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Autore: Orso Scrive    04/09/2024    1 recensioni
Durante la torrida estate del 2022, la Toscana è sconvolta da alcuni misteriosi e brutali omicidi. Omicidi che vedono, come vittime, tombaroli sorpresi a scavare all’interno di antiche sepolture etrusche.
Per questo motivo, il tenente Manfredi e il sottotenente Bresciani vengono inviati a San Gimignano, in provincia di Siena, nel cuore dell’antica Etruria, per indagare sugli strani avvenimenti.
Riusciranno Alberto e Aurora a fare luce su questo nuovo caso, che affonda le sue radici ai tempi della guerra tra Roma e gli Etruschi, e forse a tempi ancora più remoti?
Genere: Horror, Mistero, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'A&A - STRANE INDAGINI'
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17.

 

 

 

Fu l’aroma del caffè a svegliare Aurora.

Il vivificante e intenso profumo si spandeva in tutto lo chalet, insieme a qualcos’altro. Qualcosa di molto diverso dalla puzza di muffa che li aveva accolti la sera prima. Ancora mezza addormentata e abbarbicata tra gli ultimi e sfilacciati frammenti di sogni, lì per lì non comprese subito di che cosa si trattasse.

Poi capì.

Brioche messe a scaldare nel forno. Brioche alla marmellata. Marmellata di albicocca. Anzi, confettura di albicocca, per essere più corretti. Le sue preferite.

Dalla finestra aperta, entrava la tiepida brezza del mattino estivo. Gli uccellini cinguettavano come se stessero facendo festa. Da dove si trovava, il suo sguardo poteva vedere una parte della collina alberata alle spalle dell’agriturismo e una porzione di cielo terso. Nessuna traccia di nuvole. Si preannunciava un’altra giornata soleggiata.

Sorrise.

Odore di muffa a parte, quel posto le era piaciuto fin dal primo momento in cui vi aveva messo piede. Non poteva farci nulla. Amava stare in mezzo alla natura, lontana dalla frenesia di ogni giorno, persa nella solitudine. E quando capitava di trovare un posto come quello, si sentiva invadere dalla leggerezza.

Scostò il lenzuolo e si rese conto di essere completamente nuda. Per un istante la confusione si impadronì di lei. Dalle labbra le sfuggì persino un «oh!» di sorpresa.

Poi ricordò.

La sera prima, dopo aver spinto Manfredino dentro il bagno, era andata in camera e, buttato da parte l’asciugamano, si era distesa così com’era, senza nulla addosso. L’intenzione sarebbe dovuta essere quella di godersi per almeno qualche istante un poco di freschezza, di contatto con la natura. Solo che il sonno aveva avuto il sopravvento all’improvviso, e le aveva fatto quella bella sorpresa.

Si era addormentata così com’era, senza nemmeno aver indossato un paio di mutande.

Un ghigno le solcò le labbra, mentre provava a immaginare la faccia che doveva aver fatto Manfredino nel trovarsela davanti in quelle condizioni. Consapevole di essere la dea della Bellezza, come amava definirsi senza nessuna modestia, sapeva più che bene di come il suo amico sbavasse quando poteva vedere anche solo qualche centimetro di pelle più del consueto. Era più che consapevole che, quando lui le camminava alle spalle, passasse il tempo a fissarle il didietro. In quei casi, ancheggiava apposta, per mandarlo in visibilio. E, quando si scollava un po’ troppo, lui doveva fare uno sforzo immenso per non continuare a fissarle le tette.

Aurora ridacchiò. Allungò la mano al comodino e trovò ciò che vi aveva posato la sera prima. Sigarette e accendino. Si infilò in bocca la prima della giornata e diede fuoco alla punta.

Non poteva certo accusarlo di qualcosa. Potevano essere amiconi, due amici inseparabili e tutto il resto, ma lei restava pur sempre una bellissima ragazza, e Manfredino un maschietto i cui ormoni erano ancora molto lontani dal volersi mettere a riposo. Di fronte alla natura, si era costretti a cedere.

Non era colpa di nessuno.

Anzi, a dirla tutta le piaceva. Poteva fare la dura e l’indisponente finché voleva, ma Aurora Bresciani era anche una donna molto civettuola, e amava essere guardata.

Purché, chi la guardava, non si prendesse altre libertà oltre a quella di adoperare gli occhi, a meno che non fosse esplicitamente invitato a farlo.

Non attenersi a quella regola tanto semplice, avrebbe significato finire nei guai.

Grossi guai.

D’istinto, guidata da un’insaziabile curiosità, si girò verso la metà di letto di Alberto. Intatta. Non aveva dormito vicino a lei.

Lasciò andare una lunga nuvoletta di fumo azzurrognola. Una nota di disappunto le si formò sulle labbra. Poi però comprese. Le bastò vedere la sua valigia vicino alla porta chiusa, per capire tutto.

Poteva prendersi gioco di continuo del tenente Manfredi, dargli del tonto e via discorrendo. Adorava farlo e non avrebbe mai smesso. Prenderlo in giro, minacciarlo di torture di ogni tipo, fargli passare un brutto quarto d’ora: erano i suoi passatempi preferiti. Lo strano modo di Aurora Bresciani per dimostrare tutto l’affetto che provava nei confronti di Alberto Manfredi. Però non poteva non riconoscergli di essere in grado di una cortesia rara e delicata. Il suo amico Alberto era un vero cavaliere. Merce rara, al giorno d’oggi.

Persa a inseguire le sue riflessioni, Aurora continuò a fumare. Con la coda dell’occhio, notò un posacenere appoggiato sull’altro comodino. Per prenderlo, si allungò attraverso il letto, riuscendo a evitare appena in tempo di spandere cenere sulle lenzuola. Tornò a sedersi con la schiena contro il cuscino.

Era già successo altre volte che, per un motivo o per l’altro, si vedessero nudi, o comunque molto poco vestiti. Avendo trascorso così tanto tempo insieme, avendo condiviso le situazioni più impensabili e improbabili, sarebbe stato difficile credere il contrario. Eppure Manfredino non solo aveva evitato di dormirle a fianco per il timore di creare situazioni imbarazzanti, ma le aveva anche portato la valigia in camera, in maniera che potesse vestirsi senza dover girare nuda per lo chalet.

Sì, non poteva che ripeterselo ancora, si disse mentre schiacciava la cicca ormai consumata nel posacenere: Manfredi era un vero cavaliere.

Come se lo avesse evocato, Alberto bussò alla porta.

«Aurora… sei sveglia? Posso entrare?»

La giovane donna sorrise di nuovo. Un sorriso tenero. Trovava sempre magico essere insieme, lei e lui, la mattina presto, appena svegli.

Per un breve istante, colta da perfidia, valutò l’idea di farsi trovare scoperta, con il seno in bella vista. Avrebbe avuto la segreta soddisfazione di vedere Manfredino perdere del tutto il lume della ragione davanti alle sue tette. E dopo gli avrebbe gridato addosso di non guardarla.

Non poteva certo fargliene un torto, perché lei stessa riconosceva quanto fossero belle. Spesso ci perdeva delle mezz’ore intere, a contemplarsele di fronte allo specchio. Che poteva farci. Ciascuno ha le proprie debolezze.

Si morse il labbro.

Forse non era il caso. La sera prima sarebbe stato il momento adatto per scherzare, con tutta la notte davanti. Ora no. Dovevano prepararsi per proseguire l’indagine, dopotutto. Erano lì per quello.

«Vieni», lo invitò, drappeggiandosi addosso il lenzuolo.

Alberto aprì la porta ed entrò. Incontro d’occhi e di sorrisi.

«Buongiorno», la salutò, venendo verso il letto. «Dormito bene?»

«Come una principessa», rispose Aurora, stiracchiandosi. «E tu?» Batté la mano sulla parte intatta del letto. «Niente nanna, questa notte?»

«Oh sì, io ho dormito sul divano», rispose Manfredi, sedendosi sulla sponda vicino a lei.

Aurora corrugò la fronte, fingendosi offesa.

«Non ti piaceva la mia compagnia?»

Alberto sogghignò.

«Tu andavi benissimo.» Allungò la mano e le diede un buffetto alla guancia. «Ma russavi così forte che non sarei riuscito ad addormentarmi mai.»

«Stupido!» ridacchiò la giovane, sbattendo le palpebre.

«Ma da stanotte rassegnati ad avermi qui con te», grugnì il tenente. Si massaggiò la schiena. «Quell’affare che chiamano divano è duro come la pietra! Ma c’è un lato positivo. Mi sono svegliato così presto che ho pensato di prendere la macchina, fare un salto in paese e portarti qualche brioche. Ne ho messe a scaldare due nel forno. Ti va?»

«Mi va!» trillò Aurora.

Lo afferrò per la camicia, lo fece abbassare verso di sé e gli lasciò un bacio sulla guancia. Ogni tanto sapeva essere delicata e dolce anche lei.

Accadeva di rado, ma accadeva.

Prima che lui avesse potuto dire qualcosa, aggiunse: «E stasera massaggio!»

«Oh sì, grazie…» borbottò Manfredi, grato. «Quel divano maledetto mi ha fatto un male cane alla schiena. Mi sembra di avere passato la notte sdraiato sui sassi.»

Aurora scoppiò a ridere.

«Dicevo a me!» esclamò. «Hai già dimenticato che ieri hai promesso di farmi un massaggino ai piedi? Me lo godrò dopo che mi avrai portata al ristorante a mangiare la fiorentina.»

Suo malgrado, anche il tenente rise.

«Oh, ma hai proprio una memoria di ferro, tu! Non ho scampo, con te!»

Dall’altra stanza, giunsero gli squilli del telefono di Manfredi.

«Che coglioni, sarà Iannaccone che scassa la minchia perché ieri non gli ho fatto rapporto telefonico a fine giornata», si lagnò Alberto. «E mi avrà pure fatto una chiamata a carico del destinatario, conoscendolo.»

Il telefono continuava a squillare, quasi isterico.

«Vado a rispondere», si rassegnò Alberto. Si alzò. «Mai che si possano avere cinque minuti di tranquillità, con quello là.»

Aurora non aspettò nemmeno che fosse uscito dalla stanza. Scivolò fuori dal letto e raggiunse la valigia.

Indossò i suoi soliti boxer neri, allacciò il reggiseno e ci infilò sopra una maglietta nera con il logo degli AC-DC. I suoi superiori odiavano vederla vestita così, ma lei se ne era sempre fregata, dei superiori. I jeans avrebbe recuperato quelli che aveva lasciato nell’altra stanza.

Stava per uscire dalla camera quando Alberto fece capolino, tutto concitato.

«Temo che la brioche dovrai mangiartela in macchina», disse. «Al telefono era Morone. Pensa che ci sia stato un altro omicidio, qualche ora fa!»

 

 
   
 
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