apposita.
Aveva una vita piena di impegni e frenetica, considerando anche la scuola che volevano fargli fare come tutti gli altri c’era da chiedersi dove avesse il tempo per vivere la sua adolescenza...
Però tutto quello gli stava bene. Ogni cosa che faceva, anche se solo per poco, gli riusciva bene e gli piaceva sinceramente.
William era incomprensibile per il fratello. Andrew non faceva nulla di tutto quello e anche se lo forzavano gli riusciva male, per cui ancora qualche tentativo i genitori lo facevano, ma senza successo. Lo studio non andava benissimo e pareva sempre più attratto da sport estremi che ancora non aveva avuto il coraggio di provare.
Gli serviva un incentivo che presto sarebbe arrivato.
Andrew non era col fratello, quel pomeriggio.
Fuori dall'edificio del maestro di pianoforte, costoso e spazioso, attendeva nel grande giardino spazioso coperto di erba verde, che qualcuno lo venisse a prendere.
Era strano che non fosse già arrivato, solitamente erano sempre puntuali. Era pericoloso far aspettare i principi da soli, pericoloso per la loro incolumità.
Non sembrava annoiato, il ragazzo. Guardava il cielo con una certa inquietudine che nelle ultime ore era cresciuta sempre più.
Difficilmente mostrava nervosismo, non era tipo, non rivelava mai nulla di quel che provava realmente, non mostrava niente. Era serafico e indecifrabile, tutto qua.
Poteva avere il mondo apocalittico dentro, sarebbe rimasto sempre composto. Freddo, se lo si voleva definire così, ma più che altro composto e pacato.
Cosa aveva dentro? Un cuore che batteva in modo leggermente irregolare, una mente che cercava di razionalizzare la mancanza che provava, del sangue che correva lungo tutto il corpo troppo frenetico, dei muscoli tesi.
Infine un tuffo. Lo stesso che aveva avuto quella notte.
Il ricordo del sonno notturno interrotto improvvisamente da un inspiegabile dolore acuto al petto, un urlo partito nel sogno e sudore freddo in tutto il corpo. E poi guance umide di un pianto disperato che solo nell'oblio del sonno era uscito.
Al risveglio non aveva ricordato cosa aveva sognato però non era più riuscito ad addormentarsi, il malessere dello spirito si era espanto fino al fisico e non gli aveva più permesso di chiudere occhio.
Non l'avrebbe mai ammesso ma quello che aveva provato era dolore per la paura, paura della mancanza. Paura di sapere cosa sarebbe successo da lì in poi.
Cercò di distrarsi. Lì in un angolo c'era una vecchia palla da calcio, era sporca e rovinata, lasciata probabilmente da qualche bambino. Prese a palleggiare assorto, non pensava realmente a quel che faceva eppure come per ogni cosa,anche quello gli riusciva piuttosto bene. Piede, ginocchio, piede ginocchio…
Continuò per un paio di minuti con un ritmo calmo ma serrato, finché non suonò il cellulare, senza interrompersi rispose e il cuore, chissà come mai, martellava più veloce. Come se il rumore del cuoio sulla scarpa dettasse i battiti interni.
- Pronto? -
Ansia...
- Will... sono io... -
... crescente...
- Papà... -
... sempre più...
-... la mamma...-
... dolore...
- Cosa è successo alla mamma? -
... smorfia...
- Laggiù... ha avuto un incidente... -
... la palla dimenticata...
-... -
... cadere in ginocchio...
- Era grave... -
... un peso spropositato sulle spalle...
-... -
... rimanere schiacciato...
- William... -
... toccare l'erba con i ginocchi ed una mano...
-... tua madre è morta... -
... affondare il volto nell’erba...
- Will... -
... dimenticare di essere vivi...
-... mi dispiace... -
... cuore che salta un battito...

Lento, indefinibile. In sequenza si era inginocchiato a terra e senza rendersene conto, con i sensi che si amplificavano per poi abbandonarlo improvvisamente, con una smorfia impressionante sul suo volto levigato e nobile, si era accucciato, rannicchiato sul prato nascondendo il volto nell'erba fra le braccia, col cellulare dimenticato ancora all'orecchio e la bocca aperta in un urlo che non riusciva a venir fuori.
Gelo. Sangue che non circola, cuore che non batte, mente che non connette.
Mondo che non esiste.
Dolore che esplode.
Troppo.
Forte.
Assoluto.
Morte.
Morte.
Morte.
Non respirava, non riusciva più. Forse qualcuno lo vide, forse qualcuno udì... forse qualcuno intuì o magari immaginò che insieme alla voce sparita scesero calde lacrime salate a rigargli il volto d'arte.
Forse, ma chissà.
Tuttavia se l'anima fosse stata palpabile in quel momento sarebbero state curve in mille pezzi, piccole e frastagliate, poi fitte, poi larghe ma tante di colori che graffiavano e scemavano fino a scolorirsi in uno sfondo completamente nero.
Sfuggendo in un finale di totale rosso sangue, rosso cuore, rosso dolore.
Rosso anima spezzata.
Come l'anima svanita della persona più importante per lui.
Un urlo silenzioso senza voce uscì dalla bocca spalancata nella posa dell'Urlo di Munch, solo su un volto nascosto avvolto dall'erba e dalle braccia.
Tutto finendo in un nero totalizzante, avvolgendolo nel buio assoluto.
La principessa erede al trono era morta.
Aveva lasciato un marito col quale ormai stava divorziando, un marito che l'aveva rovinata e fatta soffrire, e due figli che amava più di sé stessa, che a loro volta l'amavano.


Era nella sua camera annoiato, il giovane principe, il secondogenito del principe e della principessa.
Solo in privato nella sua stanza si permetteva di ascoltare della musica per provare ad essere quel che voleva, una persona qualunque.
Cominciava a sentirci gusto in quel genere che un compagno di classe gli aveva proposto di nascosto. Si trattava di metal, l'aveva chiamata così. Steso nel letto si rigirava la custodia del CD fra le mani noncurante della lezione di ‘non-si-ricordava-più-cosa’ saltata. Leggeva alcuni titoli: ‘Fade to black’, ‘Nothing Else Matters’, ‘I disappear’ ‘Seek and Destroy’, ‘Turn the page’ e molti altri. Era una raccolta dei Metallica, un po' di rito per chi voleva convertirsi al genere.
Ad un tratto sentì bussare alla porta, leggermente seccato fece entrare, era una delle cameriere che lo pregava di andare in studio ove suo padre l'attendeva.
Ci andò svogliato senza fermarsi a riflettere sul fatto che effettivamente non era normale essere convocato dal padre in quel modo: quell'uomo aveva sempre cercato di evitarli accuratamente.
Percorso tutto il palazzo entrò nella stanza senza bussare o farsi annunciare, non lo faceva mai, non lo riteneva opportuno. Rimase però in silenzio a vedere e ascoltare il padre in piedi con la schiena alla porta, stava parlando al telefono con qualcuno. Sentì le ultime parole.
- William... mi dispiace... -
Lo vide stare in silenzio e subito la sensazione agghiacciante sulla sua pelle lo bloccò all'istante. Ogni funzione del suo organismo cessò di proseguire, come un blocco di ghiaccio.
Perché a suo fratello gli stava dicendo una cosa simile?
Dopo un attimo interminabile nel quale cercò di parlare ancora col figlio maggiore, invano, riattaccò il telefono poi immediatamente gridò un ordine ad una delle sue segretarie.
- MANDATE QUALCUNO A PRENDERE SUBITO WILLIAM, PERCHE' E' ANCORA LA'? -
Non si era ancora accorto della presenza di Andrew, sembrava agitato, molto.
Anche questo stonò nell'osservarlo.
Dalla porta ancora aperta entrò una delle persone al servizio del principe Alberth che timidamente si inchinò sussurrando:
- Maestà, subito, ma qua è tutto in confusione e fermento, non si riesce a rintracciare le persone giuste. L'autista del signorino non lo troviamo... -
- ALLORA VAI TU A PRENDERLO! -
Ancora senza voltarsi. Cercava di riprendere il controllo di sé, controllo che raramente perdeva per il semplice fatto che non si metteva mai in mezzo a situazioni tali da farlo uscire di testa. Evitava le questioni difficili e complicate appunto per quello ma ora ci si era trovato in obbligo.
La porta fu richiusa dalla donna e l'uomo vestito di tutto punto si premette gli indici alle tempie, in un massaggio circolare per cercare un po' di calma.
- Non dava più segni di vita, non si sentivano singhiozzi o urla. Nulla di nulla. Non parlava più. Non si sarà mica sentito male? -
Un sospiro preoccupato.
Andrew silenzioso era più che sorpreso, gli pareva di stare davanti ad un estraneo. Cioè, più del solito.
Ora proprio non lo riconosceva.
Tutta quella preoccupazione dove l'aveva messa fino ad ora?
E poi... suo padre così fuori di sé non l'aveva mai visto, nemmeno quando sua madre l'aveva scoperto a tradirla tramite i giornali scandalistici. Nemmeno in quell'occasione era stato capace di far qualcosa. Completamente senza spina dorsale, dalla nascita.
Ora invece era del tutto diverso, che era successo?
Il sangue scorreva in lui sempre più veloce e l’espressione al contrario di faceva sempre più di ghiaccio.
- Padre. -
Mormorò consapevole di dover fare attenzione, molta attenzione.
A cosa?
A quello che avrebbe saputo.
- Cosa è successo a William? -
Aveva un tono di voce titubante e poco convinto ma allo stesso tempo robotico. Non era William ad aver creato tutto quello, vero?
L'uomo si voltò mostrando un volto segnato seppur non bello, anzi. Non sembrava un principe a guardarlo, invece era l'erede al trono. Basso, mingherlino, mostrava più anni di quanti ne avesse.
- Andrew... -
Non sapeva come dire quello che doveva dire, lo capì subito guardandolo direttamente in viso.
L’uomo, dal canto suo, realizzò che se per William non aveva avuto idea della reazione, per Andrew era ancora peggio.
Nella fase adolescenziale in cui il giovane dai capelli rossi si trovava, era difficile affrontare ogni argomento, figurarsi quello dell'improvvisa morte della madre.
Si diceva, no? L'adolescenza è delicata, un forte trauma potrebbe segnarlo per sempre.
Una ruga, l'ennesima, solcò la fronte già preoccupata dell’erede al trono.
-... non è William a cui è successo qualcosa... -
Era una persona con poco tatto e sensibilità, piuttosto egoista e viziato nel complesso, abituato ad avere il capriccio del momento, specie le donne, non ce l'avrebbe mai fatta ad affrontare un argomento simile.
Intanto nel ragazzo cresceva sempre più smisurato un sentimento forte nei confronti del padre che non riusciva a dire una notizia importante in modo decente.
Sentiva troppo e tutto si ricollegava ai presentimenti e nervosismi di quei giorni.
- Tua madre... ha avuto un grave incidente. -
Spalancò gli occhi verdi che nella sua carnagione tipica dei rossi, tutta lentigginosa, spiccavano deliziosamente.
Lo sapeva. Sapeva cosa sarebbe venuto dopo ma non aveva il coraggio di farlo. Di dirlo. Non era William che impavido riusciva a dire quel che doveva dire al momento giusto nonostante fosse doloroso. Lui non ci riusciva per cui lo lasciò terminare.
- E’ morta, Andrew. -
Si. Era vero.
Dannatamente vero, se lo sentiva. Era proprio quello che non aveva nemmeno avuto il coraggio di pensare, eppure rifugiarsi in una negazione infantile era appropriato per un ragazzino di 13 anni.
Il ghiaccio si mutò in pietra e sul suo volto dai lineamenti squadrati e poco eleganti ma comunque di un ragazzino, non una smorfia, non un segno che indicasse il suo dolore. Nulla.
Completamente diverso.
Non crollò a terra, non si piegò al peso che sentiva sulle spalle.
Rigido come non mai rimase dritto in piedi stringendo i pugni lungo i fianchi, si ripeteva in continuazione le parole appena udite.
Sua madre era morta.
Morta.
Non c'era più, non l'avrebbe più vista, non le avrebbe più parlato, non l'avrebbe più sentita suonare. Nulla.
Mai più un bacio, mai più affetto.
Cercò di elencarsi velocemente tutti i cambiamenti, le conseguenze, i fatti, i pensieri però nessuna reazione arrivò. Con una forza ferrea fuori dal comune strinse le labbra, assottigliò gli occhi e contrasse il suo cuore in una morsa dove sarebbe rimasto per molti anni.
Voleva solo sparire da quella stanza soffocante ove perfino i sensi lo aiutavano a rimanere attaccato a quella realtà. Lui ci voleva scappare, eppure era saldo lì.
Si maledì per l'insensibilità di cui era padrone, poi senza dire nulla uscì dalla stanza camminando incerto come un fantasma che non capisce se è morto oppure no.
Sorpassò la servitù e le persone che frenetiche andavano e venivano, lo sfioravano, lo toccavano per sbaglio... lui era come se non ci fosse. Proseguendo con passo calmo e lento arrivò in camera sua, aumentò al massimo la musica lasciata aperta rendendola assordante, si sedette sul letto e guardando nel vuoto come se fosse semplicemente avvolto nel silenzio più totale, privo di espressione o pensieri, ne realizzò soltanto uno:
- Per telefono... glielo ha detto per telefono... quell'uomo è terribile… ed ora ci sarà solo lui... -
Lasciò la frase in sospeso immaginandosi la reazione terribile del fratello per accantonare la sua insolita, infine premendosi i palmi sulla fronte mormorò con un inclinazione un po' più umana:
- Mamma... ed ora? -
Ma non aveva ancora realizzato.
   
 
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